BONIFICA (VII, p. 413)
La bonifica integrale. - 1. Si è già detto (p. 418) come - attraverso una lunga evoluzione di idee e di esperienze e una complessa legislazione in continuo perfezionamento - si sia andato concretando, nella teoria e nelle pratiche applicazioni, il concetto di bonifica integrale. Dal 1930 non solo i lavori di bonifica hanno avuto nuovo grandioso sviluppo, ma nuovi perfezionamenti furono portati alla legislazione, unificata nella legge del 13 febbraio 1933. Ciò rende opportuno di rivedere in sintesi il cammino percorso, in un'attività nella quale l'Italia è ai primissimi posti.
L'argomento sarà qui considerato, essenzialmente, nei riflessi economico-politici. Tecnicamente la bonifica si scinde bensì in distinte opere, ciascuna delle quali può essere considerata per sé: di un gruppo di esse, con denominazione di bonifica idraulica, fu infatti detto nell'articolo citato; di altre, in altri (v. acque pubbliche, I, p. 411 segg.: strada, XXXII, p. 799 segg.; ecc.); né occorrono in proposito aggiunte (della cosiddetta bonifica montana si dirà appresso). Ma quelle opere, tecnicamente distinte, si compongono, sotto il profilo economico-politico, in unità; ed è di questa che qui tratteremo, anche perché vi si riflettono, in modo chiarissimo, taluni elementi fondamentali della dottrina fascista.
2. Possiamo oggi definire la bonifica - in perfetta armonia con l'ultima citata legge - così: coordinata esecuzione di tutte le opere fondiarie - di qualunque natura tecnica esse siano: idrauliche, stradali, edilizie, agricole, forestali - necessarie per adattare le terre e le acque a una produzione più intensiva, tale da assicurare lavoro e civili forme di vita rurale a una più densa popolazione.
Opere fondiarie, cioè opere che si immedesimano con la terra, risparmio che vi si immobilizza, trasformando la "terra nuda", data da natura, in terra adatta a determinata produzione agricola; in terra che non è più gratuito dono agli uomini, ma, come scriveva Carlo Cattaneo, risultato di costruzione umana ("Sì, un popolo deve edificare i suoi campi, come le sue città", nel Discorso alla Società di incoraggiamento di Arti e mestieri di Milano, nel 1845); quindi, in linguaggio economico, non più "risorsa naturale", ma "capitale fondiario".
Questo processo di adattamento fondiario ai bisogni dell'agricoltura procede per gradi col progressivo intensificarsi di essa, quindi col progressivo aumento dei suoi prodotti unitarî e della popolazione che ne vive: vi si congiungono altre trasformazioni, economiche, sociali, giuridiche, che dànno al processo carattere di un progressivo evolversi della vita rurale - e con essa di tutta la vita nazionale - verso forme di più alta civiltà.
Scrisse G. D. Romagnosi (Filosofia dell'incivilimento) che "senza la vita fissata e radicata con l'agricoltura non è possibile una colta e soddisfacente convivenza", e che "fu necessario migliorare la terra per migliorare gli uomini; e però si dovettero atterrar selve, asciugar paludi, dissodare il suolo..., fabbricar borgate, modellare legnami, pietre, ecc. Da ciò nacque la duplice coltura delle genti, quella cioè degli uomini e quella della terra".
E Mussolini, incitando alla bonifica gl'Italiani: "riscattar la terra, e con la terra gli uomini e con gli uomini la razza".
L'indicato processo di trasformazione della "terra nuda" può essere considerato particolarmente sotto l'aspetto di adattamento di essa alla produzione agraria, e si parla allora di bonifica; o invece particolarmente di adattamento di essa a sede della vita sociale, e si parla allora piuttosto di colonizzazione. Sono, in sostanza, due aspetti di un medesimo fatto.
Questo il significato delle parole "bonifica, bonificamento", anche nel linguaggio più antico: fu solo negli ultimi secoli, con lo sviluppo della scienza e dell'arte idraulica, che esse assunsero un significato più ristretto, di prosciugamento di terreni paludosi o a deficiente scolo delle acque: oggi - non senza, come si vedrà, una ragione profonda - siamo tornati al significato antico.
3. In un paese di antica civiltà, come l'Italia, l'attività bonificatrice, intesa come si è detto, non può non essere, è ovvio, attività millenaria.
Il suo ciclo storico in corso può considerarsi quello iniziato da quando, nel sec. V-VI, la terra italiana era in massima parte caduta in dominio delle forze selvagge della natura, e forse non più di 5-6 milioni di abitanti vivevano in grande miseria negli attuali confini del regno.
Attraverso i secoli, detta attività può avere fasi di acceleramento (come fu in Italia l'età dei Comuni e com'è l'età fascista) e fasi di stazionarietà: può avere anche fasi di regresso, poiché le opere fondiarie, una volta eseguite, debbono essere conservate e all'occorrenza rinnovate: se quest'opera di conservazione manca per lungo tempo, la terra coltivata ritorna selvaggia, come appunto avvenne largamente col decadere della civiltà di Roma. Il bonificamento, a rigore, non ha mai termine, perché la meta di esso continuamente si sposta: nuovi bisogni creano nuove esigenze di produzione e di vita civile, talché ad opere eseguite si giudica necessario aggiungerne altre.
Se consideriamo la bonifica di determinato territorio, in limitato periodo di tempo, essa non sempre ci si presenta come totalitaria trasformazione di "terra nuda", con tutte le opere fondiarie necessarie a renderla atta ai più alti gradi di produzione e di vita civile: generalmente ci si presenta piuttosto come passaggio da una posizione iniziale, risultante da precedenti fasi di trasformazione, a una posizione finale assunta - pro tempore - come meta. Posizioni, iniziale e finale, che sono caratterizzate da un determinato ordinamento agricolo e da una determinata corrispondente situazione della terra a esso adattata, cioè, come possiamo dire, da un determinato regime fondiario.
Può trattarsi di una radicale trasformazione dell'ordinamento agricolo e quindi di una radicale corrispondente trasformazione del regime fondiario, mediante l'esecuzione di un vasto e vario complesso di opere: così avviene, particolarmente, quando in terreno, destinato finora a ordinamenti agricoli fondati sull'utilizzazione di prodotti spontanei (pascoli, boschi naturali), o sull'alternanza col pascolo di una cerealicoltura discontinua e primitiva (così, per es., dei latifondi ancora presenti in alcune regioni italiane), si trasforma in terreno destinato a ordinamenti agricoli, fondati sulla coltura di piante varie, continua e intensiva, esigente cioè grande quantità di lavoro e di capitali per unità di superficie.
Ma può trattarsi invece di una limitata trasformazione, che rappresenta piuttosto un perfezionamento dell'ordinamento agricolo esistente e richiede, correlativamente, una limitata esecuzione di opere fondiarie: così, per es., quando - aumentata la produzione dei prati - si rendesse necessario di aumentare il bestiame, e quindi le costruzioni che lo ricoverano.
