BILANCIO (fr. bilan; sp. balance; ted. die Bilanz; ingl. balance sheet)
Il bilancio è un documento contabile che espone, riassuntivamente, la situazione economica e finanziaria di una determinata azienda e pone a confronto gli elementi attivi e gli elementi passivi che compongono il patrimonio di essa, oppure le rendite e le spese, i profitti e le perdite, le entrate e le uscite dell'azienda medesima in un dato periodo di tempo.
La varietà degli elementi che possono essere messi a confronto, porta a distinguere il bilancio patrimoniale da quello economico e da quello di previsione.
Il bilancio patrimoniale confronta i componenti attivi e i componenti passivi di un patrimonio particolare, o di una parte di esso, per determinare la differenza tra le somme dei valori attribuiti ai due gruppi di componenti e stabilire, quindi, la sostanza netta o patrimonio netto o capitale netto, corrispondente all'eccedenza delle attività sulle passività, oppure il passivo scoperto, pari all'eccedenza del passivo sull'attivo.
Il bilancio economico contrappone alle rendite realizzate le spese incontrate nell'esercizio d'una determinata azienda in un dato periodo di tempo, per stabilire se le rendite abbiano o no superato le spese e si sia, quindi, verificato un utile o una perdita di esercizio.
Il bilancio di previsione determina le spese che si prevede possano occorrere per il raggiungimento d'una data finalità e i mezzi di cui sarà necessario disporre per poter fronteggiare tali spese. Ogni volta che le entrate e le spese si bilanciano, cioè si equivalgono nei rispettivi importi, si dice che il bilancio è in pareggio; se invece le entrate superano le spese, o viceversa, il bilancio si dice, rispettivamente, in avanzo o in disavanzo.
Nel linguaggio comune, e anche da molti scrittori, si adopera la parola bilancio, per indicare tanto il bilancio di previsione, quanto il rendiconto o conto consuntivo. Quest'uso è pienamente giustificato per le aziende private, perché il codice di commercio considera il bilancio soltanto come resa di conto di un periodo di tempo già trascorso, ma la stessa cosa non può dirsi per le aziende pubbliche, in quanto le leggi che disciplinano l'attività di queste, distinguono nettamente il bilancio preventivo dal conto consuntivo, e quando trattano la materia del bilancio si riferiscono, esplicitamente, al bilancio di previsione. Ne consegue che, mentre nelle aziende pubbliche il bilancio è l'antefatto del conto, del quale costituisce la premessa logica e giuridica, nelle aziende private, invece, il bilancio rappresenta la fase conclusiva della tenuta dei conti, non potendosi fare il bilancio patrimoniale se precedentemente non è stato compilato l'inventario, e non essendo possibile preparare il bilancio economico se nel corso dell'anno non è stato tenuto il conto dei profitti e delle perdite.
Bilancio delle aziende commerciali.
Il codice di commercio, regolando la materia del bilancio, risponde a un triplice scopo.
1. Nei riguardi delle persone che presiedono alla direzione dell'azienda il bilancio è sempre la guida vigile e il consigliere sicuro, poiché esso offre la rappresentazione chiara ed esatta della situazione economica dell'azienda stessa. Tuttavia, la sua importanza è particolarmente sentita nelle aziende collettive, nelle quali, secondo il Vivante, il bilancio ha l'ufficio di "guidare l'opera degli amministratori e dei sindaci, per le vie segnate dalla legge, nel computo dei benefici, nella formazione dei fondi destinati alla riserva e all'estinzione delle spese d'impianto, nel riscatto delle azioni, nella emissione delle obbligazioni, ecc.".
2. Nei riguardi delle persone direttamente interessate nell'azienda cioè dei soci delle società commerciali, il bilancio serve a garentire l'esistenza degli utili di cui gli amministratori propongono la distribuzione, e questa garenzia è assicurata, nel nostro codice, dalle gravi sanzioni che sono contenute nell'art. 247, n. 2, per il quale "gli amministratori ed i direttori che scientemente, in difetto di bilanci, o contro i loro risultamenti, o in conformità a bilanci fraudolentemente formati, abbiano distribuito ai soci interessi non prelevati sugli utili reali", sono puniti con pena pecuniaria sino a lire cinquemila, salve le maggiori pene comminate dall'articolo 293 del codice penale.
3. Nei riguardi dei terzi, infine, che abbiano, comunque, rapporti di affari con l'azienda, il bilancio presuppone la tenuta, da parte del commerciante, dei libri e della corrispondenza e, quindi, rende sicura la prova delle obbligazioni commerciali e dà elementi esatti di giudizio circa la reale situazione dell'azienda. Attraverso i bilanci particolari delle società anonime è dato modo, ai terzi, di valutare con sufficiente approssimazione la situazione economica generale della nazione.
I bilanci delle aziende private hanno un contenuto prevalentemente tecnico, ma essi debbono rivestire forma giuridica. A questo riguardo occorre avvertire che il codice italiano, a somiglianza di quello francese, non fissa le norme che debbono osservarsi nella compilazione dei bilanci. Invece, i codici inglese, germanico, svizzero, austriaco e ungherese contengono, su questo argomento, prescrizioni minuziosissime.
La regola generale adottata dal nostro codice, all'articolo 23, stabilisce soltanto che "il giornale ed il libro degl'inventarî (il quale per l'articolo 22 si deve chiudere col bilancio) non possono essere posti in uso, se prima ciascun foglio non ne sia stato numerato e firmato da un giudice del tribunale di commercio o dal pretore del luogo di residenza del commerciante". Il codice stesso precisa anche gli estremi sostanziali e formali che debbono integrare il bilancio, ma questo nei soli confronti dei bilanci delle società commerciali, per i quali l'art. 176 chiede che dimostrino con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte, e indichino, distintamente, il capitale sociale realmente esistente e la somma dei versamenti effettuati e di quelli in ritardo. Ma anche qui non si tratta di norme tecniche precíse perché, anzi, l'art. 184, n. 1, determina che spetta ai sindaci, d'accordo con gli amministratori, stabilire la forma dei bilanci.
Norme precise sono date soltanto per quel gruppo speciale di società che hanno per oggetto l'esercizio delle assicurazioni; ad esse l'art. 177 fa obbligo d'uniformare il proprio bilancio al modello prestabilito, approvato con il regio decr. 9 gennaio 1887, n. 2498, serie 3ª, parte supplementare, e integrato da una circolare esplicativa emanata il 29 gennaio dello stesso anno dal Ministero dell'agricoltura, industria e commercio.
Tuttavia, se il codice non stabilisce le norme tecniche per la preparazione del bilancio ne fissa però i caratteri fondamentali, concretandoli nei seguenti punti: 1. l'obbligatorietà; 2. l'annualità; 3. l'esattezza.
L'obbligo di compilare il bilancio vige per tutte le aziende commerciali, sia individuali sia collettive, perché tutte le aziende, senza eccezione, sono obbligate alla tenuta del libro-giornale, del copialettere e del libro degl'inventarî, sul quale ultimo dev'essere riportato l'inventario dei beni mobili e immobili del commerciante e dei suoi debiti e crediti di qualunque natura e provenienza, e l'inventario stesso deve chiudersi col bilancio e col conto dei profitti e delle perdite (art. 22 codice di commercio).
Che il bilancio debba essere annuale risulta dallo stesso art. 22, secondo il quale l'inventario, che costituisce la premessa del bilancio, dev'essere fatto ogni anno. Ma il principio è anche più esplicitamente affermato dagli articoli 154 e 176, i quali stabiliscono che in tutte le società commerciali, anonime o in accomandita per azioni, si deve riunire, almeno una volta l'anno, l'assemblea ordinaria per provvedere, tra l'altro, a discutere, approvare o modificare il bilancio dell'esercizio precedente.
Il bilancio deve poi essere esatto, deve cioè dimostrare con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte (art. 176, penultimo capoverso), e, se nei bilanci siano scientemente enunciati fatti falsi sulle condizioni della società, gli amministratori vengono puniti con pena pecuniaria sino a lire cinquemila e con le maggiori penalità di cui all'art. 293 cod. pen. (art. 247, n. 1). Se poi il commerciante è dichiarato fallito e si appura, nel corso della procedura fallimentare, che egli non abbia fatto esattamente l'inventario annuale, ovvero che i suoi libri o inventarî siano incompleti o irregolarmente tenuti, o non presentino il suo vero stato attivo e passivo, benché non vi sia frode, il commerciante stesso è dichiarato colpevole di bancarotta semplice, mentre per il successivo art. 258 è colpevole di bancarotta fraudolenta, se nel bilancio si sia fraudolentemente riconosciuto debitore di somme non dovute.
È appunto per la preoccupazione di assicurare l'esattezza dei bilanci e di rendere possibile l'adozione delle eventuali sanzioni, che il legislatore fissa le condizioni alle quali è subordinato il riconoscimento della validità del bilancio. Per le aziende individuali, le condizioni si limitano alla trascrizione dell'inventario e del bilancio su un apposito registro e alla firma di esso da parte del commerciante. Per le aziende collettive, escluse le società in nome collettivo che sono assimilate alle aziende individuali, il codice regola parte per parte le varie fasi del bilancio e cioè la preparazione, il controllo, l'approvazione e la pubblicazione.
La preparazione del bilancio compete agli amministratori: infatti è loro obbligo presentare ai sindaci il bilancio insieme con i documenti giustificativi, almeno un mese innanzi al giorno fissato per la convocazione dell'assemblea (art. 176).
Il controllo è affidato ai sindaci, i quali rivedono il bilancio predisposto dagli amministratori e, con la relazione contenente i risultamenti di tale esame, debbono presentare le loro osservazioni e proposte intorno all'approvazione di esso (articoli 179 e 184).
L'approvazione del bilancio è prerogativa dell'assemblea generale dei soci, i quali possono esercitare al riguardo un triplice diritto di esame preventivo, di discussione e di voto. L'esame preventivo può essere fatto nei quindici giorni che precedono l'assemblea e a tale fine gli amministratori hanno obbligo di lasciare il bilancio depositato in copia, insieme con la relazione dei sindaci, negli uffici della società, durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché sia approvato. La discussione è fatta nel corso dell'assemblea e il voto è esercitato durante l'assemblea stessa in rapporto al numero delle azioni possedute da ciascuno.
Il bilancio approvato dall'assemblea dei soci dev'essere pubblicato, e a questo intento, entro dieci giorni dalla sua approvazione, gli amministratori debbono depositare una copia del bilancio presso la cancelleria del tribunale di commercio insieme con la relazione dei sindaci e col processo verbale dell'assemblea (art. 180). Il tribunale provvede all'annotazione degli atti nel registro delle società e alla pubblicazione del bilancio nel giornale degli annunzî giudiziarî del luogo in cui ha sede la società (art. 94) e nel bollettino ufficiale delle società per azioni (art. 95).
Il requisito della pubblicità assume carattere preponderante nella nostra legislazione, secondo la quale il bilancio non pubblicato non è formalmente valido; e sarà opportuno rilevare che mentre analogo principio è adottato dal codice germanico e da quello belga, il principio stesso non trova riscontro né nel codice inglese né in quello francese.
Scendendo all'esame tecnico dei bilanci delle aziende private, si deve osservare che le voci comprese nei bilanci stessi non rappresentano che i saldi elaborati dei conti di scritture sintetiche e quindi non possono essere numerose. Se le scritture fossero analitiche, il bilancio potrebbe presentarsi ricco di voci, ma, forse, non raggiungerebbe lo scopo principale di dimostrare in succinti dati i risultati ottenuti durante un intero esercizio (anno). Nella pratica forse si esagera nel concetto di sintesi sino al punto di raggruppare, sotto una sola voce più saldi di conti diversi; e ciò spiega perché certi bilanci di società bancarie e industriali si presentino con sette od otto voci soltanto, sia nella parte attiva sia in quella passiva. Dagli "oggetti" diversi delle scritture, dalle quali si desume il bilancio, dipendono gli oggetti diversi delle sue voci. Se le scritture considerano, oltre ai beni dell'ente e ai beni dei terzi, i rischi e gl'impegni, le voci del bilancio hanno espressione diversa e l'interpretazione non si può fare per tutte nello stesso modo. Di qui il giusto rilievo che è stato fatto, secondo il quale il bilancio è un sistema di simboli, il significato dei quali è dato dal fine del bilancio, ed è paralogistico leggere quei simboli, anziché con la chiave formale del bilancio, con altri criterî che sarebbero o potrebbero essere legittimi, in altre loro applicazioni. Lo studio tecnico delle voci di un bilancio, e il confronto di esso con le scritture da cui è dedotto, potranno dimostrare che il bilancio concorda con le scritture stesse; l'analisi di alcune voci, come quelle degli ammortamenti (quando si facciano figurare come fondo, nella parte passiva) e dei fondi di riserva costituiti, potrà rivelare anche se gli amministratori sono stati più o meno prudenti nelle svalutazioni e negli accantonamenti di utili, ma lo studio della parte soggettiva del bilancio, per la quale gli amministratori sono giunti a rilevare quei dati utili, sfugge completamente all'indagine tecnica e rientra nel campo ben più importante e difficile della determinazione dei criterî dì valutazione delle attività e delle passività patrimoniali. Per questo le legislazioni di taluni paesi esteri fissano norme tassative di valutazione per i bilanci, ma tale principio non è accolto nel nostro codice di commercio.
Vi possono essere altre forme di bilancio oltre i bilanci ordinarî di cui si è trattato sin qui. Così nel caso di liquidazione della società si deve formare un bilancio di apertura della liquidazione e un bilancio di chiusura. Il primo stabilisce la situazione al momento nel quale s'inizia la liquidazione e gli amministratori trapassano la gestione ai liquidatori. Il secondo accerta i risultati finali della liquidazione, per indicare quale sia la parte spettante a ciascuna quota o azione nella divisione dell'attivo sociale. I criterî di compilazione di questi bilanci sono diversi da quelli usati nella valutazione ordinaria, e possono anche variare a seconda che la liquidazione porti alla cessazione dell'azienda, o alla sua cessione, fusione, trasformazione. Per questi casi la legge non dà norme e sopperisce la pratica amministrativa e contabile, in modo che in ogni caso le risultanze esposte si accostino quanto più è possibile alla realtà e ai probabili risultati definitivi.
Bibl.: Ricca è la letteratura. Si ricordano: G. Broglia, Verità, sincerità e chiarezza delle scritture contabili e dei bilanci delle società anonime, Torino 1923; L. Cellerier, Étude sur les société anonymes en France et dans les pays voisins, Parigi 1905; J. Charpentier, Traité pratique des bilans et inventaires, Parigi 1921; A. Delavelle, Le bilan au point de vue comptable et juridique, Vienna 1910; V. Faragi, De la conception économique opposée à la conception juridique du bilan des sociétés par actions, Parigi 1906; E. Folliet, Le bilan dans les sociétés anonymes, 2ª ed., Parigi 1920; N. Garrone, I bilanci commerciali in tempi di inflazione monetaria, Bari 1923; F. Holbach, Le bilan dans ses rapports avec la comptabilité, Bruxelles 1902; K. Lehman, Das Recht der Aktiengesellschaften, Berlino 1898-1904; E. Leautey, L'unification des bilans des sociétés par actions, 5ª ed., Parigi, s. a.; R. Matteucci, I bilanci delle società anonime per quanto riguarda la forma, in Monografie edite in onore di F. Besta nel XL anniversario del suo insegnamento, Roma 1912; F. W. Pixley, How to read balance sheet of a commercial concern, 5ª ed., Londra 1920 L. Quesnot, Administration financière. Méthodes comptables et bilans, Parigi 1894; H. Veit-Simon, Die Bilanzen der Aktiengesellschaften und der Kommanditgesellschaften auf Aktien, 4ª ed., Berlino 1910; J. Verley, Le bilan dans les sociétés anonymes, Parigi 1906; G. Zappa, La determinazione del reddito nelle imprese commerciali. I valori di conto in relazione alla formazione dei bilanci, Torino 1920.
Bilancio delle aziende pubbliche.
Una prima caratteristica del bilancio delle aziende pubbliche, come è già stato avvertito, è quella di essere sempre un bilancio di semplice previsione. Altra caratteristica è la limitazione del contenuto del bilancio stesso il quale non considera tutte le entrate e le uscite patrimoniali dell'ente, ma considera soltanto le entrate e le uscite finanziarie o in denaro che si prevedono dovranno verificarsi nel futuro esercizio. Ora sono entrate in denaro o finanziarie, non soltanto tutte le somme che lo stato e gli enti pubblici prevedono di riscuotere per redditi patrimoniali, contribuzioni e altri proventi, ma anche le entrate, ad esempio, che possono provenire da vendite di beni di reddito e di consumo, da debiti contratti, da mutui riscossi: sono uscite in denaro o finanziarie, non soltanto tutte le spese che gli enti pubblici pagano per soddisfare ai bisogni generali e collettivi che costituiscono i loro fini, ma anche le somme che pagano per l'acquisto di beni di reddito e di consumo, per estinguere debiti, o per prestiti che possono concedere ad altri enti. I bilanci di previsione sono quindi parziali o incompleti, in quanto considerano un ramo soltanto dell'attività economica degli enti pubblici, e cioè quella finanziaria. L'amministrazione pubblica che contrae un prestito, considera come entrata il gettito in denaro del debito assunto, ma non considera nell'uscita il debito che ha contratto e che dovrà estinguere in un tempo più o meno lontano. Analogamente, se l'amministrazione paga un debito che scade nell'esercizio, essa considera, nell'uscita, l'importo del debito che estingue, mentre il pagamento di questo debito rappresenta una diminuzione delle passività nell'ente, e come tale, si dovrebbe considerare quale entrata.
Per quanto riguarda la materia del bilancio è da rilevare che nel bilancio le entrate finanziarie si possono prevedere nella misura che l'ente ha diritto d'esigere nell'esercizio, nella quantità monetaria cioè che costituisce la competenza attiva dell'esercizio, e le uscite finanziarie nella misura che l'ente presume d'impegnare nell'esercizio, nella quantità monetaria cioè che costituisce la competenza passiva dell'esercizio. Si ha in questo caso il bilancio di competenza o di accertamenti, che è usato oggidì da tutti gli enti pubblici italiani, a cominciare dallo stato. Se invece si prendono in considerazione le somme in denaro che l'ente presume rispettivamente d'incassare e di pagare durante l'esercizio si avrà il bilancio di cassa. Sostanzialmente i due bilanci sono diversi per il fatto che non tutte le competenze attive di un esercizio s'incassano nel corso di esso, e non tutte le competenze passive nell'esercizio si pagano, mentre si possono riscuotere in un esercizio entrate già accertate negli esercizî precedenti (residui attivi), e si possono pagare in un esercizio spese già impegnate in precedenti esercizî (residui passivi). Ne consegue che il fondo di cassa, all'inizio dell'esercizio, se il bilancio si compila al principio dell'esercizio, o il presunto fondo di cassa, se il bilancio si compila prima che l'esercizio abbia inizio, non può figurare nel bilancio di competenza, ma deve figurare, e come prima posta, in quello di cassa.
