DELLA VOLPAIA (Della Golpaia, De li orioli, De Vulparia), Benvenuto
Figlio del celebre Lorenzo e Bartolomea di Lionardo sua moglie, nacque a Firenze il 5 maggio 1486; al pari dei fratelli proseguì quasi tutte le attività paterne, in specie quella di costruttore di orologi, strumenti e macchine, e fu in più un abile topografò. Tralasciò invece, per quanto se ne sa, l'architettura e si occupò indirettamente di edilizia solo realizzando macchine per segare marmi, porfidi e pietre in genere e per arrotarle, come risulta da note e disegni nei ff. 79rv, 82rv, 84v, 85r e 87r del suo taccuino, il codice Marciano 5363 (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. IV, 41 [= 5363]), fonte principale per la sua biografia e le sue opere (Pedretti, 1953 e 1957).
Nel taccuino troviamo ai ff. 36rv il primo tra i suoi strumenti datati, un orometro ganciometrico del 1516, e poi, in ordine cronologico, al f. 81r la descrizione tecnica ed un disegno del 12 febbr. 1521 di mulini di Roma, cui è collegabile (f. 89v) una "memoria" sulla "mola di Maestro Cristofano fornaio di papa Lione in Roma presso alla compagnia de Fiorentini", con modifiche per migliorarne il rendimento proposte dal D., il quale conclude: "Questo el modo che 10 volevo fare a ffare andare le mole di Roma, cioè quelle che vanno adagio. E sse io non tornavo a Firenze le acconciavo". A Roma il D. si fermò a lungo anche nel 1531-32 (interposto un rientro a Firenze tra luglio e novembre del '31); è più probabile però che queste annotazioni si riferiscano al suo primo isoggiorno documentato da altri disegni e note non datati su fogli attigui ai precedenti: "il modello ch'io feci in Roma con due sege e tre ruote" di una sega meccanica (f. 82r) ed il disegno di una macchina "a Roma per arrotare" affiancato da una nota sul modo di ricavare il palmo romano dal braccio fiorentino (f. 82v), che il testo farebbe ritenere costruita dal Della Volpaia. Al f. 85r, in una lunga descrizione di seghe meccaniche per tagliare pietre, il D. ricorda: "nel modello che 10 feci a Roma ne messi due e così ne posso mettere quattro".
Sempre nel 1521, a Firenze, il 21 maggio il D. era incaricato di regolare l'orologio di Mercato Nuovo fatto da suo padre (f. 24v e Pini Milanesi, 1876). Nella sua città natale, il 17 maggio 1523, "sano di mente e di corpo" faceva testamento in favore dei fratelli Eufrosino e Camillo e lasciava 250 ducati d'oro all'ospedale degli Innocenti per assicurare una rendita vitalizia in farina, olio, vino, carne, ecc., a una monna Elisabetta di Nicolò di Baldassarre da Pescia (verosimilmente la monna Elisabetta con la quale il D. ospiterà Michelangelo nel 1532 a Roma), cui si dichiara grato per l'amichevole dedizione e perché ne ha ricevuto in prestito 40 ducati (Ashby, 1914, pp. 75 s.); seguono legati in favore delle sorelle. li D. non menziona invece il probabile fratello maggiore Bernardo, che doveva essere morto un anno prima, poiché nel 1523 il canone della casa, concessagli in enfiteusi dal capitolo di S. Pietro, che lo stesso abitava in Borgo Nuovo in Roma, risultava pagato da imprecisati eredi (cfr. voce Bernardo). Già il 18 luglio 1522, del resto, il D. a Firenze aveva nominato proprio procuratore, per pagare al capitolo di S. Pietro il censo, il fiorentino Bartolomeo di Biagio della Croce, "guardaroba" del card. Giulio de'Medici (Arch. di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano B. 227, Notaio Raffaele Baldesi, 1521-23, vol. 10, c. 125v, per gentile segnalazione di Suzanne Brown Butters); l'8 marzo 1524 il D. sarà poi autorizzato dal capitolo di S. Pietro a cedere i diritti enfiteutici che aveva ereditato allo stesso Bartolomeo di Biagio della Croce "setarolo" (Bibl. ap. Vaticana, Archivio d. Capitolo di S. Pietro, Privilegi e atti, 23 [Notaio Ludovico Ceci, II, 1520-28], f. 93v).