La legge del 1933 ha distinto, anche giuridicamente, questi due casi (pure passandosi per gradi dall'uno all'altro); e, mentre chiama bonifica integrale il complesso delle opere eseguite nell'uno e nell'altro, riserva il nome di bonifica al primo e di miglioramento fondiario al secondo.
La definizione che abbiamo data di bonifica - pur potendo comprendere entrambi i casi - meglio tuttavia si attaglia appunto a quello che la legge chiama con quel nome.
Può anche avvenire che un regime fondiario già adattato a un ordinamento agricolo intensivo, per deficiente opera di conservazione o per altre ragioni, sia degradato, e con ciò la coltura vada diventando meno produttiva e tenda ad abbassarsi nella scala dell'intensità: la bonifica, che ripristina il preesistente regime fondiario, assume allora carattere di difesa di un ordinamento agricolo intensivo.
Fra le bonifiche vengono perciò talora distinte quelle di difesa e quelle di trasformazione: mentre queste ultime tendono a rendere possibile una produzione più intensiva, le prime tendono piuttosto a impedire che si estensifichi quella esistente.
4. Le opere fondiarie, tecnicamente distinguibili, che servono al bonificamento della terra, si possono raggruppare così:
1. opere di regolazione delle acque, indirizzate sia a trarne le utilità di cui sono feconde (acque potabili, forze idrauliche, irrigazione, vie d'acqua, pesca), sia a difendersi dai danni che esse recano con lo scorrere sregolato (instabilità e franamenti di terra, depauperamento e degradazione di essa, inondazioni) o con il loro ristagnare sul suolo (diminuzione di capacità produttiva, malaricità). Si tratta di opere di costruzione idraulica (canali, laghi artificiali, idrovore, argini, briglie, ecc.); di opere agrarie (sistemazioni idraulico-agrarie del terreno); di creazione di bacini da pesca;
2. opere di viabilità, che dalle arterie principali si diramano fino agli ultimi tratti capillari, a servizio dei singoli fondi agricoli (viabilità interpoderale e poderale);
3. costruzioni edilizie, sia per abitazione degli uomini sia per gli altri fini della produzione e della vita civile;
4. opere di dissodamento, cioè di riduzione della terra a coltura, con rimozione di vegetazioni e materiali ingombranti, spianamenti, adattamenti varî;
5. piantagioni, così di boschi come di piante arboree agrarie (viti, olivi, gelsi, ecc.).
Già questa semplice enumerazione dimostra che, nel bonificamento, fini agricoli e fini extragricoli, fini di produzione e fini di civiltà, necessariamente si congiungono: coordinarli e comporli nel modo più utile è uno dei criterî fondamentali di esecuzione della bonifica.
Non meno importante del coordinamento dei fini è il coordinamento dei mezzi, cioè delle opere da eseguire. Una stessa opera o gruppo di opere può infatti servire a più di un fine (così un lago artificiale può servire insieme a produzione di forza motrice, a irrigazione, a regimazione del corso d'acqua con migliore difesa contro danni di inondazioni, ecc.; così il prosciugamento di una palude può servire insieme a riscattare la terra alla coltura e ad eliminare la malaria; così la viabilità serve insieme a trasporti agricoli e a fini civili di comunicazione fra gli uomini); inoltre, a conseguire uno stesso fine o gruppo di fini, possono talora servire opere diverse, fra le quali, entro limiti, è dato scegliere (così, per es., nella sistemazione di un torrente disordinato, fra opere di rimboschimento e opere costruttive nell'alveo e nelle pendici; così fra vie ordinarie e vie d'acqua, ecc.); infine, il conseguimento dei fini voluti col minor costo richiede spesso il coordinamento di determinate modalità di certe opere con determinate modalità di altre (così, per es., esiste stretto rapporto di costi fra viabilità e approvvigionamento di acqua potabile da una parte, e, d'altra parte, le modalità di insediamento e di abitazione degli uomini nel territorio).
Il coordinamento di fini e di mezzi dà all'opera di bonifica carattere di unità, che trova la sua espressione concreta nel piano di bonifica, tanto migliore quanto più, coordinando mezzi e fini, riesca a realizzare con più bassi costi più alta somma di utilità; e, nello stesso tempo, offre il criterio di delimitazione del comprensorio di bonifica, cioè dell'unità territoriale nella quale si esegue il coordinato complesso di opere costituenti il piano di bonifica.
Come fini e mezzi si compongono da caso a caso nei modi più varî, variabilissima è la dimensione del comprensorio: quando di alcune migliaia; quando di alcune decine di migliaia; quando anche, talora, di alcune centinaia di migliaia di ettari.
Quasi sempre un comprensorio di bonifica include quindi molti fondi agricoli (intendendo con questa espressione la porzione di terra nuda, con i capitali in essa immobilizzati, che costituisce la base territoriale di una distinta azienda agricola). Fra le opere fondiarie eseguite in un comprensorio ve n'ha di quelle che interessano ciascun fondo per sé considerato (così, per es., una piantagione o un dissodamento, una casa colonica o una stalla, in esso esegu-ti); altre interessano insieme molti o tutti i fondi del comprensorio (così, per es., un grande canale di irrigazione o di prosciugamento; una grande arteria stradale; una borgata nella quale si accentrano i servizî pubblici di un vasto territorio); talora una medesima opera ha parti che si trovano nel primo caso e altre nel secondo (così, in una rete di canali o di strade i tronchi principali servono insieme a molti fondi, e le ultime diramazioni servono distintamente a singoli fondi).
Segue da ciò che un fondo agricolo si presenta da una parte come avente una sua esistenza autonoma, d'altra parte come elemento di una unità più vasta, il comprensorio, nel quale tutti i fondi inclusi hanno interessi comuni, così nel momento di esecuzione come nel successivo momento di manutenzione delle opere.
I fondi agricoli appartengono generalmente a diversi proprietarî (benché fondo agricolo come sopra definito e proprietà non coincidano necessariamente, potendo una stessa proprietà essere anche costituita da distinti fondi). Gl'interessi comuni che legano i fondi di un comprensorio si traducono in vincoli anche giuridici fra i proprietarî: spesso ne prende origine un organismo collettivo che li associa nella comune attività di esecuzione di opere e di manutenzione, e che ha nome di consorzio.
5. Col processo di bonificamento hanno stretti rapporti anche le condizioni di proprietà della terra, intendendo questa espressione nel modo più generico, come modalità di appropriazione e di distribuzione di essa fra gli uomini.
E poiché i fatti relativi alla proprietà fondiaria sono fra quelli che più profondamente incidono su tutta la vita sociale, anche per ciò - oltre che per il congiungersi di fini extragricoli a fini agricoli, di fini di civiltà a fini di produzione - il processo di bonificamento terriero assume somma rilevanza non solo agricola ed economica, ma sinteticamente politica.
Nelle fasi primitive di terra nuda, spesso l'appropriazione ne avviene da parte non dei singoli individui, ma piuttosto del gruppo sociale; e, inoltre, vi si fondono elementi politici ed elementi economici, cioè di sovranità e di dominio economico. Solo quando la terra è bonificata; quando vi si è più o meno largamente impressa l'opera dell'uomo, l'appropriazione di essa, generalmente, si individualizza e si privatizza; diventa proprietà privata, con ampia facoltà del proprietario - benché sempre entro limiti - di goderne e di disporne.
