Este, Beatrice d'
Figlia del marchese Opizzo II (cfr. If XII 111) e sposa del giudice Nino Visconti (il giudice Nin gentil di Pg VIII 52-84). Rimasta vedova nel 1296 e rientrata, con la figlioletta Giovanna, alla corte di Ferrara, fu dal fratello Azzo VIII (cfr. If XII 112) promessa in seconde nozze a un figlio di Alberto Scotto, signore di Piacenza, e concessa poi senza scrupoli in vista del maggior parentado al primogenito di Matteo Visconti di Milano, Galeazzo. Le nozze, pattuite probabilmente nel 1299, si celebrarono a Modena il 24 giugno 1300 e furono festeggiate in Milano, a partire dal 3 luglio, con otto giorni di corte bandita.
Il fatto che, nell'aprile della visione dantesca, le bende vedovili di Beatrice risultino già sostituite (Pg VIII 74) non implica necessariamente che il matrimonio fosse già avvenuto: " Ch'io sappia ", osserva il Torraca, " nessuna legge o costume obbligava la vedova a portare il lutto del primo marito sino al giorno, che un altro l'avesse sposata ".
Codeste nozze accesero rancori che nel 1302 divamparono, in favore dei Torriani, a opera soprattutto di Alberto Scotto " in cuius manibus Matthaeus renunciavit dominium, facta quadam pace. Sed turpiter fuit delusus ". Seguirono, per lui e per tutta la famiglia, le penose traversie di un lungo esilio, a cui certo allude il poeta presagendo alla donna un non tardivo rimpianto dello stato vedovile. Si sa peraltro che ella condivise la sorte dei suoi con dedizione e fermezza esemplare. Vedova una seconda volta nel 1328, rientrò a Milano quando il figlio Azzo riebbe la signoria, e vi morì nel 1334: lasciando scolpito sul suo sepolcro, accanto alla ‛ vipera ' gentilizia dei Visconti lombardi, il ‛ gallo ' dei Visconti pisani: o volessero i primi attestare così diritti ereditari sul giudicato; o volesse la donna smentire il canto, già popolare, di D. che le due insegne aveva contrapposte in antitesi amara; o, " forse, ella non poté o non volle dimenticare il primo marito " (Donadoni).
Nel canto VIII Beatrice non è nominata; la ricorda Nino - dopo aver supplicato il poeta di ottenergli suffragi dall'innocente Giovanna, la sua bambina, unica superstite che potesse intercedere per lui presso Dio - con la perifrasi del v. 73 Non credo che la sua madre più m'ami; cui incalzano l'accenno alle mutate, quasi dissacrate, bianche bende, il presagio di prossimo pentimento e l'aspra condanna della fragile natura femminile, incapace di amore che duri oltre lo stimolo dei sensi. L'opposizione finale del gallo di Gallura (" emblema, scrive il Donadoni, della solerzia mattutina e dell'operosa virtù ") alla vipera milanese (" emblema della forza e della frode ") che un giorno -al dire di Nino - avrebbe fregiato la tomba di lei con decoro tanto minore, suggella icasticamente questa elegia di un dimenticato, stillante lacrime (Donadoni) .ma in una luce di distacco (Apollonio, Sapegno, Petronio) che tempera il mordente dei ricordi, e spiritualizza l'impeto e il tremore degli affetti.
Il Casini vi risente " un'eco dell'avversione medievale alle seconde nozze "; altri una componente psicologica di ordine politico (guelfismo pisano contro ghibellinismo lombardo); tra questi il Del Lungo, che trova a ridire sul cruccio maritale di Nino (" Non è giusto, e appena da condonarsi alla gelosia postuma d'un marito in Purgatorio ... chiamare in colpa del nuovo imeneo la incostanza, anzi la sensualità, della donna; quando questa donna... era una estense, il cui parentado si prestava ai fini della guelfa politica di quella sua potente e procacciante famiglia ").
Una novella del Sacchetti (la XV) fa risalire alle mire politiche del fratello Azzo anche il primo matrimonio di Beatrice, della quale ritrae una risposta sfrontatissima, tra le " più libere e allegre di quella letteratura ".
Un riflesso della Terzina 76-78 si coglie nelle " istruzioni alla vedova " di Francesco da Barberino (Del reggimento e costumi di donna VII II).
Bibl. - G. Villani, Cronica, Trieste 1857, VII 121, X 86; Chronicon Estense, in Rer. Ital. Script. XV, Milano 1729, 342; Bartolomeo da Ferrara, Polyhistoria, ibid XXIV, ivi 1738, 706-707; G. Fiamma, Manipulus florum sive Historia Mediolanensis, ibid XI, ivi 1727, 716; Ugolino de Romana, Annales Veronenses, in Antiche cronache veronesi, a c. di C. Cipolla, Venezia 1890 (cfr. " Bull. " VI [1898-99] 137-138, 144-146; XIIL [1906] 187); G. Giulini, Memorie della città e campagna di Milano, VIII, Milano 1760-1775, 519; A. Giulini, L'ultimo dei Giudici di Galtura nella D.C., ibid 1894; I. Del Lungo, D. nei tempi di D., Bologna 1888, 288-290; E. Donadoni, Il canto VIII del Purgatorio, in Lett. dant. 827-846; G. Di Pino, Stile e umanità, Firenze 1957; M. Cecchi Torriani, Il canto VIII del Purgatorio e i Visconti di Pisa e di Milano, ibid 1966; G. Petronio, Il canto VIII del Purg., in Lect. Scaligera II 263 ss.