RUSTICHELLI, Bindo
(anche Ferrucci o Guidotti). – Nacque poco prima della metà del secolo XIV a Fiesole. Il cognome Rustichelli appare in un atto notarile posteriore alla sua morte: «vacante pastore ecclesie fesulane per mortem reverendi domini Bindi de Rustichellis» (Archivio di Stato di Firenze [= ASF], Notarile antecosimiano, 9158, c.14).
Essendosi in seguito i Rustichelli estinti nei Ferrucci, questi ultimi fecero apporre nel 1599 una lapide sulla sua tomba nella cattedrale di Fiesole con un’epigrafe in cui se ne dichiarava l’appartenenza alla ferruccia proles, cosa che ha indotto alcuni storici (Ughelli, Eubel, Cappelletti, Calzolai e, recentemente, Raspini) ad attribuirgli il cognome Ferrucci. Si ignora quasi tutto della sua famiglia, salvo il fatto che proveniva da Fiesole e che il padre di Rustichelli, Bindo di Guidotto, era più comunemente noto con il soprannome di “Fiesolano”, tanto che talvolta troviamo citato il Rustichelli anche con il cognome “Fesulani”.
Anche il primo periodo della sua vita ci è completamente ignoto. Il più antico documento che lo riguardi è del 30 maggio 1370 (ASF, Notarile antecosimiano 12141, c.135). A questa data Rustichelli aveva già conseguito gli ordini minori, era divenuto priore della chiesa fiorentina dei Ss. Apostoli (beneficio tenuto fino al 1363 da Francesco Nelli, amico del Petrarca, di cui forse Rustichelli fu l’immediato successore) e risiedeva nel palazzo episcopale fiorentino come “familiare” del vescovo in carica, Pietro Corsini. Da allora in poi la vicenda umana, intellettuale e politica del Rustichelli rimase strettamente legata a quella del Corsini, insieme al quale partecipò attivamente agli avvenimenti che interessarono la Chiesa ed il Papato.
Di lì a poco (giugno 1370) Corsini divenne cardinale ed ebbe il titolo di san Lorenzo in Damaso (ma fu più comunemente noto come “cardinale di Firenze”); rinunciò all’episcopato fiorentino e si trasferì ad Avignone, in curia. Rustichelli seguì il Corsini ed andò con lui ad abitare nell’antica magione dei cavalieri gerosolimitani, sua residenza avignonese; ne divenne non solo cappellano personale, ma anche segretario e amministratore (camerarius), coordinando la numerosa corte (non meno di 34 persone, per la maggior parte chierici di varia nazionalità).
La permanenza ad Avignone non distolse tuttavia, almeno in un primo periodo, l’interesse del Rustichelli dai suoi benefici in Toscana: oltre al priorato dei Ss. Apostoli, poi permutato nel 1380 con quello della chiesa suburbana di S. Margherita a Torri, egli ottenne nel 1374 da papa Gregorio XI un canonicato nella cattedrale di Fiesole («absque stallum in coro et locum in capitulo, cum plenitudine iuris»: ASF, Notarile antecosimiano 9573, c. 86) e pochi anni più tardi un altro canonicato nella chiesa fiorentina di S. Maria Maggiore.
Da Avignone Rustichelli tornò in Italia, al seguito del Corsini, dopo la morte di Gregorio XIII (1378), per prendere parte al conclave da cui uscì eletto Urbano VI e che segnò l’inizio del Grande Scisma d’Occidente. Di questo conclave egli fu un testimone d’eccezione, essendo uno dei due familiares ammessi ad accompagnare il Corsini. La testimonianza giurata di Rustichelli, resa una prima volta nel 1380 all’inviato del re di Castiglia e ripetuta sei anni più tardi all’emissario del re di Aragona, è infatti giunta fino a noi (Roma, Archivio Vaticano, armadio LIV nr.14, cc. 29v.-30 e nr.16, cc. 50-52) e costituisce una fonte preziosa per la ricostruzione storica degli eventi che prepararono lo scisma. Rustichelli rievoca nei minimi particolari il clima di tensione e le pressioni subite dai cardinali da parte dei Romani, i quali attraverso due messi inviati in conclave, avevano minacciato di invalidare l’elezione del pontefice se non fosse risultato eletto un italiano. Le richieste dei Romani furono accolte con l’elezione di Bartolomeo Prignano, che assunse il nome di Urbano VI, ma appena due mesi dopo i cardinali proclamarono nulla tale elezione e, ritiratisi a Fondi, procedettero ad eleggere Clemente VII (Roberto di Ginevra). A fianco del Prignano rimasero per il momento i tre cardinali italiani: Corsini, Orsini e Brossano, ma poi anch’essi lo abbandonarono, senza però aderire apertamente allo scisma.