La terra, allora, si mobilizza; si trasferisce cioè più agevolmente da proprietario a proprietario, attraverso la compravendita e le successioni ereditarie: l'ampiezza media della proprietà tende a diminuire, sia perché il valore unitario della terra, col bonificamento, aumenta e quindi diminuisce la percentuale delle persone che possono possederla in grande estensione, sia perché l'attaccamento dell'uomo alla proprietà terriera è di natura non solo economica, talché, particolarmente nelle successioni ereditarie, essa si fraziona anche oltre i limiti della convenienza economica: talora, frazionandosi, la proprietà inoltre si frammenta, cioè quella appartenente a una stessa persona è costituita da appezzamenti staccati. Frammentazione e polverizzazione (cioè riduzione a un minimo dell'ampiezza di proprietà) spesso si congiungono, determinando gravi danni alla produzione.
Questi fatti rendono più difficile quel coordinamento dei fini e dei mezzi della bonifica, alla cui importanza si è accennato. Infatti nel complesso delle opere donde risulta l'integrale bonificamento della terra, tendono a distinguersi alcune di esse che riguardano piuttosto interessi generali, la cui iniziativa quindi lo stato avoca a sé, come facenti parte dei proprî compiti, cioè come opere pubbliche; e altre che riguardano piuttosto interessi particolari dei singoli, la cui iniziativa è lasciata all'attività di essi, come opere private. D'altra parte, anche fra queste ultime, vengono a distinguersi opere che interessano una singola proprietà, e che rientrano quindi nella sfera di attività del singolo proprietario, e altre che, interessando contemporaneamente varie proprietà, implicano un'attività associata dei proprietarî. Il coordinamento dei fini e dei mezzi della bonifica diventa così anche coordinamento di attività pubblica e privata, e di attività di più distinti proprietarî: coordinamento che, per altre vie, richiama la necessità di interventi dello stato, di natura sia economica sia giuridica, vuoi a scopo di esecuzione vuoi a scopo di manutenzione delle opere fondiarie.
È perciò che, con l'intensificarsi in Italia - particolarmente nell'età dei Comuni - dell'attività bonificatrice, presero origine o rinacquero dall'antico molti caratteristici istituti, i quali - via via trasformandosi col trasformarsi delle concezioni politiche e giuridiche relative ai rapporti fra stato e individui, e in particolare alla proprietà - ritroviamo anche nella più recente legislazione.
Così è dell'istituto dell'espropriazione per pubblica utilità; così di molte limitazioni alla proprietà (come i vincoli sui boschi e sui terreni montani); così, in particolare, di talune servitù prediali, fra le quali quelle di scolo e di acquedotto, volte a rendere compatibili i diritti dei singoli proprietarî (si manifestano qui, chiaramente, i sopraccennati legami tra fondi singoli e comprensorio), o talora a innestare nell'attività dei privati più larghi fini di interesse pubblico; così è dell'istituto dell'ingrossazione, a scopo di arrotondamento dei fondi; così anche dell'istituto del consorzio fondiario, che associa i proprietarî di un comprensorio in un vincolo non puramente volontario, per la realizzazione di un interesse comune, con proporzionale contributo nella spesa; così del contributo di miglioria, col quale lo stato chiama a contribuire nel costo di un'opera i proprietarî dei fondi che ne traggono un particolare vantaggio, distinguibile da quello generale.
Anche nei periodi storici nei quali più nettamente si affermano la libertà e l'individuo di fronte all'autorità e allo stato; anche quando, perciò, il bonificamento più tende a frazionarsi in distinte opere e attività pubbliche e distinte opere e attività private, anche allora la necessità delle cose impone dunque di ricercare per una o altra via, sia pur solo parzialmente e imperfettamente, l'unità che non può essere rappresentata se non dallo stato.
La Repubblica veneta, maestra di bonifiche, istituì nel secolo XVI il suo celebre Magistrato ai beni inculti, sul quale recenti ricerche di archivio (E. Campos, I Consorzi di bonifica nella Repubblica veneta, collana Ca' Foscari, Padova 1937) hanno gettato molta luce.
Merita di essere anche oggi ricordato il discorso di Alvise Corner da Padova, col quale questo buon cittadino, nel 1540, incitava il "Serenissimo Principe" a "retrarre" (bonificare) i terreni: "per questa via di ritrar paludi questa città haveria modo di haver paese suo proprio dal quale ella potria trarre il vivere bastante al suo popolo. Et tanto più me son fatto chiaro e certo quando ho conosciuto che il ritrarre paludi ed luoghi inutili è sola cosa pertinente e propria al Signore e non a persone private, et quello che un privato non potrà fare in vint'anni con spesa grande, il Signore per l'autorità sua tenendo al ben pubblico lo farà in tre anni con li due terzi manco della spesa. Questa è la causa, che l'invidia de vicini e qualche volta il non saper ciò che facia per loro, è causa di contravenire alla bonificazione de molti luoghi che si faria da privati. Oltra di ciò non si concede a una privata persona per bonificare li suoi loghi aprire et serrare le acque, taliar arzeri, far scoladori nuovi, cambiar alvei a fiumi, levar via molini, rimover livelli et altre cose necessarie a questo ritrarre che il Signor può farlo per l'autorità sua, per lo ben pubblico, tanto più non volendo che alcuno passi senza refassion delli suoi danni, come nel principio del mio parlamento proposi.... Però il disegno mio saria che tutta quella parte dei campi che non è di V. S., né comunale, fosse tolta nel Dominio, con conditione che ritratti che fossero i patroni ne havessero la mità, et l'altra mità fosse libera de V. S., resservandosi per lei quella mità per la spesa che haverà fatta nel ritrarli e la decima per campagna di tutti i campi".
6. La prima legislazione del Regno d'Italia, anche nella materia che qui interessa, è dominata dalla dottrina liberale. È propria di essa una netta separazione fra attività pubblica e privata: a quest'ultima appartiene, in via di principio, l'attività economica.
Il concetto di bonifica, nel periodo di formazione del regno, non era lontano - pure ponendosi l'accento sull'aspetto idraulico - da quello comprensivo e sintetico di cui abbiamo parlato; tale cioè da caratterizzare opere delle quali si considerava essenzialmente il fine di redimere alla coltura terre improduttive o scarsamente produttive, e insieme il fine di risanare l'ambiente rendendo possibili popolamento e colonizzazione. Nel decennio 1860-70 le bonifiche rimasero infatti affidate alle cure del Ministero di agricoltura. Ma appunto per ciò - appunto perché prevaleva il concetto di bonifica come impresa a scopi economici, e propriamente agricoli, localizzati in determinato territorio - i primi governi liberali italiani confidarono prevalentemente nell'attività bonificatrice privata.
