BLOCCO (VII, p. 193)
All'inizio della seconda Guerra mondiale, lo stato del diritto internazionale in tema di blocco marittimo non presentava mutamenti rispetto a quello esistente nel 1914. Le norme che gli stati erano venuti dettando nei rispettivi ordinamenti interni per la regolamentazione dell'istituto, segnavano un ritorno ai principî, precipuamente a quelli della dichiarazione di Londra del 1909, dai quali la condotta dei belligeranti, nel corso della prima Guerra mondiale, si era notevolmente allontanata. In Italia la disciplina del blocco fu posta dagli articoli 168-178 della legge di guerra, approvata con r. decr. 8 luglio 1938, n. 1415.
Il blocco doveva essere dichiarato dagli organi governativi (o per delegazione dall'autorità militare) e notificato alle autorità della zona bloccata: si abbandonava, quindi, la pratica della cosiddetta notificazione particolare, sino allora seguita dall'Italia e dalla Francia (art. 168); doveva essere effettivo, cioè mantenuto con forze sufficienti a impedire realmente l'accesso nella zona bloccata o l'uscita da essa (art. 170) e imparziale (art. 171); era da considerarsi violato da parte di quelle navi, che, senza motivi di forza maggiore, incrociavano o davano fondo nella zona d'azione delle forze bloccanti (art. 175). Sanzioni per la sua violazione erano la cattura della nave neutrale, consentita solo se effettuata dalle forze bloccanti nel corso dell'inseguimento, la confisca della nave medesima e, in qualche caso, la confisca del carico (articoli 176 e 177); infine, si ripudiava il principio del cosiddetto viaggio continuo (art. 178).
In Germania, la materia fu regolata in modo del tutto analogo negli articoli 44-52 dell'ordinanza (28 agosto 1939) delle prede.
Seconda Guerra mondiale. - Durante questo conflitto l'istituto del blocco marittimo, nella sua tipica e ben definita configurazione, non ricedette, può dirsi, alcuna applicazione: unica dichiarazione ufficiale di blocco è stata quella delle coste finlandesi compiuta dall'URSS l'8 dicembre 1939. E però da ritenersi che tale dichiarazione non abbia dato vita a un blocco legittimo; mancava infatti il requisito della effettività, dato che l'URSS non aveva navi da guerra nel golfo di Botnia, né poteva agevolmente inviarle, a causa delle fortificazioni delle Isole Åland e dello sbarramento dei campi minati. Fra le misure, poi, alcune che i belligeranti adottarono contro i rifornimenti marittimi nemici, furono indicate, nella pratica, con i nomi di blocco, blocco totale, controblocco.
Da parte dei Franco-britannici, sono da ricordare, fra tali misure, l'Order in Council inglese del 27 novembre 1939, secondo cui le navi mercantili neutrali, le quali fossero partite da un porto nemico o posto in territorio occupato dal nemico, o che comunque recassero a bordo merci di origine nemica o di proprietà nemica, avrebbero potuto essere invitate a depositare il loro carico in un porto britannico o alleato; diversi provvedimenti con i quali, nei mari che bagnano la Germania, l'Italia, le colonie italiane, ampie zone venivano dichiarate pericolose per le navi neutrali. Da parte della Germania, vanno citati l'ordinanza del 17 agosto 1940, che dichiarò larghi tratti di mare intorno alla Gran Bretagna zone di guerra, nelle quali le navi mercantili neutrali sarebbero state affondate senza preavviso; un provvedimento del 25 marzo 1941, che in seguito alla occupazione inglese dell'Islanda estese alle acque intorno a tale isola la zona di guerra delimitata con l'ordinanza precedente; un altro provvedimento del 14 giugno 1942, con cui veniva inclusa nella zona di guerra la parte dell'Atlantico compresa fra le coste degli Stati Uniti e del Canada e le coste anglofrancesi; infine, un provvedimento emanato congiuntamente con l'Italia il 2 luglio 1943, con il quale venivano estese a tutto il Mediterraneo, eccettuate le acque territoriali spagnole e turche, e una ristretta area del bacino occidentale, le zone di operazioni dichiarate anteriormente tali dai governi italiano e germanico. Da parte dell'Italia sono degni di nota gli "avvisi ai naviganti", con cui furono successivamente dichiarati zona di guerra, nel senso e con gli effetti sopravisti, una fascia di dodici miglia intorno alle coste dell'Italia, dell'Albania, della Libia, dell'A.O.I. e dei possedimenti dell'Egeo (6 giugno 1940); una fascia di 30 miglia dalle coste francesi e inglesi (14 giugno 1940), e dalle coste delle colonie, protettorati e paesi sotto mandato britannico, nonché dei paesi, come l'Egitto, dove erano dislocate forze militari, navali ed aeree britanniche (nota diplomatica del 20 agosto 1940); le acque intorno al territorio di sovranità greca (3 novembre 1940); il mare Adriatico a nord del parallelo 41°50′ (6 novembre 1941).