Nel 1524 il D. era a Pisa, dove nella cittadella disegnò e criticò un mulino da grano ed uno per macinare carbone e salnitro apponendo la data sul f. 50v del proprio taccuino (Pedretti, 1953, p. 254; Maccagni, 1967, pp. 5 ss.).
Nel 1529, durante l'assedio di Firenze, il D. "buon maestro di oriuoli ... ma soprattutto eccellentissimo maestro di levar piante" (Vasari-Milanesi, VI, p. 61) per ordine di Clemente VII realizzò la sua opera più rinomata: un plastico della città e suoi dintorni ad uso degli assedianti.
Sia il Vasari sia B. Varchi (Storia di Firenze, Firenze 1858, II, pp. 38 s.) ne ricostruirono le vicende con qualche particolare poco verosimile: il D. e il Pericoli, detto il Tribolo, avrebbero eseguito in alcuni mesi il rilievo della città impiegando uno strumento munito di bussola, utilizzato di notte "per non essere secondo l'uso del popolo di Firenze impediti dalla gente", operando indisturbati dentro e fuori la città assediata. È possibile che in realtà il D. avesse già rilevato prima dell'assedio la pianta della città e che poi l'abbia solo tradotta in un plastico, oppure che, stando fuori dalle mura, dalla parte degli assedianti, si sia limitato a rilevare il territorio circostante, l'unico che interessasse per le operazioni militari (al f. 64v del cod. Marciano 5363, rilievi altimetrici di mano del D. dei dintorni di Firenze).
Avrebbe comunque inviato al papa, smontato e nascosto in balle di lana, un plastico di sughero in scala "dello spazio di quattro braccia".
Ancora nel 1529 (Pini-Milanesi, 1876), o meglio il 15 genn. 1530 se la data segnata al f- 55r del taccuino è in stile fiorentino, il D. annotava di aver rifatto un orologio per i serviti.
Nella primavera del 1531 il D. si trasferì a Roma, chiamatovi, sembra, più che da Clemente VII, comescrive il Vasari, dal card. Giovanni Salviati (P. Hurtubise, Une famille-témoin, Les Salviati, Città del Vaticano 1985, pp. 298 s.). In quel tempo si faceva portavoce di Michelangelo presso il cardinale (Carteggio di Michelangelo, III, pp. 315 s., 318, 348) e, avendogli questi richiesto di segnalargli qualche giovane pittore, gli presentò il più valente dei suoi amici giovani, quel Francesco De Rossi che raggiungerà il successo grazie al Salviati, di cui assumerà il cognome (Vasari, VII, pp. 10 s., e I. H. Cheney, Francesco Salviati, tesi di dottorato, NewYork Inst. of Fine Arts, 1963, University Microfilms International, Ann Arbor, Michigan, 1, pp. 30 s., note 62 s.).
In prossimità dell'abitazione del cardinale, il palazzo detto poi dei Penitenzieri, il D. prese casa "in Borgo Nuovo, a riscontro de Salviati", "alle chase che murò Vvolterra, alla seconda casa andando verso Castello" come spiega in una lettera a Michelangelo (Carteggio, III, pp. 349, 371); abitava quindi molto vicino alla casa appartenuta a suo fratello Benardo, ma non nella stessa, che aveva venduto alcuni anni prima. Nello stesso tempo il D. fungeva da intermediario anche tra il Buonarroti ed il papa, col quale doveva avere una certa familiarità, poiché insieme col cardinal Salviati si tratteneva con lui in lunghi informali colloqui sui lavori di Michelangelo e sui propri interessi (Carteggio di Michelangelo, III, pp. 348 s.) e gli raccomandava il Tribolo, che per premio del servizio reso ai Medici ottenne un incarico da scultore nella basilica di Loreto (Vasari, VI, p. 63).
Per parte sua il D. all'inizio del '32 ricevette da Clemente VII la carica di "Curator Aqueductus Belvederis et Suprastans fontis platee Sancti Petri de Urbe" (A. Rossi, Spogli Vaticani, in Giorn. di erudiz. artist., VI[1877], p. 209; K. Frey, Studien zu M. Buonarroti und zur Kunst seiner Zeit, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, XXX[1909], Suppl., p. 137). Si tratta di cariche onorifiche (la seconda era stata di Bramante e sarà poi di Pirro Ligorio), remunerate con 24 ducati d'oro a semestre, assegnate al D. forse anche in considerazione della sua conoscenza di macchine idrauliche (cod. Marciano cit., ff. 8r, 38v, 41v, 42r, 88r).