La legge del 1865 sulle opere pubbliche non considera fra esse le bonifiche. Lo stato cercava al più di agevolare l'attività privata con mezzi giuridici, se necessarî alle costituzione di imprese che - per le loro grandi dimensioni e gl'ingenti mezzi finanziarî richiesti - trascendessero le possibilità di singoli proprietarî. Del resto, si confidava nei consorzî di interessati, di carattere prevalentemente privato; né mancavano gli appelli al formarsi di grandi società capitalistiche bonificatrici. Ma poco cammino fu percorso per queste vie.
Solo oltre vent'anni dopo la proclamazione del regno, esso ebbe - per merito del ministro Baccarini e con trasferimento di competenza dal Ministero di agricoltura a quello dei Lavori pubblici - una legge sulle bonifiche (1882), e la ebbe solo con un radicale cambiamento di fronte nella considerazione del problema. Le bonifiche poterono finalmente e decisamente collocarsi, anche in regime liberale, fra le opere pubbliche; la loro esecuzione poté essere assunta fra i compiti proprî dello stato, solo perché e in quanto si ammise poter esse avere prevalentemente un fine, della cui appartenenza alla sfera pubblica nessuno mai dubitò, cioè quello igienico, antimalarico. Le bonifiche aventi prevalente scopo igienico - quelle che la legge dell'82 classificò di prima categoria - divennero così, e solo esse, opere di competenza dello stato.
Il rapporto fra paludismo e malaria, benché non ancora scientificamente definito, era già empiricamente ben noto; per vincere la malaria pareva si trattasse perciò, semplicemente, di eliminare il paludismo con quelle bonifiche idrauliche, che ponevano i terreni in condizione di regolare lo scolo delle acque, con uno o altro dei metodi che la tecnica insegnava: fosse il metodo di canalizzazione di essa fino a un recipiente di scolo che potesse accoglierle per gravità; ovvero, quando questo mancasse, il vecchio metodo della colmata, che particolarmente in Toscana aveva una tradizione secolare; o quello consentito dal nuovo strumento che, intorno alla metà del sec. XIX, la meccanica aveva fornito, la pompa idrovora; o infine combinazioni dei varî metodi, tali da conseguire lo scopo col minor costo.
L'indicato cambiamento di fronte - con conseguente restrizione della bonifica, come opera pubblica, a quelle da eseguire in territorî paludosi o deficienti di scolo, e, anche in questi, a una determinata categoria di opere di prosciugamento - fu forse necessario, perché, date le prevalenti dottrine liberali, non si sarebbe riusciti altrimenti a comprendere le bonifiche fra i compiti dello stato; ma fu, in sostanza, un passo indietro. Occorsero dal 1882 decennî per ritornare al concetto più comprensivo e integrale, illustrato nei primi paragrafi. E furono decennî di esperienza assai triste, soprattutto per il Mezzogiorno d'Italia.
Meglio chiariti i rapporti fra paludismo e malaria, con una serie di studî e scoperte nelle quali rifulsero nomi italiani - Grassi, Celli, Marchiafava, ecc. -, iu presto chiaro che anche il risanamento igienico, assunto come scopo fondamentale della bonifica, non poteva essere realizzato con la sola esecuzione delle ricordate opere di prosciugamento: occorreva, intanto, aggiungervi interventi di carattere igienico e sanitario (lotta contro la zanzara propagatrice della malaria, e cura col chinino dello stesso malato malarico); talché si disse che la bonifica idraulica doveva essere integrata dalla bonifica igienica.
Ma non solo: fu anche tosto chiaro che a debellare la malaria non bastava quella rete principale di canali di scolo, in cui si concentrava la cosiddetta bonifica idraulica, ma era necessaria, entro quella rete, una minuta sistemazione del terreno, che consentisse un pieno dominio delle acque da parte dell'uomo; erano - ancor più - necessarî tale complesso di difese e tale organizzazione di vita civile, che solo potevano realizzarsi quando alle opere idrauliche si accompagnasse la conquista della terra a progredite forme di coltura intensiva, assistite dall'opera quotidiana dell'agricoltore vivente sulla terra, e a progredite forme di vita civile. E si disse allora che alla bonifica idraulica e igienica occorreva aggiungere la bonifica agraria; e dalla sintesi di questi tre aspetti sorse il concetto di bonifica integrale, quale era già elaborato alla vigilia dell'era fascista.
Si era così ritornati all'origine, riconoscendo il necessario coordinamento di fini e di mezzi, che è aspetto essenziale della bonifica; ma non ancora, se ben si rifletta, in modo completo. Infatti quel riconoscimento si limitava ai soli territorî nei quali la situazione originaria, donde poteva muovere l'iniziativa dello stato, era rappresentata dal paludismo.
Che era avvenuto intanto, in pratica, in quei decennî?
L'esecuzione della bonifica idraulica da parte dello stato dimostrava deficienze e insufficienze gravissime, per mancanza di continuità, per assenza di piani condotti organicamente e decisamente sino alla fine, e incapacità a debellare la malaria.
Lo stato cercò rimedio rinunciando all'esecuzione diretta delle opere di prosciugamento e affidandola allo stesso consorzio dei proprietarî: parve così che indirettamente si potesse assicurare anche la bonifica agraria, dacché, si pensava, se i proprietarî assumono di eseguire essi stessi la preliminare bonifica idraulica, dimostrano con ciò la decisa volontà di voler riscattare le loro terre con quella bonifica agraria che è, anche ai fini igienici, non meno necessaria della prima.
Tra le opere di competenza dello stato, a quelle di puro prosciugamento se ne andarono inoltre aggiungendo - entro certi limiti e a determinate condizioni - altre, come strade, sistemazioni montane, adduzione di acqua potabile e irrigua.
Quel tanto di buono che poté in questo campo essere compiuto in Italia negli ultimi quindici o venti anni prima della guerra mondiale, si deve in gran parte alle indicate nuove direttive. Sennonché, ciò significò, in pratica, concentrare l'attività bonificatrice in alcune regioni settentrionali, soprattutto venete ed emiliane, dove l'attività consortile aveva antiche tradizioni; dove, inoltre, il problema della trasformazione agraria presentava minori difficoltà in quanto terreni contermini a quelli da bonificare già ne davano sicuro esempio.
Non moveva invece alcun passo la bonifica del Mezzogiorno, dove la vasta distesa delle "terre nude", latifondistiche, malariche, neppure rientrava in molta parte nel concetto legislativo della bonifica, non trattandosi di terre paludose o deficienti di scolo. Anche dove, verificandosi queste condizioni, lo stato aveva eseguito opere di prosciugamento, l'agricoltura restava ferma alle vecchie forme primitive, e con queste restavano malaria e vita incivile: le stesse opere eseguite cadevano in abbandono; un cimitero di bonifiche, come fu giustamente detto.
Si volle allora tentare altra via: l'esecuzione delle opere affidata, per concessione dello stato, non al consorzio dei proprietarî, che non aveva nel Mezzogiorno tradizioni, ma a capitalisti - generalmente società capitalistiche - che, possedendo una parte dei terreni da bonificare, vi avessero un diretto interesse; possesso che quindi si voleva agevolato anche a mezzo di espropriazione dei proprietarî attuali. È ovvia la resistenza che una tale via doveva incontrare.
