MAFFEI, Bernardino
Nacque a Roma nel 1514, forse il 27 gennaio, secondo di otto fratelli, primo maschio, da Girolamo e da Antonia Mattei. Uno dei suoi fratelli fu il cardinale Marco Antonio Maffei. La famiglia paterna, ascritta alla nobiltà romana, era di origine veronese. Una discendenza bergamasca, citata dall'Ughelli e da altri, è confutata da Scipione Maffei.
Svolse i suoi studi dapprima a Roma poi a Padova, dove ebbe modo di farsi notare per le sue qualità. Su questo periodo della sua vita si possono trarre notizie da Pierio Valeriano (Giovanni Pietro Dalle Fosse), che dedicò al M. il XIV libro dei suoi Hieroglyphica, e i due successivi ai suoi fratelli Achille e Mario, e da Girolamo Negri, che lo elogiò in una lettera a Benedetto Lampridio ribadendo gli attestati di stima anche nelle epistole dirette allo stesso Maffei. A Padova condusse studi umanistici con Lazzaro Buonamici e di giurisprudenza con Mariano Socini iunior. La notizia di un suo canonicato a Verona non è confermata da tutte le fonti.
Poco dopo l'elezione di Paolo III al soglio pontificio (1534), il M. fu richiamato dal padre a Roma, per essere collocato come cameriere presso il pontefice. Avendo suscitato l'interesse e l'ammirazione di Paolo III, venne posto dal papa al servizio del nipote, il cardinale Alessandro Farnese, per curarne la formazione insieme con Romolo Amaseo e il filosofo Antonio Bernardi, e per svolgere mansioni di segretario. La sua attività fu apprezzata ed egli ottenne presto una serie di promozioni. Il 13 dic. 1543 gli fu riservato un canonicato nella basilica di S. Pietro e successivamente, il 22 apr. 1547, subentrò ad Alessandro Farnese nella sede vescovile di Massa, che assunse in quel periodo la denominazione di Massa e Populonia. Forse già a partire dal 1539 era passato al servizio diretto di Paolo III in qualità di segretario, curando la corrispondenza durante le assenze del segretario di Stato G. Dandini.
In questo periodo ebbe modo di mantenere contatti con ecclesiastici e letterati. In particolare durante i lavori del concilio, da Trento gli vennero indirizzate numerose epistole da parte dei cardinali più in vista, i quali lo interpellavano non solo in virtù del suo ufficio, ma anche per chiedere pareri personali e riservati sulle vicende del concilio: Reginald Pole gli scrisse il 30 marzo 1546 per un parere sulla necessità di concludere quanto prima il concilio; tra il giugno e l'ottobre dello stesso anno Marcello Cervini gli ribadì più volte l'opportunità di trasferire il concilio a Bologna, affidandogli, inoltre, informazioni riservate da consegnare al pontefice.
La profonda confidenza del M. con il Cervini, futuro papa Marcello II, risaliva agli anni precedenti. I due si erano scambiati opinioni su delicate questioni pubbliche e private: dal rinvenimento di antichità quando il Cervini era in Olanda (1540), alla richiesta di una copia del commentario sul concilio di Basilea di Pio II, da utilizzare in una delle diatribe insorte all'interno del Tridentino (1545), al tono faceto delle loro opinioni sulla questione del celibato ecclesiastico. Ed è il Cervini a dispensargli preziosi consigli: "guardate se potete più alle mani degli homini che alla bocca" (Arch. di Stato di Firenze, Carte cerviniane, vol. 19, c. 18r, 25 luglio 1545); e dopo la nomina a vescovo di Massa: "a che dovete principalmente mirare, considerando al carico che con l'honor vi s'accresce de havere a render conto di tutti quelli, de quali havete preso la cura" (ibid., c. 97r, 29 apr. 1547). Nel 1548, quando Paolo III nominò il cardinale Cervini bibliotecario apostolico, data la temporanea assenza di questo dalla sede romana, fu proprio il M. a sostituirlo. Un ulteriore segno dell'amicizia e della consuetudine tra i due è dato dalla lettera consolatoria indirizzata dal Cervini al pontefice Giulio III in occasione della morte del Maffei.
Altro legame che si consolidò nel periodo in cui il M. era segretario presso i Farnese fu quello con Pietro Bembo. Il suo nome ricorre nelle epistole di quest'ultimo già dal 1532; più tardi i legami si strinsero ulteriormente, al punto che il Bembo, parlando del M. o rivolgendosi direttamente a lui, lo descriveva come "buono e gentile" o "buono e valorosissimo" o faceva riferimento al suo "buono, dolce e cortese animo".
