CALANDRINI, Benedetto
Nato a Lucca, dove fu battezzato in S. Giovanni il 25 genn. 1518, da Filippo di Giovan Matteo e da Caterina di Benedetto Buonvisi, si dedicò alla mercatura e alla banca, secondo la tradizione di famiglia. Venne emancipato dal padre nel 1546, allorché ricevette la metà di una casa in contrada S. Anastasio, spettante per l'altra metà al fratello maggiore Giuliano, e nel 1553 fu designato erede del patrimonio in parti uguali con Giuliano. Come il padre e il fratello trovò naturale sistemazione nelle aziende commerciali e bancarie dei suoi ricchissimi cugini Buonvisi: socio del banco "Antonio, eredi di Ludovico Buonvisi e C." di Lione, apertosi nel 1554 e chiusosi nel 1559, nel novembre del 1555 era a Lione in qualità di "governatore della ragione".
Nella primavera del 1559 partecipò a un acquisto di sei balle di sete "squillace assortite et soprane comprate in Calavria", effettuato, tramite la ditta lucchese Alamanno Orsucci e Pompeo Sbarra di Napoli, dagli eredi di Ludovico Buonvisi per gli 11/20, da Vincenzo Buonvisi per 6/20 e dal C. stesso per 3/20. Le prime due balle di seta "soprana", del peso netto di 236 libbre ciascuna, vennero vendute alla compagnia di arte della seta Buonvisi e Diodati di Lucca, a ragione di 3 ducati d'oro per libbra. A 3 ducati d'oro per libbra venne venduta anche la terza balla, egualmente di 236 libbre, alla compagnia di Antonio e Turco Balbani. Due balle, per complessive quasi 400 libbre, furono vendute agli stessi Balbani a ragione di 2 ducati e i soldo la libbra. L'ultima balla, di seta di Montalto, e di 233 libbre, venne venduta a ragione di 2 ducati, 15 soldi e 6 denari alla compagnia Buonvisi e Diodati.
Il C. risiedeva in questo tempo sempre a Lione e presso la banca Buonvisi di Lione gli vennero prima addebitate le spese per l'acquisto della sua quota parte di sete, e poi accreditate le somme ricavate dalla vendita; il conto relativo a questa operazione non era ancora chiuso nel marzo del 1562. Dal libro degli eredi di Ludovico Buonvisi abbiamo notizia anche di due panni di Valenza, per 13 Scudi, venduti dal C. ai Buonvisi. Sebbene continuassero dunque i legami con i Buonvisi, quando nel maggio dell'anno 1559 venne ricostituita la loro compagnia di Lione. il C., al pari del fratello, risultava ormai fuori della società gestita dai cugini: questo sganciamento fu probabilmente determinato dall'inclinazione dei Calandrini, sia pure non ancora ufficialmente ammessa, alle idee della Riforma.
Il C. aveva sposato Maddalena di Girolamo Arnolfini, che gli aveva portato in dote 2.000 scudi, certamente prima del 1551, quando stese un primo testamento, istituendo eredi gli eventuali figli maschi e assegnando alle femmine, se ce ne fossero state, una dote di 2.500 scudi ciascuna; in caso che non avesse avuto figli, lasciava ogni sostanza al fratello Giuliano.
Rientrato a Lucca, nonostante le brillanti affermazioni avute in ambito politico (fu anziano nel 1561, nel 1564 e nel 1566), il C. si rese conto dell'impossibilità di continuare a professare in patria le idee riformate, cui aderivano anche suoi familiari ed anuci, e principalmente Zabetta Arnolfini vedova Diodati, promessa sposa di Giuliano e la figlia di questo, Laura, promessa sposa di quel Pompeo Diodati, figlio di Zabetta, che era stato dichiarato ribelle per motivi religiosi fin dal marzo del 1566. Proprio per accompagnare le due donne ai rispettivi mariti il C. affrontò un primo viaggio a Lione nello stesso 1560. Ritornato in patria, si accinse a preparare la fuga all'estero.
Nel 1567 procedette, infatti, all'alienazione di moltissimi beni e sembra credibile che già con quest'intendimento avesse venduto l'11 maggio del 1564, per conto suo e di Giuliano, a Gerolamo di Romano Garzoni una parte delle marine di Lucca di proprietà della famiglia. Sempre a nome del fratello e suo proprio, a saldo di debiti, cedette il 23 genn. 1567 agli eredi di Antonio di Ludovico Buonvisi e ad Alessandro Buonvisi tutta la "missa" che aveva in accomandita nella loro compagnia e in più assegnò loro la casa con stalla e orto in contrada S. Anastasio di Lucca; il medesimo giorno vendette ad Alessandro di Ludovico Buonvisi il podere dei Calandrini di Massa Pisana e di S. Lorenzo a Vaccoli; nel marzo affittò terre a Marlia, vendette a Francesco, Bernardino, e Lazzaro di Girolamo Arnolfini una "bellissima chiusa di terre" nel piviere di S. Pancrazio, affittò delle proprietà agli Arnolfini, altre ne vendette a San Casciano di Moriano; allivellò dei beni in San Pancrazio.
