BENI PUBBLICI.
– Categorie, regime e usi dei beni pubblici. Privatizzazioni e liberalizzazioni: il rilievo patrimoniale dei beni pubblici. Dai beni pubblici ai beni comuni come strumento dei diritti della persona. Bibliografia
Categorie, regime e usi dei beni pubblici. – I b. p. sono quelle cose, mobili e immobili, di proprietà dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni e, a volte, di enti pubblici non territoriali, cui si applica una disciplina parzialmente diversa da quella che regola i beni di appartenenza privata. La Costituzione non definisce in modo compiuto la materia. L’art. 42 si limita ad affermare l’esistenza della proprietà pubblica e la possibilità di espropriare la proprietà privata, salvo indennizzo per motivi di interesse generale (solitamente le proprietà espropriate vengono trasferite in capo a soggetti pubblici), e l’art. 43 prevede la possibilità che possano essere riservate originariamente o trasferite mediante esproprio e salvo indennizzo, allo Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori e utenti, imprese e, quindi, i relativi beni strumentali, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, fonti di energia o a situazioni di monopolio. Le categorie e la disciplina essenziale dei b. p. si ritrovano nel codice civile (artt. 822 e segg.) e della navigazione (artt. 28 e segg.). Le legislazioni speciali relative, per es., alle acque, alle miniere e alle cave, alle foreste, integrano la disciplina codicistica che rimane il quadro di riferimento.
I b. p. si distinguono per finalità. Alcune categorie sono normalmente destinate all’uso pubblico della collettività indistinta; così, per es., i beni del cd. demanio naturale e, cioè, il lido del mare, la spiaggia, le rade, i porti, i fiumi, i laghi. Questi beni appartengono necessariamente allo Stato e agli altri enti territoriali. Altre categorie di beni sono aperte all’uso pubblico e di regola appartengono allo Stato e agli altri enti territoriali, ma possono appartenere anche a enti pubblici non territoriali o a privati. È questo il caso delle strade e delle autostrade, degli acquedotti, degli immobili dichiarati di interesse storico, archeologico, artistico, delle raccolte dei musei e degli archivi. Vi sono poi b. p. in quanto utilizzati dalla pubblica amministrazione per la realizzazione di un servizio o di una funzione a essa riservati, come le opere destinate alla difesa nazionale, gli armamenti, gli edifici destinati a sedi di uffici. L’uso di questi beni è precluso alla generalità: sono ammessi solo coloro che hanno un peculiare status nell’organizzazione amministrativa (come, per es., i funzionari pubblici preposti allo specifico compito) o coloro che, in base alla legge, hanno diritto ad accedere a determinati uffici pubblici. Vi sono, infine, i beni destinati a un pubblico servizio che possono appartenere allo Stato, alle regioni, alle province o ai comuni e le cui utilità possono essere fruite da tutti coloro che hanno diritto al servizio in base alle leggi, secondo il principio della parità di trattamento.
Due sono i regimi giuridici dei b. p.: il demanio e il patrimonio indisponibile. I beni demaniali sono inalienabili: non idonei a divenire oggetto di diritti dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. I beni del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. Nel concreto i due regimi tendono a convergere nella caratteristica dell’inalienabilità. Ciò che comporta l’impossibilità per i terzi di acquisire diritti sui beni e l’impossibilità che gli stessi possano essere oggetto di espropriazione forzata. La tutela dei b. p. si realizza tramite gli ordinari mezzi a difesa della proprietà oppure attraverso l’esercizio dei peculiari poteri dell’amministrazione diretti a realizzare le proprie pretese, senza necessità di rivolgersi al giudice.
Sia la catalogazione, sia i regimi codicistici sono stati criticati dalla dottrina (M.S. Giannini, I beni pubblici: dispense delle lezioni del corso di diritto amministrativo dell’anno acc. 1962-1963, 1963; S. Cassese, I beni pubblici. Circolazione e tutela, 1969) che ha influenzato anche la giurisprudenza. Quest’ultima è, quindi, pervenuta a una ricostruzione del quadro normativo incentrata attorno a due concetti giuridici, che sono quelli dei beni riservati e dei beni a destinazione pubblica (V. Cerulli Irelli, Beni pubblici, in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1987, ad vocem). Rientrano nella prima categoria quei beni che la legge, in via generale e direttamente, attribuisca alla titolarità dello Stato o di altro ente pubblico, escludendo contestualmente ogni altro soggetto e, segnatamente, i privati. Con riferimento a tali categorie di beni, l’amministrazione non ha alcuna discrezionalità nella loro individuazione; sono tali per legge se presentano le caratteristiche strutturali da essa definite; perdono la qualità di
b. p. se perdono i connotati descritti dalla legge. La cd. sdemanializzazione deve essere, infatti, meramente dichiarata dall’amministrazione (art. 829 c. c.). In tale ambito rientrano, per es., i beni del demanio marittimo, idrico e i beni minerari. Nell’altra categoria, l’amministrazione ha un potere più rilevante, perché si tratta di cose che costituiscono gli strumenti per la prestazione di un pubblico servizio a essa imputato oppure di cose che sono direttamente in grado di fornire utilità alla generalità, mediante l’uso diretto da parte dei membri della collettività. L’acquisto e la perdita della qualità pubblica del bene sono in questi casi riconnessi alla scelta dell’amministrazione e alla sua effettiva realizzazione (per es., la mera costruzione della strada da parte di un ente territoriale, finché non è aperta al pubblico, non determina l’acquisto della qualità demaniale; e viceversa: la perdita della qualità pubblica del bene dipende sia dalla manifestazione, anche implicita, della volontà dell’amministrazione di non usare più il bene per la funzione pubblica, sia dalla realizzazione di questa volontà; Cerulli Irelli 2006).