Rustichelli segui il Corsini nei successivi spostamenti (prima a Tagliacozzo presso l’Orsini, poi dopo la morte di quest’ultimo a Napoli presso la regina Giovanna I); in seguito (primavera 1380) si recò ad Avignone presso Clemente VII per discutere nel dettaglio le condizioni del ritorno del Corsini, che era stato allettato con generose offerte fattegli dall’antipapa. Nella testimonianza all’ambasciatore castigliano, resa in tale occasione, Rustichelli espose anche le sue convinzioni personali in merito allo scisma, confessando con grande candore di avere in un primo periodo ritenuta valida l’elezione di Urbano VI, soprattutto per la grande deferenza esteriore che gli dimostravano i cardinali, ma di essere poi stato convinto del contrario dal suo superiore, il Corsini, sia con argomentazioni giuridiche che con la rivelazione di quale fosse il vero stato d’animo dei cardinali. Rustichelli tese infatti a ribadire la convinzione secondo cui la discriminante, in caso di controversia a carattere religioso, tra ciò che è da considerarsi legittimo e quello che è invece destituito di ogni legittimità fosse proprio l’opinione dei cardinali.
Attorno a questo stesso nucleo concettuale – la preponderanza cioè dell’opinione dei cardinali e quindi del concilio su ogni altro ordine di considerazioni, in caso di controversia sulla legittimità dell’elezione papale – il Corsini stava elaborando proprio nel medesimo torno di anni un trattato, il De schismate, incentrato sul proposito di dimostrare la necessità del concilio per sanare la divisione del mondo cristiano.
Tramite i buoni uffici del Corsini, Rustichelli acquistò grande familiarità con Clemente VII, che nel 1382 lo elesse proprio cappellano commensale e nel 1386 gli conferì un canonicato nella cattedrale di Chartres. Poco prima della morte dello stesso antipapa il Rustichelli fu anche provvisto di un’aspettativa per un canonicato nella chiesa di Bayeux e dell’ufficio di scrittore delle lettere apostoliche. Questi benefici con le relative rendite si configurarono, per Rustichelli, come una sorta di indennizzo dei benefici toscani di cui, presumibilmente a causa delle vicende dello scisma, egli non poteva più godere.
Proprio in questi anni (da riferimenti esterni, il periodo utile può essere ristretto al decennio 1382-92) Rustichelli si dedicò alla composizione del Caeremoniale pontificis romani abbreviatum, con lo scopo dichiarato di descrivere la liturgia della Chiesa romana, mettendo in risalto le funzioni esplicate nell’ambito delle varie cerimonie religiose dai cappellani commensali del papa e per istruire coloro che dopo di lui sarebbero stati a loro volta eletti a tale ufficio (il testo dell’opera è stato pubblicato da B. Schimmelpfenning, Die Zeremonienbücher der Römischen Kurie im Mittelalter, Tübingen 1973).
L’opera si presenta divisa in due parti. La prima, che esamina secondo lo scorrere dell’anno liturgico le cerimonie religiose, dalla Pentecoste ai primi giorni della Settimana Santa, è la più originale e si discosta dalle opere consimili (per lo più tese a sottolineare il ruolo del celebrante principale) per lo sforzo di cogliere e di mettere in risalto i compiti dei concelebranti e in particolare dei cappellani commensali. La seconda parte descrive le cerimonie della Settimana di Passione ed è in tutto simile agli altri cerimoniali in uso in quello stesso periodo; è comunque interessante perché conferma che la liturgia della Chiesa avignonese rimase del tutto fedele a quella contemporaneamente seguita dalla Chiesa romana. Del Caeremoniale sono pervenute due versioni, entrambe manoscritte: la prima, conservata alla biblioteca Riccardiana di Firenze (ms. 471) è completa anche del nome dell’autore e delle sue qualifiche («ego Bindus Fesulani de Florentia, acolitus, capellanus commensalis domini nostri pape»), mentre nell’altra, conservata a Roma, alla Biblioteca Vaticana (Vat. Lat.4726), i dati risultano erasi, forse a causa dell’obbedienza avignonese dell’autore. Il titolo di “accolito” del papa era stato conferito al Rustichelli da Clemente VII il 1° agosto 1392.
Al conclave che si tenne in Avignone nel 1394 e da cui uscì eletto Pietro de Luna con il nome di Benedetto XIII Rustichelli partecipò ancora una volta come “conclavista” del cardinale Corsini. Dal nuovo antipapa ottenne vari benefici: la possibilità di trasferire l’aspettativa del canonicato a Bayeux a un giovane nipote, Bartolomeo Orlandi, che stava perfezionando i suoi studi ad Avignone, e per sé la nomina ad arcidiacono di Abricen.