Tuttavia, nessuna di tali misure sembra potersi ricondurre allo schema del blocco marittimo. Vero è che esse, in quanto miravano a impedire i rifornimenti nemici senza alcuna discriminazione di carico, si proponevano di conseguire un effetto proprio del blocco marittimo; faceva loro completo difetto, però, il requisito dell'effettività, perché, data l'enorme distesa di coste alle quali si voleva impedire l'accesso, la crociera di forze navali anche rilevanti non poteva costituire una pratica continuità di sbarramento. Va inoltre osservato che, contro il principio ormai accettato, le misure in questione inibivano di fatto l'accesso a territorî non solo di potenze nemiche, ma altresì di stati neutrali. Infine, anche il principio dell'imparzialità, come conseguenza della non effettività del blocco risultava grandemente vulnerato. Del resto la loro difformità dal diritto internazionale attualmente vigente fu riconosciuta dagli stessi stati che le adottarono: la Gran Bretagna, infatti, giustificò l'Order in Council del novembre 1939 come rappresaglia (unquestionable right of retaliation) contro gli affondamenti senza preavviso di navi mercantili, operati dall'arma sottomarina tedesca, e la Germania, in una nota ufficiale, presentò l'ordinanza dell'agosto 1940 come rappresaglia per l'inclusione dei prodotti alimentari nel contrabbando, per l'estensione della qualifica di contrabbando a tutte le esportazioni di origine tedesca, ecc. Dal canto loro gli stati neutrali, il cui pacifico commercio veniva ad essere annullato dai provvedimenti in questione, non mancarono di rilevare come neppure la rappresaglia potesse giustificarli, essendo questa ammissibile solo nei riguardi del soggetto che ha commesso la violazione.
Malgrado ciò, non è forse inesatto supporre che, attraverso le esperienze della prima e seconda Guerra mondiale, sia in fase di elaborazione - in materia di guerra marittima - un nuovo diritto consuetudinario. L'integrale soppressione dei rifornimenti marittimi del nemico e, più in generale, l'eliminazione del suo commercio, si sono palesate come una condizione indispensabile del successo: ciò considerato, il ricorso al principio della rappresaglia appare un espediente formalistico ed insincero, oltreché tecnicamente non idoneo. È probabile, invece, che l'ordinamento internazionale stia apprestando mezzi più adeguati alle esigenze belliche, di quanto non lo siano il blocco marittimo e il contrabbando; mezzi che, fondendo le linee dei due istituti, accordino ai belligeranti il potere di interdire al nemico, indipendentemente dal principio di effettività - purché in zone delimitate - qualsiasi commercio marittimo e restringano, di conseguenza, la libertà dei neutri.
Blocco pacifico. - A tale istituto, la cui disciplina internazionale non sembra aver subito mutamenti durante la seconda Guerra mondiale o nel periodo immediatamente precedente, è da ricondursi il blocco di largo tratto dalle coste cinesi (dal 32° lat. nord e 121°44′ long. est, fino a 23°14′ nord e 116°48′ est), che il 25 agosto 1937 fu dichiarato dall'ammiraglio Hasegawa, comandante in capo della III squadra giapponese. Il 5 settembre il blocco fu esteso a tutte le coste cinesi, ad eccezione di Tsing tao, dei territorî in affitto e di quelli appartenenti a terze potenze (Hong kong e Macao). Esso fu regolarmente notificato agli altri stati, con note di chiarimento, in cui era precisato che la misura si riferiva soltanto ai navigli pubblici e privati cinesi, mentre il commercio pacifico delle terze potenze sarebbe stato rispettato. Come si vede, si trattava di un'azione coercitiva ben diversa dal blocco marittimo, il quale ha per effetto precipuo quello di interdire il commercio dei neutri. La ragione va ricercata nel fatto che tra l'Impero giapponese e la Cina non sussisteva lo stato di guerra, presupposto essenziale del blocco marittimo. Il blocco delle coste cinesi fu effettivamente mantenuto da forze navali e aeree, e fu accettato senza eccessive obiezioni dalle grandi potenze, che ne riconobbero implicitamente la legittimità.
Lo statuto delle Nazioni Unite, all'art. 42, prevede il "blocco" fra le azioni coercitive che possono essere intraprese dal Consiglio di sicurezza per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Anche qui si tratta, evidentemente, di blocco pacifico.
Bibl.: R. Sandiford, Il conflitto cino-giapponese e il blocco delle coste cinesi, Roma 1938; R. Ago, Il blocco marittimo, in Vie del mondo, Milano 1940; V. Bruns, Der Britische Wirtschaftkrieg und das geltende Seekriegsrecht, Berlino 1940; O. Bühler, Neutralität, Blockade und U-Boot-Krieg in der Entwicklung des modernen Völkerrechts, Berlino 1940; F. M. Dominedò, Il blocco navale e il diritto dei neutri, in Riv. del dir. della Navigazione, 1940; R. Quadri, La guerra marittima 1939-40, in Ius, 1940; R. Sandiford, Diritto di preda e diritto di rappresaglia, Roma 1940; R. Monaco, La guerra al commercio marittimo nemico, Milano 1942; R. Sandiford, I tre blocchi dell'Inghilterra, Roma 1942; L. Oppenheim - H. Lauterpacht, International Law, Londra 1940, II, pp. 627-656.