TOMITANO, Bernardino
– Nacque nel 1517 a Padova, dove trascorse tutta la vita, figlio forse primogenito di Donato.
La sua era un’illustre famiglia originaria di Feltre, che annovera tra gli antenati il beato Bernardino da Feltre, zio per parte paterna dello stesso Donato. In seguito all’assalto di Feltre (1506) compiuto dall’esercito dell’imperatore Massimiliano in guerra con Venezia, questo ramo della famiglia si era definitivamente trasferito a Padova, dove Donato aveva avuto probabilmente i natali e vi aveva esercitato il commercio con buon successo; rimasto ben presto vedovo della prima moglie Onesta Capodilista, dalla seconda, la cui identità non è nota, ebbe quattro figli: oltre a Bernardino, Ludovico (addottoratosi in artibus nel 1554), Francesco e Cecilia, andata in sposa a Bartolomeo Sforza.
Dopo aver ricevuto in famiglia la prima istruzione, appena tredicenne Bernardino fu avviato dal padre agli studi di logica, poi di filosofia e medicina presso lo Studio patavino. Qui ebbe come maestri Marcantonio Zimara per la logica, Marcantonio de’ Passeri (Genua) per la filosofia, Francesco Frigimelica e Ludovico Carensio (il Tosetto) per la medicina; come compagno alle lezioni di anatomia e poi come collega e amico ebbe Andrea Vesalio. Alla sua formazione medica contribuirono altresì grandi figure di medici umanisti attivi allora a Padova, quali i veronesi Girolamo Fracastoro, da lui assiduamente frequentato e, in anni più tardi, lo stimatissimo Giovanni Battista da Monte. Fuori dallo Studio, la frequentazione di Pietro Bembo e della sua cerchia e l’amicizia con letterati e dotti animatori della cultura cittadina, primo fra tutti Sperone Speroni, con il quale rimase sempre in rapporto di grande familiarità, gli permisero di coltivare l’interesse per le lettere e di completare la sua formazione anche sul versante umanistico.
Il 30 luglio 1538 conseguì il dottorato in artibus, ricevendo le insegne da Genua e avendo come promotore Speroni; poco dopo (non è nota la data esatta) si addottorò in medicina. D’ora in avanti avrebbe dedicato l’intera esistenza allo studio e all’insegnamento filosofico, all’esercizio della medicina, alle lettere. Subito aggregato al Collegio dei dottori artisti, nel 1539 gli fu conferita la terza cattedra di logica, con l’incarico di leggere l’Organon aristotelico; passò l’anno successivo alla seconda e nel 1543 alla prima. Eccettuato un breve periodo di assenza per malattia nel 1550, probabilmente un eccessivo affaticamento per l’intensa attività di studio, nel quale fu sostituito da Bernardino Trevisano, Tomitano sedette su quella cattedra fino al 1563.
A testimonianza della sua attività di docenza resta una considerevole mole di appunti manoscritti preparatori delle lezioni, insieme a reportationes studentesche, numerose specie a partire dall’anno accademico 1550-51. I frutti a stampa del suo impegno di logico sono la breve, giovanile Introductio ad sophisticos elenchos Aristotelis (Venetiis, per Bartholomeum Imperatorem et Franciscum eius generum, 1544), e l’importante commento agli Analitici (Animadversiones aliquot in primum librum Posteriorum resolutoriorum. Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta), confluito nell’edizione giuntina del 1562 delle opere di Aristotele (poi nel terzo volume, 1574, della ristampa dell’opera), con la prefazione dell’allievo polacco di Tomitano, Giacomo Breznicio, che ne curò l’allestimento collazionando, sotto la sua supervisione, gli appunti del maestro.
Rappresentante di rilievo dell’aristotelismo umanistico che si afferma all’interno della scuola padovana a metà Cinquecento, Tomitano si caratterizza per il metodo filologico di lettura del testo aristotelico nell’originale greco, nel confronto privilegiato con gli antichi commentatori greci e i moderni umanistici e per il frequente ricorso all’autorità di Platone. Il contributo da lui portato al pensiero logico, riconducibile al filone averroista del maestro Zimara, consiste nella centralità delle questioni di metodo; nella trattazione del regressus come strumento logico fondamentale per la conoscenza dei fatti naturali; nell’affermazione del valore puramente strumentale della logica; nella definizione delle arti sermocinali (grammatica, retorica, poetica) come arti logiche; nella distinzione tra logica del vero, propria della scienza, e logica del verisimile, propria della retorica.