Le entrate finanziarie di un bilancio di competenza possono essere le seguenti:
a) entrate originarie e derivate in denaro, e cioè redditi;
b) entrate in denaro che hanno correlative uscite di beni di consumo, come vendita di mobilio e di oggetti fuori uso, di materie, di scorte, ecc.;
c) entrate in denaro che hanno correlative uscite di beni di reddito, come vendite di stabili e di fondi pubblici e privati, riscossioni di mutui a interesse e di capitali corrispondenti a censi e canoni attivi (affrancazione di censi e canoni da parte dei debitori); e uscite di passività onerose, come contrazioni di prestiti.
Le uscite finanziarie possono essere:
a) consumi o spese per il soddisfacimento dei fini e bisogni a cui l'ente mira;
b) uscite che hanno correlative entrate di beni di consumo, come acquisto di mobilio, di materiali, di oggetti e di scorte che verranno consumate nell'esercizio, o in più esercizî;
c) uscite che hanno correlative entrate di beni di reddito, come acquisto di case, di terre e di titoli, prestiti a interesse, e, in generale, investimenti fruttiferi di capitale, ed entrate di debiti, come pagamenti di mutui onerosi e di capitali corrispondenti a censi e canoni passivi. Le entrate e le uscite del primo gruppo, a), in quanto dànno luogo, col loro verificarsi, rispettivamente, ad aumenti o a diminuzioni del patrimonio, si possono chiamare entrate e uscite nette. Le entrate e le uscite del 2° e 3° gruppo, b), c), in quanto hanno correlativi, al loro effettuarsi, movimenti in beni di consumo (2° gruppo) e movimenti in beni di reddito, o in debiti onerosi (3° gruppo), si possono chiamare, rispettivamente, entrate e uscite per movimenti di beni di consumo, ed entrate e uscite per movimenti di capitali. La caratteristica quindi di questi movimenti di capitali sta in ciò che, alle entrate in denaro provenienti da questi movimenti, si contrappongono uscite di beni di reddito, e per conseguenza, diminuzione di redditi negli anni avvenire, per tutte le entrate che derivano da vendita di beni e da riscossione di crediti fruttiferi; mentre alle entrate che provengono da prestiti contratti, si contrappongono aumenti nelle passività onerose, e pagamenti, per gli esercizî futuri, di interessi passivi e di rate di debito per l'ammortamento dei prestiti.
A queste entrate e uscite si devono aggiungere entrate e uscite che hanno carattere puramente figurativo e si iscrivono nei bilanci di competenza in un gruppo speciale. Sono le entrate e le uscite per partite di giro. Sono entrate, le riscossioni che un ente può fare per conto di altri e le somme che i terzi rimborsano, e sono uscite, le somme che l'ente dovrà versare a questi terzi e le anticipazioni fatte ai medesimi. Nella pratica, accanto a queste entrate e uscite che sono finanziarie, si sogliono considerare anche talune entrate e uscite puramente pensate, quali, ad es., i fitti figurativi dei locali di proprietà dell'ente e che l'ente adibisce a uso proprio.
Le entrate e le uscite del primo e secondo gruppo sono considerate insieme nei bilanci di previsione dei nostri pubblici enti con la denominazione di entrate e spese effettive. Le entrate e le uscite del secondo gruppo però, in quanto riguardano movimenti di beni di consumo, cioè movimenti che si verificano soltanto in via straordinaria, si collocano nel gruppo delle effettive straordinarie. Le entrate e le uscite del 3° gruppo si chiamano entrate e uscite per movimenti di capitali. Infine le entrate e le uscite per partite di giro costituiscono gruppo a sé.
Qualunque sia il sistema adottato, quello di cassa o quello di competenza, i bilanci delle aziende pubbliche sono sempre unilaterali rispetto all'intera gestione finanziaria dell'ente, in quanto ciascuno di essi contempla una sola fase delle entrate e delle uscite: quella degli accertamenti delle entrate e degli impegni delle spese, se il bilancio è di competenza; quella degl'incassi e dei pagamenti, se il bilancio è di cassa. Dei due bilanci, uno solo però ha una individualità propria, in quanto rispecchia, nel campo delle previsioni, la gestione finanziaria dell'esercizio futuro, ed è il bilancio di competenza. Il secondo bilancio, quello di cassa, non individualizza in nessun modo l'esercizio a cui si riferisce. In questo preventivo si considerano insieme il denaro esistente all'inizio dell'esercizio, o che si suppone possa esistere a questa data, se il bilancio si prepara prima dell'inizio stesso, gl'incassi e i pagamenti da fare in conto competenze dell'esercizio medesimo, o in conto competenze già accertate negli esercizî precedenti (residui attivi) e in conto competenze da accertarsi in futuro.
Negli enti pubblici, che sono tutti dipendenti, il bilancio, sia di cassa che di competenza, ha lo scopo di autorizzare gli amministratori a effettuare le entrate e le uscite in esso segnate, e nei limiti, per le uscite, indicati per ciascuna voce (capitolo o articolo) del bilancio. Ma questa costrizione preventiva per le spese non è della stessa natura nel bilancio di competenza e in quello di cassa. Se in un bilancio di cassa, ad esempio, fosse segnata una spesa per costruzione di fabbricati in L. 500.000, l'amministratore resterebbe nei limiti del bilancio se non pagasse nell'esercizio più di L. 500.000. Viceversa l'amministratore, pur non pagando che le sole L. 500.000, potrebbe - sia pure agendo male - contrarre impegni verso gli appaltatori per somme maggiori, da pagarsi però negli esercizî avvenire. Se, invece, tale spesa fosse stanziata in un bilancio di competenza, l'amministratore non potrebbe contrarre impegni per somma maggiore di L. 500.000. Il preventivo di competenza è quindi assai più efficace di quello di cassa, come quello che costringe gli amministratori nei limiti degl'impegni segnati per le spese, e non già in quello dei pagamenti.
I bilanci di competenza, dei quali soltanto ci occupiamo ora, presentano, in generale, il pareggio tra le entrate e le uscite: se il pareggio fra le entrate e le spese non esistesse, ma ci fosse un disavanzo effettivo perché le entrate effettive fossero inferiori alle spese effettive, il pareggio potrebbe aversi egualmente, ingrossando la cifra delle entrate per movimenti di capitali; ciò che si consegue, o contraendo debiti o vendendo beni di reddito. Naturalmente il pareggio che si ottiene è semplicemente contabile o numerico e nasconde un impoverimento patrimoniale. Quando però si parla, nella pratica, di pareggi, avanzi o disavanzi nei bilanci degli enti pubblici ci si suole riferire sempre a pareggi, avanzi o disavanzi accertati a fine esercizio, e dopo chiusa la gestione finanziaria e patrimoniale. Più spesso, il bilancio può presentare un pareggio, ma viceversa chiudersi, finito l'esercizio, con un disavanzo; ciò dipende dalla larghezza maggiore o minore che hanno avuto gli amministratori nel prevedere le entrate e le uscite.
Bibl.: F. Rostagno, Contabilità di stato, Napoli 1888; P. D'Alvise, Contabilità di stato, Firenze 1919; V. Vianello, Il bilancio nell'ordinamento amministrativo dello stato, Torino 1920; id., Bilancio di competenza o di cassa?, in Vita italiana, maggio 1922; E. Gagliardi, Il bilancio dello stato, Torino 1908.
Bilancio dello stato.
Per equiparare le esigenze dell'amministrazione politica alle possibilità fianziarie della nazione, gli stati a regime parlamentare hanno riconosciuto la necessità di addivenire alla formazione del bilancio di previsione (fr. budget; sp. presupuesto; ted. Budget; ingl. budget, estimate), il quale, da un lato, determina la natura e l'entità delle pubbliche spese e precisa le finalità dello stato e, dall'altro, assegna i mezzi occorrenti per fronteggiare le spese predette e delimita l'estensione dei poteri dello stato. Presso tutti gli stati il bilancio ha, dunque, un contenuto politico che trova espressione nel fatto che le autorizzazioni del parlamento a riscuotere le entrate e a pagare le spese sono date, non ai singoli ministri, ma, solidalmente, al governo. Tuttavia, non tutti gli stati pongono nel medesimo rilievo questo carattere politico del bilancio dal quale scaturisce il concetto della responsabilità ministeriale.
In Italia, come in tutti gli stati continentali d'Europa, pur essendo il governo l'organo autorizzato a gestire il bilancio, ogni singolo ministro ha piena liberta d'azione amministrativa, ed è responsabile della gestione relativa ai servizi ai quali presiede, trovando un limite alla propria azione solamente nella disponibilità dei mezzi assegnati, per ciascun servizio, con la legge di bilancio o con successive autorizzazioni del parlamento.
Questo concetto ha indotto a estendere sempre più i poteri del parlamento italiano nella gestione dei mezzi finanziarî della nazione, in contrasto con la tendenza dell'Inghilterra la quale, attribuendo al bilancio una netta fisonomia di programma politico, ha affermato la responsabilità solidale del governo nel campo finanziario. Siffatta tendenza ha portato a rafforzare, progressivamente, le facoltà del potere esecutivo in materia finanziaria e ad accentrare in un solo organo - il Treasury Board, e per esso nel Cancelliere dello scacchiere - le funzioni di bilancio. Da questo accentramento - che ha la sua origine storica nel fatto che la facoltà di riscuotere e di pagare è data, dal parlamento inglese, non al governo, ma alla corona - deriva una preponderanza assoluta del Cancelliere dello scacchiere nella vita politica e finanziaria del paese e la sua responsabilità completa verso il governo, la corona e il parlamento, per la gestione dell'intero bilancio.
Identica tendenza all'accentramento delle funzioni di bilancio si è manifestata negli Stati Uniti, dove il presidente è il capo della pubblica finanza, e infatti la legge del 10 giugno 1921 (Budget and Accounting Act) mette in rilievo il carattere di piano d'azione politica che riveste il bilancio americano, attribuendo al presidente dello stato la responsabilità della preparazione del bilancio medesimo e ponendo accanto allo stesso presidente, per l'esercizio delle funzioni relative, uno speciale ufficio di bilancio (Bureau of the Budget), da lui diretto.
La considerazione del diverso contenuto politico del bilancio ha importanza, non soltanto per precisare il diverso concetto della responsabilità ministeriale presso i varî stati, ma anche nei riguardi dell'iniziativa in materia finanziaria.
In Italia, come in Francia e nel Belgio, vige un sistema misto per cui l'iniziativa di provvedimenti di portata finanziaria e di variazioni alla legge di bilancio compete tanto al governo quanto al parlamento, senza limitazioni.
In Germania, pur essendo lasciata al parlamento la facoltà di chiedere nuove o maggiori spese, è messo a tale facoltà un limite nel disposto dell'articolo 85 della nuova costituzione in data 11 agosto 1919, per il quale "il Reichstag non può, nel progetto di bilancio, aumentare le spese, introdurne di nuove, senza il preventivo consenso del consiglio del Reich", e analoga disposizione è riportata nell'art. 42 della costituzione prussiana del 30 novembre 1920, che stabilisce che "l'approvazione del Consiglio di stato è necessaria ogniqualvolta il Landtag voglia autorizzare delle spese che superano l'ammontare proposto o consentito dal Consiglio dei ministri".
In Inghilterra, come naturale conseguenza dell'accentramento delle funzioni di bilancio nel Cancelliere dello scacchiere, vige il sistema dell'iniziativa, se non assolutamente, quasi esclusivamente governativa in materia finanziaria, in quanto qualsiasi provvedimento che importi non soltanto maggiori spese, ma anche maggiori proventi all'erario, dev'essere proposto dal governo o avere il consenso di questo.
Del sistema inglese risente molto la legislazione americana, la quale s'ispira largamente ai suoi metodi pur avendoli perfezionati e adattati al suo particolare sistema costituzionale.
Il bilancio è considerato presso tutti gli stati una legge sui generis in quanto si appoggia sempre su di un documento contabile nel quale è esposta l'entità numerica sia dei proventi sia delle passività dello stato.
La prima tendenza del nostro parlamento fu di considerare il bilancio come una legge unica. Una discussione al riguardo ebbe luogo alla Camera subalpina il 29 maggio 1850. Il governo aveva presentato i bilanci riuniti in unica legge: la commissione della Camera li divise in tanti disegni di legge quante erano le aziende - come si denominavano le varie amministrazioni - cui i bilanci si riferivano. Pur ammettendosi che il bilancio è una legge sola, inscindibile, stante l'urgenza, si approvarono le leggi separate per aziende, secondo le proposte della commissione, e si stabilì che ciò non dovesse costituire precedente. La questione si ripresentò e fu risolta nello stesso senso l'anno appresso (6 gennaio 1881), ma si tornò a discutere nuovamente. Sembrava che l'unicità della legge del bilancio rispondesse a una concezione teorica più esatta e rigorosa. D'altra parte, la divisione in tante leggi quanti erano i ministeri rispondeva meglio alle esigenze pratiche, giacché consentiva un esame autonomo delle gestioni e delle necessità delle varie amministrazioni e, inoltre, dava modo al Senato di esaminare i bilanci di mano in mano che erano stati approvati dalla Camera. Il Cavour propendeva per la pluralità delle leggi di bilancio.
La questione fu risolta praticamente. Dopo i bilanci del 1852 - che furono approvati complessivamente con la legge 4 dicembre 1851 - i bilanci vennero presentati con tanti disegni di legge, quanti erano i ministeri, facendosi per ciascuno separata relazione e votazione. Invece il Senato, per qualche tempo, osservò la consuetudine di fare una sola relazione su tutti i bilanci. Infine venne introdotta nella legge di contabilità di stato la norma, tuttora vigente, che "gli stati di previsione saranno approvati con altrettante leggi separate".
Trattandosi di un documento contabile è ovvio che il bilancio risenta, nei diversi stati, delle diversità dei metodi e dei sistemi di contabilità che si sono affermati nelle diverse teorie.
Partendo dal concetto fondamentale che la legge di bilancio intende fissare i limiti dell'azione governativa, e nel tempo stesso determinare, con la maggiore approssimazione, la situazione economica e finanziaria dello stato, gli ordinamenti contabili italiani tendono ad assicurare al bilancio un carattere di unità, che permette di stabilire le linee generali della politica finanziaria e i risultati ultimi cui si potrà pervenire, ricercando, da un lato, la specializzazione delle entrate e delle spese per titoli e capitoli, allo scopo di infrenare l'azione delle singole amministrazioni e, dall'altro, la integrità del documento, comprendendo in esso tutte le entrate e tutte le spese dello stato, senza attuare deduzioni per nessun titolo, al fine di offrire una visione completa di tutti i diritti e di tutti gli oneri dello stato.
Nel diritto inglese non esiste un bilancio coordinato e sintetico che rispecchi il programma finanziario di ciascun anno e ciò per il fatto che una parte cospicua delle entrate e delle spese pubbliche è sottratta all'approvazione annuale del parlamento. Infatti, la lista civile, il debito pubblico, gli stipendî della diplomazia e dell'alta magistratura, talune pensioni e alcuni servizî speciali, costituiscono i cosiddetti charges on the consolidated fund, sulla cui determinazisne il parlamento non interviene. Parimenti sono sottratte alle discussioni parlamentari talune imposte permanenti che possono essere mutate solamente con una legge speciale e che, nel loro insieme, costituiscono il fondo consolidato (consolidated fund) istituito da Pitt nel 1787.
L'intervento del parlamento in fatto di spese pubbliche si limita a taluni servizî, i cosiddetti supply services, per i quali vengono presentati quattro separati bilanci della spesa (estimates): il preventivo delle spese per i servizî civili (estimates for civil services); per i dicasteri delle entrate (estimates for Revenue Departments); per l'esercito (army estimates); e per la marina (navy estimates): e, in fatto di entrate, a quei cespiti che possono essere variati di anno in anno (income tax, tassa sull'importazione del tè e altre tasse sui consumi) e che sono approvati col finance bill.
Ne consegue che il bilancio inglese manca del requisito fondamentale dell'unità, in quanto esso non riassume e pone a confronto il totale di tutti i cespiti dello stato col complesso degli oneri che esso deve fronteggiare, ma si limita alla considerazione di alcuni proventi e di talune passività. Per trovare un riassunto delle previsioni bisogna riferirsi all'esposizione finanziaria (financial statement) che il Cancelliere dello scacchiere fa annualmente alla Camera dei comuni costituita in comitato di finanza, denominato Comitato di vie e mezzi (Committee of ways and means). Annesso a questa esposizione viene presentato, infatti, un prospetto dell'entrata e della spesa esposte dal Cancelliere, prospetto che dà un riassunto, tanto delle entrate e spese del fondo consolidato, quanto di quelle non consolidate e autorizzate dal parlamento con l'appropriation bill (per la spesa) e col finance bill (per l'entrata), per determinare l'avanzo o il deficit del bilancio. A parte però che questo riassunto non può essere ritenuto sufficiente per assicurare l'unità del bilancio, in quanto le entrate e le spese del fondo consolidato sono sottratte completamente all'approvazione del parlamento, occorre aggiungere che neppure gli elementi forniti dal Cancelliere dello scacchiere nel riassunto medesimo hanno carattere di completezza, in quanto per determinare il totale degli oneri che fanno carico allo stato occorre tenere conto delle spese sostenute in conto capitale, in virtù di tre leggi speciali: i Telegraph Acts del 1913 e del 1920; il Post Office (Londra) Railway Act del 1913 e l'Housing Act del 1914. Mentre tutte le altre spese in conto capitale sono inscritte in bilancio, quelle dipendenti dalle leggi anzidette sono fuori bilancio e ad esse si provvede con somme tratte dal credito, che vengono rimborsate con apposite assegnazioni nei bilanci dei servizî interessati.
È da aggiungere che l'esistenza del fondo consolidato toglie al bilancio inglese non soltanto il carattere di unità, ma anche quello della specializzazione, poiché per le entrate e per le spese che fanno capo al fondo consolidato medesimo, il governo non dà alcuna dimostrazione analitica.