Privatizzazioni e liberalizzazioni: il rilievo patrimoniale dei beni pubblici. – L’assetto della disciplina codicistica sopra descritto, che esalta il valore d’uso dei b. p. e la loro destinazione all’uso pubblico, e che secondo taluni sarebbe la dimostrazione che la proprietà pubblica è in realtà un dovere (Caputi Jambrenghi 1993), viene affiancato, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, da una serie di interventi legislativi speciali volti a prevedere meccanismi più rapidi per la sdemanializzazione al fine di alienare a privati gli immobili pubblici e a istituire soggetti di amministrazione caratterizzati dal regime di diritto privato, con il compito di valorizzare economicamente i cespiti immobiliari pubblici (Renna 2004). Alla base di questi interventi c’è l’esigenza sempre più pressante di realizzare introiti finanziari per lo Stato. In questo periodo si realizzano le cartolarizzazioni (Cerrina Feroni 2010), cioè operazioni finanziarie volte a vendere i b. p. tramite il veicolo di società commerciali appositamente costituite, cui viene intestata la proprietà dei beni e le cui quote in origine pubbliche, sono poi alienate a privati, consentendo così allo Stato di monetizzare immediatamente il valore di ingenti patrimoni immobiliari (Caputi Jambrenghi 2012). È stata istituita la Patrimonio dello Stato S.p.A. cui si sarebbe dovuta conferire la titolarità di tutti i beni, anche demaniali, dello Stato e che avrebbe dovuto orientarne la gestione secondo regole di efficienza economica. La società legale è stata però soppressa, e la gestione del patrimonio pubblico è rimasta di competenza dell’Agenzia del demanio, divenuta nel frattempo ente pubblico economico e, dunque, operante secondo criteri di mercato. Negli interventi normativi più recenti dal 2011 al 2013 si è anche data la possibilità di istituire fondi immobiliari pubblici cui conferire alcune categorie di immobili, allo scopo di realizzarne una gestione economicamente efficiente e redditizia e, in taluni casi, venderle.
La liberalizzazione dei mercati, anche di quelli relativi ai servizi pubblici, promossa dalle politiche dell’Unione Europea, ha poi indotto un processo di trasformazione dei vecchi enti pubblici economici che gestivano i servizi (energia elettrica, gas, comunicazioni, ma anche strade e autostrade; Corso 2004). A volte la legge ha espressamente disciplinato la sorte dei beni, anche dopo la trasformazione in società commerciale del vecchio ente pubblico. È il caso delle strade e autostrade gestite direttamente o controllate in qualità di concedente dall’Azienda nazionale autonoma delle strade S.p.A. (ANAS S.p.A.) che conservano il precedente regime demaniale. Altre volte simili precisazioni normative sono mancate e, pertanto, importanti assets per lo svolgimento di servizi pubblici, che quando erano in proprietà dell’ente pubblico economico rientravano certamente nel patrimonio indisponibile (art. 830 c.p.c.), sono transitati nel patrimonio delle società derivanti dalla trasformazione e restano disciplinati integralmente dal diritto privato. Con l’ulteriore conseguenza che, quando lo Stato ha perso il controllo della società, anche i beni di questa, ormai parte del proprio attivo patrimoniale, sono transitati in mano privata (I beni pubblici..., 2008).
In questa situazione, la legge ha inteso dare rilievo alla possibilità di intervento dell’amministrazione a tutela di interessi strategici nazionali, in presenza di attivi, quali le reti di distribuzione dell’energia elettrica, gli impianti di stoccaggio e di distribuzione del gas, la rete fissa di comunicazioni, la rete ferroviaria, anche qualora gli stessi beni fossero – come alcuni già sono – ormai nella proprietà di società integralmente privatizzate. La recente disciplina dei poteri speciali (d.l. 15 marzo 2012 nr. 21, convertito dalla l. 11 maggio 2012 nr. 56) inerenti agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni mostra plasticamente una nuova nozione di b. p. a carattere oggettivo e funzionale, in relazione a cui si prevede una specifica disciplina di tutela degli interessi pubblici, da realizzare però nel rispetto di stringenti condizioni. Tali poteri pubblici su beni in proprietà di società private (perché privatizzate) sono, infatti, espressione di deroghe ai principi di libera circolazione dei capitali, affermati nell’ordinamento dell’Unione Europea.
