BELLUNO (A. T., 24-25-26)
Città della Venezia montana, situata sul Piave, quasi al centro della parte orientale del bacino che, singolarmente ampio per le Alpi del Veneto, separa le Prealpi Bellunesi a S., dalle Dolomiti feltrine ed agordine a N.; esso si allunga da OSO. a ENE., fra Ponte nelle Alpi e Fonzaso, per circa 45 chilometri, e misura una larghezza di 7-8 km. Questo bacino, chiamato volgarmente "Val Beluna", è percorso dal Piave che lo lascia sotto Cesana, per attraversare la chiusa di Quero, ed è di origine tettonica. Che il movimento tettonico continui, provano non solo le alluvioni interglaciali e postglaciali che riempiono la sinclinale, ma anche i recenti terremoti, tra cui è rimasto tristemente famoso quello del 29 giugno 1873. Nondimeno, rispetto alla pianura veneta, il fondo della valle è alquanto più elevato, onde essa è accompagnata da terrazzi. Colline terziarie, terrazzi alluvionali e depositi morenici formano il terreno coltivabile, su cui si raccolgono anche le abitazioni, che sono sparse o riunite in agglomeramenti per lo più piccoli. Il maggiore di questi ultimi è Belluno. Sorge tra l'Ardo e il Piave, sopra il terrazzo di confluenza alla destra del corso principale, in posizione assai adatta alla difesa militare, e ad un tempo tanto elevata sull'alveo plavense da non temerne le maggiori piene. Per tale situazione, la città domina i passaggi del Piave e dell'Ardo, ed essendo posta ad ugual distanza dallo sbocco della valle del Cordevole nel bacino bellunese e dal punto ove la depressione Lapisina, conducente alla pianura, imbocca la valle del Piave, è il centro naturale della parte orientale del bacino, come Feltre, a sua volta comunicante per la chiusa di Quero con la pianura e per la bassa sella di Arten con la valle di Cismon, è il centro della parte occidentale del bacino stesso.
Vicina all'ampio bacino dell'alto Piave ed affluenti, assai ricco di boschi, Belluno aveva in antico le case di legname; di questo modo di costruire però non vi era più traccia nella prima metà del Seicento. Nella pianta della città, il fatto caratteristico è che la Via Mezzaterra si sviluppa circa lungo l'asse di simmetria del ripiano, pressoché trapezoidale, su cui sorge la parte più antica del centro urbano, e che parecchie altre vie hanno direzioni parallele o oblique (talvolta normali) alla prima. La Via Mezzaterra andava appunto dall'antica porta Dogliona alla Porta Rugo, appartenenti alla cinta medievale (sec. XIII-XV), oltre cui, verso NO., nella parte più larga del ripiano detta il Campiello (Campitello), poté formarsi la parte più recente della città, cui sin dal secolo XVI erano già congiunti il Borgo Piave, sorto ai piedi del terrazzo per effetto della fluitazione del legname, ed il Borgo Prà, costituitosi oltre l'Ardo, come luogo al valico e poi al ponte su questo torrente. Alla metà del '500 la città, compresi i vicini abitati dipendenti, contava 4000 abitanti, e un numero quasi identico troviamo nella prima metà del '700 (4200 abitanti nel 1729); ebbe invece un forte aumento nel sec. XIX, sia perché con la costituzione della provincia la città fu messa a capo di tutti i territorî passati a formare la nuova circoscrizione amministrativa, sia perché trasse non pochi vantaggi dallo sviluppo del turismo e delle cure climatiche. Così da 9730 abitanti nel 1820, il comune era cresciuto a 12.145 nel 1844, a 15.509 nel 1871, a 15.660 nel 1881, a 18.747 nel 1901, a 20.687 nel 1911, a 21.829 nel 1914, a 27.119 nel 1921 (popolazione legale): popolazione presente 26.753 ab., dei quali 18.661 accentrati nel capoluogo (10.381) e in altri 35 piccoli centri, gli altri sparsi in campagna.
Monumenti artistici. - Nulla rimane a Belluno dell'alto Medioevo, benché la città avesse notevole importanza all'epoca dei Goti, dei Longobardi e dei Carolingi: solo nel Duomo di Belluno e nelle chiese suburbane di San Fermo e di San Sebastiano rimangono pochi frammenti che rivelano l'apparizione anche nel bellunese dell'arte romanica.
