VINTA, Belisario
– Di nobile famiglia, nacque a Volterra il 13 ottobre 1542 da messer Francesco e da Elisabetta Incontri. Era terzo di quattro figli (prima di lui Ferdinando e Paolo, poi Emilio).
In età adulta i fratelli Emilio e soprattutto Paolo furono impegnati al servizio dei Medici con posizioni di elevatissimo livello, conseguendo quest’ultimo nel 1605 la nomina a primo segretario di Stato.
Vinta fu iniziato alle lettere classiche e alla lettura di Virgilio dalla madre. In seguito fu inviato alla scuola di Dionisio Lippi che, per la grande passione per la cultura classica e l’erudizione, lo appellò «doctissimus adulescens» (Fusai, 1905, p. 9). Nel 1566 conseguì la laurea in utroque iure nello Studio di Pisa di cui più tardi divenne auditore. Coltivò l’interesse per le lettere anche nell’età adulta. Nel 1576 volse in latino alcune imprese composte da Giovan Battista Cini e da Vincenzo Borghini. Fu in contatto epistolare con Giovan Battista Guarini e nel 1603 entrò a far parte dell’Accademia senese dei Filomati. Il teologo Graziano d’Avezzano gli intitolò dei sonetti e Giuseppe Nozzolini gli offrì le proprie rime.
Il 7 luglio 1567 Vinta divenne cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano. In seguito fu gran cancelliere dell’Ordine (1596) e priore di Modena. Nel 1568 entrò negli uffici di governo ducale e fu istruito da Bartolomeo Concini. La carriera professionale si dispiegò all’interno degli uffici di governo, fino a raggiungerne il massimo grado e a occupare le principali cariche cittadine. Nel 1568 fu inviato come segretario alla corte cesarea, al seguito dell’ambasciatore Ludovico Antinori. Sostituiva il fratello Emilio, morto durante la missione. Assieme all’ambasciatore e a Giovan Battista Concini, figlio di Bartolomeo, mandato con lo scopo di rafforzare l’iniziativa diplomatica, egli si occupò della questione del titolo granducale che Pio V aveva concesso a Cosimo I e che aveva suscitato ampi malumori e le proteste di Ferrara e Mantova. Disimpegnò questo ruolo fino al 1574, anche dopo che nel 1572 Antinori fu rientrato a Firenze.
Con la successione di Francesco de’ Medici nel 1574, pur restando all’interno degli uffici di governo, Vinta si tenne lontano dalle dinamiche di corte egemonizzate dall’influenza di Bianca Cappello e del fratello Vittorio. Dopo il ritiro nel 1576 di Bartolomeo Concini, Vinta si occupò delle relazioni con gli Stati italiani, mentre il primo segretario Antonio Serguidi (che aveva sposato una figlia di Concini) delle relazioni con gli Stati europei. Anche Vinta consolidò i rapporti con i Concini, sposando la nipote di Bartolomeo, Alessandra Bartolini, nel 1577. Dal matrimonio nacquero le figlie Tommasa ed Elisabetta.
Dal 1574 Vinta condusse missioni diplomatiche in diversi luoghi e spesso nell’Impero. Nel 1575 si recò a Venezia per trattare con i rappresentanti dei Fugger di crediti pendenti. Nello stesso anno fu presso l’imperatore per negoziare la concessione di un prestito e trattare delle contese per le precedenze. L’anno dopo vi tornò come segretario di Tommaso Malaspina con il compito di farsi consegnare Piero Ridolfi, complice nella congiura di Orazio Pucci. Per alcune trattative matrimoniali che non andarono a buon fine si recò nel 1578 a Innsbruck presso l’arciduca d’Austria e nel 1579 presso l’impero. A Mantova andò più volte fra il 1579 e il 1584 per negoziare l’unione dinastica fra Eleonora de’ Medici e il duca Vincenzo Gonzaga e presenziò a Venezia alla prova di virilità richiesta a Gonzaga dalla corte medicea.