Tutta questa serie di atti preludeva alla fuga organizzata che il C., alla guida di un gruppo costituito dalla moglie Maddalena, dai nipoti Filippo e Chiara di Giuliano, da Michele Burlamacchi, sposo di Chiara, e da servitori fidati, mise in atto, nel 1567, dirigendosi non a Ginevra, come quasi tutti gli altri riformati lucchesi, ma a Parigi, dove Giuliano poteva contare sull'appoggio di influenti personaggi.
Subito dopo la fuga, il governo lucchese intervenne contro gli esuli ed il C. fu citato con ordine del 30 luglio 1567, insieme con altri, a comparire entro quattro mesi di fronte agli Anziani "sub pena, ut dicitur, della disgratia"; fu quindi dichiarato eretico e ribelle il 28 febbraio 1570, lo stesso giorno cioè di Michele Burlamacchi. Dal momento in cui lasciarono Lucca, il C. e sua moglie non si separarono più dal Burlamacchi e dagli altri loro familiari, sicché le vicende che li riguardano sono, in linea di massima, le stesse, dalla prima residenza a Parigi al trasferimento nella tenuta dei Diodati a Luzarches, alle peregrinazioni al seguito dell'esercito del Condè dopo la sconfitta di Saint-Denis dell'11 nov. 1567, al soggiorno infine a Montargis, presso Renata di Francia, generosa protettrice degli esuli.
Dopo la pace di Longjumeau, nel marzo del 1568, il C. e gli altri rientrarono a Parigi per partirne tuttavia ben presto e cercare rifugio a Sedan presso un altro protettore, il duca di Bouilion. Trascorso circa un anno a Sedan, dopo la pace di Saint-Germain (agosto 1570), il C. rientrò a Luzarches e successivamente a Parigi, dove lo colse la notte di S. Bartolomeo, alla quale "miracolosamente" egli ed i Burlamacchi scamparono "per la provvidenza del Signore et aiuto d un amico di Lorena", il Le Clercq, tesoriere del duca di Guisa. Da Parigi il C. fuggì nuovamente a Sedan, città colpita dalla peste e dalla carestia, dove visse in ristrettezze, avendo lasciato la sua casa piena di molti beni che non poté recuperare, come gli altri fuggiaschi. Rientrato a Parigi, dopo alcuni anni di vita grama, prese in affitto sempre con Michele Burlamacchi il castello di Muret con l'intenzione di mettere ordine ai suoi affari e di recuperare, ove possibile, il perduto, quando, al sopraggiungere delle guerre della lega, desistette per sempre dall'idea di fare della Francia la nuova patria e, dopo tante traversie, si sobbarcò ad un nuovo viaggio per raggiungere a Ginevra Pompeo Diodati che vi si era trasferito fin dai tempi del secondo soggiorno di Sedan.
Alla solita comitiva errabonda mancava questa volta un personaggio, Chiara Burlamacchi, che, morendo di parto a Muret (1580), aveva affidato i figli al C. e alla moglie Maddalena: "et lei promisse di hauere cura" di loro "et accettarli come suoi propri figliuoli et l'ha tenuto per sua buona natura". Non più giovane, provato dall'esilio e reduce da una lunga malattia che aveva colpito anche Maddalena, il C. fu causa di preoccupazione ai suoi compagni, tanto più dovendo essi affrontare disagi d'ogni genere e grandissime piogge per cui furono spesso in pericolo di annegare.
Finalmente a Ginevra, il nobile "Benedicto Calandrin de la ville de Luques" fu ammesso alla cittadinanza con malleveria di Pompeo Diodati l'8 novembre 1585. Morì senza prole il 30 maggio 1587.
Nel suo testamento lasciava a Maddalena la somma di 500 scudi accreditatagli come socio della bottega degli eredi di Bonaventura Micheli e Girolamo Arnolfini. La moglie, che gli sopravvisse fino al 1601, poteva disporre per il matrimonio delle nipoti Susanna e Camilla della somma di 300 scudi d'oro del sole e di 1.000 libbre tornesi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Comune, Corte dei Mercanti, n. 87, cc. 23, 29v, 30, 48-49; Ginevra, Bibl. publ. et univers., ms. Suppl 438: Libro de' dignissimi ricordi delle nostre famiglie, cc. 50-54 e passim;Lucca, Biblioteca governativa, ms. 1109: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucch.(sec. XVIII), cc. 67, 68, 72, 74, 78; Livres des habitants de Genève, a cura di P-F. Geisendorf, II, Genève 1963, p. 137; J. A. Galiffe, Notices généal. sur les familles genevoises depuis les premiers temps jusqu'à nos jours, II, Genève 1836, pp. 536-561; J. B. G. Galiffe, Le refuge italien de Genève aux XVIe et XVIIe siècles, Genève 1881, p. 153; G. Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di Papa Niccolò V, in Atti della R. Accademia lucchese di scienze, lettere e arti, XXIII(1884), pp. 314, 317 s., 342, 346 s., 349; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese a Ginevra, Pinerolo 1935, passim;F. Casali, L'azienda domestico-patrimoniale di Ludovico Buonvisi e la sua partecipazione alle compagnie principali del casato (con trascrizione del libro personale suo e degli eredi degli anni 1549-1569), tesi di laurea, università di Pisa, fac. di economia e commercio [1964], ad Indicem.