A ridosso della stampa dell’Introductio, e in linea con la centralità da essa accordata ai fatti linguistico-retorici, secondo una tendenza che caratterizza la cultura padovana di quegli anni, nel 1545 vide la luce il trattato in forma di dialogo, in tre libri, Ragionamenti della lingua toscana (Venezia, Giovanni Farri e fratelli), ristampato l’anno seguente con l’aggiunta dei Precetti della rhetorica secondo l’artificio d’Aristotele e Cicerone; infine, rimaneggiato e ampliato, nuovamente edito nel 1570 con il titolo Quattro libri della lingua thoscana (Padova, Olmo). Insieme ai sei sonetti che in quello stesso 1545 apparvero nella giolitina delle Rime diverse di molti eccellentissimi auttori, i Ragionamenti inaugurarono l’attività letteraria di Tomitano.
Prendendo le mosse dall’‘incoronazione’, il 13 novembre 1541, di Speroni, principale interlocutore del dialogo, a ‘principe’ della padovana Accademia degli Infiammati (1540-42), l’opera intende promuovere la scrittura volgare nella prosa ‘alta’, filosofica, scientifica e, soprattutto, oratoria, mettendo al centro del dibattito il rapporto tra sapienza ed eloquenza e rimeditando gli insegnamenti retorici dei classici e di Bembo alla luce delle avanguardie padovane. Oltre a fornire testimonianze preziose per la ricostruzione dell’attività dell’illustre cenacolo degli Infiammati, i Ragionamenti documentano la partecipazione di Tomitano, almeno a partire dalla data di inizio del governo speroniano. Anche le successive accademie sorte in Padova lungo la seconda metà del secolo si giovarono del suo apporto: insieme a Speroni e a Trevisano egli si adoperò per animare l’Accademia degli Elevati (1557-60), dove tenne lezioni di poetica latina e volgare; fu tra i sodali dell’Accademia degli Eterei (1563-68) e tra i promotori di quella degli Animosi (1573-76).
Oltre che nella composizione poetica volgare, cui continuò a dedicarsi circa fino al 1550, con una produzione di sonetti e canzoni nel solco del petrarchismo, editi in diverse antologie di rime, l’impegno letterario di Tomitano, riconducibile all’influsso dell’esperienza ‘infiammata’, ebbe modo di esercitarsi anche nel campo della traduzione: nel 1547, su richiesta dell’amico genovese, ma allora a Padova, Gioacchino da Passano, tradusse la Parafrasi erasmiana del Vangelo di Matteo, che il committente diede subito alle stampe sotto il nome di Tomitano (Esposizione letterale del testo di Mattheo evangelista, Venezia, Griffio, 1547).
Forse in quello stesso anno convolò a nozze con Elisabetta Zampeschi, dalla quale ebbe l’unico figlio, Donato, che sarebbe morto senza figli nel 1595.
Nella lunga Lettera al magnifico M. Francesco Longo (in J. Morelli, Operette, III, Venezia 1820, pp. 321-407), datata 30 agosto 1550, Tomitano diede notizia delle cure rivolte all’educazione del figlioletto e della sua vita personale, con accenni ai disturbi uditivi che sarebbero via via peggiorati fino quasi alla sordità, nonché alla recente sofferenza per una «gravissima maninconia» (p. 347) che lo aveva tenuto assente dall’insegnamento nella primavera del 1550; e vi descrisse anche l’impegno nell’esercizio della medicina e («scacciate del tutto le Muse», p. 452) nella preparazione dei corsi universitari che avrebbe ripreso in autunno. La lettera è un trattatello ‘di formazione’, in buona parte incentrato sul valore dell’eloquenza, indirizzato al giovane patrizio veneziano appena nominato senatore.