Fu spesso a Roma per difendere gli interessi dei Medici e vigilare sui conclavi. Seguì il conclave del 1572 insieme a Bartolomeo Concini. In quello del 1585 fu in stretto contatto con il cardinale Ferdinando de’ Medici. Dopo l’elezione al pontificato di Sisto V, il granduca Francesco non volle che Vinta tornasse a Roma poiché non vedeva di buon occhio l’intesa che si era creata con il cardinale de’ Medici.
Quando nel 1587 succedette al fratello alla guida del Granducato, Ferdinando riorganizzò le Segreterie. Con motuproprio del 2 novembre 1587, accanto a Pietro Usimbardi «secretario in capite» (Pansini, 1982, p. XXIX) e ad Antonio Serguidi, con prerogative ridimensionate, collocò Vinta, cui erano devoluti i rapporti con gli Stati esteri a eccezione della Spagna e della Francia, con Venezia, Milano, Ferrara e Bologna; inoltre erano di sua competenza l’elezione dei canonici dello Stato Vecchio, l’amministrazione della Sanità, dell’Abbondanza e delle proprietà ducali. Nel 1591, quando Usimbardi lasciò il suo ruolo, Vinta lo sostituì «di fatto» al vertice degli uffici di governo o, secondo altre fonti, anche con la qualifica formale (ibid., p. XXX; Diaz, 1987, p. 282). Con il granduca Cosimo II, egli ricevette, dopo la morte del fratello Paolo, la nomina di capo della Segreteria con il titolo di primo segretario di Stato il 5 gennaio 1610.
La collaborazione fra Ferdinando e Vinta fu talmente stretta che talvolta appare arduo distinguere il ruolo di ciascuno nelle numerose faccende che guidarono insieme. Vinta acquistò il palazzo oggi noto come palazzo Bargagli-Petrucci, situato all’incrocio fra lungarno Torrigiani e via dei Bardi, dal quale poteva agevolmente raggiungere la corte a palazzo Pitti. Il palazzo fu venduto nel 1652 a Lorenzo di Raffaello de’ Medici. Vinta divenne uno degli uomini più influenti del tempo, come riferito al tempo di Cosimo II da Matteo Botti, ambasciatore mediceo a Parigi, cui il segretario Nicolas de Neufville signore di Villeroy aveva scritto riferendosi a Vinta quale uno dei ministri più capaci dell’epoca, al pari solo di don Juan de Idiáquez, in Spagna, e di Robert Cecil conte di Salisbury, in Inghilterra, un giudizio ben presto divenuto un topos e riferito da molta storiografia successiva (Galluzzi, 1821, p. 102; Fusai, 1905, p. 5; Lombardi, 1975, p. 53). Per governare le numerose questioni che seguiva, Vinta si dotò di una rete di anonimi informatori che ne fecero in questi anni «il ministro più informato che fosse in Italia» (ibid., p. 101). Anche nelle stamperie aveva informatori al soldo, dai quali riceveva copia di ciò che doveva essere impresso, come nel caso di Paolo Blado che nel 1594 gli faceva avere da Roma «tutto quanto [stampava] per la Camera apostolica, anche prima che fosse fatto di pubblica ragione» (Barbieri, 1968).
Vinta fu sempre favorevole all’avvicinamento alla Francia in funzione antispagnola, anche attraverso la direzione degli appoggi occulti dati a Enrico di Navarra e la concessione di prestiti erogati segretamente. Dopo che Ferdinando I dal 1591 aveva assunto il controllo del castello d’If, di fronte alle coste marsigliesi, Vinta seguì la faccenda fino a quando fu risolta con l’inclusione del Granducato nella pace di Vervins e la restituzione del castello a Enrico IV. Per affrontare con Clemente VIII l’assoluzione di Enrico IV, inviò a Roma il fratello Ferdinando. In occasione delle nozze fra Maria, nipote del granduca, ed Enrico IV, Vinta accompagnò nel 1600 la principessa Medici dal re di Francia, vigilando in prima persona sulla liquidazione degli interessi fra quella Corona e il granduca. Portò con sé il nipote Concino Concini che rimase presso la regina in Francia. Vinta insisté con Enrico IV affinché conservasse il Marchesato di Saluzzo, ma, di fronte alla firma della pace di Lione (1601) con cui cedendo Saluzzo il re di Francia abbandonava qualsiasi postazione territoriale in Italia, Vinta si espresse con toni forti scrivendo a Firenze che non si sarebbe mai «aspettato una cosa simile da questo re» (lettera ad A. Dal Pozzo cit. in Fusai, 1905, p. 84). In occasione delle minacce che il Granducato subì più volte alle sue frontiere (nel 1590 da banditi appoggiati dalla Spagna e dallo Stato sabaudo, e nel 1601 da truppe spagnole) trovò rapidamente dei sostegni esterni, nel 1590 da Venezia e nel 1601 da Enrico IV.