Il Duomo fu cominciato al principio del sec. XVI, forse sul disegno di Tullio Lombardo, dove sorgeva la precedente antichissima cattedrale. Vi si ammirano pale pregevoli di Andrea Schiavone, di Cesare Vecellio, di Sebastiano Ricci, di Iacopo da Ponte, di Palma il giovane, e Gaspare Diziani. Sovra una parete pende un vaghissimo stemma vescovile, opera di Andrea Brustolon. Nella cripta un polittico, che in alcuni comparti dovuti al primitivo bellunese Simone da Cusighe, riproduce scene della vita di un santo: la pala poggia sovra una magnifica arca di marmo dorato e di porfido, del sec. XIV, già appartenente alla famiglia degli Avoscani. Il bel campanile, cominciato nel 1702 e compiuto nel 1743, è opera felice di Filippo Iuvara.
La chiesa di Santo Stefano, di stile gotico, ha subito dopo la guerra adornamenti e restauri che turbarono la primitiva semplicità dell'architettura: tuttavia è sempre un monumento insigne ove, fra altro, in una cappella affrescata da Iacopo da Montagna, si ammira l'antica scultura di legno dorato in cui Andrea di Foro (secolo XV) riprodusse la celebre pala di Alvise Vivarini che allora adornava la chiesa bellunese dei Battuti, e che oggi è ornamento del Museo di Berlino. Sulla facciata laterale della chiesa venne murata la porta trecentesca della chiesa (oggi soppressa) di Santa Maria dei Battuti.
Notevole infine la chiesa di San Pietro, per la insigne pala dell'altar maggiore, opera di Sebastiano Ricci, per due affreschi dello stesso che fregiavano le pareti della cappella Fulcis, e per due pale d'altare in legno scolpito, capolavoro del Brustolon.
Vanno ricordati chiostri gotici dei serviti, presso Santo Stefano, e dei francescani, presso San Pietro, e quello più recente, pure dell'ordine francescano, ove ora ha sede il ginnasio liceo.
La prefettura, eretta a partire dal 1409 per sede dei podestà veneziani, è uno dei più notevoli palazzi civici italiani in stile del Rinascimento, per la bellezza dell'insieme e dei particolari architettonici. Il palazzo municipale venne costruito nel 1838, in stile archiacuto, coi frammenti del superbo palazzo del comune di Belluno allora demolito per costruire sull'area l'attuale tribunale.
Il palazzo vescovile, con l'alta torre accanto, costruito nel 1190 dal vescovo guerriero Gherardo de' Taccoli, interamente restaurato dopo il grande terremoto del 1873, è ora ridotto a corte d'assise: poche lapidi dell'atrio ricordano l'antica destinazione e l'antico splendore. Interessante il Monte di Pietà eretto nel 1531. Il palazzo dei conti Piloni, ora sede dell'amministrazione provinciale, conserva nell'atrio quattro affreschi di Cesare Vecellio. Il palazzo "Reviviscar" in via San Lucano, male restaurato in questi ultimi tempi, ha un bel portale e una facciata coi segni dello zodiaco. Notevoli il palazzo Fulcis, ora de Bertoldi, quello già Protti, ora sede del Credito veneto. il palazzo Doglioni, ora Banca provinciale, e quello dei Capellari. Infine sono da rammentare l'ospitale civile, già seminario, eretto su disegno del Tremignon, e il bel teatro di stile neoclassico. In piazza del Duomo e in piazza del Mercato e ai Battuti sorgono belle fontane, a vasca poliedrica, sormontata da statue di singolare fattura locale, erette fra il '400 e il '500. È anche notevole la fontana in via della Motta, adorna dello stemma del podestà Loredan.
La porta Dogliona, sorta nel sec. XII, fu rifatta nel 1553: ha nella parte interna, che è quella del sec. XII, i battenti originali di legno: i ponti levatoi vennero tolti negli ultimi anni della repubblica veneta. Anche la porta Rugo conserva la parte interna antichissima, fronteggiata dalla più recente costruzione, del 1522. Magnifico il vecchio torrione che strapiomba sull'Ardo, superba opera militare veneta del sec. XV.