La realtà è che stava nel fondo del problema che si tentava, senza successo o con scarso successo, di risolvere, un delicatissimo aspetto di rapporti fra attività pubblica dello stato e attività dei proprietarî privati; e che il risolverlo esigeva propriamente una sintesi dell'una e dell'altra, superando quella netta separazione, e quasi frattura, che fra l'una e l'altra la dottrina liberale aveva creato.
E questo non era problema semplicemente tecnico o amministrativo: era problema propriamente politico, che solo una nuova dottrina, una nuova concezione dei rapporti fra stato e individui, avrebbe potuto risolvere dalle radici.
7. È quanto ha fatto il fascismo.
Una prima svolta decisiva nella legislazione avvenne ben presto, nell'anno II dell'era fascista. Una legge del 1924 affermava infatti che non si trattava in Italia solamente di riscattare terre paludose o deficienti di scolo; che molti altri territorî, pur non dissestati idraulicamente, potevano e dovevano, con eguale pubblico interesse, essere adattati a forme di agricoltura più intensiva, a denso popolamento agricolo. Il rispetto alla esistente e da poco unificata legislazione sulla bonifica idraulica condusse a scegliere un'altra denominazione per questi casi: si dissero di trasformazione fondiaria. Ma si trattava, in sostanza, di null'altro che di bonifiche, nel vecchio e più vero senso della parola.
Così la bonifica delle pianure paludose poteva salire anche al monte, fin dove siano attuabili forme di agricoltura più o meno intensiva; così essa poteva estendersi a quelle regioni latifondistiche del Mezzogiorno, dove si trattava non di prosciugare paludi, ma di costruire strade e abitazioni, di addurre acqua potabile e irrigua. Il secolare problema del latifondo, spoglio di retorica o di demagogismo, appariva anch'esso, essenzialmente, problema di bonifica.
Particolarmente interessante l'estendersi della bonifica anche a territorî collinari e di monte. Già esisteva una legislazione sulla sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, secondo la quale lo stato - a scopo di difesa del terreno contro le acque sregolate e di miglioramento del regime idraulico anche per produzione di forza motrice - assume l'esecuzione di opere di correzione degli alvei torrentizî (imbrigliamento del torrente) e di opere di rimboschimento delle pendici. La sostituzione a questo concetto di sistemazione idraulico-forestale del concetto di bonifica (bonifica montana) consente di porre fra i compiti dello stato l'esecuzione non solo delle opere suindicate, ma di quant'altre occorrano al fine di attuare un ordinamento produttivo che offra rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici e sociali. È non più l'opera idraulico-forestale isolatamente considerata, ma il migliore organico assetto dell'economia della montagna, in tutti i suoi rami, con tutti i mezzi tecnici all'uopo occorrenti.
Il che ha particolare importanza in un paese come l'Italia ad alta densità demografica e a piccola quota di territorio in pianura. Una eccessiva estensione del bosco nelle regioni montane e collinari non è compatibile con un'alta densità demografica. Una legislazione che, per il buon assetto montano, faccia assegnamento solo sull'estensione del bosco, urta inevitabilmente contro la pressione di una densa popolazione, che vuol trarre dalla terra il necessario per vivere. La legislazione sulla bonifica, consentendo di realizzare la difesa del terreno e il regolare regime delle acque, anche per altre vie oltre che con il bosco (cioè con opportune sistemazioni di prati e pascoli, e con sistemazioni idraulico-agrarie dei seminativi, quali colmate di monte, affossature in traverso, sistemazioni a spina, terrazzamenti, drenaggi, ecc.), consente con ciò un migliore assetto produttivo della montagna con una densità demografica non troppo scarsa. La grande opera è affidata in massima parte alla milizia forestale.
Mancava ormai solo, a un'attività bonificatrice intensa, a una piena realizzazione delle ampie possibilità aperte dalle leggi, che fosse chiara alla coscienza di tutti gl'Italiani la suprema importanza della bonifica nella vita nazionale ("riscattare la terra e con la terra gli uomini e con gli uomini la razza"), e che al passo ordinario della tecnica e dell'amministrazione si sostituisse, con adeguati mezzi finanziarî, quello delle iniziative politiche che impegnano tutte le energie della nazione. Questo poté la parola di Mussolini e la sua grande legge del 24 dicembre 1928, cui presto seguiva, nel settembre 1929 - per adattare alla nuova concezione della bonifica la natura degli organi chiamati a dirigerla - il trasferimento delle relative competenze, dopo quasi sessant'anni, dal Ministero dei lavori pubblici a quello dell'Agricoltura, con costituzione di uno speciale sottosegretariato per la Bonifica integrale.
Mentre così un imponente complesso di opere era avviato, la revisione e il coordinamento delle molte disposizioni legislative che, attraverso decennî, si erano andate accumulando, spesso frammentariamente e disordinatamente, posero capo alla citata legge unica del 13 febbraio 1933. Già si è detto della distinzione in essa adottata fra "bonifiche" e "miglioramenti fondiarî". Le disposizioni fondamentali relative alle prime, che più interessano, si possono brevemente riassumere come segue.
La bonifica si attua in base a un piano generale di lavori e di attività coordinate, per rilevanti fini igienici, demografici, economici e sociali, in territorio classificato e delimitato dallo stato (comprensorio di bonifica). Si distinguono comprensorî di prima e di seconda categoria, secondo che prevalgano o no fini di colonizzazione. In ciascun comprensorio debbono essere eseguite tutte le opere necessarie a realizzare i fini della bonifica, qualunque sia la loro natura tecnica: o dallo stato, quelle cui si riconosca carattere di opera pubblica, ovvero dai privati proprietarî - ma obbligatoriamente - le altre, considerate opere private: le prime a spese dello stato, con contributo dei proprietarî; le seconde a spese dei proprietarî, con sussidio finanziario dello stato.
L'individuazione delle opere da eseguire e il loro coordinamento nello spazio e nel tempo non possono evidentemente risultare se non comprensorio per comprensorio, dallo studio del piano generale di bonifica: la distinzione tra le opere di competenza dello stato e dei privati riposa, in via di principio, sul fatto che le prime sono di interesse comune di tutto il comprensorio o di una parte notevole di esso, e le seconde sono di interesse particolare di singole proprietà o gruppi di esse. La legge enumera, con significato esemplificativo, le prime: compaiono fra esse anche le ricomposizioni di proprietà, volte a rimediare ai mali della frammentazione e polverizzazione di essa.
Il compito di provvedere all'esecuzione della bonifica, tanto nella sua fase pubblica quanto in quella privata, è in via normale affidato al consorzio dei proprietarî.
Esso studia in primo luogo, e sottopone all'approvazione dello stato, il piano generale di bonifica, che comprende i progetti delle opere pubbliche e le sole direttive generali della conseguente trasformazione agraria.
Il consorzio esegue poi le prime per concessione, cioè in nome e per conto dello stato; quanto alle altre, sono i proprietarî che hanno l'obbligo di eseguirle, in determinato periodo di tempo, su progetti presentati, attraverso il consorzio, all'approvazione dello stato, la quale è concessa in quanto essi corrispondano alle direttive di trasformazione agraria fissate nel piano generale.
