MARZI, Bonaventura
(Tura). – Nacque, da Bartolomeo di Bramanzone, presumibilmente a Siena poco dopo la metà del sec. XIII, in una famiglia di mercanti e prestatori, presente in città dagli anni Venti del Duecento.
I Marzi erano originari di Monteriggioni (altri Marzi, anch’essi mercanti, attestati a Siena provenivano da Montepulciano e non sembrano avere relazioni di parentela con questi), si stabilirono nel terzo di Camollia nel «popolo» di S. Andrea ed esercitarono in contatto con la compagnia mercantile e bancaria Bonsignori.
Il primo esponente noto è Bramanzone, che, negli anni Venti del Duecento, esercitò il prestito tra gli abitanti di Monteriggioni. Nel 1230-31 i Marzi fornivano al Comune di Siena carta, canapa e altre merci.
I figli di Bramanzone lavorarono per la compagnia dei Bonsignori: Rofredo a Genova nel 1251-53 e Jacomo a Londra nel 1288-90; Bartolomeo, padre del M., proprio in quanto socio della «Gran Tavola» di Orlando Bonsignori, evitò di essere colpito dalla scomunica che, dopo la vittoria ghibellina a Montaperti (1260), il papa Urbano IV lanciò contro i banchieri senesi, bloccandone i crediti sulle principali piazze commerciali. Dal provvedimento papale furono però esclusi gli uomini d’affari di Siena che lavoravano per la S. Sede, in primo luogo i Bonsignori, i loro soci e le compagnie in contatto con loro: il 9 dic. 1261 Urbano IV dispose il pagamento di una somma «dilecto filio Bartholomeo Bramançoni». Bartolomeo e altri due fratelli, Boncambio e Udorigo, compaiono, nel 1278, nella contabilità di una compagnia mercantile di cui non si conosce il nome (Astuti). Bartolomeo morì dopo il 1294.
Le prime notizie dell’attività del M. risalirebbero al 1279-81, se è lui il Tura di Bartolomeo che risulta ripetutamente in contatto con l’anonima compagnia mercantile sopra ricordata.
Dopo la morte del padre, il M. partecipò alla compagnia dei Bonsignori, con la modesta quota di 2500 lire, come si evince da un elenco pubblicato da Chiaudano (1930) da cui si sa che «de Bartholomeo Bramançoni remanet Tura» il quale «fuit filius Bartholomei dicti». Tuttavia, quando gli affari della «Gran Tavola» cominciarono a presentare segni di sofferenza, il M. si sfilò dalla società e cercò di recuperare il suo capitale.
Nel giugno 1295 è nell’elenco dei mercanti senesi a cui Bonifacio VIII concesse una proroga al pagamento dei debiti: ciò potrebbe far pensare che a tale data il M. fosse ancora legato ai Bonsignori. Più probabilmente, però, si tratta di un debito dovuto alla vecchia appartenenza, perché da lì a 4 mesi, in ottobre, era sicuramente fuori dalla compagnia, come si evince da un atto di procura del 29 del mese.
A fine 1296 è già attestata la sua partecipazione alle operazioni della compagnia dei Gallerani, per la quale, nel gennaio successivo, concesse un mutuo di 1600 fiorini all’abate di St-Vaast di Arras. Nel settembre 1297 il M. aveva però cambiato, ancora una volta, compagnia e faceva parte di quella dei Franzesi con la quale lavorò, verosimilmente, fino alla fine della sua vita. Il 4 luglio 1306, infatti, il camerario papale a Bordeaux dichiarò di aver ricevuto da due procuratori dei Franzesi 5000 fiorini d’oro versati a Perugia al M. dai tesorieri papali di quella città e destinati alla Curia pontificia.