Del resto, anche nei riguardi delle spese sottoposte alla sanzione legislativa, l'Inghilterra ha una decisa tendenza a limitare la specializzazione (appropriation) delle autorizzazioni del parlamento, riducendo il numero dei capitoli (votes) nei quali sono divisi i bilanci preventivi. Ne consegue una notevole larghezza nella facoltà del potere esecutivo, e, per esso, della tesoreria, a effettuare storni da uno ad altro titolo di spesa perché, pur essendo vietati gli storni da uno ad altro capitolo, il contenuto di ogni singolo capitolo è così vasto che lo storno, per quanto limitato ai sottocapitoli (subheads) o agli articoli (items), in cui si suddivide ogni capitolo, può apportare sensibili modificazioni al programma di spese autorizzato dal parlamento.
A differenza poi di quanto avviene in Italia, questo programma, pure limitato alle spese di natura variabile, non è comprensivo di tutte le passività reali che fanno carico al bilancio, ma riguarda soltanto il fabbisogno necessario al funzionamento dei diversi servizî, tenuto conto degli speciali proventi che possono essere realizzati dai servizî medesimi. Infatti, ogni estimate comprende tre cifre: la previsione lorda della spesa, i proventi che presumibilmente potranno verificarsi per ogni singolo servizio (extra receipts) e che dal medesimo possono essere erogati senz'altro per le proprie necessità di funzionamento, in aggiunta (appropriation in aid) ai fondi concessi dal parlamento e corrispondenti alla previsione netta risultante dalla differenza fra le prime due cifre.
Al contrario le entrate e le spese del fondo consolidato sono determinate al lordo e anche al lordo sono valutate le entrate variabili comprese nel finance bill, le cui spese di riscossione sono inscritte negli estimates for Revenues Departments. Ne consegue che quando il Cancelliere dello scacchiere riassume, nell'esposizione finanziaria, i dati della previsione, viene a sommare le cifre al lordo relative al fondo consolidato e alle entrate comprese nel finance bill, con le cifre al netto contenute nell'appropriation bill.
Gli Stati Uniti non hanno avuto, fino al 1921, un vero e proprio bilancio, in quanto il parlamento non approvava le entrate dello stato, ma portava il proprio esame solamente sui preventivi di spesa che erano approvati con leggi multiple di aperture di credito. La legge del 10 giugno 1921, destinata "a costituire un sistema di bilancio nazionale, un controllo indipendente dei conti del gomrno e ad altri fini", ha operato una completa trasformazione in materia di bilancio facendo obbligo al presidente di trasmettere al congresso un preventivo che comprenda la valutazione delle spese e dei crediti necessarî per il funzionamento dei servizî governativi (for the support of the Government), come pure la valutazione delle entrate e delle spese erariali. Un notevole passo verso la regolarità del bilancio è stato indubbiamente fatto, ma manca ancora, negli Stati Uniti, la completa adesione al concetto dell'unità del bilancio medesimo.
Infatti, le entrate e le spese sono portate in conto: 1. di un fondo generale, cui sono versate le sole entrate normali; 2. di un fondo prestiti, cui vengono attribuiti i proventi realizzati con operazioni di credito; 3. di diversi conti speciali collegati al fondo generale, come avviene per le poste; 4. dei fondi di giro (revolving funds). I conti del fondo generale e del fondo prestiti sono tenuti assolutamente distinti e vengono chiusi separatamente attribuendo i rispettivi saldi, attivo o passivo, alla voce valori della situazione del tesoro.
La specializzazione del bilancio, voluta e ricercata dalle Camere americane, gelose di conservare le proprie prerogative in materia finanziaria (prerogative che culminano nel divieto assoluto, fatto dagli ordinamenti contabili degli Stati Uniti, di effettuare storni di fondi) viene particolarmente curata, tanto che il bilancio stesso viene presentato con la ripartizione in articoli (items) dei varî capitoli di entrate e di spese. La legislazione finanziaria americana risente però ancora di quella inglese e infatti il bilancio degli Stati Uniti non è integrale, per una sua particolarità caratteristica, secondo la quale, in molti casi, le entrate sono portate in bilancio non nella colonna delle entrate, ma nella colonna delle spese, in deduzione delle passività. Siffatto metodo è adottato, p. es., per la contabilizzazione del prodotto delle poste ed è stato seguito anche nel 1921-22 per riportare in bilancio il provento della liquidazione dei biglietti del trust del materiale ferroviario, provento che ha raggiunto il cospicuo importo di 390 milioni di dollari. L'integralità del bilancio viene esclusa, del resto, dalla stessa legge del 1921, ripetutamente citata, la quale dà facoltà al presidente di trasmettere al Congresso stati di previsione suppletivi per provvedere a spese che, a suo avviso, rivestono carattere d'interesse pubblico, facendo solo obbligo al presidente medesimo di esporre nelle note illustrative alle nuove proposte, le ragioni per le quali esse non sono state, a suo tempo, comprese nel progetto iniziale. Deducendo il gettito di taluni cespiti dal complesso delle spese, gli Stati Uniti, pur senza alterare l'avanzo o il disavanzo finale della gestione, vengono a fare risultare, in cifre inferiori alla realtà, gl'importi globali delle entrate e delle spese.
Il bilancio germanico comprende tre distinti documenti: il bilancio dell'amministrazione generale dello stato; il bilancio delle imprese pubbliche; e il bilancio per l'esecuzione dei trattati di pace. Manca, dunque, l'unità del bilancio per quanto i preventivi delle imprese pubbliche e quelli per l'esecuzione del trattato di pace siano collegati al bilancio generale al quale vengono attribuiti gli avanzi o i disavanzi delle altre gestioni. Per porre in rilievo la mancanza di unità nel bilancio basti accennare ai cosiddetti fondi di esercizio (Betriebsfonds) i quali hanno, in definitiva, la fisionomia di fondi di riserva. Però, a differenza dei fondi di riserva inscritti nei bilanci dei diversi ministeri per provvedere a spese impreviste e miste, e dell'altro fondo generale a disposizione per le eventuali deficienze di stanziamento che si accertano nel corso della gestione, i fondi d'esercizio funzionano all'infuori del bilancio e sono destinati a fornire all'amministrazione i mezzi per provvedere a spese non prevedute in bilancio ovvero ad anticipare fondi alla cassa quando il rallentamento della riscossione lo renda necessario.
Manca anche, nel bilancio germanico, la rigorosa applicazione del principio della specializzazione, dato che, per quanto il bilancio stesso sia ripartito in titoli e in capitoli, non esistono precise disposizioni che facciano divieto di passaggio di fondi fra i varî capitoli. L'art. 67 della costituzione prussiana, ai cui concetti è inspirata la costituzione del Reich dell'11 agosto 1919, stabilisce soltanto che "le eccedenze di spese accertate in confronto del progetto di bilancio debbono essere ratificate dal parlamento e che le spese non comprese in bilancio debbono essere preventivamente autorizzate dal ministro delle Finanze, la cui autorizzazione non può essere accordata che nei casi di necessità urgente e imprescindibile".
Nei riguardi dell'integrità del bilancio è da osservare che prima della rivoluzione del 1918 il bilancio dell'Impero germanico non conteneva che le entrate nette delle dogane, ma lo stesso criterio del bilancio al netto è stato conservato negli ordinamenti adottati dopo la costituzione del 1919. Essa ha tuttavia modificato notevolmente i rapporti finanziarî tra il Reich e gli antichi stati (Länder), nel senso che il Reich ha piena autorità finanziaria, che ad esso sono da attribuirsi tutti i cespiti del territorio nazionale, e che non sono più i Länder a fornire, in quota parte, i mezzi finanziarî occorrenti per il governo del Reich, essendo invece facoltà del Reich di lasciare ai vecchi stati una quota di compartecipazione sul provento di determinati cespiti per provvedere ai bisogni locali.
La Francia, nel corso della sua storia finanziaria, ha variato di frequente i proprî metodi di bilancio, adottando di volta in volta il metodo del bilancio generale unico o quello di due bilanci distinti per le entrate e le spese ordinarie e per le passività straordinarie da fronteggiare con debiti.
Sopravvenuta la guerra mondiale, l'eccezionalità dei metodi di politica finanziaria indusse ad adottare metodi eccezionali di bilancio e così, successivamente allo scoppio della guerra, il bilancio ordinario è venuto a scomparire completamente e il parlamento si è limitato ad autorizzare in blocco, di trimestre in trimestre, i crediti necessarî per il funzionamento di tutti i servizî dello stato senza alcuna distinzione fra le spese di guerra e quelle di carattere normale. Tali autorizzazioni venivano concesse trimestralmente con le leggi di crédits provisoires che alla fine di ogni anno erano sottoposte a una nuova deliberazione del parlamento per la conversione in autorizzazioni definitive.
Per le entrate poi non veniva predisposto alcun bilancio e il parlamento si limitava, in sede di approvazione delle leggi di crediti provvisorî, ad autorizzare il governo a riscuotere le "imposte indirette e i proventi e le rendite pubbliche" durante il trimestre successivo, mentre l'autorizzazione a riscuotere le imposte dirette era data, una volta tanto, dalla legge di crediti provvisorî relativa al primo trimestre. Nel 1918 e fino al 1920 venne ripristinato il metodo tradizionale del bilancio, limitatamente però ai servizî civili, continuando il sistema delle leggi di crediti provvisorî per tutte le spese militari e per quella parte delle spese relative ai servizî civili che avevano carattere "eccezionale".
Nel 1920 il ministro Klotz segnalava la necessità di separare dagli oneri normali e permanenti dello stato quelli di carattere eccezionale relativi alla liquidazione delle passività di guerra e creava così, accanto al bilancio ordinario, un bilancio straordinario, ma, a differenza dal criterio che era stato adottato anteriormente al 1890, questo bilancio straordinario era inquadrato nel bilancio generale, importanza che il parlamento avesse una visione d'insieme delle spese ordinarie e di quelle straordinarie. Ma la stessa legge del 1920 creava insieme al comune bilancio straordinario anche un secondo bilancio straordinario delle spese da sostenere a carico dei versamenti dovuti dagli stati nemici in esecuzione dei trattati di pace e oltre a ciò creava un bilancio del tutto separato per l'Alsazia-Lorena.
Era evidente che questo frazionamento del contenuto del bilancio impediva di accertare la reale situazione finanziaria del paese, e nel 1921 il ministro Doumer, riconoscendo i pericoli di tale frazionamento, sopprimeva finalmente il bilancio straordinario fondendo nel bilancio generale anche quello dell'Alsazia-Lorena.
Non si può certo affermare che queste riforme abbiano realizzato la piena unità del bilancio francese e a provarlo basterebbe accennare al permanere dei cosiddetti "servizî speciali del tesoro", ma indubbiamente un notevole passo verso tale unità è stato compiuto. Anche nei riguardi dell'integrità del bilancio il principio teorico non è pienamente realizzato, in quanto non tutti i saldi dei Budgets annexes (poste, ferrovie di stato, ferrovie dell'Alsazia-Lorena, zecca, e stamperia nazionale) sono riportati al bilancio generale. Infatti i saldi dei bilanci ferroviarî vengono, all'atto della chiusura della gestione, portati fra i "servizî speciali del tesoro".
Da quanto è esposto sin qui apparisce che, secondo i metodi seguiti dai principali stati, si possono distinguere quattro grandi sistemi di bilancio:
1. il sistema economico italiano, cui si sono accostati, di recente, anche il Belgio e la Francia, che è rigidamente unitario riassumendo il totale degli oneri e dei cespiti dello stato per determinare la situazione generale della pubblica finanza alla fine di ciascun anno;
2. il sistema finanziario e particolaristico inglese, che considera in bilancio solamente le entrate e le spese che abbiano un carattere variabile;
3. il sistema finanziario comprensivo americano, che prescinde dal contenuto economico del bilancio, ricercando solamente il pareggio della situazione del tesoro;
4. il sistema semplicemente amministrativo germanico, che considera il bilancio come atto puramente amministrativo per l'applicazione delle leggi in vigore, dato che ogni somma inscritta in bilancio, sia nell'entrata sia nella spesa, trova ragione in una legge speciale di autorizzazione.
Sotto l'aspetto formale i bilancì dei diversi stati come quelli delle altre aziende pubbliche vengono generalmente riportati al sistema del bilancio di cassa, che tiene conto delle somme riscosse e di quelle pagate durante l'anno finanziario, o a quello del bilancio di competenza che pone invece in evidenza il totale dei diritti e degli obblighi assunti dallo stato nello stesso periodo. Ma quello che dovrebbe essere, in linea teorica, il carattere differenziale del bilancio di cassa in confronto a quello di competenza, e cioè la mancanza di residui alla chiusura della gestione, nella pratica non si manifesta, in quanto - sempre per l'impossibilità di limitare nel tempo i fatti amministrativi - rapporti di debito o di credito scaturiscono, nei riguardi dello stato, senza soluzione di continuità per il fatto stesso dell'esistenza del diritto di sovranità dello stato medesimo. In definitiva, dunque, tutte senza eccezione le gestioni finanziarie dei varî stati lasciano residui che debbono, in un modo o nell'altro, essere regolati. E la vera differenza fra le diverse forme di bilancio si riduce al modo col quale viene provveduto alla regolazione di questi residui.
Gli ordinamenti italiani, gelosi di assicurare la più perfetta regolarità nello svolgimento dei fatti amministrativi per assicurare la completa fisionomia economica di ciascun esercizio finanziario, hanno adottato il principio della rigida competenza dell'esercizio stesso, il quale principio porta ad annotare in ciascun bilancio l'importo globale di tutti i diritti acquisti dallo stato e di tutti gli oneri da esso assunti. Questi diritti e questi oneri costituiscono la competenza dell'esercizio, dalla quale vengono tenuti nettamente distinti i residui attivi e passivi ereditati dagli esercizî precedenti. Tanto la competenza dell'anno quanto i residui delle gestioni anteriori dànno origine a effettive riscossioni e pagamenti, che vengono regolarmente tenuti in evidenza nei conti, e la differenza, fra il riscosso e il pagato da un lato e ciò che si è assunto diritto a riscuotere od obbligo a pagare dall'altro, costituisce l'importo dei nuovi residui che sono da passare agli esercizî successivi per la definitiva liquidazione.
Vediamo ora come si regolino i principali stati esteri.
Gli ordinamenti inglesi non stabiliscono un vero e proprio bilancio, in quanto vengono sottoposte all'approvazione del parlamento solamente le entrate e le spese variabili. Non appare quindi da nessuna precisa disposizione di legge se gli estimates costituiscano previsioni di cassa oppure di competenza. Tuttavia, partendo dalla considerazione che la legge annuale per l'approvazione definitiva degli estimates medesimi definisce i crediti aperti al governo quali "somme concesse per sostenere le spese che verranno in corso di pagamento, durante l'anno", si tende oramai comunemente a considerare il bilancio inglese come bilancio di cassa. È certo però che la lettera della legge ha dato modo a taluni autori di contestare questa particolare fisionomia del bilancio inglese, rilevando che la legge medesima accenna alle spese che verranno in corso di pagamento: il che lascerebbe fondatamente presumere che formino oggetto degli estimates anche somme semplicemente impegnate, per le quali ricorre il requisito dell'ordine di pagamento. Questi rilievi trovano conferma nel fatto che il rendiconto finanziario inglese (finance account) consta di tre conti distinti: il conto generale di cassa, il conto generale dell'entrata e il conto generale della spesa. Il conto generale di cassa riassume i conti correnti che lo scacchiere tiene con la Banca d'Inghilterra e con la Banca d'Irlanda, le quali funzionano quali agenti del Tesoro; il conto generale dell'entrata e quello della spesa distinguono invece le somme accertate, separatamente per residui vecchi e per materia propria dell'anno, le somme riscosse o pagate e i residui attivi e passivi.
Da quanto precede risulta che, sebbene il governo inglese segua con particolare cura il movimento del denaro presso il Tesoro, non tralascia di seguire anche il conto dei residui sul quale si fonda il bilancio di competenza. Sostanzialmente la differenza fra il sistema inglese e quello italiano consiste nel fatto che il sistema inglese presenta un conto di cassa che integra poi, in sede di rendiconto, con gli elementi necessarî per formare un conto di competenza, mentre il sistema italiano presenta senz'altro un conto di competenza nel quale vengono poste in evidenza tutte le operazioni attinenti al movimento di cassa.
Negli Stati Uniti, fino al 1922, il Congresso votava dei crediti a durata illimitata e questi determinavano annualmente il limite degli impegni che potevano essere assunti nel corso della gestione. Però il rendiconto si limitava a porre in evidenza le somme effettivamente riscosse e quelle realmente pagate; per la qual cosa mentre da un lato si aveva un preventivo di competenza, dall'altro veniva presentato un consuntivo di cassa.
Con la grande riforma di bilancio del 1921, che ha avuto applicazione dal 1922, il principio anzidetto è stato completamente annullato, essendosi stabilito che le somme inscritte in bilancio rappresentino il limite dei pagamenti che possono essere disposti, per modo che, nel caso di programma di lavori e di opere che si riflettano a carico di diversi esercizî, il programma dev'essere annualmente ripresentato all'esame del parlamento, il quale ha facoltà di apportarvi quelle riduzioni che ritenga opportune. Il preciso carattere di bilancio di cassa che ha il bilancio degli Stati Uniti, è affermato nel messaggio diretto dal presidente al Congresso federale, il 3 dicembre 1923, all'atto della presentazione del bilancio per l'esercizio 1924-25, nel quale viene dichiarato che "per spese del 1924-25 s'intende l'ammontare delle somme che usciranno dal Tesoro durante l'anno che scade il 30 giugno 1925 e che non sono da confondere con le previsioni di crediti per lo stesso anno".
Gli Stati Uniti tengono però conto anche delle somme impegnate e non erogate sui crediti concessi annualmente dal parlamento: e infatti per l'art. 201 della legge 10 giugno 1921, col progetto di bilancio, viene presentato tra gli altri un prospetto indicante l'ammontare dei crediti annuali o permanenti, come pure i saldi di crediti accordati negli esercizî finanziarî anteriori, rimasti disponibili per le spese dell'anno in corso.