Non si hanno ulteriori notizie di Rustichelli sino al 1405, quando fu esecutore testamentario del Corsini, allora defunto; redasse l’inventario dei beni mobili e della cospicua biblioteca del cardinale (destinati al convento fiorentino di S. Gaggio) e curò la diffusione del trattato De schismate, provvedendo ad inviarne copie ai maggiori Studia teologici e giuridici dell’epoca (Bologna, Parigi, Oxford e Salamanca). Inoltre, poiché il Corsini nel redigere il suo testamento non aveva mancato di ribadirvi il proprio punto di vista sulla risoluzione dello scisma, Rustichelli fu incaricato da Benedetto XIV di emendare il documento dai passi in cui si auspicava la convocazione di un concilio. Nel 1409 Rustichelli si recò a Pisa per prendere parte ai lavori del concilio, convocato allo scopo di ripristinare l’unità della Chiesa.
Lo conferma una sua lettera autografa diretta alla filiale di Pistoia del banco Medici (ASF, Mediceo avanti il Principato 98, 163-164), datata semplicemente «la vigilia della Befania», ma sicuramente attribuibile da riferimenti interni al 5 gennaio 1410. Il pur conciso testo fornisce molte notizie: Rustichelli si era recato a Pisa insieme ad altri due fedelissimi seguaci del defunto cardinale Corsini: Giuliano Tomasi, vescovo di Marsico e Pietro Stefaneschi, cardinale di sant’Angelo. A Pisa i tre prelati, fedeli alla teoria della superiorità del concilio, avevano accettato l’elezione di Alessandro V. Quando quest’ultimo aveva lasciato Pisa diretto a Bologna, essi lo avevano accompagnato fino a Pistoia, dove avevano effettuato una breve sosta, e poi a Prato, dove si erano divisi: il papa aveva proseguito per Bologna, accompagnato dallo Stefaneschi, il Tomasi era rimasto a Prato, mentre il Rustichelli aveva approfittato dell’occasione per rientrare, forse per la prima volta dopo quarant’anni, a Firenze. Intanto a Bologna moriva a pochi mesi dall’elezione, papa Alessandro V, cui fu dato come successore Baldassarre Cossa, con il nome di Giovanni XXIII.
Fu quest’ultimo che il 31 marzo 1411 elesse Rustichelli vescovo di Fiesole, carica che egli tenne per circa dieci anni. Poco sappiamo circa la sua opera pastorale, se non che nel 1412 e nel 1418 confermò delle donazioni effettuate in precedenza da privati a favore di ordini mendicanti. Forse partecipò al concilio di Costanza (1414-17), dato che nel 1416 l’ordinazione di alcuni nuovi sacerdoti della diocesi di Fiesole fu effettuata da un vicario e che egli risultava «in remotis degens» (ASF, Notarile antecosimiano 7473, c. 9).
Con l’elezione di Martino V, destinata a porre fine allo scisma, la signoria di Firenze inviò al nuovo papa una ambasciata di obbedienza nel settembre 1418 che, tra le altre cose, doveva raccomandare al nuovo papa il vescovo di Fiesole, di cui si sottolineavano le non comuni virtù.
Del resto a testimoniare i saldi legami esistenti tra il Rustichelli e il ceto dirigente fiorentino è anche la concessione in enfiteusi del castello di Montebonello e di altri beni di pertinenza della diocesi fiesolana a Rinaldo degli Albizzi, allora capo dell’oligarchia fiorentina, effettuata in quello stesso mese di settembre 1418.
Rustichelli morì a Fiesole il 31 agosto 1421 e fu sepolto nella chiesa cattedrale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze: Carte Sebregondi 2188; Mediceo avanti il Principato 98, 163-164; Notarile antecosimiano 7473, c. 9; 7450, c. 155; 9158, c. 14; 9573, cc. 86-87; 9574, c. 116; 12141, c. 135; 12143, c. 161; 12144, c. 23; Carte Strozziane Prima Serie 371, p. 163; Gabella dei Contratti 1572, c. 204; Signori Missive Prima Cancelleria 29; Diplomatico, San Gaggio, 1405 agosto 19.
S. Ammirato, Vescovi di Fiesole, di Volterra e d’Arezzo, Firenze 1637, p. 44; F. Ughelli, Italia Sacra, V, Roma 1653, coll. 1632 s.; Novelle Letterarie, Firenze 1771, coll. 305 s.; 1774 col. 724; Ildefonso da S. Luigi, Delizie degli eruditi toscani, XVI, Firenze 1783 pp. 486-488; L. Passerini, recensione a Ferrucci di Firenze e Fiesole. Quattro tavole storiche ed una monumentale intagliata in rame, in Archivio storico italiano, IX (1853), pp. 627-629; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1867 pp. 299, 329; C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi. I, Monasterii 1898, p. 258; E. Levi, A history of the suppressed convent of san Michele alla Doccia sotto Fiesole, Florence 1909, pp. 27, 38; M. Dykmans, Du conclave d’Urbain VI au grand schisme, in Archivum historiae pontificiae, XIII (1975), pp. 207-230; A. Landi, Il papa deposto (Pisa, 1409), Torino 1985, pp.18 s.; G. Raspini, Fiesole, una diocesi nella storia. Saggi, contributi, immagini, Fiesole 1986, p. 49.