L'apprezzamento del Bembo era rivolto soprattutto al M. erudito, profondo conoscitore delle lettere latine e delle antichità classiche. Tra le sue opere, andate perdute, si ricorda una storia delle iscrizioni e immagini delle monete antiche. Poté esercitare la sua passione antiquaria anche grazie a una ricca collezione di antichità iniziata da un suo avo, Agostino, e poi continuata come tradizione familiare da Bernardino e dai suoi più diretti discendenti. La vastità e l'importanza degli oggetti in essa contenuti erano noti ai suoi tempi; tra gli altri, ne parlava con ammirazione Paolo Manuzio, il quale ricordava anche di essere stato avviato agli studi classici dal M. e da Pietro Bembo.
Il M., quindi, partecipò a pieno titolo della temperie culturale del Rinascimento, e fu circondato da universale apprezzamento. Oltre ai personaggi citati, vanno ricordati i suoi contatti con Iacopo Sadoleto, Annibal Caro, Piero Vettori, Aonio Paleario, Bartolomeo Ricci, Antonio Tebaldeo, Angelo Colocci, Basilio Zanchi, Paolo Giovio. Al M. fu attribuito un commento alle Epistolae ciceroniane, ma secondo il Tiraboschi l'attribuzione sarebbe frutto di un equivoco, nato sulla scorta di alcune considerazioni di Paolo Manuzio in un suo commento all'orazione ciceroniana Pro Sestio sul valore letterario del Maffei. Alcuni autori riferiscono anche di una biografia di Paolo III da lui redatta, ma andata perduta.
Il M. fu una delle ultime creature cardinalizie di Paolo III. Nominato cardinale nel concistoro dell'8 apr. 1549, ricevette la berretta rossa e il titolo di S. Ciriaco alle Terme il 10 maggio. Il 7 giugno fu posto a capo della diocesi di Caserta e pochi mesi più tardi passò all'arcidiocesi di Chieti, alla quale rinunciò pochi giorni prima della sua morte, il 14 giugno 1553, a favore del fratello Marco Antonio. Secondo le fonti, nonostante il cumulo delle cariche e le importanti relazioni nell'ambiente curiale il M. mantenne una singolare modestia nei modi, che facilitò l'incontro con Ignazio di Loyola. Al M. si attribuisce una decisiva azione a favore dell'Ordine gesuita presso le più alte gerarchie ecclesiastiche.
Partecipò al lungo conclave (1549-50) che portò all'elezione di G.M. Ciocchi Del Monte, papa Giulio III, svolgendovi un ruolo di una certa importanza. A lui si deve un diario del conclave, fonte ispiratrice di una più nota ricostruzione a stampa dell'elezione del papa (Bibl. apost. Vaticana, Urb. lat., 842, cc. 389-424). Giulio III lo ebbe in alta considerazione: tra gli altri incarichi lo inviò presso Ottavio Farnese per indurlo a trattative di pace con la S. Sede. Già nel concistoro del 21 luglio 1550 il papa incaricò lui e il cardinale G.A. Medici di formulare alcune proposte in merito alla riforma del conclave. Inoltre, il M. intervenne anche nella commissione per la riforma dell'Università romana, stabilita dal pontefice nel novembre 1550, della quale erano stati originariamente incaricati i cardinali Cervini, G. Morone, M. Crescenzi e Pole, e fece parte della commissione cardinalizia preposta alla riforma della Curia e del clero, creata nel 1552. Tale congregazione, composta, oltre al M., dai cardinali Cervini, P. Pacheco, G. Puteo, S.A. Pighino, G.B. Cicada, succedeva a un'altra simile commissione nominata da Giulio III nel febbraio 1551 - alla quale il M. non aveva partecipato - che non aveva portato ad alcun esito.
La nuova congregazione aveva ricevuto un imprimatur ancora più deciso da parte del pontefice, il quale in un discorso concistoriale del settembre 1552 l'aveva incaricata di realizzare un ampio programma di riforma che a partire dal conclave avrebbe dovuto toccare il concistoro, i vescovi, i sacerdoti, i tribunali e gli uffici della Penitenzieria e della Dataria e infine i laici, procedendo, secondo una consueta metafora adoperata dallo stesso M., dalla testa alle membra del corpo. Motore dell'ambiziosa operazione furono il M. e il Cervini, che avevano scambiato opinioni sulla necessità di procedere alla riforma della Curia e del Collegio cardinalizio già al tempo in cui il M. era segretario di Paolo III.
Ciascuno dei due prelati tenne un diario dei lavori. I frammenti di quello del M., pur estremamente essenziali, ricostruiscono i lavori a partire dalla prima riunione, tenutasi il 26 ottobre nella residenza del Cervini in Vaticano, ed elencano alcuni dei punti principali da allora in poi dibattuti. Già nelle settimane precedenti alla prima riunione della congregazione il M. aveva scritto al Pole per chiedergli pareri in merito al lavoro che si sarebbe dovuto compiere. Il M. credeva molto nella riuscita dell'impresa, secondo quanto testimoniato da coloro che erano in contatto con lui, e si diceva convinto che in breve si sarebbe giunti all'emanazione di una bolla in merito. Tale opinione, riportata in una missiva del 12 nov. 1552 inviata dal protonotario Augusto Cocciano a Girolamo Seripando e ricavata da un colloquio che l'estensore della lettera aveva avuto con il M., sembra essere confermata dalla presentazione nel concistoro del 17 apr. 1553 di una relazione dell'attività fino ad allora svolta. In seguito intervennero alcune circostanze, dettate probabilmente da resistenze interne alla Curia, che concorsero a interrompere l'iter di una riforma attesa da più di vent'anni. Gli ulteriori sviluppi del progetto curato dalla congregazione avrebbero poi portato all'elaborazione della bolla Varietas temporum, ma a essi non partecipò il M., venuto nel frattempo a mancare.