Furono quelli gli anni della sua più intensa attività politica. Come tutta la sua famiglia, il M. appartenne al «Monte» (raggruppamento di famiglie che detenevano il potere politico) della borghesia mercantile e bancaria guelfa che, al rovesciamento di campo politico della città e al passaggio di Siena al blocco filopapale e angioino, occupò il potere, prendendo il nome di Monte dei nove dal numero dei componenti l’esecutivo di governo. Il M. compare il 31 ag. 1287 come garante dei patti di sottomissione dei castelli di Roselle e di Ischia d’Ombrone e nel 1293 fu uno dei procuratori inviati a Firenze per restituire 4684 fiorini anticipati a Siena per la «taglia» di Toscana del 1289. Nel 1295 fu inviato dal Comune a Bonifacio VIII per dirimere la questione della contea di Pitigliano, al confine fra territorio senese e Patrimonium S. Petri. Nel secondo semestre 1305 fu console della Mercanzia e in ottobre 1306 fu uno dei due procuratori dei Tolomei, quando Sozzo Tolomei, la moglie Lagia e Alessio Tolomei vendettero al Comune di Siena le loro quote del castello e corte di Prata in Maremma.
Nel 1307 il M. fu implicato nella crisi di solvibilità dei Franzesi: in agosto il camerario papale lamentava che non fossero ancora state trasferite nelle casse papali le somme consegnate al M. e a un altro procuratore della compagnia dai tesorieri perugini nell’aprile precedente. Da un rendiconto pontificio del 1317 relativo a questi debiti risulta un viaggio compiuto dal M. con Giovanni Paolo (Musciatto) Franzesi da Firenze a Perugia ai tempi e per conto di Clemente V.
L’implicazione nel fallimento non sembra aver intaccato più di tanto la posizione del M., sul piano politico e su quello economico. Per quanto riguarda il primo aspetto, infatti, nel secondo semestre 1309 il M. ricoprì la carica di provveditore della Biccherna (massimo organismo finanziario dello Stato). Parallelamente, anche il fratello Cione ricoprì incarichi politici: testimone all’atto di vendita dei possedimenti di Vencio e Ugolino di Roccalbegna nelle corti di Pietra d’Albegna e di Roccalbegna al Comune di Siena il 19 dic. 1296, poi ambasciatore del Comune a Grosseto, Poggibonsi e Napoli nel 1310, 1311, 1312. Come «novesco» in carica nel governo, fu presente alla ratifica dei capitoli di sottomissione di Travale a Siena il 27 nov. 1317. Per l’aspetto economico, il M. sembra essere uscito con poco danno dai problemi della compagnia della quale faceva parte. Il suo patrimonio, ai rilevamenti fiscali del 1318, si aggirava sulle 10.000 lire: somma che lo colloca in una posizione da benestante. Possedeva proprietà immobiliari e fondiarie sparse fra la curia di Monteriggioni e Siena e gli apparteneva, in comproprietà con il fratello Cione, l’albergo della Mitra che faceva parte del patrimonio di famiglia ancora un centinaio di anni dopo la sua morte, come si evince dai contratti di locazione registrati nel libro di conti del nipote Dino di Giovanni di Bonaventura all’inizio del Quattrocento.
Non è noto il luogo della morte del M., che va collocata fra il 1318 e il 1324.
I suoi discendenti continuarono a rivestire un ruolo di prestigio economico e politico. Ricciardo (Riccio) fece parte dell’esecutivo di governo nel 1343; Pietro era iscritto alla Mercanzia; Giovanni fu provveditore di Biccherna nel 1342 e fece parte del governo nel 1338, 1344, 1347, 1352; Meo partecipò al governo nel 1326, fu presente all’atto di sottomissione del castello di Giuncarico, da parte del conte Gaddo d’Elci, il 30 marzo 1330; nel 1334 era esecutore di Gabella (magistratura che sovrintendeva alla riscossione delle tasse al consumo) e nel 1339 fu provveditore di Biccherna. Suo figlio Silvestro rivestì la stessa carica nel 1354, un anno prima della caduta del governo novesco.
La famiglia godeva ancora di un’eccellente situazione finanziaria e patrimoniale all’inizio del Quattrocento, come risulta dalle registrazioni di Dino dei Marzi, chierico, figlio di Giovanni, comprese fra 1395 e 1427. A questa data, infatti, il ramo della famiglia esercitava ancora la mercatura e il prestito e continuava ad annoverare fra i suoi clienti gente di Monteriggioni, nella cui curia continuava a trovarsi parte del patrimonio immobiliare e fondiario.
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