Il papa, con una dimostrazione di fiducia in una famiglia che per due generazioni aveva dato prova di fedeltà ai Medici, affidò al D. le chiavi che dal Belvedere consentivano di accedere all'appartamento pontificio (Vasari, VI, p. 63; Carteggio, III, pp. 371, 373) e gli assegnò un alloggio vicino alla scala a lumaca di Bramante, nel quale il D. si trasferì il 19 genn. 1532 lasciando al fratello Eufrosino la casa con bottega in Borgo Nuovo (ibid.). Nella sua abitazione di Belvedere, accessibile dalla "lumaca" di Bramante senza entrare in città, ospitò Michelangelo, venuto a Roma nella primavera del 1532. Nel carteggio che precede e segue questa visita si rivela amico attento, premuroso e discreto, preoccupato di dispensare il Buonarroti dal rispondere per non distrarlo dalle sue occupazioni, scrivendo "L'amicitia che io Ho presa con voi, anchora che io non avessi vostre lettere i' mille anni; non farà ruggine; e sso bene che voi avete altre hoccupazione che ogni sabato attendere a scrivere o Sì che vi priego, per questa, non pigliate disagio nessuno: anchora che Ile vostre lettere. mi dieno grandissimo piacere, sono contento privarmene per non vi disagiare" (ibid., III, p. 403).
Il 22 giugno il D. scriveva a Michelangelo di aver mostrato ad un conoscente tutto il Belvedere e tutta Roma dall'alto della "lumaca" e aggiungeva (come già in una lettera del 15 giugno) che avrebbe consegnato a Sebastiano del Piombo il rotolo di carte da lui spedite, appena questi, inviato fuori Roma "a fare il ritratto d'una donna", fosse tornato in città (ibid., pp. 410 s.). Pochi giorni dopo, il 15 luglio 1532, sarà invece Sebastiano, ritornato da Fondi, che darà a Michelangelo notizia della morte improvvisa del D., attribuendone la causa all'aria non buona di Belvedere e aggiungendo che il D. "per troppo asicurarsi la persona sua ha perso la vita fuori di proposito come ancor ha facto la mala memoria del Cardinal Colorina" (ibid., p. 419; sulla sua fine e sul dolore che dovette provarne Michelangelo, si veda anche la lettera del 2 luglio di Pier Antonio Cecchini, ibid., III, p. 414).
Il card. Pompeo Colonna era morto a Napoli il 28 giugno "stato 5 zorni in una febre dopia terzana per aver voluto mangiar fichi et bever aqua agiazata in neve" (M. Sanuto, Diarii, a cura di R. Fulin, LVI, Venezia 1901, p.513), si può dedurne quindi che anche il D sia stato colpito da una malattia collegata al clima estivo, probabilmente da un attacco di malaria.
Eufrosino, che allora abitava a Roma, dovette conservare le carte del fratello, e tra queste il taccuino marciano, che è pressoché l'unica opera del D. pervenutaci. Di tutti gli strumenti che il D. aveva fabbricato, infatti, come nel caso di suo padre, se rie è conservato soltanto uno, per di più di attribuzione incerta: un compasso di ferro cesellato, siglato B. V., appartenente al Museo di storia della scienza di Firenze (M. L. Righini Bonelli, Il Museo distoria della scienza, Firenze 1968, p. 181; Maccagni, 1971, p. 71). Il taccuino è descritto dal Pedretti (1953, 1957), che accenna al contenuto dei singoli fogli, ne dà una bibliografia e promette un'edizione, finora non realizzata. Oltre ad essere la fonte principale sull'attività dei D. e di suo padre, esso è un documento prezioso sui modi di raccolta e trasmissione di conoscenze all'interno ed all'esterno di questa famiglia di meccanici di precisione. Insieme alle copie da disegni del padre, ai propri disegni di macchine, a strumenti di Eufrosino (ff. 88r, 91rv) il D. vi ha riunito macchine per trasportare e sollevare pesi (ff. 47r-49r, 51v-52v; Pedretti, 1953, p. 254) dei tipi delineati dal Taccola e replicati più volte da Francesco di Giorgio Martini nei suoi trattati e da Giuliano da Sangallo, nel cod. Barb. lat. 4424. Vi si trovano inoltre congegni e numerose ricette tecniche di disparati artigiani, artisti ed inventori attivi a Roma e a Firenze nei primi tre decenni del secolo, da Iacopo Sansovino a Zoroastro (aiuto di Leonardo) a Domenico Boninsegni. Vi troviamo anche appunti di geometria e matematica applicate, ricette mediche (ff. 14v-16r) e curiosità, come una ricetta per far biondi i capelli (f. 14v), una per "insalare" le foglie dei capperi (f. 16v) ed un promemoria "per ricordarmi quando 10 vengo a stare arroma di fare un uomo di legnio che stia drento a una porta e quando uno apre la porta quell uomo di legnio se gli faccia incontro chon un bastone per dargli in sulla testa Hovero con una fune per pigliarlo e legarlo".