Negli anni subito seguenti ebbe occasione di cimentarsi nella prosa oratoria e di tornare a dedicarsi, ora dalla prospettiva dell’eloquenza sacra, alla riflessione teorica in materia, contribuendo in modo rilevante al tentativo dei letterati, attorno alla metà del secolo, di definire il genere della prosa oratoria italiana e di affermarne la piena dignità. Nel 1553, incaricato dallo Studio padovano delle arti, compose nel genere epidittico l’Orazione ne la creatione del serenissimo principe di Vinetia m. Marcantonio Trivisano (Venezia, Griffio, 1554); l’anno successivo volse il proprio interesse all’oratoria sacra in lingua volgare, scrivendo il Discorso sopra l’eloquenza e l’artificio delle prediche [...] di monsignor Cornelio Musso, premesso alla princeps del primo libro delle Prediche (Venezia, Giolito, 1554) del francescano vescovo di Bitonto, con il quale Tomitano da tempo aveva stabilito uno stretto sodalizio (M.T. Girardi, «L’arte compiuta del viver bene». L’oratoria sacra di Cornelio Musso (1511-1574), Pisa 2012; il testo del Discorso alle pp. 217-222).
A Musso e al comune amico fraterno Alvise Cornaro egli ricorse chiedendo loro la disponibilità a fare da testimoni (ciò che non fu poi necessario), quando nel 1555 dovette discolparsi presso il tribunale veneziano dell’Inquisizione a causa dei sospetti suscitati dalla sua Esposizione del Vangelo di Matteo. Tomitano affidò la propria autodifesa alle due orazioni Alli signori della Santissima Inquisitione (Padova, Gratioso Perchacino, 1556), la prima dedicata alla rivendicazione del suo ruolo di semplice traduttore e alla confutazione delle tesi erasmiane; la seconda, scritta dopo che già era stato assolto, di carattere più letterario, nel genere dell’eloquenza sacra (M.R. Davi, Bernardino Tomitano..., 1995, pp. 24-35).
L’episodio non ebbe alcuno strascico, ma l’anno seguente Tomitano diede alle stampe un poemetto in esametri latini in lode di Reginald Pole, Clonicus sive de Reginaldi Poli laudibus (Venezia, Paolo Manuzio, 1556), per la missione da lui compiuta, nel 1554, in Inghilterra in aiuto di Maria la Cattolica. L’encomio di Venezia, tessuto nella seconda parte dell’egloga, la accomuna all’altra, Corydon sive de Venetorum laudibus, stampata sempre dal caro amico Aldo Manuzio, nello stesso 1556, insieme a due brevi carmi, per il prefetto di Padova Vincenzo Diedo e per il doge Lorenzo Priuli. La ripresa in quell’anno dell’attività poetica, di preferenza in latino, avvenne dunque nel segno della fedeltà e dell’amore di Tomitano per la Repubblica veneziana, celebrata, già nell’orazione per il doge Trevisan e sparsamente in tutte le sue opere, come baluardo di civiltà, libertà e pace. Dello stesso tenore è l’ultima prova poetica, ancora latina, l’egloga Thetis, composta ed edita nel 1574 (Venezia, s.t.) in occasione del passaggio per Padova e Venezia di Enrico III re di Polonia e di Francia.
Sempre nel 1556, in seguito all’epidemia di peste scoppiata a Venezia, i magistrati della città si rivolsero a Tomitano, la cui fama di ottimo clinico aveva varcato i confini di Padova, per una consulenza: egli assolse l’incarico redigendo l’ampio Consiglio sopra la peste di Venezia l’anno 1556 (Padova, Gratioso Perchacino, 1556); a questo seguì un altro impegnativo scritto di medicina, avviato nel 1563: il De morbo gallico libri duo, in cui è evidente il debito nei confronti di Fracastoro: vide la luce nel 1567 nel secondo dei due volumi miscellanei sul mal francese curati dal medico udinese Alvise Luisini (De morbo gallico tomo posterior, Venetiis, ex off. Iordani Ziletti). I due scritti medici si inscrivono nella tradizione della scuola padovana, seguace del metodo galeniano fondato sul connubio di ragione ed esperienza.
Il 1563 segna la fine del magistero di Tomitano presso lo Studio: deluso per non essere stato chiamato sulla cattedra di filosofia naturale resasi vacante alla morte del vecchio maestro Genua, egli rinunciò alla sua di logica, sulla quale salì, nel 1564, l’illustre discepolo Giacomo Zabarella. A partire dallo stesso 1563, oltre alla composizione del De morbo gallico, egli mise mano alla riscrittura e al ponderoso ampliamento dei giovanili Ragionamenti che diventarono nel 1570 i Quattro libri della lingua thoscana. Dal 1571, all’indomani della strage di Famagosta, prese a comporre, portandola a compimento, l’imponente Della vita e dei fasti di Astorre Baglioni, il condottiero perugino, da lui conosciuto personalmente a Padova, barbaramente ucciso in quella tragica circostanza storica.