L'invasione del 1917-1918 ha distrutte le belle raccolte del cav. Gaetano de Bertoldi (quadri del Ricci e mobili del '700) e quelle dell'avvocato Rodolfo Protti (suppellettili bellunesi d'ogni tempo e di ogni foggia); distrutta la galleria Pagani, che conservava quadri di notevole valore; dispersi gli oggetti di grande pregio che ornavano molte case signorili. Solo il conte Francesco Agosti conserva intatta una preziosa raccolta di quadri di epoche diverse: fra pochi ma buoni esemplari dei secoli XV e XVI, vi campeggiano numerosi e pregevoli dipinti del sec. XVII.
Assai interessante il Civico museo, fondato da prima (1876) con donativi del dott. Giampiccoli e del conte Carlo Miari, sotto la guida del prof. Francesco Pellegrini e completamente riordinato nel 1910 dall'avv. Rodolfo Protti. Durante l'invasione andò dispersa, oltre a qualche oggetto di minore importanza, la preziosa raccolta di incisioni bellunesi. Il museo contiene oggetti di scavo pre-romani e lapidi romane e di epoche successive; sigilli bellunesi; manoscritti e libri d'interesse locale; ricordi della Belluno scomparsa; bronzi, medaglie, placchette, monete; e pochi ma ottimi quadri, come due soavi Madonne di Bartolomeo Montagna, un frammento di Sebastiano Ricci, un magnifico ritratto d'ignoto autore, e ritratti attribuiti a Tiberio Tinelli e al Longhi.
V. tavv. CXLIX e CL.
Storia. - Il periodo antico. - Nell'antichità Belluno (Bellunum, Βέλουνον) era città dei Veneti (Ptol., III, 1, 30; Plin., Nat. Hist., III, 130). Nella vicina località Cavarzano sono state scoperte numerose tombe del terzo periodo atestino (Not. Scavi, 1883, p. 27 segg.) cioè del sec. V a. C. Fu municipio romano ed era sulla via tra Aquileia e Verunum (Itin. Anton., p. 276, 2) nella X regione e venne iscritto nella tribù Papiria (Corp. Inscr. Lat., V, 2044, 2045, 2048, 2055; Not. scavi, 1888, p. 408). Nelle iscrizioni sono menzionati i magistrati municipali quattuorviri e duoviri iuri dicundo e in loro vece il praefectus, inoltre i quattuorviri aedilicia potestate, il quaestor, i decuriones, il sacerdote flamen e un collegium fabrum. Un'iscrizione (Not. scavi, 1888, p. 407) ricorda una statua dedicata a Salonina, moglie di Gallieno.
Il periodo medievale e moderno. - Sotto i Longobardi, Belluno pare fosse sede di uno sculdascio. Assai prima era, sicuramente, sede di vescovi, che nel sec. X troviamo già ricchi di immunità e giurisdizioni e, nel secolo seguente, preposti al governo della città. In seguito anche a Belluno sorge il governo comunale; ma non senza che i vescovi conservassero, fin oltre il sec. XIII, parte del loro antico potere, come la rappresentanza della città nei trattati e la facoltà di convalidare formalmente le varie signorie successivamente introdottesi. Il più antico documento relativo all'esistenza del comune è del 1200.
Il comune si rivela come emanazione dei vassalli del vescovo, aggregati in quattro consorterie di parentela ("rotoli"), che ritenevano per sé o conferivano ai loro amici le principali cariche, consolato compreso. Questa forma aristocratica di governo cittadino subì in seguito modificazioni; ma, non ostante qualche tentativo del popolo per abbatterla, si mantenne sostanzialmente in vigore anche in seguito. E se ne hanno tracce anche nel sec. XVIII. Durante le contese dei comuni col Barbarossa, Belluno, ancora guidata dai suoi vescovi, si accosta dapprima ai Comuni; ma, dopo la distruzione di Milano, si pacifica con l'imperatore. Nel 1179, si unisce alla Lega Lombarda ma poi di nuovo passa dalla parte imperiale, così che è naturalmente assente dalla pace di Costanza del 1183. Questi ondeggiamenti dipendevano e dalla gelosia per la potenza della vicina Treviso e dai contrasti delle interne fazioni di guelfi e di ghibellini. Vinta da Treviso nel 1197, Belluno fu costretta a subire il dominio della città nemica e dei suoi signori, o a darsi, per difendersene, in balia di altri. Così vediamo, nei secoli XIII e XIV, avvicendarsi in Belluno le signorie dei Trevisani, dei