L'ultimo della famiglia ad essere in possesso del codice fu Girolamo, figlio di Camillo (fratello del D.), il quale vi appose diverse note (ff. 1r, 42v: cfr. Pedretti, 1953, pp. 243 s., 253). All'inizio dei '600 altri appunti e disegni furono aggiunti da un estraneo alla famiglia, il priore dell'ospedale degli Innocenti, Marco Settimani (ibid., pp. 243, 256, 258). Una nota sul foglio di guardia del codice segnala che nel XVI secolo alcunì disegni dei Della Volpaia, che Eufrosino, partito per la Francia, aveva lasciato in una cassa a Roma, erano andati in mano a più persone, tra cui il Buonfalenti, che se ne avvantaggiarono assai. Alberto Alberti, ad esempio, nel f. 181r del proprio libro di disegni (K. Herrmann-Fiore, Disegni degli Alberti, Roma 1983, pp. 264 s.) ha riprodotto fedelmente, insieme con le note che l'accompagnano, una sega per tagliare il porfido che il D. aveva costruito e raffigurato nel codice marciano (f. 84v, derivazione notata da S. Butters, The triumph of Vulcan, Firenze, in corso di stampa).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite ... [1568], a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, pp. 61, 63; VII, ibid. 1881, pp. 10 s.; Il carteggio di Michelangelo, a cura di P. Barocchi-R. Ristori, III, Firenze 1973, ad Indicem; I. Morelli, I codici manoscritti volgari della Libreria Naniana, Venezia 1775, pp. 14 ss.; P. Zani, Encicl. melodica criticoragionata delle Belle Arti, I, 19, Parma 1824, p. 231; C. Pini-G. Milanesi, La scrittura di artisti ital., Firenze 1876, II, commento alla tav. 116; C. Frati-A. Segarizzi, Catalogo dei codici marciani ital., II, Modena 1911, pp. 28 s.; T. Ashby, La Campagna romana al tempo di Paolo III. Mappa della Campagna romana del 1547 di Eufrosino Della Volpaia..., Roma 1914, pp. 2 s., 75 s.; C. Pedretti, Documenti e memorie riguardanti Leonardo da Vinci..., Bologna 1953, pp. 243-258; Id., Il Codice di B. di Lorenzo della Golpaja, in Studi Vinciani, Genève 1957, pp. 23-32; A. Simoni, B. D. in margine al cod. ms. 5363 della Marciana, in La Clessidra, maggio 1959; C. Maccagni, Notizie sugli artigiani della famiglia della Volpaia, in Rass. periodica di informazioni del Comune di Pisa, III (1967), pp. 1-7, 9-12; Id., The Florentine clock and instrument-makers of the Della Volpaia family, in XIIe Congrès international dhistoire des sciences... 1968, Actes, tome XA, Histoire des instruments scientifiques, Paris 1971, pp. 67-71; P. Galluzzi, in Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento. La corte, il mare, i mercanti. La rinascita della scienza ... (catal.), Firenze 1980, p. 164; G. Scaglia, Alle origini degli studi tecnologici di Leonardo, Firenze 1981, p. 22; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXXIV, p. 530; E. Morpurgo, Dizionario degli orologiai italiani, Roma 1950, p. 201 (s. v. Volpaia, Benvenuto della).