Il sistema francese si accosta notevolmente al sistema italiano e infatti particolari cure sono state rivolte dal governo ad assicurare la contabilità degl'impegni. Con decreto del 15 giugno 1923, è stato fatto obbligo a tutti i ministeri di tenere una contabilità delle spese impegnate, in contraddittorio fra l'amministrazione centrale che gestisce i fondi e il controllore delle spese impegnate. Questa doppia contabilità è seguita da entrambe le parti, distintamente per esercizio, per capitolo e per suddivisione di capitolo, in modo da dimostrare l'ammontare e l'imputazione delle spese sugli stanziamenti autorizzati con la legge di bilancio o con leggi speciali. Con successivo decreto del 29 luglio 1923, si è regolata la materia della contabilità dei residui, stabilendo che gli ordini di pagamento, non estinti prima della chiusura dell'esercizio, diano luogo a un'inscrizione nel bilancio passivo e ad una corrispondente inscrizione, sotto l'apposita voce Restes à payer sur exercices clos, fra le entrate del conto del Tesoro, il quale è tenuto per esercizio di origine dei crediti.
La Germania ha un sistema di bilancio caratteristico, che, peraltro, si accosta più al bilancio di competenza che a quello di cassa. Infatti, per l'art. 77 dell'ordinamento amministrativo del Reich approvato il 31 dicembre 1922 (Reichshaushaltsordnung), il rendiconto annuale deve indicare, in separate colonne e per i singoli titoli di bilancio: le entrate e le spese effettivamente occorse (realizzazioni o pagamenti); i residui da trasportare all'esercizio successivo in base all'art. 30 dell'ordinamento amministrativo medesimo; il totale delle realizzazioni e dei pagamenti con i rispettivi residui attivi e passivi; le previsioni stabilite con la legge di bilancio; i residui attivi e passivi dell'esercizio precedente; il totale delle previsioni e dei residui provenienti dagli esercizî anteriori; la differenza in più o in meno fra il totale degli accertamenti per competenza e residui e il totale delle previsioni di competenza e dei residui precedenti.
Apparentemente siamo nello stesso regime del bilancio italiano, ma vi sono invece fra i due sistemi notevoli differenze. Anzitutto nel bilancio germanico non tutte le spese possono dare origine a residui, ma solamente quelle spese che, ai sensi del ricordato articolo 30, sono classificate fra quelle cosiddette continuative (fortdauernde Ausgaben). Tutte le somme non pagate sugli stanziamenti autorizzati per passività non ricorrenti (einmalige Ausgaben) sono invece passate in economia. Per di più, e qui è la differenza sostanziale, la contabilità dei residui non è tenuta separata da quella della competenza. Infatti, per l'art. 68 del nuovo ordinamento amministrativo del Reich, il quale conferma il concetto già prevalso nel 1878, "le entrate e le spese sono da inscrivere nel conto dello stesso anno nel quale vengono effettuate. Non ha luogo una separata gestione dei resti attivi e passivi rimasti da un esercizio chiuso".
I sistemi adottati dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti d'America e dalla Germania rappresentano gli unici sistemi tipici di bilancio adottati nei paesi esteri. Le altre nazioni più importanti, come la Francia, il Belgio, l'Olanda, la Spagna hanno adottato invece dei sistemi di vera e propria competenza. Meritano anzi di essere posti in particolare rilievo gli sforzi della legislazione finanziaria francese per assicurare una contabilizzazione sempre più rigorosa degl'impegni dello stato, sia attraverso la creazione di speciali uffici di controllo delle spese impegnate, sia con la tenuta di separate scritture per i residui.
Variazioni alla legge di bilancio. - È ovvio che le previsioni, per quanto accurate, non possono mai corrispondere pienamente alla realtà; ed è per questo che la nostra legge sulla contabilità generale dello stato detta le norme per apportare alle previsioni di bilancio le variazioni e le aggiunte che si manifestano necessarie.
I casi di variazioni alle previsioni di entrata sono pochissimi poiché il gettito effettivo dei varî cespiti viene stabilito solamente alla fine dell'esercizio e quindi nel corso dell'esercizio stesso si prescinde dal variare le previsioni stesse in rapporto agli accertamenti. Solo quando si verifichino nuove entrate di competenza dell'esercizio in corso il ministro delle Finanze provvede, con proprio decreto, a istituire il capitolo nel bilancio attivo al quale fare affluire i proventi che si realizzeranno. Invece, per principio generale, nessuna spesa può esser fatta oltre quelle previste e autorizzate con la legge di bilancio, né si può eccedere il limite del fondo assegnato a ciascun capitolo senza il consenso del parlamento espresso con una legge speciale.
Questo principio generale ammette però talune eccezioni: 1. nei riguardi delle spese impreviste; 2. nei riguardi delle spese obbligatorie e d'ordine; 3. nei riguardi delle spese considerate dall'art. 41 della legge sulla contabilità generale dello stato.
Alle spese impreviste e alle nuove necessità per spese obbligatorie e d'ordine si può provvedere con prelevamenti dai due fondi di riserva inscritti nello stato di previsione del Ministero delle finanze e denominati appunto, l'uno Fondo di riserva per le spese impreviste, e l'altro Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine. I prelevamenti dal fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine sono disposti con semplice decreto del ministro delle Finanze registrato dalla Corte dei conti; invece i prelevamenti dal fondo di riserva per le spese impreviste sono ordinati con decreto reale promosso dal ministro delle Finanze, tenendo presente che quando il prelevamento superi l'importo di lire 50.000 è necessario che il ministro delle Finanze sottoponga prima la proposta all'approvazione del Consiglio dei ministri.
In sostanza i prelevamenti dai fondi di riserva recano variazioni non trascurabili al bilancio e se è lecito che il parlamento s'interessi dei prelevamenti disposti a favore di capitoli riguardanti spese obbligatorie e d'ordine, sarebbe un controsenso che esso si disinteressasse dei prelevamenti ordinati per fare fronte a spese impreviste e quindi non vagliate in precedenza dalle due Camere. Ma appunto per dare modo al parlamento di vigilare anche su queste spese e d'infrenare quindi l'azione dell'amministrazione, la legge di contabilità fa obbligo di presentare al parlamento medesimo, per la convalida, tutti i decreti riguardanti prelevamenti dal fondo di riserva delle spese impreviste.
L'art. 41 della legge dà poi facoltà di provvedere con decreti reali, su proposta del ministro delle Finanze, sentito il Consiglio dei ministri, a inscrivere nella parte passiva del bilancio le somme occorrenti per restituire tributi indebitamente percetti, ovvero tasse su prodotti che si esportano, per pagare vincite al lotto, per eseguire pagamenti relativi al debito pubblico in dipendenza di operazioni di conversione o altre analoghe autorizzate da leggi, come pure per integrare le assegnazioni relative a stipendî, pensioni e altri assegni fissi, tassativamente autorizzati e regolati per legge.
In corrispondenza con gli accertamenti dell'entrata possono, mediante decreti del ministro delle Finanze, inscriversi nella parte passiva del bilancio le somme occorrenti per la restituzione di somme avute in deposito o per il pagamento di quote d'entrate devolute a enti e istituti, o di somme che siano state comunque percette per conto di terzi.
Allo stato di previsione della spesa del Ministero delle finanze sono allegati due elenchi, da approvarsi con apposito articolo della relativa legge, dei capitoli per i quali possono essere esercitate rispettivamente le facoltà di cui sopra.
Tutte le altre spese che sia imprescindibile eseguire e per le quali non sia stabilito alcun fondo, o non sia sufficiente quello assegnato in bilancio, si distinguono in spese nuove e maggiori spese. Sono spese nuove quelle che richiedono l'istituzione di uno o più capitoli nuovi. Sono maggiori spese quelle che importano un aumento alle assegnazioni di capitoli esistenti; entrambe non possono essere comprese che nelle competenze dell'esercizio in corso e debbono essere autorizzate con leggi speciali.
I disegni di legge per l'approvazione di variazioni agli stati di previsione dell'entrata e della spesa sono sempre presentati al parlamento dal ministro delle Finanze.
L'autorizzazione delle spese nuove eccedenti il limite di lire 150.000 deve essere chiesta per l'intero importo, anche quando siano ripartite in più anni: ciò tanto nel caso che vengano proposte con disegni di legge speciali, presentati dai singoli ministri competenti, di concerto col ministro delle Finanze, quanto nel caso che vengano comprese in disegni di legge per variazioni al bilancio. Agli effetti del limite di cui sopra, si tien conto, per le spese di carattere straordinario, anche delle somme che siano state eventualmente autorizzate al medesimo scopo, con precedenti provvedimenti. Il riparto è determinato nella stessa legge. Può peraltro esserne proposta la modificazione con gli stati di previsione della spesa per i singoli ministeri, sia mediante proroga del termine d'inscrizione in bilancio, sia mediante la riduzione degli stanziamenti, sia mediante l'eliminazione delle rate non più necessarie, ai sensi dell'art. 9 del decreto luogotenenziale 9 luglio 1916, n. 843.
Il bilancio dal punto di vista tecnico. - Il bilancio italiano si compone di tanti stati di previsione della spesa quanti sono i ministeri e di un unico stato di previsione dell'entrata, allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero delle finanze.
I diversi stati di previsione sono riportati a unità da un riepilogo generale delle entrate e delle spese annesso allo stato di previsione dell'entrata. Le entrate e le spese che si inscrivono negli stati di previsione rappresentano la competenza dell'anno finanziario, cioè le entrate e le uscite che competono all'anno stesso in quanto si presume che potranno essere accertate nei dodici mesi di quell'anno. In altri termini, per le entrate, quelle che si crede che potranno essere prodotte durante l'anno dai diversi cespiti stabiliti da leggi speciali e quelli eventuali che siano prevedibili; per le spese, quelle che il governo è autorizzato a impegnare per provvedere ai pubblici servizî e agli obblighi assunti dallo stato.
Tutte le entrate di spettanza dell'erario sono accertate quando l'amministrazione competente appura la ragione del credito dello stato, la persona obbligata al pagamento e l'ammontare del credito che viene a scadenza nell'anno finanziario. Per gli accertamenti di spesa bisogna invece distinguere fra spese ordinarie e spese straordinarie. Le spese straordinarie possono essere accertate annualmente per l'intero stanziamento inscritto in bilancio senza che occorrano atti o provvedimenti speciali. Le spese ordinarie invece sono accertate quando si verifichino le seguenti condizioni: 1. che abbiano avuto perfetto esaurimento gli atti da cui l'impegno ha origine; 2. che sia determinata la natura dell'impegno; 3. che sia identificata la persona del creditore.
Le entrate e le spese sono classificate negli stati di previsione:
1. riguardo alla periodicità, per separare in due titoli diversi le entrate e le spese ordinarie da quelle straordinarie;
2. riguardo agli effetti che producono sul patrimonio dello stato, per distinguere in diverse categorie le entrate e le spese effettive da quelle per movimento di capitali;
3. riguardo alla natura della materia amministrata; a tal fine le entrate e le spese di qualunque categoria sono distribuite in rubriche aventi ognuna una specifica denominazione, e in capitoli.
Sono ordinarie le entrate e le uscite che traggono origine da cause permanenti, attinenti al normale andamento dell'amministrazione, straordinarie tutte le altre; sono entrate e spese effettive i proventi e gli oneri che rappresentano reale incremento o consumo di patrimonio; entrate e spese per movimento di capitali quelle che traggono origine da operazioni di semplice trasformazione degli elementi patrimoniali, epperò a ogni entrata per movimento di capitali deve far riscontro un aumento di passività o una diminuzione di attività, mentre a qualunque spesa della medesima categoria corrisponde un aumento di attività o una diminuzione di passività.
Le rubriche esprimono, nella loro denominazione, la diversa natura della materia amministrativa, e quindi la classificazione in rubriche varia secondo i diversi ministeri cui si riferiscono gli stati di previsione.
I capitoli costituiscono le unità elementari del bilancio: e la ripartizione del bilancio in capitoli fu introdotta da Cavour nel 1853. Ogni capitolo rappresenta un'unità giuridica a sé stante e tiene luogo di un articolo di legge, perché ogni stato di previsione viene votato dalle due camere capitolo per capitolo. Nello stesso capitolo non possono essere cumulate entrate o spese appartenenti a rubriche o a categorie diverse. Ogni capitolo è individuato dalla rispettiva denominazione, la quale non può essere modificata che per legge, e dal numero che è continuativo per ogni stato di previsione senza distinzione di categorie o di rubriche. Costituiscono un gruppo particolare i capitoli aggiunti, così chiamati perché si aggiungono ai varî stati di previsione dopo che questi sono stati tradotti in legge dal parlamento. La numerazione di questi capitoli è progressiva dopo il numero dell'ultimo capitolo compreso nella legge di bilancio, ma essi sono istituiti con decreto emanato, di concerto col ministro delle Finanze, da ciascun ministro per la rispettiva amministrazione. Tali capitoli servono per imputare le riscossioni e i pagamenti disposti a carico di fondi residui lasciati dagli esercizî anteriori e che riguardano materia amministrativa non considerata dai capitoli compresi negli stati di previsione. Pertanto i capitoli medesimi sorgono avendo stanziamenti solamente in conto residui, ma è frequente il caso che nel corso della gestione vengano inscritte a questi capitoli anche delle somme in conto competenza destinate a fronteggiare particolari necessità sopravvenute e riconosciute con atto legislativo.
La ripartizione in capitoli rispondeva dapprima a un criterio logico di ripartizione delle spese; ma in seguito si manifestò la tendenza all'eccessiva polverizzazione dei capitoli, specialmente per riflesso di concezioni democratiche. Così i capitoli del bilancio, che nel 1871 erano 617, negli esercizî susseguiti alla guerra si aggiravano intorno ai 3000. Negli ultimi tempi è prevalso un sano criterio di semplificazione, con l'aggruppamento in un medesimo capitolo delle spese aventi carattere e finalità comuni.
Le spese sono classificate in bilancio anche rispetto al loro carattere per distinguere le spese fisse da quelle variabili, e fra queste ultime quelle obbligatorie e d'ordine da tutte le altre. Sono fisse le spese che hanno carattere fisso e quindi possono essere precalcolate nel loro esatto ammontare; obbligatorie quelle che derivano dalla stessa organizzazione politica e amministrativa dello stato (esempio tipico le spese per interessi dei debiti); d'ordine quelle che sono in funzione dell'andamento delle entrate (come ad esempio gli aggi di riscossione).
Alla proclamazione del regno, vigente la legge di contabilità del 13 novembre 1859, si teneva separato lo stato di previsione dell'entrata da quello della spesa dei singoli ministeri, ma ciascuno di questi stati di previsione distingueva le entrate e le spese nei soli due titoli di entrate e spese ordinarie e di entrate e spese straordinarie.
Lo stesso criterio fu mantenuto dalla legge 22 aprile 1869 che istituì due separati bilanci da presentare al parlamento entro il mese di marzo di ogni anno e riguardanti, l'uno, il bilancio di prima previsione per l'esercizio che si sarebbe iniziato il 1° gennaio successivo, l'altro, il bilancio di definitiva previsione o di assestamento dell'esercizio in corso.
Solo a decorrere dal 1878, per aderire a ripetuti voti delle Commissioni di finanza, le entrate e le spese furono classificate in bilancio, oltre che in titoli, anche in categorie, le quali inizialmente erano tre: entrate e spese effettive, per movimento di capitali e partite di giro; e nel 1879 divennero quattro, essendosi voluto tenere separate le entrate e le spese per costruzione di strade ferrate. In questi ultimi anni, però, le spese per costruzione di strade ferrate e le entrate e le spese per partite di giro sono state conglobate con le entrate e le spese effettive.
Sopravvenuta la nuova legge di contabilità 8 luglio 1883, che ha dato origine al testo unico 17 febbraio 1884, il bilancio di definitiva previsione è stato soppresso facendo obbligo di presentare al parlamento, nel novembre di ogni anno, gli stati di previsione per l'esercizio futuro e il bilancio di assestamento per l'esercizio in corso, il quale, a sua volta, è stato soppresso con la legge 26 giugno 1913.
Procedura parlamentare per l'approvazione dei bilanci. - Italia. - In principio di legislatura la Camera nomina una commissione permanente composta fino al dicembre 1929 di 30 e ora di 36 membri per l'esame dei bilanci e dei rendiconti consuntivi. Per la nomina si procedeva in passato in questo modo: ciascun deputato scriveva sopra la scheda di votazione due terzi dei nomi che dovevano comporre la commissione. Quindi, trattandosi di 30 membri, ciascun deputato poteva votare per 20. Questa disposizione mirava a rendere possibile nella commissione oltre la rappresentanza della maggioranza, anche quella delle minoranze.
Con le recenti modificazioni al regolamento della camera dei deputati, la nomina dei 36 componenti della giunta del bilancio è deferita al presidente dell'assemblea.
La giunta del bilancio è la commissione più importante della Camera. Essa esercita un'azione di controllo permanente sulla gestione amministrativa dello stato. Si divide in cinque sottocommissioni, fra le quali sono ora così ripartite le gestioni dei varî ministeri: 1. Finanze; 2. Interno, Giustizia, Educazione nazionale; 3. Guerra, Marina, Aeronautica; 4. Lavori pubblici, Agricoltura e Foreste, Comunicazioni; 5. Esteri e Colonie.
Le sottogiunte riunite: Interno, Giustizia, Educazione nazionale e Lavori pubblici, Agricoltura e Foreste, Comunicazioni, esaminano la gestione del Ministero delle corporazioni. Tutti i progetti di legge implicanti spesa o modificazioni di ruoli organici nel personale dipendente dall'amministrazione statale devono pure essere esaminate, prima della discussione della Camera, dalla giunta del bilancio. Presentati e stampati entro il mese di gennaio tutti i bilanci, la giunta generale del bilancio li distribuisce alle sue sottocommissioni, le quali nominano uno o più relatori per ciascun bilancio. Le relazioni sono prima approvate dalla sottogiunta e poi dalla giunta generale. Entro il mese di marzo quest'ultima deve presentare alla Camera le relazioni di tutti i bilanci: ove non adempisse al suo obbligo in questo termine, i bilanci verrebbero posti all'ordine del giomo della Camera senza relazione.
Fissata all'ordine del giorno la discussione di un bilancio, essa si svolge prima di tutto con una discussione di carattere generale sulle linee complessive del bilancio, sui criterî direttivi che lo inspirano e, in generale, sul riparto delle spese. Esaurita la discussione generale, alla quale possono prendere parte tutti i deputati che lo chiedano, si passa alla discussione dei capitoli, facendola però precedere dalla discussione e votazione di ordini del giorno che siano stati presentati dai deputati sul bilancio stesso. Gli ordini del giorno non sono altro che formule d'invito al governo per mutare o modificare le sue direttive in materie generali o speciali riguardanti il bilancio, e possono anche riguardare la proposta d'istituzione di nuovi capitoli, di soppressione di capitoli esistenti, ecc.