In sostanza, si tende così a lasciare al proprietario un'ampia facoltà di scelta, purché non contrastante con i fini della bonifica: perciò le direttive generali non contengono rigide imposizioni di opere, ma piuttosto determinano ciò che il proprietario non deve fare (p. es., conservare il pascolo incolto, inconciliabile con l'eliminazione della malaria), e taluni fini particolari che il proprietario deve realizzare, in quanto parte integrante dei fini pubblici della bonifica (p. es., stabilizzare un determinato minimo di famiglie coloniche).
La sanzione ultima per gl'inadempienti sta nell'obbligo fatto al consorzio di eseguire le opere a spese del proprietario, ovvero nell'espropriazione, sia a favore del consorzio stesso sia di altri che si impegni di eseguirle.
Ma, più che su queste sanzioni, il sistema riposa sulla creazione di tali condizioni che rendano conveniente al proprietario l'adempimento degli obblighi impostigli.
La condizione fondamentale è in proposito questa, che la parte di costo della bonifica (per il complesso delle opere pubbliche e private), lasciata a carico dei proprietarî, sia tale da assicurargli prevedibilmente - con l'incremento di reddito fondiario - un compenso non eccessivo, ma adeguato. Perciò la legge - pur fissando per ragioni pratiche un minimo di contributo dei proprietarî nel costo delle opere pubbliche e un massimo di sussidio dello stato alle opere private - consente di variarli in guisa da realizzare la condizione indicata.
L'opera dei proprietarî è poi agevolata da operazioni di credito, che consentono di corrispondere in trenta annualità il loro contributo al costo delle opere pubbliche; e, se richieste, da altre analoghe operazioni per la spesa a loro carico delle opere private. È agevolata altresì dall'assistenza tecnica a essi dovuta dal consorzio, che può spingersi fino alla progettazione ed esecuzione delle opere per conto del proprietario che ne faccia domanda.
8. Taluni aspetti del sistema sopra delineato meritano qualche particolare commento. Considerata da un punto di vista strettamente economico, la bonifica ci appare come immobilizzazione nella terra di ingenti capitali, cioè di ingenti masse di risparmio. Uno dei più comuni dubbî è questo: se veramente detto impiego sia conveniente.
La convenienza di impiegare, in un modo o nell'altro, l'esistente risparmio si giudica generalmente, nei riguardi economici, in base al più o meno alto frutto percentuale che esso rende. A questa stregua, quasi tutte le bonifiche non sono convenienti: risulta infatti da quanto si è detto che un frutto monetario adeguato del risparmio impiegato - cioè un adeguato incremento di reddito della terra - implica l'assunzione da parte dello stato, senza alcun suo frutto monetario, di una parte più o meno larga del costo.
Un'ampia realizzazione di programmi di bonifica, quale lo stato fascista vuole, richiede inoltre, generalmente, un largo prelevamento coattivo di risparmio, oltre a quello volontariamente dato dai risparmiatori.
In certi limiti, ciò è stato sempre riconosciuto giusto, per le utilità pubbliche conseguenti alla bonifica: come già si vide, non c'è dubbio che i risultati di essa non si esprimono solo nell'incremento di reddito fondiario, ma in altre forme di manifesta utilità pubblica, quali il risanamento igienico.
Ma è certo, anche, che questo concetto di utilità pubblica, per se stesso assai vago, è interpretato dalla dottrina fascista in senso molto più largo e diverso che dalle dottrine individualistiche-liberali; il che si traduce in concreto in una più estesa attività bonificatrice, in una scelta diversa delle terre da bonificare, in fini diversi assegnati ai piani di bonifica e quindi in direttive diverse nella loro attuazione.
Lo stato fascista crede infatti che grandi masse di risparmio debbano essere convogliate alla bonifica della terra - anche se ciò costringa ad andar oltre la disponibilità del risparmio volontario dei cittadini, e anche se, come generalmente avviene, il frutto monetario sia più basso di quello realizzabile in altri impieghi - per due ragioni fondamentali, che difficilmente le dottrine liberali e individualistiche riconoscerebbero come utilità pubbliche giustificanti l'intervento dello stato; o che, almeno, esse interpreterebbero come un sacrificio economico a fini extraeconomici.
Le ragioni sono: l'importanza data alla conservazione nella compagine nazionale di un alto grado di ruralità, e l'autarchia economica.
Il grado di ruralità - misurato non tanto dalla percentuale di popolazione agricola sulla totale, quanto dalla percentuale di quella particolare popolazione agricola che è costituita da categorie coloniche, cioè da contadini legati alla terra con rapporti stabili, continuativi di lavoro - ha per la dottrina fascista fondamentale importanza, perché i rurali così intesi rappresentano nella compagine nazionale un fattore di coesione, di ordine, di disciplina, di sobrietà di costumi, di alto sentimento familiare. La ruralità è sicura garanzia della perpetuità della stirpe: certi fenomeni degenerativi della civiltà capitalistica, sono proprî del mondo delle città, delle industrie, dei traffici, non di quello veramente rurale; l'irrequieta e insaziata ricerca di maggiori godimenti non è del mondo rurale. Un popolo eccessivamente deruralizzato assomiglia a un esercito con molti generali, ma senza una massa disciplinata di soldati che segue e obbedisce: è un popolo votato alla sconfitta, nella grande e perpetua lotta di cui è intessuta la storia.
A un popolo crescente e che vuole, come l'italiano, continuare a crescere senza perdere un alto grado di ruralità, occorre dunque preparare con la bonifica nuove sedi di vita rurale.
Altra e non meno fondamentale ragione della bonifica è l'autarchia economica, condizione necessaria - nel periodo storico che attraversiamo - di autarchia politica: in molti territorî italiani la bonifica è appunto il primo passo necessario all'incremento della produzione agricola.
Che il conseguimento di questi fini sia talora interpretato come un sacrificio della ragione economica a ragioni politiche, è in verità poco comprensibile per chi la nazione intenda non come complesso dei soli viventi di oggi, ma di essi e delle generazioni che verranno, e rifletta che la saldezza e la potenza della nazione è a sua volta condizione di maggiore ricchezza.
Comunque, si può affermare che indice di convenienza della bonifica è, in regime fascista, non il più o meno alto frutto dei capitali immobilizzati nella terra, e neppure, secondo il criterio dominante nelle leggi prefasciste, il risanamento igienico: l'indice, che in parte comprende in parte trascende i precedenti, è piuttosto dato dal maggiore o minore incremento di popolazione, stabilizzata sulla terra, che - compatibilmente con un frutto dei capitali impiegati tollerabile per l'economia della nazione - è dato di far vivere, in forme civili, sull'unità di terreno bonificato.
Un altro notevolissimo aspetto del sistema di bonifica che abbiamo delineato si può tradurre in questa domanda: la bonifica così attuata rappresenta una impresa pubblica o privata.
