FERRINI (Ferino, de Ferinis), Benedetto (Benedictus de Florentia)
Non si conosce l'anno di nascita di questo architetto toscano, dal 1453 attivo in Lombardia in qualità di ingegnere ducale degli Sforza e noto soprattutto col nome di "Benedicto de Florentia nuncupato Florentino", come appare in un atto del 10 giugno 1468, con il quale Galeazzo Maria Sforza, definendolo ancora "zovene", gli conferma la proprietà di una fornace sul fiume Adda (Verga Bandirali, 1981, pp. 50, 72, alla quale, ove non diversamente indicato, si rimanda per le notizie biografiche del Ferrini).
Completata a Firenze la sua formazione, che avvenne nel quinto decennio del XV secolo, il F. si trasferì in Lombardia. Nel 1453 è documentato per la prima volta a Lodi, come "familiare" di Francesco Sforza e con mansioni attinenti all'approvvigionamento dei cantieri ducali e la gestione di fornaci sul fiume Adda. Dal 1456 al 1459 appare spesso tra gli stipendiati addetti ai lavori al castello di porta Giovia a Milano. Nella città lombarda godette della protezione del duca, tanto da far supporre che vi fosse giunto, come già il Filarete, per raccomandazione dei Medici, specialmente di Giovanni, che da Firenze continuò ad interessarsi delle sorti del F. nella sua corrispondenza con il duca Francesco Sforza (1457, 1459).
Nel secondo semestre del 1459 è ipotizzabile un breve rientro a Firenze, chiamato in causa dai consoli dell'arte di Por S. Maria; potrebbe situarsi in tale occasione l'incarico, ricevuto dal duca, di acquistare due Madonne di Desiderio da Settignano (Spencer, 1968).
Nel 1461 il F. fu inviato a Venezia per realizzare il rilievo e il modello ligneo dell'incompleto palazzo Cornaro, destinato a residenza in laguna degli Sforza; dopo mesi di trattative il duca abbandonò il progetto della casa veneziana e l'opera del F. risultò vanificata, come già la consulenza del Filarete (1458).
Alcune note di pagamento, presenti nell'archivio dei Medici, lasciano indovinare una collaborazione e un livello di interscambiabilità tra il F. e il Filarete, sia al castello Sforzesco di Milano, da dove Filarete si era allontanato nel 1453 per divergenze e dissapori con le maestranze locali, sia alla villa suburbana di Mirabello (1463), che era di proprietà dei Portinari, gestori a Milano del banco dei Medici.
Anche dopo la morte, nel 1466, del duca Francesco il F. continuò a lavorare per gli Sforza. Il suo legame con la famiglia divenne anzi ancora più solido: egli godette del favore di Galeazzo Maria, che, in possesso di una fine educazione umanistica, invidiava ai Medici le prestigiose dimore toscane, tanto da voler trasformare il castello di Milano da fortilizio in splendida residenza della corte.
I lavori eseguiti dal F. nel castello Sforzesco (portico dell'Elefante, loggetta d'angolo, rivestimento a bugnato delle torri angolari e varie sale interne), come il fatto che il duca gli concesse il permesso di recarsi periodicamente al cantiere della certosa di Pavia, dimostrano come gli schemi dell'architettura fiorentina divulgati da lui e dal Filarete fossero favorevolmente recepiti dalla committenza lombarda.
All'intensa attività del F. corrispose la serrata ostilità dei colleghi lombardi, di Bartolomeo Gadio soprattutto, geloso della predilezione del duca nell'affidargli opere di prestigio, quali una non identificata cappella nel duomo milanese (1471), la cappella votiva al Pilastrello di Vigevano (1472) e, nel 1473, quella del castello Sforzesco, oltre al rifacimento di S. Maria del Monte presso Varese. Sempre del 1473 è la perduta ancona reliquiario, voluta da Galeazzo Maria per la cappella del castello di Pavia e distrutta durante il sacco del 1527, progettata dal F., eseguita da intagliatori e decorata da pittori quali V. Foppa e Z. Bugatti.