da Romano, dei da Camino, degli Scaligeri, di Carlo di Boemia, del marchese di Brandeburgo, dei Carraresi, di Alberto e Leopoldo d'Austria, dei Visconti. Finalmente, nel 1404, Belluno si dette a Venezia e restò in suo potere fino al 1797, salvo una breve dominazione di Sigismondo imperatore (1411-1420) e salvo l'agitata sua vicenda al tempo della lega di Cambray (1508-1511), quando la città passò, per ben dieci volte, dalle mani dei Veneziani a quelle degl'imperiali e viceversa. Occupata dai Francesi durante la campagna d'Italia del Bonaparte, dopo Campoformio (1797) fu data agli Austriaci. Dopo Presburgo (1805), fu unita, invece, al Regno italico come capoluogo del "Dipartimento della Piave". Ma nel 1813 vi ritornarono gli Austriaci, che vi rimasero fino al 1866, con la breve interruzione del 1848 (marzo-giugno), quando anche Belluno si unì al governo dell'insorta Venezia. Durante la prima guerra d'indipendenza, i volontarî di Belluno combatterono sull'Isonzo, a Vicenza, a Cornuda, a Venezia, formando un reggimento di Cacciatori delle Alpi comandati dall'eroico Pier Fortunato Calvi. La guerra mondiale sottopose a nuove prove la città di Belluno che, dopo l'ottobre 1917, fu soggetta per un anno ad occupazione nemica. Ma il 10 novembre 1918 vi rientrarono vittoriosi i soldati d'Italia.
La provincia di Belluno. - La provincia di Belluno è situata fra quelle di Udine, Treviso, Trento e Bolzano, e a settentrione, da Cima Vanscuro al Peralba, confina con la Repubblica Austriaca. Oltre a una parte del bacino del Cismon, essa comprende il bacino della Piave a monte di Valdobbiadene, e la linea di cresta delle Prealpi Venete dal Grappa al Col Visentin ne è il confine meridionale. È una provincia interamente montana, in cui la selvicoltura e la pastorizia prevalgono sugli altri rami dell'economia; mentre la meravigliosa bellezza del paesaggio costituisce la ragione precipua dello sviluppo che vi hanno preso il turismo e le stazioni di soggiorno e di cura. Essa si estende infatti su quasi tutte le Alpi Dolomitiche orientali e, oltre il Cismon e la Piave, sul versante interno delle Prealpi Vicentine e Bellunesi, e ancora include nei suoi confini una stretta striscia, decorrente da S. a N., delle Prealpi e Alpi Carniche occidentali.
Le acque hanno scavato valli generalmente strette (canali e chiuse), in alcuni punti soltanto allargate a guisa di conche. In siffatte valli le sedi umane poterono svilupparsi specialmente nelle parti allargate e si stabilirono sui terrazzi e sui pendii, in modo che ciascun allargamento vallivo costituì un'isola di popolamento, un centro dotato di vita propria, cui corrispose altresì una particolare denominazione. Così dal Bellunese e dal Feltrino si distinguono, per remota tradizione, l'Alpago (v.), l'Agordino, il Livinallongo (v.), lo Zoldano, l'Ampezzo (v. cortina), il Cadore, e nel Cadore l'Oltrechiusa, il Comelico, l'Oltrepiave e la valle d'Auronzo. Il Bellunese in senso proprio è la parte del bacino sopra descritto situata a monte della foce del Cordevole, aggiuntovi il tronco di valle del Piave da Ponte nelle Alpi a Termine; vi rimaneva inchiuso l'Alpago e confinava a levante col Friuli, a settentrione con la contea di Tirolo e col Cadore, a mezzodì col territorio di Serravalle e con le contee di Mel e di Val Mareno.
Con l'aggregazione dei comuni di Cortina d'Ampezzo, Livinallongo e Colle S. Lucia, sino al 1918 appartenuti all'Austria, la provincia ha un'area totale di 3676 kmq. con 234.583 ab.
I caratteri di elevata regione montuosa, dove le prevalenti rocce dolomitiche, nude e dirupate, tendono ad abbassare il limite delle colture e delle abitazioni, non solo, ma riducono a poca estensione il terreno coltivabile, si rispecchiano nella bassa cifra della popolazione relativa (63,7) e nella forte percentuale dell'emigrazione, la quale al presente è, in prevalenza, europea e diretta soprattutto verso la Francia, pur essendo sempre notevole il numero di coloro che emigrano ogni anno in America e in Australia.
