GOZZADINI, Bernardino
Nacque da Testa e Diamante Bargellini nella prima metà del XV secolo, con tutta probabilità a Bologna.
Apparteneva a un'antica famiglia nobile bolognese di parte guelfa, di cui si ha notizia a partire dall'XI secolo. Assai scarse sono però le notizie biografiche sul G. ed esclusivamente legate alla sua attività politica. Soprannominato Rosso, non è da confondere con l'omonimo a lui contemporaneo, figlio di Matteo e rettore della scuola di filosofia e medicina per l'anno 1480-81.
L'esperienza politica del G. si svolse nel periodo dell'affermazione a Bologna del primato di Giovanni Bentivoglio, avviato a caratterizzarsi come signoria. Il G. è ricordato tra i gentiluomini che accompagnarono il Bentivoglio nel viaggio a Loreto, compiuto nel marzo del 1485 per adempiere un voto. Negli anni seguenti fu eletto più volte nelle minori magistrature cittadine: fu tra gli Anziani consoli dell'ultimo bimestre del 1489, a capo dei quali come gonfaloniere di Giustizia il Bentivoglio aveva imposto, contravvenendo alle norme, il primogenito Annibale. Il G. ricoprì nuovamente quella carica nel 1492 e nel 1497. È probabile che contemporaneamente alla sua attività politica egli si adoperasse per avviare la carriera dei suoi tre figli maschi avuti da Giulia Capelli: Giovanni, Sebastiano e Camillo.
Negli anni successivi il G. fu sempre più coinvolto in vicende che lo opposero alla famiglia dominante. Un primo episodio avvenne nel 1501, quando Cesare Borgia sembrava intenzionato a occupare Bologna. In quell'anno il G. era commissario a Medicina; il 26 aprile Vitellozzo Vitelli, a capo di un gruppo di soldati dell'esercito del Borgia, entrò in Medicina senza alcuna resistenza da parte del Gozzadini. Nonostante si fosse per il momento allontanata la possibilità di un'invasione di Bologna da parte del Borgia, questo episodio insospettì il Bentivoglio, che lo interpretò come un atto di infedeltà. Il sospetto fu confermato l'anno successivo da un'iniziativa del G.: in seguito all'istituzione di una tassa da parte della magistratura dei Sedici riformatori dello Stato di libertà, il 5 febbr. 1502, secondo il cronista Fileno Delle Tuate, gli Anziani consoli inviarono a Roma il G., in quei mesi gonfaloniere del Popolo, per chiedere ad Alessandro VI la sospensione dell'imposta. Sembra però che il G. avesse approfittato di questo mandato per dichiarare al pontefice la propria fedeltà e per incontrarsi con Pirro Malvezzi, esule bolognese e protagonista della congiura contro i Bentivoglio nel 1488. Tornato a Bologna, dovette subire la ritorsione del signore della città, che decise il suo arresto. Ma il G. riuscì a rifugiarsi nel convento della Misericordia, dove rimase dal 16 marzo al 10 agosto, quando si allontanò da Bologna per mettersi al sicuro a Mirandola. Grazie all'interessamento di alcuni cittadini, riuscì a tornare a Bologna alla fine del 1502. In questo periodo uno dei suoi tre figli, Giovanni, dottore di diritto civile e canonico, si trasferì a Roma, dove riuscì a intraprendere una promettente carriera nella Curia romana.
Le cariche ricoperte dal figlio alla corte di Giulio II e il suo apporto alla fazione papale valsero al G. la concessione di una serie di privilegi. Alla fine del 1505 si recò di nuovo a Roma, dove il 6 genn. 1506 fu nominato cavaliere aurato; il 14 gennaio Giulio II lo nominò conte palatino e soldato apostolico, titoli che poteva trasmettere a tutti i suoi eredi maschi. Inoltre gli concesse il privilegio d'esenzione dai tributi in tutte le terre dello Stato pontificio e l'autorità di legittimare i figli spuri con facoltà di derogare a qualunque legge imperiale, municipale o canonica. Fu di ritorno a Bologna il 26 gennaio.
Il 30 sett. 1506 in città si sparse la notizia che a Castel San Pietro era stato catturato un messo con una lettera del figlio del G., Giovanni, fortemente avversa ai Bentivoglio. Le fonti memorialistiche riferiscono che si era trattato di una diceria fatta circolare per giustificare l'imminente assassinio del G., che quel giorno si preparò a partire segretamente da Bologna nonostante il divieto impostogli dal Bentivoglio. Inseguito da una folla sobillata, e trovata chiusa la porta cittadina di S. Stefano, egli cercò scampo presso il monastero di S. Pietro Martire dove alcune sue figlie avevano vestito l'abito monastico. Mentre tentava di mettersi in salvo fu ucciso e il suo corpo fu fatto a pezzi. Secondo F. Delle Tuate, che deplora la crudeltà dei Bentivoglio, questo episodio di sangue convinse definitivamente Giulio II a entrare a Bologna per assicurarsi il dominio della città.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Senato, Bolle e brevi, vol. 1, n. 4; Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 52, II, 1, c. 335v; 1439, III: F. Delle Tuate, Historia di Bologna composta… principiando dalla sua origine sino all'anno 1511, cc. 488v, 498v, 499v, 542v, 556v-557r; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXXIII, 3, ad ind.; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 384; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, IV, Bologna 1784, p. 213.