Va sottolineato, inoltre, che la più recente legislazione, di origine europea, in merito ad alcune categorie di beni, come appunto le reti (cioè beni strumenti per l’esercizio di attività economiche che spesso coincidono con un servizio pubblico e che hanno la caratteristica del monopolio naturale, non essendo economicamente duplicabili) tende a considerare irrilevante la proprietà privata o pubblica dei beni in questione. La disciplina è tesa a consentire l’uso dei medesimi beni anche ai terzi, in nome dello sviluppo di nuovi prodotti o servizi e del potenziamento della concorrenza (D’Alberti 2012). Queste discipline fanno emergere un rilievo peculiare di queste categorie di beni che, a prescindere dalla loro appartenenza, sono sottoposte a un regime che limita il diritto del proprietario di escludere altri. Si possono, perciò, considerare come beni di interesse pubblico, in quanto le utilità che da essi possono essere tratte sono destinate a essere condivise anche con altri soggetti, nel contesto delle regole del mercato concorrenziale.
Questo nuovo quadro normativo relativo alla disciplina dei b. p. e dei beni cui si riconosce un rilievo pubblico, nel senso precisato, mette in evidenza la tendenza di fondo della legislazione attuale, che consiste nel dare rilievo assorbente all’aspetto patrimoniale dei beni e al loro valore di scambio, più che al valore d’uso. Anche i b. p., e non soltanto più i beni privati, sono sempre più considerati input inseriti nel processo di produzione di mercato e a esso funzionali.
Dai beni pubblici ai beni comuni come strumento dei diritti della persona. – Quasi come una sorta di reazione al fenomeno descritto, si è sviluppato negli ultimi anni un movimento di pensiero di carattere politico e filosofico prima e poi anche giuridico da cui emerge l’esigenza di considerare alcune categorie di beni come necessari strumenti per la realizzazione della persona umana e dei suoi diritti fondame-tali e perciò connotati da un’immanente destinazione all’accesso collettivo (Rodotà 1981). Per queste categorie di beni, come, per es., gli elementi che costituiscono l’ambiente naturale (le foreste, l’alta montagna, il mare, le zone umide, i ghiacciai), le acque, ma anche le testimonianze archeologiche e artistiche, le conoscenze scientifiche, la comunicazione tramite la rete Internet, si reclama una disciplina giuridica che ne consenta la conservazione, il controllo sociale degli usi e garantisca la possibilità a ciascuno di accedervi, al di là dei regimi di appropriazione. In questo caso, si chiede al diritto di elaborare discipline che superino anche le nozioni classiche di proprietà pubblica intese come espressione di titolarità esclusive dello Stato o degli altri enti pubblici, per giungere a nuove forme di appartenenza per le quali i beni indicati siano in realtà imputati direttamente alle persone. Perciò, più che di b. p., si parla di beni comuni (v.) e sono state indicate significative ascendenze storiche della tematica (Di Porto 2013). Si fa strada l’idea che esistano alcuni beni sui quali gli Stati stessi non possono avere una sovranità esclusiva, ma i diritti di godimento e di disposizione sembrano doversi attribuire direttamente ai singoli membri della collettività umana attuale, erede delle generazioni precedenti e premessa per le generazioni future. Riconoscimenti di questo peculiare rilievo di certi beni si trovano in alcuni trattati internazionali (si pensi, per es., alle Convenzioni UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale, antropologico e ambientale dell’umanità), in alcune costituzioni di alcuni Stati, per es., dell’America Meridionale. Nel nostro ordinamento, il dibattito è aperto. Allo stato la legislazione non ha ancora recepito la categoria in modo organico, ma tracce significative si riscontrano nella giurisprudenza (Cassazione, sezioni unite, 14 febbr. 2011 nr. 3665).
Bibliografia: S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna 1981, 20133; V. Caputi Jambrenghi, Beni pubblici e d’interesse pubblico, in Diritto amministrativo, a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano et al., 2° vol., Parte speciale e giustizia amministrativa, Bologna 1993, 20055, pp. 179-249; G. Corso, I beni pubblici come strumento essenziale dei servizi di pubblica utilità, in Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Annuario 2003 - Titolarità pubblica e regolazione dei beni. La dirigenza nel pubblico impiego, Milano 2004, pp. 29-45; M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano 2004; V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino 2006, 20144, pp. 23340; I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, a cura di A. Police, Milano 2008; G. Cerrina Feroni, Cartolarizzazioni dei beni pubblici, in Enciclopedia del diritto, Annali, 3° vol., Milano 2010, ad vocem; V. Caputi Jambrenghi, I beni pubblici tra crisi finanziaria e risorse di gestione, in Scritti in onore di Lelio Barbiera, a cura di M. Pennasilico, Napoli 2012, pp. 265-76; M. D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, Torino 2012, 20132, pp. 131-62; A. Di Porto, Res in usu pubblico e ‘beni comuni’. Il nodo della tutela, Torino 2013.