Nei rapporti con i pontefici e durante i conclavi Vinta rivestì un ruolo di primo piano. Nel 1588 andò a Roma per appoggiare la richiesta di liberare l’arciduca Massimiliano d’Austria, dopo che nel 1586 era stato rinnovato il tentativo di assicurare agli Asburgo il Regno di Polonia. A Roma Vinta si occupò altresì della trattativa con Sisto V per il matrimonio fra Flavia Peretti e Virginio Orsini, duca di Bracciano, nipote molto stimato da Ferdinando I. A Roma nel 1589 affrontò anche la questione del matrimonio di Ferdinando con Cristina di Lorena.
Egli si recò più volte nella città santa fra il 1590 e il 1592 per i tre conclavi che si susseguirono in tempi ravvicinati: nel 1590 assieme a Emilio Cavalieri e Cipriano Saracinelli per seguire il conclave che portò all’elezione di Urbano VII (morto 12 giorni dopo l’elezione) e poco tempo dopo il conclave per l’elezione di Gregorio XIV. Vinta rimarcò quando fosse «indispensabile» influire sui conclavi dopo che Ferdinando I aveva adottato «una politica avversa alla Spagna» (Relazione, cit. in Fusai, 1905, p. 45). Dopo la morte di Gregorio XIV nell’ottobre del 1591 egli era di nuovo a Roma per seguire il conclave con cui fu eletto Innocenzo IX. Nel 1592 dopo la morte del pontefice fu inviato assieme a Cavalieri per vigilare sul conclave che elesse Clemente VIII. In questo conclave e nel primo del 1605 (che avrebbe condotto all’elezione di Leone XI), che seguì insieme all’ambasciatore mediceo Giovanni Niccolini, l’abilità politica di Vinta fu strumento essenziale per coordinare l’azione dell’acuto granduca Ferdinando che da Firenze dirigeva le manovre politiche. Nel 1605 a Roma furono inviati anche Antonio Medici e Camillo Guidi.
Vinta gestì personalmente i rapporti con Galileo Galilei. Con l’intenzione di tornare a Firenze, lo scienziato, che voleva dedicare i satelliti di Giove al giovane Cosimo II, accettò il consiglio di Vinta a proposito del nome da dare ai satelliti, preferendo a Cosmici, Medicea Sydera, dacché l’aggettivo mediceo metteva al riparo dalle ambiguità che il richiamo al cosmo avrebbe potuto favorire.
Poco tempo prima della morte di Ferdinando I, Vinta fu insignito della dignità senatoria il 5 gennaio 1609. Succeduto al padre, Cosimo II proseguì la politica dell’equilibrio fra le principali potenze europee, avvalendosi dell’esperienza dei ministri provenienti dal governo precedente. Vinta continuò a occupare la carica di primo segretario (ora formalizzata), anche grazie alla stima che per lui nutriva Cristina di Lorena che nelle lettere che si scambiavano si definiva sua «amica» (Fusai, 1905, p. 100). Vinta seguì le trattative intorno al ‘doppio parentado’ tra Luigi XIII e Anna d’Austria e fra il futuro Filippo IV ed Elisabetta di Borbone, in cui ebbero un ruolo anche gli ambasciatori medicei residenti in Francia e in Spagna, anche se il buon esito fu dovuto soprattutto alla volontà pacifista allora prevalente sia in Francia sia in Spagna. Uno degli ultimi atti politici di Vinta fu opporre un rifiuto alla richiesta avanzata dal duca di Lerma all’indomani della morte di Ferdinando I di introdurre un ambasciatore permanente della Spagna a Firenze.