L’opera in otto libri, in cui alla rigorosa narrazione biografica e storica si mescola la declamazione oratoria, e che si inscrive nel filone veneziano del compianto per gli eccidi della sanguinosa guerra coi turchi, più che della celebrazione della finale vittoria, è rimasta inedita, eccetto che per qualche estratto pubblicato nel corso dell’Ottocento.
Ancora, nell’ultimo anno di vita Tomitano si dedicò insieme a Manuzio il giovane a un progetto, non realizzato, di edizione del suo epistolario (Girardi, 1995, pp. 30-33). Nel 1576 una nuova epidemia di peste si diffuse nel Veneto e Tomitano scrisse ancora una breve lettera sul modo in cui affrontarla (Copia di una lettera per conservatione della vita humana in questi tempi calamitosi di peste, Venezia, s.t., 1576; M.R. Davi, Bernardino Tomitano..., cit., pp. 44-46). Ma lui stesso non sfuggì al contagio, a causa del quale morì in quello stesso anno, probabilmente tra la primavera e l’estate. Venne sepolto, come da suo volere, a Padova nella chiesa di S. Francesco.
Fonti e Bibl.: La bibliografia delle opere a stampa e manoscritte in M.R. Davi, Bernardino Tomitano filosofo, medico e letterato (1517-1576). Profilo biografico e critico, Trieste 1995, pp. 165-181.
L.A. Ferrai, B. T. e l’Inquisizione, in Id., Studi storici, Padova-Verona 1892, pp. 209-226; L. De Benedictis, Della vita e delle opere di B. T., Padova 1903; G. Toffanin, Idee poche ma chiare sulle origini del Secentismo, in La Cultura, III (1924), pp. 481-488 (poi in Id., La critica e il tempo, Torino 1930, pp. 77-87); E. Riondato, Per uno studio di B. T. filosofo, in Aristotelismo padovano e filosofia aristotelica. Atti del XII Congresso internazionale di filosofia, Venezia... 1958, IX, Firenze 1960, pp. 221-229; Id., B. T., in Enciclopedia filosofica, VI, Padova 1967, pp. 111-124; C. Vasoli, Su alcuni problemi e discussioni logiche del Cinquecento italiano, in Id., La cultura del Rinascimento, Manduria 1968, pp. 257-297; G. Simionato, Significato e contenuto delle “Lectiones” inedite di logica di B. T., in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, 1973, n. 6, pp. 111-124; M. Accame, Le rime di B. T. tra petrarchismo bembesco e manierismo, in Atti e memorie dell’Arcadia, s. 3, VII (1977), 1, pp. 165-203; G. Papuli, La teoria del «regressus» come metodo scientifico negli autori della Scuola di Padova, in Aristotelismo veneto e scienza moderna. Atti del 25° Anno Accademico del Centro per la storia della tradizione aristotelica nel Veneto, a cura di L. Olivieri, I, Padova 1983, pp. 221-277; M.R. Davi, B. T. e la “Quaestio de certitudine mathemahicarum”, ibid., II, pp. 607-621; M. Verdenelli, Introduzione a B. Tomitano, La lingua toscana. Quarto libro, a cura di M. Verdenelli, Urbino 1984, pp. 5-21; M. Pecoraro, T. B., in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, IV, Torino 1986, pp. 313-318; A. Daniele, Sperone Speroni, B. T. e l’Accademia degli Infiammati di Padova, in Filologia veneta, 1989, n. 2, monografico: Sperone Speroni, pp. 31-53; M.R. Davi, B. T. filosofo, medico e letterato (1517-1576), cit.; M.T. Girardi, Il sapere e le lettere in B. T., Milano 1995; M. Colombo, B. T. e i “Quattro libri della lingua thoscana”, in Momenti del petrarchismo veneto: cultura volgare e cultura classica tra Feltre e Belluno nei secoli XV-XVI, a cura di P. Pellegrini, Roma-Padova 2008, pp. 111-133; M.T. Girardi, Il ruolo delle humanae litterae nella riflessione di B. T., in Philosophical readings, VIII (2016), 2, pp. 79-82; Ead., T., B., in Encyclopedia of Renaissance philosophy, diretta da M. Sgarbi, 2017, https:// doi.org/10.1007/978-3-319-02848-4_362-1 (1° ottobre 2019).