Il M. morì a Roma il 16 luglio 1553. Fu tumulato nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Maria sopra Minerva. Le fonti riportano di un suo ingente lascito, di 80.000 scudi d'oro, a favore dei poveri. La sua morte fu compianta da molti: se ne trova traccia nella corrispondenza del tempo, come per esempio nella missiva inviata dal Seripando ad Augusto Cocciano il 13 ag. 1553, e nelle opere dei suoi colleghi letterati come il Manuzio e O. Panvinio.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Carte Farnesiane, voll. 1, parte 1; 9-11; 16; Concilio tridentino, vol. 78, cc. 71, 76r, 125r, 138r, 239r-246r; Segreteria di Stato, Principi, vol. 14a, cc. 385v, 440r; Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, voll. 10, 12, 19, 20; Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 4663, cc. 113-114; 6694, cc. 58-60; 8656, parte I, cc. 15-41v; Urb. lat., 842, cc. 389-424; 847, cc. 142v-144; Barb. lat., 5236, cc. 288, 362v; 5758, cc. 101-123; Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., XIII.AA.50, cc. 151, 180; G.P. Valeriano, Hieroglyphica sive De sacris Aegyptiorum literis commentarii, Basileae 1556, p. 102; Iacobi Sadoleti Epistolarum appendix. Accedunt Hieronymi Nigri et Pauli Sadoleti vitae ac rariora monumenta, Romae 1767, pp. 14-19, 114-117, 204, 251 s.; Calendar of State papers, relating to English affairs in the archives of Venice, V, 1534-1554, a cura di R. Brown, London 1873, pp. 236, 273, 371-373; Cartas de s. Ignacio de Loyola, a cura di A. Cabré et al., III, Madrid 1877, pp. 460 s.; Nuntiaturberichte aus Deutschland 1533-1559, V-XII, Gotha-Berlin 1898-1910, ad indices; Concilium Tridentinum, II, Diariorum, 2, Friburgi Brisgoviae 1911, pp. XXIV-XXX e ad ind.; X, Epistularum, 1, ibid. 1916, ad indices; XI, Epistularum, 2, ibid. 1937, ad ind.; XIII, Tractatuum, 1, ibid. 1938, pp. 172-177 e ad ind.; P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, III-IV, Bologna 1992-93, ad indices; G.P. Maffei, De vita et moribus Ignatii Loiolae, Venetiis 1585; F.M. Torrigio, De eminentissimis S. Romanae Ecclesiae scriptoribus cardinalibus, Romae 1641, pp. 10 s.; F. Contelori, Elenchus S.R.E. cardinalium ab anno 1430 ad annum 1549, Romae 1659, p. 174; [G. Leti], Conclavi de' pontefici romani, s.l. [ma Ginevra] 1667, pp. 123-134; A. Oldoino, Athenaeum Romanum, Perusiae 1676, p. 124; A. Chacon - A. Oldoino, Vitae et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, III, Romae 1677, pp. 737 s.; P. Mandosio, Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae, II, Romae 1682, pp. 139 s.; G. Palazzi, Fasti cardinalium omnium Sanctae Romanae Ecclesiae, III, Venetiis 1703, pp. 196-198; G.J. Eggs, Purpura docta, II, Monachii 1714, pp. 618 s.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1718, pp. 726 s.; S. Maffei, Verona illustrata, II, Contiene l'historia letteraria o sia la notizia de' scrittori veronesi, Verona 1731, pp. 144-148; F. Bonamici, De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus, Romae 1770, pp. 87 s., 229 s.; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, IV, Roma 1793, pp. 296 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 30; Il libro d'oro del Campidoglio, II, Roma 1897, pp. 24 s.; T. Amayden, La storia delle famiglie romane, II, Roma s.d., pp. 29-33; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1959, ad ind.; VI, ibid. 1963, ad ind.; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, IV, 1, Brescia 1979, pp. 15-18; W.V. Hudon, Marcello Cervini and ecclesiastical government in Tridentine Italy, DeKalb, IL, 1992, ad ind.; Genealogien zur Papstgeschichte, a cura di M. Becker - Chr. Weber, II, Stuttgart 1999, p. 579; Hierarchia catholica, III, pp. 31, 155, 237, 311.