Spesso necessità politico-militari urgenti consigliavano al duca di interrompere i programmi in atto per provvedere ad opere fortificatorie, il che costringeva gli architetti sforzeschi, e tra questi il F., a tempestivi spostamenti nei domini sforzeschi, dalla Liguria al Ticino. Durante una di queste missioni accadde al F. di essere incolpato della frana di una darsena nel porto di Savona, da lui troppo frettolosamente costruita nel 1473. Per sottrarsi al giudizio non gli rimase che sconfinare: si recò probabilmente a Bergamo o a Cremona, in seguito anche a Firenze.
Le tappe di questa fuga si ricavano da quanto confessato al Gadio dal fratello del F., quando questi fu tradotto, insieme alla compagna e ai tre figli del F., nelle carceri del castello Sforzesco, dove rimasero segregati per nove mesi. Da un documento del 18 nov. 1479 si sa che il F. dalla sua concubina "Giacobina da Castiliono", moglie di Bartolomeo da Luino (Verga Bandirali, 1981, pp. 87 n. 127, 96 n. 184), aveva avuto i figli Brigida, Leonora e Girolamo. Quest'ultimo nel 1480 venne nominato erede universale delle sostanze paterne; quattro anni dopo lo ritroviamo nella bottega dell'intagliatore milanese "Iohanes de' Caretis" (ibid., p. 97 n. 190).
Dopo una lunga latitanza il F. ritornò al servizio del duca e per tutto il 1476 lavorò, tra l'altro, alla ristrutturazione del complesso visconteo di Vigevano, che realizzò in minima parte. L'assassinio di Galeazzo Maria nel Natale di quello stesso anno interruppe ogni attività nel Ducato, fino alla decisione presa da Bona di Savoia nel 1477 di affidare al F. e a Maffeo da Como la costruzione della rocchetta all'interno del castello di Milano. La precaria situazione politica suggerì al F., in ragione del lungo e fedele servizio, di chiedere alla duchessa la cittadinanza milanese: gli fu concessa nello stesso 1477, permettendogli l'acquisto di una casa nelle vicinanze di S. Giovanni sul Muro.
All'inizio del 1479 il F. fu inviato a Bellinzona per risistemare le difese esistenti e costruire una nuova rocca sullo sperone di Sasso Corvaro, nell'imminenza di un attacco degli Svizzeri. Nel luglio, quando la rocca stava per essere terminata, un'epidemia di peste colpì la zona; ne fu vittima anche il F., che morì nella notte tra il 30 settembre e il 1ºott. 1479.
La procura dei suoi tre orfani venne assunta da Acerrito Portinari: il fatto rafforza l'ipotesi di un rapporto tra i banchieri fiorentini e il F., loro conterraneo.
Fonti e Bibl.: Per una bibliografia completa e per un'ampia antologia dei documenti, editi e ined., riguardanti il F., si veda M. Verga Bandirali, Documenti per B. F. ingegnere ducale sforzesco, in Arte lombarda, XXVI (1981), pp. 49-102. Si veda inoltre: G. Mongeri, Un artista inavvertito, in Arch. stor. lombardo, XII (1885), pp. 166-168; E. Motta, L'architetto militare B. F. da Firenze morto a Bellinzona nel 1479. Documenti per la sua vita, in Boll. stor. della Svizzera ital., VIII(1886), pp. 24, 67, 94, 125, 156, 185, 189; Id., Castelli di Bellinzona sotto il dominio degli Sforza, ibid., XII (1890), pp. 181-219; L. Beltrami, Il castello di Milano durante il dominio dei Visconti e degli Sforza, Milano 1895, pp. 82, 92 s., 104, 114-116, 121 s., 127 s., 157, 160, 163; Id., La Ca' del Duca sul Canal Grande e altre riminiscenze sforzesche in Venezia, Milano 1900, pp. 27, 32, 34, 36, 58 s., 61; J. Spencer, Francesco Sforza and Desiderio da Settignano: two new documents, in Arte lombarda, XIII(1968), pp. 131-133; J. R. Spencer, The Ca' del Duca in Venice and B. R, in Journal of the Society of architectural historians, marzo 1970, pp. 3-8; L. Patetta, L'archit. del Quattrocento a Milano, Milano 1987, ad Indicem; F. Zintgraff, Le dernier projet de l'architecte florentin B. F.: la construction du cháteau de Sasso Corbaro à Bellinzona, in Etudes de lettres, I(1991), pp. 29-40; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 485 s.