Sgombrato il terreno dagli ordini del giorno, si passa alla discussione dei capitoli, la quale consiste nella lettura di ciascun capitolo, sul quale si possono fare particolari raccomandazioni relative alla destinazione e all'uso del capitolo stesso. Buona norma costituzionale, che ora viene rigidamente osservata dalla Camera dei deputati italiana, è che i deputati si astengano dal proporre aumenti di stanziamenti sui singoli capitoli di bilancio. Si potrebbe osservare che, con tale limitazione, la funzione della Camera perde della sua importanza. Ma non è così, poiché alla Camera è riservato di esprimere col voto la sua fiducia nel ministro proponente il bilancio; ed essa può fargli modificare le direttive generali, o invitarlo a dare particolare sviluppo a talune parti del bilancio.
La discussione di ciascun bilancio si chiude con un voto a scrutinio segreto sull'insieme del disegno di legge.
Circa i termini di presentazione e discussione dei bilanci, si può osservare che dal 1848 al 1855 si ricorse al sistema degli esercizî provvisorî: nessun bilancio fu esaminato, discusso e approvato in tempo, sicché gli studî sul bilancio, come disse una volta argutamente il deputato Valerio, erano "puramente storici ed archeologici". Bisogna venire al 1855 per trovare il primo bilancio discusso e approvato tempestivamente.
I metodi di discussione sovente variarono per ragioni contingenti di necessità o di opportunità politica. A volte si deliberò di fare l'esame del bilancio per categorie, anziché per capitoli. Altre volte si stabilì di limitare la discussione ai capitoli sui quali esistesse dissenso fra governo e giunta del bilancio, o anche soltanto all'elenco delle economie proposte dalla giunta e contestate dal governo in ciascuno stato di previsione. Nella tornata del 6 marzo 1863 il deputato Valerio propose alla Camera l'approvazione in blocco dei bilanci di quell'anno: la proposta non fu accolta e si procedette a votazioni separate. Infine, nella tornata 5 giugno 1863, il Crispi con vivo senso realistico, "per uscire dal labirinto degli esercizî provvisorî", propose di saltare la discussione dei bilanci di un anno "per giungere in tempo a discutere maturamente e seriamente il bilancio dell'anno susseguente". La proposta fu accolta e al disegno di legge relativo al bilancio del 1863 fu aggiunto un articolo, secondo cui il bilancio 1863 avrebbe avuto efficacia anche nel 1864, per le spese ordinarie, mentre alle spese straordinarie si sarebbe provveduto con un disegno di legge speciale, come infatti avvenne.
Quanto all'ordine delle discussioni dei bilanci, conviene ricordare che in Inghilterra si segue per tradizione un ordine rigoroso: dopo che il Cancelliere dello scacchiere ha presentato la situazione del Tesoro e la commissione la sua relazione, si discute dapprima l'entrata (ways and means), cioè i mezzi e modi per provvedere alle spese, e dopo si discute la ripartizione della spesa fra i varî servizî. Invece in Francia prima si discute e si vota la spesa (budget des dépenses), poi l'entrata (loi de finance).
In Italia fu dapprima invocata e applicata la teoria inglese: nella tornata 28 gennaio 1863 la richiamò espressamente alla Camera il deputato Nisco. La pratica italiana si svolse però in senso contrario e il bilancio dell'entrata, che del resto nell'ordine di presentazione dei varî bilanci figurava per ultimo, di solito veniva anche discusso per ultimo, o uno degli ultimi. Si riscontra solo qualche eccezione: ad esempio nel 1868, in cui si discusse preliminarmente l'entrata. E nella tornata 7 dicembre 1874 lo stesso ministro delle Finanze, Marco Minghetti, chiese che si discutesse per primo il bilancio dell'entrata: "che di tutti i bilanci è il più importante, e al quale fanno capo tutte le questioni che si riferiscono alla finanza".
Secondo una consuetudine assai frequente, la discussione sul bilancio dell'entrata veniva abbinata con quella della spesa del Ministero delle finanze. E dall'abbinamento delle discussioni è stato ben naturale il passaggio alla riunione dei due bilanci: ciò è avvenuto nel 1926. Infatti per l'esercizio 1926-27, come pure per gli esercizî 1927-28 e 1928-29 troviamo lo stato di previsione della spesa del Ministero delle finanze e lo stato di previsione dell'entrata conglobati in un unico documento parlamentare.
Approvati i bilanci dalla Camera dei deputati, il presidente dell'assemblea trasmette il testo del progetto e dei capitoli al ministro delle Finanze, il quale provvede alla presentazione al Senato.
In principio di ogni legislatura il Senato nomina la commissione di finanza, composta di 30 senatori e incaricata del preventivo esame dei bilanci attivi e passivi dello stato, delle domande di crediti supplementari e delle leggi di approvazione dei conti. Finora la commissione di finanza del Senato veniva eletta col sistema della rappresentanza delle minoranze mediante il voto limitato: ogni votante poteva cioè scrivere sulla propria scheda solo 20 nomi e venivano eletti i senatori che avessero raggiunto almeno il quarto dei votanti. Con la riforma del regolamento approvata nel dicembre 1929, il sistema del voto limitato è stato soppresso: ogni senatore può votare per trenta nomi e vengono eletti i trenta candidati che abbiano riportato maggior numero di voti, purché questo rappresenti almeno il sesto dei votanti. Questa commissione di finanza, che viene ordinariamente composta dei membri del Senato piu competenti in tale materia, procede con sistema analogo a quello della giunta generale del bilancio della Camera dei deputati. Esaminato genericamente ogni singolo bilancio, ne affida l'esame specifico a un relatore, la cui relazione, dopo essere stata approvata dalla commissione, viene presentata al Senato. Posto all'ordine del giorno della seduta del Senato, il bilancio si discute prima in via generale e poi specificamente nei capitoli: indi si vota a scrutinio segreto.
Con l'approvazione dei bilanci da parte del Senato il controllo del parlamento è compiuto. I bilanci vengono poi, dopo la sanzione regia, pubblicati come tutte le altre leggi dello stato.
Francia. - Il principio che l'imposta non sia percetta senza il preventivo consenso della rappresentanza popolare ebbe i suoi albori in Francia nel sec. XV: più volte gli Stati Generali, formati dai rappresentanti dei varî ceti, furono convocati per votare le entrate dello stato o subsides, come di solito venivano designate. Il principio concreto e definitivo fu compreso nella dichiarazione dei diritti del 1789. Esso era così formulato: "Tous les citoyens ont le droit de constater, par eux-mêmes ou par leurs représentants, la nécessité de la contribution publique, de la consentir librement, d'en suivre l'emploi, d'en déterminer la quantité, l'assiette, le recouvrement et la durée." Tale formula fu ripetuta nella costituzione del 1791, in quella dell'anno III, nella carta del 1814, nella costituzione del 1848, infine in quella vigente del 1875. Non solo, ma dal 1818 l'articolo finale della loi de finance, annualmente riprodotto, commina le pene di reato di concussione a tutti i funzionarî che percepiscano imposte non autorizzate dalla legge.
Il consenso e il controllo della spesa costituiscono una delle differenze essenziali tra l'ancien régime e il periodo post-rivoluzionario. Nell'ancien régime - pur consentendo il voto annuale autorizzante le entrate - il potere regio erogava senza controllo le spese pubbliche. Oggi la situazione è, non solo storicamente, ma anche logicamente, mutata: l'entrata non è più presupposto e limite della spesa, ma è la spesa, riconosciuta necessaria, che diviene presupposto e giustificazione dell'imposta. Perciò il parlamento discute e vota prima il budget des dépenses, poi la loi de finances: cioè prima riconosce la necessità dei pubblici servizî e ne stabilisce il fabbisogno, poi consente i sacrifici necessarî per potervi far fronte.
I bilanci dell'epoca napoleonica, al pari dei primi bilanci del regime parlamentare, sotto la Restaurazione, venivano votati con un sistema assai sbrigativo, che si disse de l'abonnement: le spese si approvavano in blocco ogni anno, e così pure le entrate. Il governo aveva amplissime facoltà di storno, potendo, per esempio, destinare a spese militari somme che erano state previste per la pubblica istruzione.
La legge 25 marzo 1817 introdusse in Francia il principio della specialità del bilancio. La Camera francese votò in blocco il bilancio di ciascuno dei sette ministeri di allora: sicché lo storno venne a essere vietato fra un ministero e l'altro. Con ciò il controllo della pubblica spesa fece un grande passo in avanti.
Nel 1821 si cominciò poi a delineare la delimitazione nell'ambito di ciascuna amministrazione; tutte le spese erano ripartite in 31 capitoli. Con la legge 29 gennaio 1831 s'introdusse l'obbligo del voto per capitoli, e si stabilì il divieto di storno da un capitolo all'altro. La specialità si affermò automaticamente con l'aumentare dei capitoli: questi nel 1827 sono già 12; nel 1831, 116; nel 1877, 400. Oggi nel bilancio francese si oltrepassano i 1500 capitoli.
Quanto alla procedura per l'esame del bilancio in Francia, è da notare che, sia alla Camera sia al Senato, funziona una commissione permanente per la preparazione del bilancio: la Commission de finances, che ha una grande importanza politica. Essa ha un'attività per molta parte diversa o meglio più estesa di quella della nostra Giunta del bilancio. Infatti, mentre la nostra Giunta si limita a discutere ed eventualmente emendare il bilancio preparato dal ministro delle Finanze, la commissione francese compie una vera rielaborazione, con lavoro minuto e con modificazioni e spostamenti considerevoli che spiegano i ritardi nell'approvazione dei bilanci. La commissione di finanza è assistita da funzionarî del Ministero delle finanze. Il bilancio quindi arriva alla discussione parlamentare come un vero e proprio compromesso fra governo e commissione. Questa rielaborazione in sede parlamentare è una particolarità del sistema francese che non è affatto seguita in Italia né in Inghilterra, ove i bilanci conservano sostanzialmente immutata la fisionomia della loro origine governativa.
La procedura parlamentare circa la discussione finanziaria è regolata dal capitolo XII del regolamento della Camera francese, dedicato all'Examen du budget. Fino al 1914 i deputati avevano piena libertà di parola come su ogni altro disegno di legge. Ma in quell'anno si stabilì che, in sede di capitoli, ogni oratore non potesse fare che una discussione sommaria, e per non più di un quarto d'ora, né potesse prendere la parola più di una volta. Ma questa buona norma non sempre si è osservata.
Inghilterra. - In Inghilterra, subito dopo la chiusura dell'esercizio finanziario, che termina il 31 marzo, e cioè di solito nei primi giorni di aprile, il Cancelliere dello scacchiere espone alla Camera dei comuni i risultati dell'esercizio allora chiuso, paragonandoli con le previsioni ch'erano state fatte, all'inizio dell'esercizio stesso, l'anno precedente, e rilevando l'eccedenza o il deficit riscontrati sia nelle entrate sia nelle spese. Seguita con le previsioni per il nuovo esercizio finanziario appena cominciato, che di solito sono conformi ai risultati dell'esercizio chiuso. Se il consuntivo dimostra un'entrata presunta inferiore alla spesa, vengono fatte le proposte d'istituzione di nuove tasse o imposte, o di aumento di quelle esistenti; invece l'eccedenza dell'entrata darebbe luogo a proposta di abolizione o di riduzione di tasse o imposte, di solito limitata all'avanzo effettivo dell'esercizio precedente.
La discussione del bilancio in Inghilterra è una cosa assai complicata e irta di formalità che si estendono per tutta la durata della sessione. Non vi è alcun monopolio di commissioni preventive: l'assemblea esamina direttamente il bilancio in tre differenti stadî: 1. quale comitato dei sussidî (supply commettee), votando le spese; 2. quale comitato delle vie e dei mezzi (commettee of ways and means), autorizzando il Tesoro a procurarsi i fondi necessarî per far fronte alle spese votate; 3. in sede del bill di approvazione (appropriation bill) al fine di stabilire l'equilibrio tra le entrate e le spese, fissandone definitivamente le cifre e rendendole esecutive.
Il bilancio inglese, venendo direttamente alla Camera, lascia intera al governo la responsabilità delle proposte: di qui l'importanza politica fondamentale delle discussioni di bilancio. Ad ogni modo, la tutela dell'integrità finanziaria del paese è affidata interamente al governo.
Germania. - La costituzione repubblicana di Weimar dell'11 agosto 1919 contiene le seguenti norme intorno al bilancio: tutte le entrate e le spese del Reich devono essere valutate per ciascun esercizio e incorporate nel bilancio. Questo è stabilito per legge prima dell'inizio dell'esercizio. Le spese sono, di regola, consentite per un anno; possono, in casi particolari, essere consentite per una durata maggiore. È in ogni caso vietato d'introdurre nella legge di bilancio disposizioni che eccedano la durata dell'esercizio finanziario. Il Reichstag non può, senza il consenso del Reichsrat, aumentare gli stanziamenti segnati nel progetto di bilancio, né introdurre nuove spese. L'art. 86 della costituzione impone poi l'obbligo del rendiconto consuntivo annuale che deve essere presentato entro l'anno successivo a quello cui la gestione si riferisce. L'approvazione del consuntivo ha luogo mediante una legge che segue la ordinaria procedura legislativa. L'art. 87 stabilisce che non possano crearsi entrate per via di debiti se non nel caso di esigenze straordinarie e di regola soltanto per spese che abbiano per scopo opere produttive. Per tale creazione occorre una legge del Reich e così pure per qualsiasi prestazione di garanzia che venga posta a carico del Reich.
L'anno finanziario tedesco comincia, secondo il sistema introdotto nel 1876, il 1° aprile e si chiude il 31 marzo.
Ia Germania non vi sono organismi analoghi alla giunta del bilancio o alla commissione di finanza: i bilanci seguono la procedura ordinaria delle leggi.
Priorità finanziaria della camera elettiva. - Un carattere essenziale, connesso strettamente con l'origine storica del bilancio, è quello della priorità finanziaria della camera elettiva, che per noi è la Camera dei deputati. Tale priorità è consacrata in tutte le costituzioni che hanno adottato il sistema bicamerale. La sua motivazione è evidente: al popolo che paga i tributi è consentito il controllo, per mezzo della rappresentanza nazionale, sul modo di destinazione e di distribuzione del gettito delle imposte e delle tasse. Ed è opportuno che tale controllo spetti preliminarmente all'assemblea elettiva, emanazione diretta della nazione attraverso le elezioni, in qualunque forma esse siano compiute, e poi al Senato, emanazione diretta della potestà regia.
Questa priorità si attua in tre diverse maniere:
1. semplice priorità cronologica: la legge finanziaria deve essere presentata prima alla Camera dei deputati e poi al Senato; ma le due camere hanno, almeno in via teorica, pari facoltà nell'esame di essa. Si dice in via teorica, poiché l'incalzare del tempo nel quale si inizia il nuovo esercizio può praticamente distogliere la Camera alta dall'esplicare tale facoltà, dovendo i suoi emendamenti essere di nuovo esaminati dall'altro ramo del parlamento, e potendo ciò compromettere la tempestiva approvazione dei bilanci;
2. facoltà della Camera alta limitata ad approvare o respingere in blocco il bilancio e la legge finanziaria, cioè senza apportarvi emendamenti;
3. facoltà della Camera alta di opporre un semplice veto; ma questo veto può diventare inefficace qualora la Camera bassa insista nella sua primitiva decisione e intervenga la sanzione sovrana a confermarla.
In Italia la precedenza nella competenza della Camera dei deputati è fissata dall'art. 10 dello statuto, il quale dispone: "ogni legge d'imposizione di tributi, o di approvazione di bilanci o dei conti dello stato sarà presentata prima alla Camera dei deputati". La priorità è limitata strettamente ai bilanci veri e proprî; mentre le variazioni ai bilanci, se fatte per decreto-legge, vengono anche presentate al Senato, in seguito alla legge 31 gennaio 1926, n. 100, che accorda facoltà al governo di emanare norme giuridiche.
In Inghilterra, il potere finanziario della Camera dei lord, già scarso, venne praticamente quasi annullato dopo il Parliament Act del 1911. Per quanto riguarda i progetti finanziarî (money bills) i lord hanno un semplice diritto di emendamento. L'emendamento dei lord torna alla Camera dei comuni che può accettarlo o non accettarlo: in caso di rifiuto, se il sovrano dà il suo assenso, l'emendamento dei lord cade. La decisione se un progetto sia finanziario o no agli effetti di questa disposizione, è riservata al presidente della stessa Camera dei comuni. D'altronde, anche per altri rispetti, la Camera dei lord ha una scarsa efficienza e in varie recenti occasioni fu prospettata l'opportunità di rivedere i rapporti tra la Camera dei comuni e quella dei lord. In tale revisione, la quale tuttavia non sembra possa essere imminente, è assai probabile venga in qualche modo attenuata la competenza, che oggi può dirsi esclusiva, della Camera dei comuni per quel che riguarda la materia finanziaria.
In Francia l'art. 8 della legge costituzionale del 1875 dispone: "Le Sénat a concurremment avec la Chambre des Deputés l'initiative et la confection des lois. Toutefois les lois de finance doivent être en premier lieu présentées à la Chambre des Députés et votées par elle".
Vi sono due problemi connessi con questa disposizione e cioè la definizione vera e propria di lois de finance e il limite esatto della preminenza della Camera dei deputati.
Non bisogna interpretare la formula lois de finance né estensivamente né restrittivamente. Afferma la più corretta dottrina costituzionale che siano lois de finance non solo i bilanci, ma anche le leggi d' imposta, e, in genere, ogni legge d'ordine finanziario. Quanto alla portata della preminenza finanziaria della Camera dei deputati è da ricordare che Gambetta, nel suo progetto di revisione costituzionale del 1882, voleva fra l'altro, che la competenza del Senato in materia di finanza dovesse intendersi limitata a un semplice droit de remontrance, cioè a formulare rilievi, e osservazioni da trasmettersi alla Camera, la quale, se crederà, msdificherà il bilancio o il progetto: ma, con la sola presentazione di tali rilievi, la competenza del Senato dovrebbe ritenersi esaurita. Il progetto non ebbe seguito, e neppure un altro, d'iniziativa parlamentare, presentato nel 1884, per regolare legislativamente i rapporti fra le Camere. In pratica, dal 1888, vige in Francia una specie di compromesso, sulla base della cosiddetta "formula Fouquet". Si ritiene cioè che il Senato possa ridurre i crediti votati dalla Camera, ma non possa aumentarli, né votarne di nuovi, salvo che si tratti di un ritorno a proposte già fatte dal governo alla Camera e da questa non accolte. In realtà però, anche in Francia, la necessità di votare tempestivamente il bilancio costituisce di fatto una posizione privilegiata per la Camera, di fronte al Senato.
