Ben ti faranno il nodo Salamone
. Questo terzo sonetto della tenzone D.-Forese (Rime LXXV) sorvola sull'accusa lanciata da Forese agli Alighieri padre e figlio (al padre, probabilmente di usura e insolvenza di debiti contratti con la pratica di quest'arte; al figlio, d'inadempienza dei suoi doveri verso l'anima appenata del padre defunto), ma investe alcuni punti della replica dell'avversario (vv. 8-9, 13-14: il nodo di Salomone, l'ansia e l'arte di scioglierlo...) risolvendone, si direbbe, tutto il potenziale fantastico per ritorcerli d'impeto contro la ghiottoneria del Donati. Il nodo inestricabile di Salomone? Incombe su di lui, Forese, sotto forma squisita di petti di starne e lombate di castrato, che, si pensa, finiranno col soffocarlo. Ma no, o non solo: genereranno, le pelli di coteste lombate, vendicative pergamene, ‛ carte debito ' inesorabili, che lo trarranno in giudizio e di lì, a due passi da casa, nel carcere di San Simone. Sempre che da quel laccio metaforico, prima fisiologico poi giudiziario, egli non riesca, lesto, a sciogliersi con l'arte di cui s'era detto inesperto (v. 13 " ‛ scio ' mi'. Ed i' non potti veder come "), mentre una voce lo andava dicendo espertissimo. E sarà l'arte del furto, " come chiarirà l'ultimo sonetto, piuttosto che il falso e la truffa " (Contini; e v. le osservazioni del Barbi). Arte di gran guadagno e che libera dalla minaccia delle scadenze (a tempo, cioè, equivocamente: " al momento giusto " e " per un certo tempo "), se non finisce male (come toccò agli Stagnesi che " devono essere stati ladri famosi, acciuffati e impiccati ").
La ritorsione è violenta, scattante (v. le labiali di apertura), castigatrice. E la rappresentazione è ricca e, specie nella prima quartina, " tecnicamente spiritosa ". Il Contini (Introduzione alle Rime, p. XXI) si rifà al procedimento stilistico della sestina provenzale, " il cui verso inclina con violenza verso la fine, destinata a ospitare le parole più determinate, e pertanto lo spettacolo della più cruda realtà ", e scrive: " è con un simile procedimento che i petti delle starne, con la carnalità specificata del loro aspetto tentatorio, si presentano in clausola, e succedono in tale funzione al fortemente idiomatico e allusivo nodo Salamone; mentre, subito sotto, l'ingegnosa collazione delle sorti dellà carne, sepolta nella fisiologia dell'ingordo, con quelle della pelle, convertita in pergamena per registrarne i debiti rovinosi, s'offre in un nobile aspetto tra d'indovinello e di trobar clus ". E ancora: " La minaccia incombente acquista una concretezza fisica nell'incalzare delle rime alternate: in rima è San Simone, il carcere, e l'andarne, la dolorosa, e con feroce gioia enunciata, necessità della fuga ". Analogamente l'Apollonio rileva la preziosità ironica di incontri come Salamone e castrone, la " già palese soluzione dantesca delle rime care "; e avverte una " viva forza di luce, una chiarezza illuminante e radente " che investe le cose dette, la cui realtà, " arduamente evocata, acquista la vita precisa dell'immagine pura ". E il Sanguineti nota opportunamente che questi " petti delle starne " e questa " lonza del castrone " sono pure " la chiave stilistica e tematica " che nel XXIV del Purgatorio, trasmessa alla voce di Forese, intonerà " l'epigramma per il pontefice goloso, che purga per digiuno, tra i peccatori della gola, l'anguille di Bolsena e la vernaccia ": fermo restando che la " fenomenologia diretta ed esplicita " del dolce assenzio de' martiri è cosa diversa dal " virtuosismo verbale e stilistico " del sonetto.
Al v. 5 il Barbi emendò la lezione del ms. " più presso " in " pur preso "; il Contini, il Marti ecc. la accolgono, invece, come plausibile (le case dei Donati poco distavano da San Simone) e più arguta (Forese abiterà " più vicino " al carcere, vi sarà dentro).
Metrica: come nel primo sonetto, un incalzante susseguirsi di rime alternate (Abababab, Cdecde) in attesa della sistemazione a rime chiuse del sonetto finale.
Cfr. la voce TENZONE CON FORESE.
Bibl. - M. Marti, Appunti sulle rime giovanili di D. (1957), rist. in Realismo dantesco, Milano-Napoli 1961, 36, 43; E. Sanguineti, Tre studi danteschi, Firenze 1960.