È al centro di essa, come s'è detto, il consorzio. Vecchio istituto secolare, che ebbe anche nel lontano passato gran parte nel risolvere i problemi della bonifica, esso ha subito nel tempo una caratteristica evoluzione. Entrato nel codice civile del regno come istituto di diritto privato, fondamentalmente volontario, esso è andato trasformandosi in istituto pubblico, di diritto amministrativo, per diventare infine, nella legislazione sulla bonifica integrale, un caratteristico strumento di coordinazione di attività pubblica e privata. In quest'ultima forma - secondo la quale il consorzio può essere costituito dallo stato anche di ufficio, all'infuori cioè di ogni consenso dei proprietarî interessati - non si può neppur più dire, come per gli ordinarî consorzî amministrativi, che, pure avendo essi assunto personalità pubblica, il nucleo centrale ne sia rappresentato dai proprietarî interessati e dalla loro iniziativa: esso è piuttosto rappresentato dall'opera di pubblico interesse imposta dallo stato, a servizio della quale è organizzata una pubblica amministrazione, cui partecipano bensì anche i proprietarî interessati, ma come cellule d'un più vasto organismo e con strettissimo controllo e talora totale subordinazione alla pubblica autorità.
L'impresa di bonifica, attuata secondo il sistema delineato, con la notata distinzione e coordinazione di compiti fra consorzio e privati, ci appare come impresa tipicamente corporativa, nella quale carattere pubblico e privato sono sintetizzati, e la distinzione di pubblico e privato è superata. Siamo nel caso, come è caratteristico del corporativismo, di un'attività di privati, autodisciplinata e controllata dallo stato. La dottrina liberale aveva frantumato la unità della bonifica in una serie di opere eseguite dallo stato e di altre lasciate alla piena libertà dei privati, con le conseguenze che si dissero: la dottrina corporativa l'ha ricostituita.
Su un ultimo punto è da richiamare l'attenzione. Può essere che il proprietario non voglia, ma più spesso che non sappia o non possa attuare quella trasformazione agraria - spesso complessa e difficile - che gli viene imposta. Risolve allora il problema il trasferimento ad altri della proprietà: trasferimento volontario, se il proprietario si sottrae con la vendita agli obblighi di bonifica che passano così a un nuovo proprietario; o, in ultima istanza, trasferimento coattivo.
L'espropriazione indennizzata ha, in quest'ultimo caso, un fondamento diverso da quello proprio delle antiche espropriazioni per pubblica utilità, a fini strettamente delimitati e circoscritti. Ma non è vero, come talora si afferma, che essa sia sanzione di colpe, che possono non esistere. Essa è invece da interpretare come riconoscimento della necessità che - almeno in parte - rinunci alla proprietà della terra chi non può usarne nei modi riconosciuti più utili alla nazione.
È il concetto di proprietà-funzione sociale, proprio della dottrina fascista. Il diritto di proprietà, particolarmente sulla terra, non è mai stato senza limiti all'assolutezza della signoria del proprietario sulla cosa. Ma qui c'è di più: non solo il proprietario deve rispettare quei limiti, ma inoltre, in quanto proprietario, ha obblighi in confronto della pubblica amministrazione, con conseguenti sanzioni di varia natura, fino all'espropriazione.
Il diritto di proprietà così si socializza, legandosi a doveri giuridici. Al diritto subiettivo privato si congiunge indissolubilmente un sistema di doveri pubblici, di carattere reale, dai quali il proprietario può liberarsi solo mediante l'abbandono o il trasferimento della cosa posseduta.
9. La colonizzazione non è, si è detto, che uno degli aspetti del processo di adattamento della "terra nuda" ai bisogni della vita civile; l'aspetto comprensivo di quei caratteri del regime fondiario e corrispondente ordinamento agricolo che incidono sulle modalità di stanziamento o insediamento della popolazione sulla terra bonificata: sulla sua maggiore o minore densità, sulle modalità e tipi delle abitazioni (accentrate, sparse, ecc.), sulla sua struttura sociale, cioè sulla sua distribuzione fra le varie categorie (grandi e piccoli proprietarî; affittuarî; mezzadri, ecc.).
Sono anche i caratteri che - determinando i più o meno stretti vincoli dell'uomo con la terra, il vario grado e tipo della ruralità - hanno più diretta importanza politica.
I problemi di colonizzazione vengono talora distinti da quelli di bonifica, fino a farne problemi di solo popolamento e appropriazione della terra; ma in realtà ne sono inscindibili, come aspetti di un medesimo processo. Spezzare tale unità, trascurare quindi i connessi problemi della produzione agricola, è stata frequente causa di insuccessi nelle iniziative di colonizzazione, soprattutto quando la preminenza data a taluni fini politici ha determinato trasferimenti in massa di proprietà della terra a categorie nuove - generalmente a contadini - non pronte ad assumerne le responsabilità e gli oneri.
La legislazione italiana, in linea di principio, non scinde bonifica da colonizzazione: tuttavia, fini particolari di questa possono imprimere particolari modalità nell'applicazione della legge e chiamare a cooperarvi particolari organi.
I comprensorî di bonifica, come si accennò, sono dalla legge distinti in due categorie, di cui la prima comprende appunto quelli con fini prevalenti di colonizzazione.
Sarebbe erroneo credere che questi fini manchino negli altri comprensorî: vedemmo infatti come in tutti sia lo stato che impone le direttive generali della trasformazione agraria; il che gli consente di attuare in tutti quelle direttive della politica fascista del lavoro agricolo, che consistono nella preferenza data alle categorie coloniche dei contadini su quelle avventizie; a quelle categorie cioè che sono costituite da contadini legati da rapporti stabili alla terra e partecipanti all'impresa.
Ma queste categorie sono varie: non sono solo contadini proprietarî; sono anche contadini affittuarî, coloni parziarî, ed altri con contratto annuo che li fa più o meno largamente partecipare ai risultati della produzione, sottraendoli alla condizione di puri salariati.
Le direttive indicate, pure attuando una colonizzazione, non implicano dunque necessariamente trasferimento di proprietà della terra dai vecchi a nuovi proprietarî contadini; è anzi sull'opera dei primi che, come vedemmo, la legislazione italiana fa in primo luogo assegnamento: solo in quanto essi non possano o vogliano o sappiano attuare gli obblighi di bonifica, si rende necessario il trasferimento della terra a nuovi proprietarî.
Tuttavia, anche quando trasferimento non avviene, può accadere che lo stato, in vista della colonizzazione, imponga ai proprietarî vincoli particolarmente onerosi, come, p. es., una densità di popolazione agricola stabilizzata sulla terra eccezionalmente elevata, obbligo d'impiego di mano d'opera immigrata e scelta fra essa delle nuove famiglie coloniche, ecc.: la distinzione dei consorzî di prima categoria ha appunto in ciò la sua ragione d'essere, in quanto in essi - conseguentemente ai maggiori oneri imposti - la partecipazione dello stato nel costo della bonifica è consentita in quota più elevata.
D'altra parte, anche in Italia ragioni politiche, riguardanti in particolare i contadini ex-combattenti, hanno consigliato di agevolare, in determinati casi, il loro accesso alla proprietà.