Annualità del bilancio. - Un altro carattere del bilancio è il suo voto annuale. Questo implica che non si possa dall'assemblea vincolare il proprio voto di bilancio per più di un anno. Sul principio dell'annualità del bilancio non vi è stato mai dubbio. Esso sorge col sorgere del parlamento; fu la necessità della votazione annuale del bilancio quella che assicurò la riconvocazione, almeno annua, del parlamento. Tutti gli stati moderni concordano in questo principio. Ma, se non la durata, variazioni notevoli presenta la data di inizio dell'anno finanziario. Un primo sistema fa coincidere l'anno finanziario con l'anno solare: esso fu seguito dall'Inghilterra fino al 1832 e dall'Italia nel primo ventennio del nuovo regno; presentemente viene applicato in Francia, nel Belgio e in Austria. Altri paesi hanno fissato come inizio dell'anno finanziario il 1° luglio, dimezzando l'anno solare fra due esercizî finanziarî: così l'Italia, la Spagna, gli Stati Uniti e il Canada. Infine, altri stati iniziano l'anno finanziario col 1° aprile: ad esempio l'Inghilterra, la Germania, la Danimarca.
Il principio dell'annualità del bilancio ha dato luogo a critiche e a tentativi di consolidamento. Si è osservato che è superfluo rimettere ogni anno in discussione certi stanziamenti, che hanno carattere fisso e non si possono praticamente variare. Tale è il concetto seguito nel bilancio inglese, che appunto raggruppa nel "fondo consolidato" le spese sottratte al voto annuale del parlamento. La fissazione di una o di alcune, o, eventualmente, di tutte le spese per più di un anno, dà luogo al consolidamento.
È noto che il principe di Bismarck propose nel 1880 al Reichstag un progetto di bilancio consolidato per due anni: la commissione del bilancio però respinse il progetto (12 marzo 1881). Il bilancio poliennale - biennale e anche triennale - era adottato in varî stati della Confederazione germanica prima della guerra. Dopo la guerra, tutti gli stati tedeschi, al pari del Reich, hanno adottato il bilancio annuale. Solo il Baden è tornato, dal 1922, al suo antico bilancio biennale.
In Italia si trova appena un precedente, che è come un tentativo di consolidamento; tentativo soltanto parziale, e rimasto del tutto isolato. In un disegno di legge per provvedimenti finanziarî relativi all'esercizio, venuto in discussione alla Camera nella tornata del 26 maggio 1870, era stato fra l'altro compreso un articolo così formulato: "Finché non sia sancito per legge un nuovo ordinamento dell'esercito, il bilancio della spesa del Ministero della guerra è fissato in 130 milioni". Alla proposta si oppose il Rattazzi, criticandola, perché, qualora fosse stata accolta, avrebbe tolta la garanzia della votazione annua dei bilanci, e soppressa la votazione per capitoli. Il ministro delle Finanze, Quintino Sella, confutò l'obiezione del Rattazzi. La proposta fu votata in quest'altra forma (tornata 1° giugno 1870): "Il bilancio della spesa del Ministero della guerra per l'anno 1871 non potrà eccedere la somma di 130 milioni". Ma tentativi del genere non ebbero mai più luogo in Italia.
In Francia il principio dell'annualità, che era scritto nelle costituzioni del 1791 e del 1848, non si trova più in quella del 1875; si ritenne superfluo proclamarlo. Esso è fondato sulla consuetudine costituzionale ultra-secolare, e del resto non mancano consacrazioni legislative scritte, nelle norme sulla contabilità dello stato. Questo rilievo è decisivo, e va opposto a qualche costituzionalista, come l'Esmein, che dal silenzio della costituzione del 1875 circa l'annualità del bilancio ha dedotta la possibilità che il parlamento voti anche per più anni un'imposta.
Il voto annuo del bilancio - in uno stato a regime parlamentare - giustifica l'annuo riesame della politica generale del governo. Ma si tratta di una giustificazione teorica. Praticamente la lungaggine di tali periodi di discussioni appesantisce e rende meno utile e fecondo il lavoro delle assemblee legislative.
Di recente si è criticato il principio dell'annualità del bilancio, considerandolo come una di quelle numerose regole che si applicavano bene allo stato politico, sociale e finanziario dell'epoca in cui furono create, e che non funzionano più senza inconvenienti, dopo gli sconvolgimenti di ogni natura succedutisi per oltre un secolo. "La persistenza di regole adatte per i tempi placidi e facili della monarchia costituzionale è una delle cause del marasma in cui si dibatte il regime parlamentare" (Barthélemy). E certo il rilievo appare fondato, se si guarda anche solo al bilancio francese, che nel 1815 non raggiungeva il miliardo e oggi oltrepassa i 35, e che da 31 capitoli è arrivato a 1500. Ma l'abolizione del principio dell'annualità del bilancio e il consolidamento per più lunghi periodi, pare un rimedio inadeguato anzi illusorio, giacché l'intenso pulsare della vita contemporanea, se appena consente previsioni molto approssimative dei bisogni inerenti all'esistenza e allo sviluppo di un grande stato moderno, renderebbe in gran parte vana e bisognosa di frequenti revisioni la determinazione di norme e di cifre per più lunghi periodi. L'inconveniente non è questo: esso risale alla degenerazione della discussione parlamentare, che diviene palestra di vanità oratorie. Tuttavia i sostenitori del bilancio ultra-annuale hanno ora anche in Francia un precedente. E precisamente nel 1923, poco prima dello spirare della XII legislatura iniziatasi nel 1919, il bilancio fu votato per 18 mesi, ossia per i rimanenti sei mesi del 1923 e per tutto il 1924.
Esercizio provvisorio dei bilanci. - Una delle manifestazioni patologiche del regime parlamentare era quella dei cosiddetti esercizi provvisori. Questo per l'Italia è ormai soltanto un triste ricordo. Le sedute delle assemblee e, soprattutto, della Camera dei deputati si trascinavano lungamente in discussioni spesso poco fruttifere, le quali finivano per rendere impossibile l'approvazione dei bilanci. Allora si ricorreva, e questo avvenne troppe volte in Italia, all'espediente di sostituire ai progetti dei bilanci un articolo, votato quasi sempre in gran fretta alla fine di giugno, per il quale il governo, per tutto l'esercizio o per metà o anche per un solo mese, era autorizzato a gestire il bilancio non approvato, in via amministrativa. In altre parole, le Camere, che pretendevano di esercitare il massimo controllo sulla gestione dello stato, con la formula compiacente della provvisorietà dell'esercizio, affidavano ai ministri, nel periodo stabilito per l'esercizio provvisorio, la gestione delle spese dello stato, senza alcun preventivo esame delle medesime. Il ministro, che ordinariamente aveva una situazione politica non forte e che sapeva di doversi ripresentare alla Camera per chiedere proroghe dell'esercizio provvisorio, vedeva così interamente paralizzata la sua opera.
Questo sistema sotto il governo dell'on. Mussolini è interamente scomparso. I bilanci sono tempestivamente esaminati dalle sottocommissioni del bilancio, dalla Giunta del bilancio in seduta plenaria, e su di essi un relatore compila un'accurata relazione esaminandoli in ogni loro parte; quindi la Camera con la discussione generale e la discussione degli articoli ne perfeziona l'esame fino all'approvazione. Così il ritmo della vita nazionale corrisponde perfettamente a quell'ordine costituzionale, che è stato voluto dallo statuto e che è il fondamento del nostro diritto pubblico.
Anche in Francia, mancando la tempestiva approvazione dei bìlanci, si ricorre al sistema degli esercizî provvisorî (douzièmes provisoires), ossia si autorizza la gestione finanziaria mensilmente e quindi per ciascun capitolo, in ragione di 1/12 dello stanziamento annuale previsto. Di questo sistema si è fatto grande abuso nell'ultimo quarantennio, tanto che appaiono vere eccezioni gli anni 1904, 1908, 1909, 1924, in cui la discussione e l'approvazione dei bilanci poterono compiersi tempestivamente.
Contenuto giuridico della legge di bilancio. - Nello stato feudale, come nella monarchia assoluta, la finanza pubblica s'identifica col patrimonio del principe. Per ciò resta escluso ogni concetto giuridico del bilancio. Il quale concetto entra nel diritto pubblico con l'affermarsi dello stato costituzionale moderno. Sorge così il problema circa la natura giuridica della legge di bilancio; problema specialmente considerato dalla dottrina pubblicistica germanica e da quella italiana, mentre minore attenzione vi ha dedicato la dottrina francese, e quasi nessuna quella anglosassone.
Le opinioni espresse al riguardo oscillano fra due poli estremi: da un lato, riconoscere al bilancio la natura comune della legge, con i relativi caratteri, sui quali pure si è disputato, della generalità e della necessità della norma; dall'altro, negare al bilancio qualsiasi contenuto normativo, e considerarlo come una legge meramente normale, mentre, nella sostanza, sarebbe un atto amministrativo. Opinioni intermedie distinguono fra l'entrata e la spesa; e, pur affermando che il bilancio della spesa non è mai una legge, attribuiscono tale qualità al bilancio dell'entrata. Questa concezione è particolarmente seguita in quegli stati che - come la Francia e il Belgio - ammettono l'annualità non solo della spesa, ma anche dell'imposta. Altri distinguono tra le cifre degli stanziamenti, che hanno indubbiamente un semplice carattere amministrativo contabile, e gli articoli della legge di bilancio, in cui sono, o possono essere comprese, vere e proprie norme di legislazione materiale.
Secondo più recenti vedute, il contenuto giuridico della legge di bilancio consisterebbe nella possibilità giuridica, stabilita a favore degl'individui che funzionano da organi dello stato e che costituiscono il governo, di volere e di agire validamente, in nome e per conto dello stato, nel campo e per i fini dalla legge di bilancio specificati. Così la legge di bilancio non sarebbe una legge soltanto nella forma, sì bene anche nella sostanza.
Bisogna inoltre considerare come non sia esatta l'affermazione che di solito fanno i sostenitori del carattere puramente formale del bilancio, che cioè le norme sostanziali si trovano nelle leggi organiche preesistenti, e che quindi la legge di bilancio non può avere un proprio contenuto giuridico. Ora è vero che la maggior parte delle spese dello stato è determinata da leggi organiche, e quindi necessariamente continuative e permanenti; vi è però sempre una parte subordinata a concessioni annuali, e per la quale il bilancio conserva un contenuto giuridico incontrovertibile, senza che si possa dire che la concessione di tali spese sia vincolata dalle leggi esistenti.
Con la determinazione della natura giuridica della legge di bilancio si connette strettamente l'altra, se la Camera dei deputati, con emendamenti in sede di bilancio, abbia la facoltà di modificare una legge vigente. È da notare che la legge non verrebbe direttamente abrogata, ma solo verrebbe soppresso nel bilancio il fondo all'uopo stanziato. Tale facoltà viene dalla più corretta dottrina negata, per ragioni non solo e non tanto d'indole politica o finanziaria, ma di stretta tecnica giuridica. Una legge suppone l'accordo dei tre organi legislativi: le due Camere ed il re; e tale accordo si richiede non meno per la formazione che per l'abrogazione della legge. Ora, se si ammettesse che la Camera, valendosi del privilegio che le deriva dalla priorità in materia finanziaria, abbia la competenza di sopprimere un istituto esistente per legge, ciò equivarrebbe a dire che la volontà di uno solo degli organi del potere legislativo farebbe venir meno una legge.
In conclusione, il contenuto giuridico della legge di bilancio consiste in una autorizzazione o attribuzione di competenza ad esigere ed a spendere, che viene dal parlamento conferita al potere esecutivo. Tale facoltà ha però un limite essenziale: l'osservanza delle leggi vigenti, che per il bilancio costituiscono un presupposto necessario.
Rifiuto del bilancio. - Se il bilancio viene sottoposto per l'approvazione al parlamento, è chiaro che bisogna anche ammettere il caso che tale approvazione sia negata. L'ipotesi del rifiuto del bilancio, che è stata da molti ritenuta meramente teorica, ha invece o può avere il suo valore pratico, non foss'altro, per indicare o agevolare la soluzione della crisi politica della quale essa, realizzandosi, è un indice manifesto.
Che il rifiuto del bilancio sia possibile è confermato da varî esempî storici. Oltre quelli, ormai remoti, dei dinieghi di sussidî, frequenti in Inghilterra prima della rivoluzione, segnatamente sotto gli Stuart, è da ricordare nella stessa Inghilterra l'aggiornamento dei sussidî, rinnovato per ben sei volte, nel 1784, per protesta della Camera dei comuni contro il Pitt, che però, sostenuto dalla fiducia del sovrano, Giorgio III, finì per prevalere, e, avuta infine l'approvazione del bilancio, sciolse la Camera, ottenendo poi dalla nuova una maggioranza favorevole alla sua politica. Da allora il caso non si è più ripetuto in Inghilterra ma si è ripresentato nella storia politica di altri paesi. Così nel 1877 il Congresso degli Stati Uniti aggiornò il voto del bilancio della Guerra. In Australia, nello stesso anno, il parlamento di Melbourne respinse tutto il bilancio. Anche in Francia nella tornata 21 giugno 1877, la Camera dei deputati rinviò il voto sulle imposte dirette per dimostrare la sfiducia verso il ministro De Broglie, il quale però, sostenuto dal presidente della repubblica, Mac-Mahon, sciolse la Camera. La nuova assemblea risultò ancora ostile al ministero, e il 4 dicembre 1877 sospese nuovamente il voto del bilancio 1878, finché, ottenute le dimissioni del ministro, votò senz'altro le imposte e l'esercizio provvisorio.
Sono poi famosi i casi di rifiuto del bilancio opposti dal Landtag prussiano al Bismarck durante il conflitto costituzionale del 1862-66. Il cancelliere di ferro non si lasciò smuovere dalla sua politica che preparava il nuovo Impero tedesco; e, malgrado l'opposizione specifica alle spese militari da lui proposte, e malgrado che, sciolta la Camera, la nuova persistesse nell'atteggiamento ostile, egli continuò per quattro esercizî finanziarî a stabilire i bilanci con ordinanza del sovrano; fino a che non si chiuse vittoriosamente la guerra contro l'Austria, nel 1866. Alla stessa soluzione, di pubblicare il bilancio per decreto, ricorse per 3 anni, dal 1885 al 1887, il ministero danese Estrup, in seguito al rifiuto del Rigsdag di votare la legge di bilancio.
Vi è poi anche un esempio italiano. Nella tornata del 19 maggio 1893 la Camera, dopo aver discusso e approvato i capitoli del bilancio della Giustizia per l'esercizio finanziario 1893-94, nella votazione segreta respinse il progetto di legge del bilancio stesso con 138 voti contrarî e 133 favorevoli. Era ministro della Giustizia l'onorevole Bonacci.
Il giorno successivo il presidente del consiglio, Giolitti, in seguito a questo voto, presentò le dimissioni del ministero. Egli propose, nella stessa seduta del 20 maggio 1893, che la discussione dei bilanci continuasse con carattere amministrativo. Si opposero i deputati Branca e Sonnino, sostenendo la tesi della necessità della presenza alla Camera, per l'approvazione dei bilanci, di un ministero politicamente responsabile. La discussione si allargò fra tutti i settori. I deputati Di Rudinì e Fortis furono d'avviso che la Camera dovesse continuare la discussione dei bilanci in via amministrativa. A questo concetto si associò l'on. Galli, sostenendo la tesi che il bilancio rappresentava una necessità costituzionale, dalla quale nell'interesse del paese non si poteva prescindere, anche se il governo aveva rassegnate le dimissioni. L'on. Attilio Luzzatto sostenne doversi votare il bilancio senza significato politico, perché questo era stato assorbito nel precedente voto di sfiducia. Il deputato Arcoleo rilevò che la reiezione di un bilancio era senza precedenti in Italia e, dal punto di vista giuridico, dichiarò di ritenere che si potessero discutere tutti gli altri bilanci considerando quello respinto della Giustizia, come non votato e chiedendo per esso l'esercizio provvisorio. Fu approvata, in definitiva, la proposta del governo; e nelle sedute successive si continuò la discussione di altri bilanci. Il 23 maggio furono annunziate le dimissioni del ministro Bonacci.
Per provvedere al bilancio, dopo rimosso l'ostacolo politico con la sostituzione del ministro, vi era però una difficoltà d'ordine costituzionale, in quanto l'art. 56 dello statuto fa divieto di riprodurre nella stessa sessione un progetto di legge che sia stato respinto da uno dei tre organi del potere legislativo; cosicché, per poter sottoporre nuovamente alla votazione della Camera il bilancio già respinto, si sarebbe dovuto prima chiudere la sessione legislativa. Tale difficoltà fu superata mutando, almeno formalmente, l'oggetto della nuova votazione, ossia richiedendo per quel bilancio l'esercizio provvisorio, sulla base del precedente bilancio 1892-93.
Dall'esame di questi esempî si vede che il rifiuto del bilancio si è presentato storicamente come eccezionale manifestazione di un contrasto politico fra il parlamento e il potere esecutivo. La sua soluzione - dimissioni del Ministero, scioglimento della Camera, o anche, eventualmente, approvazione del bilancio con decreto - dipende dall'entità delle forze in conflitto, fra le quali è naturale riesca a imporsi quella prevalente nell'ambiente e nel momento storico in cui sorge il conflitto.
Comunque, quando in prossimità della scadenza del termine prescritto per l'approvazione dei bilanci un governo venga a trovarsi in crisi, questa non deve ripercuotersi sull'approvazione dei bilanci; onde si è generalmente adottata la formula dell'approvazione in via amministrativa, cioè limitata al significato contabile delle cifre stanziate, per assicurare il regolare andamento dei pubblici servizî, prescindendo da ogni considerazione politica. Il bilancio ha una funzione così alta di carattere costituzionale che non deve essere esposto alle vicissitudini della politica.
Comparazione dei bilanci. - Italia. - La storia della finanza italiana prende le mosse dal 1862, data di presentazione del primo bilancio del regno unificato.