Secondo l’ambasciatore veneto Francesco Badoer nel 1609 Vinta godeva di una grande reputazione, ma in quel tempo appariva «ridotto a così grave età, che non mostra dover molto tempo durar le sue grandissime fatiche» (Segarizzi, 1916, p. 170).
Morì nella notte fra il 14 e il 15 ottobre 1613 (Fusai, 1905, p. 21) o il 16 (Diaz, 1987, p. 363) e fu sepolto nella chiesa di S. Croce a Firenze. Furono pronunciate due orazioni funebri poi andate a stampa: una lode del teologo Graziano d’Avezzano recitata in latino e poi stampata in volgare nel 1613 (oggi non localizzata) e per volere della granduchessa Cristina di Lorena un’orazione di Alessandro Minerbetti.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 4616, c. 143 (lettera di Vinta ad A. Dal Pozzo, cit. in Fusai, 1905, p. 84), 3876, c. 1 (B. Vinta, Relazione del conclave di Gregorio XIV, cit. in Fusai, 1905, p. 45). G.B. Guarini, Lettere, Venezia 1593, pp. 45, 92-94; G. Nozzolini, Rime, Venezia 1596; A. Minerbetti, Orazione d’Alessandro Minerbetti in lode del clariss. signor caualier B. V. senatore, [...] recitata nel palazo de Medici a di 30 di gennaio 1613, Firenze 1614; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, IV, Firenze, 1679, p. 227; D.M. Manni, Il Senato fiorentino, Firenze 1771, pp. XXIX, 139 s.; L. Cantini, Legislazione toscana, Firenze 1800-1808, XII, 1804, pp. 10 s.; R. Galluzzi, Storia del Granducato di Toscana, VI, Livorno 1821, pp. 101 s.; G. Canestrini - A. Desjardins, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, IV, Paris 1872; G. Fusai, B. V. ministro e consigliere di Stato dei granduchi Ferdinando I e Cosimo II de’ Medici (1542-1613), Firenze 1905; A. Segarizzi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, III, 2, Bari 1916, p. 170; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 13, 15 s., 27, 35, 79 s., 120; H. Giddey, Agents et ambassadeurs toscans auprès des Suisses sous le règne du grand-duc Ferdinand Ier de Médicis (1587-1609), Zurich 1953, pp. 36-38; F. Barbieri, Blado, Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, X, Roma 1968, s.v.; E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries, 1527-1800. A history of Florence and the Florentines in the age of the grand dukes, Chicago-London 1973, pp. 178 s.; V.M. Lombardi, Tuscan diplomacy and foreign policies, with special reference to the work of B. V.: 1587-1614, tesi di dottorato, New York University, 1975; G. Pansini, Le segreterie del Principato mediceo, in Carteggio universale di Cosimo I de Medici, Inventario, I (1536-1541), a cura di A. Bellinazzi - C. Lamioni, Firenze 1982, pp. XXVIII-XXXI; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1987, ad ind.; M. Biagioli, Galileo, Courtier. The practice of science in the culture of absolutisme, Chicago-London 1993; A. Contini, Dinastia, patriziato e politica estera: ambasciatori e segreterie nel Cinquecento, in Cheiron, XV (1998), pp. 124 s.; M. Biagioli, Galileo’s instruments of credit: telescopes, images, secrecy, Chicago 2006, p. 27; M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’età moderna, Roma 2013, pp. 349-359; S. Barker, ‘Secret and uncertain’. A history of avvisi at the court of the Medici Grand Dukes, in News networks in early modern Europe, a cura di J. Raymond - N. Moxham, Leiden 2016, pp. 716-738.