Fatta eccezione per il bacino feltrino-bellunese e per l'Alpago, dove, in relazione alla modesta altitudine (circa 300 m.) e all'esistenza di terreni più fertili (marne, arenarie, argille terziarie e detriti glaciali), la popolazione è relativamente densa, sì che calcolandola in base alle aree comunali si trova variare da 50 a 200 e superare alquanto quest'ultima cifra corrispondentemente ai maggiori centri abitati, nelle altre parti della provincia, eccettuate poche e piccole aree dove oscilla fra i predetti numeri (e raggiunge i più alti dove convergono più valli o dove vi sono miniere), resta alquanto al disotto dei valori sopraindicati; lungo i fondi delle valli scende anche al disotto di 50, va diminuendo sulle pareti delle stesse e sfuma in alto nella zona disabitata o abitata in gran parte temporaneamente, all'epoca dell'alpeggio e della fienagione.
Le colture occupano la parte maggiore della conca feltrino-bellunese: gli abitati stanno di preferenza sui terrazzi e li accompagnano campi di cereali, specialmente di granturco, e varie specie d'alberi da frutto e pochi filari di viti: solo sui pendii bene esposti di Fonzaso e Arsiè si coltiva la vite in vigneti specializzati. Ma già in questa zona, tra Ponte nelle Alpi e Fonzaso, si nota buon numero di appezzamenti coltivati a fagiuoli e a patate, colture le quali, nell'alto Cadore, accompagnate da quelle della rapa, del cappuccio e della barbabietola, diverranno predominanti, se non addirittura esclusive.
L'area considerata come boschiva misura 160.054 ettari, dei quali però solo 93.000 sono di bosco d'alto fusto (abeti, larici, pini e anche faggi) e occupano le parti più alte della provincia; 14.317 ettari occupano i cedui, particolarmente di íaggi e di carpini, 33.283 i cespugliati e 19.454 sono di terreno da rimboschire.
Il legname, per gran parte formato da resinose, è assai pregiato e costituisce una grande fonte di ricchezza per i comuni proprietarî dei boschi i quali compensano l'uomo della scarsità dei prodotti agricoli. Un'importanza assai minore, e per la qualità e per la quantità, ha la produzione dei derivati del latte, nella zona alpina e in quella prealpina. Invece è una fonte assai cospicua di guadagno per la popolazione la bellezza del paesaggio che, insieme con la semplice ma schietta e gentile ospitalità degli abitanti, attrae, specialmente d'estate, tra quei monti un gran numero di forestieri. Questa affluenza è facilitata dall'automobilismo, che dispone di strade ordinarie in ottimo stato, e dalle ferrovie. Delle quali ultime una sola ha scartamento normale ed è in via di elettrificazione, cioè la Montebelluna-Belluno-Calalzo, lunga 95 km. e che sarà prolungata fino a Gogna, alla confluenza dell'Ansiei con il Piave. Scartamento normale avrà anche la ferrovia Lapisina, in costruzione tra Ponte nelle Alpi e Vittorio Veneto. E finalmente due ferrovie a scartamento ridotto conducono l'una da Bribano ad Agordo e l'altra, detta delle Dolomiti, da Calalzo a Cortina d'Ampezzo, Misurina e Dobbiaco.
Le ferrovie, oltre al movimento turistico e al trasporto del legname, servono al trasporto dei prodotti delle miniere della provincia; delle quali la maggiore è quella della Valle Imperina (Agordo), donde si estrae la pirite cuprifera.
Poche sono le industrie locali (paste alimentari, birra, malto, distillati, laterizî e calce, cementi, pietre molari). La produzione dell'energia elettrica può avere ancora grande sviluppo.
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Per l'arte v.: G. Alvisi, Belluno e la sua provincia, Milano 1858; M. Goggenheim, Il palazzo dei rettori di Belluno, Venezia 1894; L. Venturi, I bronzi del Museo civico in Belluno, in Boll. d'arte, IV (1910), pp. 253-66; D. v. Hadeln, Das Museo civico in Belluno, in Der Cicerone, II (1910), pp. 635-38; G. Fogolari, Dipinti del Museo civico di Belluno, in Boll. d'arte, IV (1910), pp. 285-92; G. Ravazzini, Il Palazzo dei rettori a Belluno, in Arte e storia, XXX (1911), pp. 69-81.
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