Le vicende di questo bilancio dal 1862 a tutto l'esercizio 1927-28, al quale si riferisce l'ultimo rendiconto, raggiungono una fase culminante con lo scoppio della conflagrazione europea. Quindi queste vicende debbono essere considerate separatamente per i cinquantadue anni dal 1862 al 1912-13 (al bilancio del quale anno bisogna risalire per trovare una gestione non ancora inlluenzata dalla guerra mondiale) e per il quindicennio dal 1913-14 al 1927-28.
Il cinquantaduennio di finanza prebellica si divide in quattro periodi distinti. Il primo periodo, dal 1862 al 1875, comprende gli anni di grandi ardimenti, che hanno portato al compimento della patria unita e al raggiungimento del pareggio, e in questo periodo le spese effettive sono cresciute da 927 milioni, nel 1862, a un miliardo e 82 milioni nel 1875, anche in conseguenza dell'annessione delle provincie venete e di Mantova e della provincia di Roma. Potrebbe perciò apparire lieve l'aumento di 155 milioni in 14 anni, con una media annua di 11 milioni, ove non si considerasse che i 927 milioni iniziali comprendono 219 milioni di spese straordinarie, in massima parte riflettenti le due amministrazioni militari, mentre nel 1875 le spese straordinarie si limitano unicamente a 73 milioni.
Nel secondo periodo, dal 1876 al 1884-85, la categoria delle entrate e delle spese effettive presenta una serie di avanzi, interrotta soltanto da un lieve disavanzo nel primo semestre 1884, dovuto allo spostamento dei termini dell'esercizio finanziario, che fino al 31 dicembre 1883 coincideva con l'anno solare. La spesa effettiva va da un miliardo e 103 milioni nel 1876, a un miliardo e 409 milioni nel 1884-85, con un aumento complessivo di 306 milioni, e in media di 38 milioni l'anno.
Succede il terzo periodo, dal 1885-86 al 1897-98, con una lunga serie di disavanzi, nel quale la spesa effettiva sale da un miliardo e 432 milioni a un miliardo e 620 milioni, ragguagliandosi l'incremento medio annuo a circa 16 milioni.
Il quarto periodo, che comprende gli esercizî dal 1898-99 al 1912-13, è caratterizzato dalla favorevole ascensione delle entrate, le quali, pur consentendo alle spese un largo svolgimento, hanno tuttavia determinato una lunga serie di cospicui avanzi.
Le spese effettive, accertate al termine del 1898-99 nella somma di un miliardo e 626 milioni, si sono elevate a 2 miliardi e 786 milioni nel 1912-13. In apparenza si ha un aumento di spesa di un miliardo e 160 milioni, ma nel fatto, tenuto conto degli effetti della conversione della rendita, che portò una complessiva diminuzione agli stanziamenti passivi per circa 120 milioni, l'aumento fu di un miliardo e 280 milioni.
Il notevole aumento, che corrisponde a una media annua di oltre 91 milioni, è principalmente determinato dal fatto che fra le spese effettive dell'esercizio 1912-13 sono compresi 249 milioni e 878 mila lire per passività dipendenti dall'occupazione della Tripolitania e della Cirenaica e 76 milioni e 120 mila lire di pagamenti anticipati di spese straordinarie per la Guerra, per la Marina e per la costruzione dell'acquedotto pugliese e di altre opere pubbliche. Si tratta nel primo caso di spese eccezionalissime e nel secondo di anticipazioni di cassa in conto di stanziamenti da inscriversi in bilancio nei successivi esercizî. Perciò, quando si voglia prescindere da siffatte partite, come par giusto di fare allo scopo di rendere omogenei i termini di confronto, l'aumento verificatosi nelle spese effettive, durante il quindicennio che precede la guerra mondiale, si ragguaglia a 954 milioni, con una media annua di circa 68 milioni.
Il quindicennio che segue lo scoppio della guerra europea si può raggruppare, invece, in tre periodi.
Il primo periodo riguarda gli anni del conflitto, dal 1913-14 al 1918-19, ed è caratterizzato da cospicui disavanzi effettivi quali mai furono registrati dalla finanza del regno; milioni 164 nel 1913-14; milioni 2835 nel 1914-15; milioni 6891 nel 1915-16; milioni 12.250 nel 1916-17; milioni 17.766 nel 1917-18; milioni 22.776 nel 1918-19. L'aumento delle spese effettive ê vertiginoso: da milioni 2688 nel 1913-14 a milioni 32.451 nel 1918-19, con un incremento annuo medio di milioni 5953.
Segue il secondo periodo, dal 1919-20 al 1921-22, nel quale l'attività dello stato è volta principalmente alla liquidazione delle immediate conseguenze della guerra e al risanamento delle profonde ferite inferte da questa alle varie regioni. I provvedimenti relativi importano passività onerosissime che si riflettono duramente sull'economia generale del paese e quindi sulla finanza dello stato le cui gestioni si susseguono lasciando ingenti deficit effettivi: milioni 7886 nell'esercizio 1919-20; milioni 17.409 nell'esercizio 1920-21 e milioni 15.760 nell'esercizio 1921-22.
Con la gestione 1922-23 si inizia il terzo periodo che si può chiamare di assestamento e di rinnovamento. È questa, dell'anno 1922-23, una data fondamentale nella storia politica e finanziaria dell'Italia. Il disavanzo effettivo che, al 30 giugno 1923, ascendeva ancora a milioni 3029 discende, al 30 giugno 1924, a milioni 418 ed è definitivamente eliminato nel successivo esercizio, lasciando posto, al 30 giugno 1925, a un avanzo di 417 milioni. E l'avanzo viene definitivamente consolidato: sono milioni 468 nel 1925-26; milioni 436 nel 1926-27 e milioni 497 nel 1927-28. Ma queste ultime cifre, che sono quelle che emergono dai documenti finanziarî dello stato, non rispecchiano i reali risultati delle successive gestioni e non possono essere confrontate con i risultati delle gestioni anteriori in quanto in esse sono scontati gli effetti di operazioni speciali. Perché il confronto possa essere fatto bisogna tenere conto delle seguenti circostanze:
1. Che a decorrere dall'esercizio 1926-27 è stata soppressa la categoria speciale di entrate e di spese per costruzione di strade ferrate, provvedendosi a queste ultime, che in precedenza erano fronteggiate con accensione di debiti, con i mezzi normali di bilancio. Di analoga circostanza bisogna tener conto quando si vogliano considerare i risultati della gestione delle entrate e delle spese effettive dal 1862 a oggi. Fino al 1877 le spese per costruzione di strade ferrate sono state comprese fra le spese effettive. Dal 1878 al 1894-95 si è provveduto con alienazione di rendita od obbligazioni ferroviarie. Dal 1895-96 a tutto il 1908-09 si provvede di nuovo con entrate effettive; nel 1909-10 si provvede per 43 milioni con accensione di debiti e per soli 7 milioni con entrate effettive; e finalmente a decorrere dall'esercizio 1910-11 e a tutto il 1925-26 si è provveduto interamente con accensione di debiti.
2. Che a costituire gli accertamenti di spese effettive straordinarie dell'esercizio 1925-26 concorre l'accantonamento di un fondo di 1800 milioni prelevato sull'avanzo effettivo dell'esercizio medesimo, il quale avanzo quindi, anzi che in milioni 468, quale risulta dai documenti contabili, è stato realmente accertato in milioni 2268. Di analoga circostanza bisogna tener conto quando si vogliano stabilire confronti fra i risultati di bilancio delle gestioní successive al 1862. Nel 1911-12 sono compresi fra le spese effettive milioni 62 fronteggiati con mezzi ordinarî di tesoreria e milioni 152 occorsi per le spese della spedizione libica e attinti per 57 milioni dalle eccedenze di cassa lasciate dagli avanzi degli esercizî a tutto il 1910-11 e per 95 milioni dall'avanzo di competenza dello stesso esercizio 1911-12, dopo prelevati altri 3 milioni per il demanio forestale. Nel 1912-13 sono stati prelevati dall'avanzo milioni 111 per le spese della spedizione libica e sono state fronteggiate con mezzi ordinarî di tesoreria altre spese per milioni 76, mentre trovano compenso nel ricavo dal collocamento di buoni del tesoro quinquennali altri 200 milioni. In definitiva dunque mentre dai conti consuntivi dello stato risulta per gli esercizî 1911-12 e 1912-13 un disavanzo effettivo rispettivamente di milioni 112 e di milioni 257, in realtà le gestioni stesse hanno dato un avanzo effettivo di milioni 102 per il 1911-12 e di milioni 129 per il 1912-13.
Quando poi il confronto fra le varie gestioni dovesse scendere ai singoli elementi di bilancio (entrate e spese), bisognerebbe tener conto delle notevoli modificazioni che sono state portate alla struttura del bilancio italiano, soprattutto con l'eliminazione dal bilancio stesso delle entrate e delle spese relative ai servizî dei monopolî industriali, delle poste e telegrafi e dei telefoni che sono stati costituiti in aziende autonome.
Di più occorre tener presente, nel confronto fra i risultati finanziarî dei due periodi, prebellico e post-bellico, della notevole incidenza del progressivo deprezzamento della moneta (sull'andamento delle entrate e delle spese pubbliche), mentre nel raffrontare le risultanze delle gestioni post-belliche non si deve omettere di considerare la forte influenza che sulle entrate e sulle spese degli esercizî successivi al 1925-26 ha esercitato la rivalutazione monetaria, culminata nella cessazione del corso forzoso e nella stabilizzazione legale della moneta.
Inghilterra. - Il bilancio di Guglielmo il Conquistatore raccoglieva 400.000 sterline di entrata; quello di Enrico VIII quasi il doppio. Alla vigilia della vittoria definitiva del sistema parlamentare, nel 1685, si spendevano appena, secondo il Macaulay, 1.400.000 sterline. Nel 1709, regnando Anna, si toccò la cifra di 7 milioni di sterline, che parve enorme.
Durante il sec. XVIII e sino alle grandi guerre con la Francia la spesa oscillò sui 12-14 milioni di sterline. Sopravvenne un incremento delle spese: il lungo regno di Giorgio III, iniziatosi con un bilancio di 15 milioni, si chiuse (1819) con un bilancio di 78 milioni di sterline.
Nel sec. XIX il bilancio più mite si riscontra nel 1833; esso registra iníatti un ammontare di 48.786.047 sterline.
Da allora la progressione riprende un corso ininterrotto. L'esercizio finanziario chiuso il 31 marzo 1914 ebbe un'entrata di 198.242.897 sterline, un'uscita di ben 197.492.969 sterline; si chiuse quindi con un avanzo di 749.928 sterline. Enormi diventano le cifre del periodo bellico. Le spese complessivamente autorizzate, a tutto l'esercizio finanziario chiuso il 31 marzo 1919, ammontano a 8417 milioni di sterline. Il bilancio inglese si viene poi contraendo, di mano in mano che viene ultimata la liquidazione delle forniture di guerra, e raggiunta la normalità finanziaria, che culmina col ripristino della valuta aurea. Infatti la spesa complessiva ammonta a 1584 milioni di sterline nel 1919-1920; 1180 nel 1920-21; 1053 nel 1921-22; 822 nel 1922-23; 800 nel 1923-24; 796 nel 1924-25. Nel 1925-26 il bilancio inglese presenta i dati seguenti: entrata complessiva di 825 milioni di sterline, spesa complessiva di 799.400.000 sterline, di cui 391.929.000 sterline comprese nel fondo consolidato, 407.471.000 sterline nei supply services, cioè nelle spese variabili annualmente. Da notare che queste cifre si riferiscono soltanto alla Gran Bretagna e all'Irlanda settentrionale, perché, com'è noto, lo stato libero irlandese sin dal 1921 ha un proprio parlamento e un proprio bilancio autonomo.
Francia. - Il bilancio di Sully, nel 1607, è calcolato 32.000.000 di franchi: l'ultimo di Colbert nel 1683, 120 milioni di franchi.
Napoleone credeva che alla Francia fosse necessario un bilancio di 600 milioni in tempo di pace, di 800 milioni in tempo di guerra. Infatti il bilancio francese si mantenne intorno agli 800 milioni nel periodo napoleonico; superò solo 1 miliardo nel 1813. Ma bisogna ricordare i notevoli contributi imposti ai paesi stranieri. Si è calcolato che, nei soli anni 1806-1810, i paesi stranieri abbiano dato un contributo di 1.700.000.000 di franchi alle guerre napoleoniche.
Il bilancio di Luigi XVIII, ridivenuto normale, dopo il pagamento delle indennità di guerra, oscilla sui 900 milioni. Sotto Carlo X, nel 1828, fu toccato la prima volta il miliardo, in tempo di pace. Ai deputati impressionati, il ministro delle Finanze Vellèle disse: "Messieurs, saluez ce chiffre: vous ne le reverrez plusl" La profezia doveva avverarsi, ma a rovescio: il bilancio di un miliardo non si vide più, perché si videro poi sempre bilanci superiori al miliardo. Sotto Filippo il bilancio si eleva a un miliardo e mezzo. Si raggiungono i due miliardi durante il Secondo Impero, e si cominciano a oltrepassare dopo il 1860. Alla caduta del Secondo Impero il bilancio del 1870 comprende un'entrata di franchi 3.498.847.276, e si chiude in pareggio.
Prima dello scoppio della guerra mondiale, il bilancio del 1913 ebbe un'entrata di franchi 5.091.744.959 e un'uscita di franchi 5.066.931.220 cioè si chiuse con un avanzo di franchi 24.813.739. Il bilancio del 1913 fu l'ultimo bilancio annuale discusso dal parlamento francese. Sopraggiunta la guerra non si fecero più bilanci annuali. Si ricorse al sistema dei cosiddetti crédits de confiance: il parlamento vota in blocco, dapprima per un semestre (gennaio 1915), poi trimestralmente, i crediti per le spese necessarie, sia per la guerra sia per i servizî civili.
Nel 1915, 1916, 1917 vi è lotta incessante fra il presidente della Commissione del bilancio della Camera e il ministro delle Finanze. Dal 1918 si è ritornati al normale sistema del bilancio annuo.
Le entrate normali, che nel 1915 furono portate a un rendimento di 14 miliardi e 225 milioni, erano evidentemente insufficienti per provvedere alle esigenze spaventosamente crescenti della guerra: si ritoccarono più volte, e infine si ricorse ai debiti. Per avere un'idea dell'incremento bisogna considerare che nel bilancio 1914 della Francia le spese ammontarono a 10 miliardi e 371 milioni di franchi; a 22.120 nel 1915; 36.848 nel 1916; 44.661 nel 1917; 56.649 nel 1918. Le spese militari, che nel 1914 furono di 6 miliardi e 526 milioni, nel 1918 furono di 36 miliardi e 120 milioni. Complessivamente, nei sei anni che corrono dal 1914 al 1919, furono spesi in Francia 224 miliardi di franchi: dei quali 38 miliardi derivanti dalle imposte, 112 miliardi ricavati da prestiti all'interno, 44 miliardi da prestiti all'estero, e 30 miliardi da anticipazioni fatte dalla Banca di Francia.
Il rendimento delle imposte, che non oltrepassava i 14 miliardi nel 1920, raggiunse i 21 miliardi nel 1923: ma non bastarono, e quindi si accrebbero i debiti, sia all'interno sia all'estero. Se guardiamo le cifre del bilancio 1925, troviamo un'entrata di franchi 33.150.844.678 contro una spesa di franchi 33.137.180.618, ossia un avanzo previsto di franchi 18.664.060.
Germania. - Il primo bilancio dell'Impero tedesco, nel 1871, fu di 78.004.146 talleri (un tallero equivaleva a franchi 3,75); e fu chiuso in pareggio. Nel 1875 troviamo il bilancio in marchi (un marco equivale a franchi 1,25): entrate marchi 515.018.563: spesa circa altrettanto. È caratteristica la cura meticolosa del pareggio nella finanza imperiale tedesca. Scorrendo i primi bilanci annuali, non si trova che pareggio o avanzo. Bisogna venire al 1885, per trovare una spesa di 612 milioni di marchi, di fronte a un'entrata di 590 milioni di marchi, ossia un disavanzo di 22 milioni di marchi. Ma di nuovo il 1886 si chiude in pareggio.
Prima dello scoppio della guerra mondiale troviamo nel bilancio dell'Impero tedesco, per l'esercizio 1° aprile 1913-31 marzo 1914, la cifra complessiva di 4 miliardi e 120 milioni di marchi di entrate, e altrettanti di spesa.
Guardiamo le cifre dopo gli armistizî, la caduta dell'Impero e l'istituzione della Repubblica. Nel bilancio 1920-21 le entrate sono 76 miliardi e 74 milioni di marchi; le spese 199 miliardi e 613 milioni di marchi: disavanzo 123 miliardi e 248 milioni di marchi. Questo enorme disavanzo viene coperto con debiti e con l'inflazione. Negli anni immediatamente seguenti, si raggiungono cifre che possiamo definire astronomiche. Infatti per l'esercizio 1923-24 le entrate furono 6521 miliardi e 137 milioni di marchi; le spese 18.949 miliardi e 383 milioni di marchi, disavanzo 12.428 miliardi e 245 milioni di marchi.
L'istituzione del marco-oro ha ridato un valore alla valuta tedesca. Così, per l'esercizio 1925-26, troviamo le seguenti cifre di bilancio: entrata 7.348.689.187 marchi-oro; spesa 7.419.538.859 marchi-oro, con un modesto disavanzo previsto di 70.849.672 marchi-oro.
Bilancio degli enti locali.
In Italia l'indipendenza politica delle grandi repubbliche, i liberi ordinamenti dei comuni, la mancanza o quasi di grandi demanî pubblici che presto impose di ricorrere ai tributi col consenso dei cittadini, favorirono, prima che altrove, un formale ordinamento della finanza locale e quindi del bilancio che è il documento periodico che la esprime.
Sotto il primo Regno italico i bilanci dei comuni, detti conti preventivi, dovevano essere deliberati nelle adunanze di settembre e ottobre (art. 25 del decreto 8 giugno 1805); e con le istruzioni della direzione generale dell'amministrazione dei comuni (18 agosto 1810) vennero stabiliti i moduli dei preventivi. Norme non troppo dissimili vennero successivamente date per la formazione dei preventivi dei comuni del Regno Lombardo-Veneto, sotto la dominazione austriaca, in Piemonte e nella Toscana.