Fin dal 1919 è sorta perciò l'Opera nazionale per i combattenti (v. combattenti, L'Opera nazionale per i combattenti, App.) avente, fra gli altri, il compito istituzionale di promuovere la formazione di una nuova piccola proprietà contadina. Anche l'attività di questo ente è collegata con quella di bonifica. Esso, infatti, può procurarsi, per acquisto o espropriazione, solo terre soggette ad obblighi legislativi di bonifica, assumendosi il compito di bonificarle e destinarle infine in proprietà a contadini ex-combattenti. L'Opera può espropriare anche proprietarî disposti ad assumere essi stessi, secondo la legislazione ordinaria, il compito del bonificamento; tuttavia, essendo inevitabile conseguenza di questa che un certo numero di proprietarî inadempienti agli obblighi loro imposti debba venire espropriato, lo stato può provvedere per questa via - sia all'Opera nazionale per i combattenti, sia ad altri minori enti analoghi sorti negli ultimi anni - la terra occorrente alla formazione di piccola proprietà coltivatrice.
Ricordiamo che agisce in Italia anche un Commissariato per le migrazioni interne e la colonizzazione (v. migratorie, correnti: Migrazioni interne, XXIII, p. 258), il quale fra i suoi compiti ha quello di assistere - con premî ed altre agevolazioni - le famiglie contadine che si trasferiscono stabilmente come coloni in altri territorî.
Raccogliamo alcune sommarie notizie sulle bonifiche eseguite in Italia.
Le ultime statistiche pubblicate in proposito sono quelle contenute nella quinta relazione del Sottosegretariato per la bonifica integrale (Roma 1935), e si riferiscono alla data del 1° luglio 1934. Dopo di allora, l'attività bonificatrice - nel periodo del conflitto italo-etiopico - ha dovuto subire una necessaria sosta: oggi, essa sta riprendendo.
Alla data indicata, i comprensorî di bonifica in corso di lavoro, distribuiti in ogni regione d'italia, avevano una superficie di ettari 4.734.000 (su 31 milioni di ha. costituenti la superficie del regno).
Di essi, poco più di 2 milioni di ettari erano bonifiche con prevalente scopo di difesa, e il resto di trasformazione (par. 2). In circa la metà delle prime, le opere pubbliche erano ultimate o quasi, talché la preesistente agricoltura, più o meno intensiva, vi era assicurata; mentre nelle altre, esse erano ancora più o meno lontane dal completamento. Nelle seconde, circa ha. 780.000 avevano opere pubbliche ultimate o quasi, e anche la trasformazione agraria era già largamente avviata o compiuta; circa ha. 330.000 avevano bensì opere pubbliche ultimate o quasi, ma la trasformazione agraria si trovava ancora ai primi passi; nella superficie residua, infine, anche le opere pubbliche erano in stato di esecuzione non avanzata.
Le opere pubbliche di bonifica eseguite dal 1870 al 1934 ascendono a un costo di lire (della parità aurea del 1934) 5,8 miliardi. Di questi, ben 4 appartengono ai 12 anni dell'era fascista, e 2,6 al quinquennio successivo alla legge del 1928 (1929-34).
La più grandiosa delle bonifiche eseguite, dove giganteggiò l'attività dell'Opera nazionale per i combattenti, è quella dell'Agro Pontino. Settantamila ettari circa di terreno - fra Velletri e Terracina, fra i Monti Lepini e il Tirreno - destinati in massima parte, non oltre quindici anni fa, alle forme più primitive e selvagge di utilizzazione dei prodotti spontanei del suolo, completamente spopolati, appena percorsi in alcune stagioni da poveri contadini migranti dalle montagne vicine e flagellati dalla malaria: oggi, territorio igienicamente risanato, destinato a forme di agricoltura intensiva e continuamente progrediente, densamente popolato da una popolazione agricola residente in luogo in forme di vita civile, con nuovi centri che sono o si avviano ad essere città: una nuova provincia, Littoria.
La prima conquista di quella terra selvaggia, con la sistemazione idraulica e stradale, fu eseguita dal Consorzio: dal 1931, con acquisti di terre ed espropriazioni, l'Opera nazionale per i combattenti assunse in vasta parte del comprensorio il compito della trasformazione agraria e della colonizzazione. Nella restante parte di esso, i vecchi proprietarî, fra i quali anche taluni dominî collettivi (università agrarie) - posti nell'alternativa o di adempiere essi medesimi agli obblighi di bonifica o di essere espropriati a favore dell'Opera - in parte seguirono la prima, in parte la seconda via.
Oggi, la situazione si può riassumere nei seguenti dati.
Per la sistemazione stradale e idraulica furono costruiti 943 km. di nuove strade ordinarie, e 356 di strade interpoderali; 163 km. di collettori principali, 340 di secondarî, 1780 di terziarî e 11.300 di scoline con 18 impianti idrovori, dei quali uno - il Mazzocchio - capace di sollevare 35.000 litri al minuto secondo.
Furono appoderati 60.000 ettari - di cui 48.330 dall'O. N. C., e il resto dagli altri proprietarî - previo dicespugliamento e diboscamento su 21.000 ettari e dissodamento su 39.000.
Oltre alla fondazione di cinque centri urbani (Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia) e a 17 borghi, furono costruite 3147 case coloniche per altrettanti poderi (2574 dall'O. N. C. e 573 dagli altri proprietarî).
Per il servizio idrico - oltre a 9 torri serbatoi per i centri urbani e varie batterie di serbatoi per i borghi - furono scavati 37 pozzi trivellati (da 30 a 95 m. di profondità), 27 pozzi artesiani, 2571 pozzi ordinarî.
Il lavoro impiegato in detto complesso di opere, limitatamente a quelle eseguite dal Consorzio e dall'O. N. C., ascende a oltre 26 milioni di giornate.
Sono oggi insediate nel territorio bonificato 3200 famiglie coloniche, con un totale di 30.000 componenti.
Prima della bonifica, l'80% della superficie era rappresentato da terreni saldi e il 20% da seminativi: oggi il rapporto si è rovesciato.
Nei soli poderi dell'O. N. C. si sono raccolti nell'ultimo anno 150.000 quintali di cereali e 195.000 di bietole da zucchero: la loro dotazione di bestiame è di 20.000 capi grossi.
La malaria che, ancora nel 1930, colpiva circa la metà della popolazione presente e mieteva una vita ogni 138 persone, non tocca oggi che una persona su 1000, con mortalità ridotta quasi a zero.
Il capitale occorso alla bonifica dell'Agro Pontino, tra opere pubbliche e private, si può ritenere intorno a un miliardo e mezzo.
"A tutte le precisazioni e a tutte le illazioni, tecniche, statistiche ed economiche, che potremo fare, una realtà intanto sovrasta, grandiosa e solenne: l'augusta vita che sorge e si afferma. L'Agro Pontino non è più il regno della miseria e della morte, ma la magica terra della vita risorta. Questa è una realtà non riducibile a semplici termini economici, e che domina e sopravanza qualunque immiserimento di angusti calcoli monetari" (Mazzocchi Alemanni, Le realizzazioni, nella Conquista della terra, rassegna dell'O. N. C., ottobre-novembre 1937).