Per il regno d'Italia la disciplina del bilancio (il quale è oggi di competenzo) risale, per i comuni e le provincie, alle istruzioni del 1° aprile 1838 (cap. IV) e 15 marzo 1860, mentre la legge organica del 20 marzo 1865, n. 2248, e il regolamento relativo non contenevano speciali disposizioni sui bilanci. Istruzioni specifiche vennero diramate il 25 agosto e il 19 dicembre 1865, il 21 gennaio 1867 e il 20 luglio 1871. Col r. decreto 6 luglio 1890, n. 7036 (serie 3ª), si provvide a mettere in armonia la contabilità dei comuni e delle provincie con quella dello stato. Presentemente le norme per i bilanci degli enti territoriali locali sono stabilite con la legge comunale e provinciale (testo unico 4 febbraio 1915, n. 148, riformato dal r. decreto 30 dicembre 1923, n. 2839, e con il regolamento esecutivo del 12 febbraio 1911, n. 297).
Per gli enti istituzionali, la legge del 3 agosto 1862, n. 753, faceva obbligo agli amministratori delle opere pie di formare il bilancio e il consuntivo del proprio istituto. Con il regolamento 5 febbraio 1891, n. 99, tuttora vigente, sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, venne stabilito anche per gli enti istituzionali il bilancio di competenza.
Il bilancio degli enti locali, come quello dello stato, è un bilancio finanziario. Sono quindi materia del bilancio degli enti locali, senza alcuna esclusione, tutte le entrate e tutte le uscite a denaro dell'anno (esercizio) cui il bilancio si riferisce, qualunque sia la loro natura - economiche, patrimoniali, per conto di terzi o figurative - purché presuppongano un reale ed effettivo movimento di cassa.
Nella loro finalità i bilanci degli enti pubblici sono mezzo e strumento di amministrazione e di controllo: sono bilanci di norma e di vincolo in quanto servono di guida all'opera amministrativa e nello stesso tempo di freno. Sotto il primo aspetto il bilancio preventivo deve contenere il piano completo di tutta la gestione dell'esercizio nelle sue previsioni esatte quanto più è possibile. Sotto il secondo deve contenere autorizzazioni ben definite e specificate perché sia agevole, in sede di rendiconto, il controllo degli organi deliberativi e di tutela.
Nei riguardi economici e finanziarî i principî che debbono informare la compilazione dei bilanci degli enti locali sono diversi a seconda che si tratti di corporazioni o di fondazioni. Nelle prime, che vivono di tributi, le entrate in genere si adeguano alle spese: prima cioè si determina la necessità e l'utilità di queste e poi si stabilisce l'entità delle contribuzioni che occorrono per farvi fronte. Donde la norma che non si tolga per via di imposte al contribuente più di quanto è necessario esigere da esso. Nelle fondazioni, invece, che traggono i mezzi di vita esclusivamente o principalmente da un proprio patrimonio, è principio inderogabile che le spese siano, in ogni caso, adeguate alle rendite del patrimonio per modo che questo non venga per nessuna ragione intaccato.
Il bilancio degli enti locali si divide in due parti: la prima è costituita dall'entrata, la seconda dall'uscita. Le entrate e le uscite sono classificate nei tre titoli seguenti: entrate e uscite effettive; entrate e uscite per movimento di capitali; contabilità speciali e partite di giro.
Sono entrate e uscite effettive quelle che all'atto della loro constatazione aumentano o diminuiscono effettivamente la sostanza patrimoniale; entrate cioè che, non erogate, accrescerebbero il capitale dell'ente; uscite che rappresentano effettive erogazioni in sé stesse o per i fini dell'ente e importano diminuzione del capitale dell'ente. Sono entrate effettive i redditi patrimoniali, i tributi, i proventi dei pubblici servizî, i proventi di qualsiasi natura, gli interessi sul capitale conferito e il reddito netto delle aziende speciali (servizî municipalizzati o provincializzati); sono spese effettive quelle occorrenti per ottenere i redditi patrimoniali, gli interessi passivi sui mutui contratti, le spese di amministrazione e per gli uffici, per il funzionamento dei pubblici servizî e, in genere, tutte le erogazioni che soddisfano agli scopi e ai fini dell'ente. Negli enti istituzionali a carattere di fondazione (opere pie, istituti di assistenza e beneficenza, ecc.), dove la conservazione del patrimonio è condizione indispensabile per la vita dell'ente, le entrate e uscite effettive finanziarie debbono in modo assoluto corrispondere a quelli che sono i redditi e le spese di un bilancio economico, appunto perché è essenziale che il patrimonio redditizio sia conservato intatto agli scopi della fondazione. Anzi il regolamento 5 febbraio 1891, in esecuzione della legge 17 luglio 1890, stabilisce espressamente all'art. 29 che le spese di nuove costruzioni e di grandi riparazioni agli stabili debbono, di regola, essere stanziate in bilancio nel titolo primo, spese effettive straordinarie, tranne che si possa dimostrare che tali spese produrranno un reale aumento immediato o prossimo di patrimonio, nel qual caso soltanto, la parte di spesa corrispondente a tale aumento può essere inscritta nel titolo II, movimento di capitali; ma per ciò pare occorre una speciale autorizzazione dell'autorità tutoria.
Nei bilanci degli enti autarchici territoriali il carattere di spesa effettiva è determinato dal fine pubblico che l'ente adempie. Le erogazioni con le quali, mediatamente o immediatamente, il fine pubblico si consegue, sono in generale spese effettive. Cosicché la costruzione di edifici scolastici, le costruzioni per i mercati, per il pubblico macello, ecc.; l'acquisto di macchine e strumenti per il servizio della nettezza pubblica, ecc., sono spese effettive in quanto occorrono imprescindibilmente al conseguimento dei fini dell'ente, e l'entità patrimoniale che ne risulta non potrebbe essere realizzata se non quando i beni relativi cessassero dall'uso al quale sono destinati.
Sono invece entrate e uscite in movimento di capitali quelle che importano trasformazioni, aumenti o diminuzioni nella sostanza patrimoniale attiva o passiva: così sono entrate per movimento di capitali la vendita di beni fruttiferi, le affrancazioni di canoni attivi, la creazione di debiti; sono uscite per movimento di capitali il rinvestimento di capitali in acquisti o costruzioni di immobili capaci di dare una rendita, l'affrancazione di canoni passivi, l'estinzione di debiti. In conformità dell'art. 21 del regolamento citato per l'esecuzione della legge sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, i lasciti, i doni destinati a essere capitalizzati e gli avanzi delle rendite, quando sia stato deliberato che essi vadano ad aumentare il patrimonio dell'ente, debbono essere inscritti nei movimenti di capitale.
Entrate e uscite delle contabilità speciali e in partite di giro sono le entrate e le uscite che appartengono per competenza alla gestione di altre aziende o di terzi: somme incassate e che per ugual somma si debbono versare; riscosse e che per ugual somma si debbono pagare, in dipendenza di rapporti giuridici con altri enti o con individui.
Nei bilanci degli enti locali il titolo III, chiamato contabilità speciali, è diviso in due categorie: la prima comprende le partite di giro, cioè entrate e spese che hanno effetto puramente figurativo, come le anticipazioni e i relativi rimborsi, i depositi e le relative restituzioni; la seconda comprende le entrate e uscite degli stabilimenti amministrati dal comune o dalla provincia.
Le partite di giro sono quindi, per loro natura, entrate e uscite finanziarie (a denaro) che non alterano i proventi effettivi e le spese dell'istituzione.
La distinzione dei bilanci degli enti locali in questi tre titoli è di capitale importanza: il titolo primo - entrate e spese effettive - dà l'indice della situazione economica dell'ente, giacché a seconda che le entrate effettive siano superiori alle spese effettive o viceversa, si avrà un avanzo o un disavanzo reale del bilancio. Il titolo secondo (movimento di capitali) può pareggiare in entrata e uscita, e allora la situazione economico-finanziaria del bilancio rimane quella che risulta dallo sbilancio tra le entrate e le spese effettive; può invece, specie per i bilanci degli enti territoriali, servire a colmare la deficienza delle entrate sulle spese e allora il preventivo dell'ente è in pareggio finanziariamente, ma resta in disavanzo economico: si provvede cioè, con alienazione di patrimonio o con prestiti, a colmare la differenza tra le entrate e le spese effettive. Nei bilanci degli enti istituzionali che hanno per norma assoluta di gestione la conservazione del patrimonio, il movimento di capitale deve, in via normale, conservare il pareggio fra le entrate e le uscite (art. 21 del regolamento esecutivo 5 febbraio 1891, n. 6972). Il titolo III, partite di giro e contabilità speciali, deve sempre essere in pareggio. Il complesso dei tre titoli costituisce il bilancio dell'ente che deve finanziariamente essere in pareggio non potendosi presentare bilanci in disavanzo, poiché la gestione deve adeguare le necessità ai mezzi, né in avanzo poiché le somme disponibili debbono essere o applicate a bisogni straordinarî o investite in patrimonio.
Le entrate e le spese del bilancio, oltre che nei tre titoli fondamentali cui si è accennato, si suddividono: per gli enti locali territoriali, in capi, categorie, articoli; per gli enti locali istituzionali, in capitoli e articoli. Gli articoli vengono abitualmente suddivisi in lettere.
Negli enti locali territoriali le entrate effettive si dividono in due capi: ordinarie e straordinarie. Sono ordinarie le entrate originate da cause permanenti o dipendenti dal normale andamento dell'amministrazione; straordinarie tutte le altre. Le spese effettive si dividono in obbligatorie e facoltative; le obbligatorie in ordinarie e straordinarie; le ordinarie in fisse e a calcolo. Obbligatorie le spese poste a carico dei comuni e delle provincie dalla legge; facoltative le altre. Sono spese ordinarie quelle originate da cause permanenti o dipendenti dal normale andamento dell'amministrazione: straordinarie le altre. Sono spese fisse quelle derivanti da leggi organiche o da impegni permanenti e che hanno scadenza determinata; sono spese a calcolo quelle di carattere variabile, relative a servizî per i quali vengono stanziati in bilancio appositi fondi di cui l'impiego effettivo non si può prevedere che in linea approssimativa. In bilancio deve essere espressamente indicato, per ciascun articolo, se la spesa è fissa o a calcolo. La distinzione delle entrate effettive e delle spese effettive obbligatorie nei due grandi capi di entrate e spese ordinarie e straordinarie è di capitale importanza ai fini di una saggia e oculata amministrazione. Normalmente le entrate effettive ordinarie debbono provvedere almeno a tutte le spese obbligatorie ordinarie e a quella parte di spesa obbligatoria straordinaria che può considerarsi ogni anno ricorrente, non per il titolo ma per l'importo. La distinzione delle spese in fisse o a calcolo ha importanza perché, mentre le prime possono essere erogate con semplice ordinativo del podestà, per le seconde occorre una sua deliberazione, che, a seconda della natura della spesa, è soggetta al visto del prefetto o all'approvazione della giunta provinciale amministrativa.
Tanto le entrate quanto le spese dei due capi cui si è accennato si dividono in categorie distinte per materia; le categorie si dividono in articoli secondo i servizî attinenti alla stessa materia e allo stesso scopo. Per le spese, la suddivisione in articoli distingue le spese fisse, che debbono essere distinte dalle variabili, le spese di materiale e, per quanto la legge non lo dica, anche quelle di personale. Queste specificazioni vengono ordinariamente poste in evidenza con la suddivisione dell'articolo in lettere e concorrono ai fini di un'ordinata classificazione della materia e dell'esame di controllo delle autorità di tutela. Per queste stesse ragioni non debbono essere cumulate in uno stesso articolo entrate e spese relative a diversi servizî.
Nei bilanci degli enti autarchici istituzionali, data la varietà e diversità dei medesimi e la natura eminentemente patrimoniale dell'ente, la legge si limita a distinguere le entrate e le spese in titoli, sezioni, capitoli, articoli. La sezione corrisponde ai capi del bilancio degli enti locali territoriali, il capitolo all'articolo, l'articolo alla lettera.
Il prospetto che segue riassume, nelle sue linee fondamentali, la classificazione delle entrate e delle uscite degli enti locali territoriali.
Le disposizioni vigenti sui bilanci degli enti locali stabiliscono che l'avanzo o il disavanzo dell'ultimo esercizio chiuso, eventualmente modificato con le variazioni derivanti dal risultato prevedibile dell'anno in corso (i preventivi di un esercizio si preparano nel mese di settembre dell'anno precedente), debba essere stanziato nel bilancio di previsione. Questa disposizione, che non ha riscontro nel bilancio dello stato, è stata vivamente criticata da autorevoli scrittori per considerazioni che hanno, più che altro, valore teorico. In concreto bisogna tener conto che si tratta di disciplinare e controllare l'attività finanziaria di enti che dal piccolo comune vanno ai grossi aggregati urbani; dalle modeste opere pie alle grandi congregazioni di carità che amministrano patrimonî cospicui e concentrano e gestiscono le opere pie prive di rappresentanza o aventi una rendita annua inferiore alle L. 20.000.
Quando un esercizio finanziario abbia cagionato un disavanzo è necessario che nel bilancio dell'esercizio più prossimo si provveda a eliminarlo; così è inutile, in caso di avanzi precedenti, gravare la mano sui contribuenti o ridurre le forme di assistenza per provvedere alle spese ordinarie e straordinarie degli esercizî successivi. Pertanto l'inscrizione nei bilanci di previsione degli avanzi o disavanzi precedenti, mentre collega praticamente, nell'ordinamento degli enti locali, la gestione finanziaria dei varî esercizî, facilita l'esame concreto e il controllo del bilancio da parte degli organi deliberativi e di tutela. E in ciò è la migliore garanzia e cautela per eliminare o ridurre il pericolo di latenti e permanenti dissesti finanziarî nella gestione degli enti locali.
La forma del bilancio degli enti locali è stabilita per gli enti territoriali con le istruzioni ministeriali del 24 settembre 1900, n. 15200-10, e per gli enti istituzionali dal citato regolamento esecutivo della legge. In concreto il bilancio di previsione distingue in apposite colonne, per ogni stanziamento: l'oggetto della previsione, preceduta dall'indicazione degli articoli (o capitoli) e delle lettere (o articoli) nei quali è distribuita la materia, con riferimento a quelli corrispondenti dell'anno precedente; l'ammontare degli accertamenti risultanti dall'ultimo consuntivo chiuso; l'ammontare delle previsioni dell'anno in corso (quelle cioè dell'anno precedente all'esercizio per il quale si compila il preventivo); le variazioni in più e le variazioni in meno in confronto di quello; le somme risultanti, e cioè la previsione proposta col bilancio; le somme definitive approvate dall'autorità tutoria. Il tutto esposto distintamente per titoli, capi, categorie, articoli e lettere. Una colonna per le annotazioni serve a indicare quei raffronti, a dare quelle spiegazioni e quelle notizie che possono giovare alla più chiara e completa comprensione della materia del bilancio.
Un quadro generale riassume, infine, tutta la materia del bilancio per le somme complessive dei titoli, capi, categorie, in modo che si possano rilevare d'un tratto le entrate e le uscite nella loro classificazione e contrapposizione essenziale.
Ai bilanci di previsione dei comuni e delle provincie vanno allegati quelli delle aziende speciali (servizî municipalizzati e provincializzati) che, data la doppia natura loro di enti pubblici e di aziende industriali, debbono presentare due bilanci: l'uno finanziario, l'altro economico. A quest'ultimo deve essere unito il riassunto dei conti aperti al comune o alla provincia (conferimenti ricevuti, interessi dovuti sui medesimi, parte del profitto netto devoluto al comune o alla provincia, o perdite che questi debbono rifondere), come pure un prospetto che indichi il costo unitario del servizio e la situazione generale del patrimonio.
Per le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza la forma del bilancio è stabilita, come si è accennato, coi modelli allegati al regolamento 5 febbraio 1891, n. 99.
I bilanci di previsione dei comuni e delle provincie debbono essere deliberati per il comune entro il mese di novembre (art. 129 legge com. e prov. testo unico 4 febbrȧio 1915) e per le provincie nel mese di agosto precedente l'anno cui il bilancio di previsione si riferisce. Le deliberazioni che approvano i bilanci dei comuni e delle provincie debbono essere pubblicate all'albo pretorio nel primo giorno festivo o di mercato; se però con il bilancio si eccede il limite legale della sovrimposta, esso deve essere pubblicato per otto giorni e depositato in segreteria a disposizione del pubblico, potendo ogni contribuente avanzare reclamo alle autorità competenti (art. 310 testo unico citato). I bilanci, dopo eseguita la pubblicazione, debbono essere inviati al prefetto per l'esame e il visto di legalità, se il bilancio non eccede il limite normale della sovrimposta, mentre quando lo eccede occorre l'esame e l'approvazione di merito della giunta provinciale amministrativa.
I preventivi delle aziende municipalizzate o provincializzate debbono essere deliberati e trasmessi al comune e alla provincia prima che questi abbiano approvato i loro bilanci, affinché vi possano essere compresi gli stanziamenti che collegano i bilanci delle due aziende (capitali da conferirsi dal comune e dalla provincia; interessi sui detti conferimenti, utile o perdita della gestione per la parte che va in vantaggio o a carico del comune o della provincia).
I bilanci delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza vengono deliberati nel mese di settembre dell'anno precedente a quello cui il preventivo si riferisce: ogni anno, per le istituzioni che esercitano l'assistenza e la beneficenza a favore dei poveri esistenti nel territorio di tutto il regno e per quelle che hanno un'entrata patrimoniale effettiva superiore alle L. 50.000; ogni tre anni, per tutte le altre.
Una copia del bilancio deve essere depositata nella segreteria del comune per otto giorni consecutivi e tale deposito deve essere comunicato al pubblico mediante apposito avviso da affiggersi all'albo pretorio del comune. Trascorso il detto periodo il bilancio è trasmesso al prefetto per l'approvazione della giunta provinciale amministrativa.
Quando si tratti di istituzioni sussidiate dallo stato l'approvazione viene deferita al Ministero dell'interno a meno che si tratti di sussidio che sia già stanziato nel bilancio del ministero e non ecceda le L. 5000 annue; nel qual caso l'approvazione è delegata al prefetto. I bilanci definitivamente approvati dall'autorità tutoria diventano esecutivi e nei limiti da essi assegnati si svolge la gestione finanziaria dell'ente, la quale sarà poi espressa, in confronto della previsione, nel conto annuale o bilancio consuntivo o rendiconto della previsione, che è il bilancio degli adempimenti giuridici posti in essere con l'esecuzione del bilancio preventivo; il documento finale dell'amministrazione col quale chi è preposto al governo dell'ente rende il conto della sua gestione.