PUOTI, Basilio
PUOTI, Basilio. – Nacque a Napoli il 27 luglio 1782 da Nicola e da Maria Arcangela Palmieri, primogenito di sette figli. La famiglia Puoti, originaria di Arienzo (Caserta), apparteneva alla cosiddetta nobiltà di toga.
Destinato alla carriera legale, fulcro della sua formazione, impartita da precettori privati, furono inizialmente il latino e le lettere italiane; tuttavia, gli interessi e le letture giovanili via via si allargarono a vari campi del sapere. Con grande dedizione approfondì la conoscenza del greco, anche moderno. A venticinque anni, dopo una malattia che lo mise in pericolo di vita, gli fu concesso dal padre di abbandonare gli studi di diritto e di dedicarsi esclusivamente a quelli letterari.
Un forte influsso sulla sua educazione esercitò lo zio Carlo, sacerdote e poi arcivescovo, che istillò nell’adolescente l’ammirazione per l’alto esempio di virtù laiche offerto da Domenico Cirillo e Mario Pagano, a cui aveva somministrato i conforti religiosi la notte prima dell’esecuzione, dopo la repressione della rivoluzione napoletana del 1799. Durante il cosiddetto decennio francese (1806-15), entrò in contatto con intellettuali impegnati nel processo riformistico, come Matteo Angelo Galdi, che gli fece assegnare l’incarico di ispettore onorario della Pubblica Istruzione. Non appare azzardato ipotizzare un influsso delle idee illuministiche di Galdi, molto sensibile al rapporto tra istruzione e progresso civile, sulla riflessione pedagogica di Puoti.
Guadagnatasi la stima del ministro degli Interni Giuseppe Zurlo, nel 1812 fu nominato uditore al consiglio di Stato; con il ritorno del re Ferdinando, l’incarico avrebbe potuto trasformarsi in quello di referendario, ma Puoti decise di non accettare la condizione di sottoporsi a un esame simbolico. L’ultima sua azione politica risale al 1820, durante la presidenza Galdi del Parlamento napoletano, nella breve stagione costituzionalista del governo borbonico: come capitano di una compagnia delle milizie civiche sedò un tumulto scoppiato nelle prigioni della Vicaria. In seguito, con la frattura apertasi tra monarchia borbonica e mondo della cultura, Puoti si dedicò esclusivamente agli studi e alla formazione dei giovani: ma l’impegno profuso per il ripristino dell’italianità linguistica travalicò di gran lunga questo obiettivo e il suo nome nella Napoli del ventennio 1825-45 divenne – come scriverà Francesco De Sanctis nel 1868, rievocando gli anni della sua formazione giovanile – sinonimo di «libertà, scienza, progresso, emancipazione, lotta contro il seminario, aspirazioni ancora indistinte a nuove idee, a nuova civiltà» (L’ultimo dei puristi, in La giovinezza..., a cura di G. Savarese, 1961, p. 224). A palazzo Bagnara, dove viveva con la famiglia del fratello Giammaria, Puoti aprì infatti nel 1825 la celebre scuola di lingua italiana, libera e gratuita, a cui è legata la sua fama, quale principale esponente del purismo meridionale ottocentesco.
Attorno alla sua figura si raccolse inizialmente un ristretto gruppo di accoliti, comprendente, oltre all’abate Gaetano Greco e a Giordano de Bianchi Dottula marchese di Montrone, considerati da Puoti suoi precursori, Carlo Mele, il greco Costantino Margaris, i fratelli Saverio e Michele Baldacchini, Raffaele Liberatore, Luigi Dragonetti, Antonio Papadopoli, che soggiornò a Napoli dal 1825 al 1827. Dopo il 1830, in coincidenza con l’intervallo di tolleranza consentito alla cultura e alla stampa napoletane dopo l’avvento al trono di Ferdinando II, tale circolo si trasformò in una scuola di vastissima influenza, con cui furono in contatto una serie di intellettuali molto eterogenei (Carlo Troya, la poetessa Giuseppina Guacci, Paolo Emilio Imbriani, Alessandro Poerio, Pietro Paolo Parzanese, Antonio Ranieri, Cesare della Valle e altri), accomunati dall’amore per le fonti genuine della lingua italiana e dall’adesione all’esaltazione giobertiana del «primato nazionale».
Al di là delle discussioni sulla funzione realmente patriottica del puotismo, sostenuta in chiave prerisorgimentale da allievi diretti come lo stesso De Sanctis e Luigi Settembrini, è indubbia l’appartenenza di Puoti a un filone ‘progressista’ del purismo ottocentesco. La storiografia meridionale del secondo Novecento ha respinto la rilettura del puotismo in termini di unitarismo antiborbonico, ma ha fatto proprio l’apprezzamento desanctisiano per il metodo seminariale ‘attivo’ e ‘dialogico’ praticato nella scuola del marchese e per la sua azione di sprovincializzazione culturale.
Specie nella seconda fase della scuola puotiana, lo studio del marchese fu frequentato, infatti, non solo da allievi che ne proseguirono l’insegnamento in campo grammaticale, come Leopoldo Rodinò, Michele Melga o Bruto Fabricatore, ma da giovani intellettuali, di idee liberali, che arriveranno poi a distinguersi in campo filosofico, giuridico, economico e scientifico: Vito Fornari, Stefano Cusani, Stanislao Gatti, Giacomo Savarese, Giovanni Manna, Guglielmo Gasparrini, Angelo Camillo De Meis e molti altri.
A Napoli erano assai numerose le scuole private, che attiravano studenti molto più delle aule universitarie. Le lezioni del canonico Michele Bianchi, che nel 1818, al concorso per la cattedra di letteratura italiana, era stato preferito a Puoti e a Gabriele Rossetti, erano disertate; il magistero di Puoti invece esercitava un tale richiamo che, proprio per dirozzare i neofiti, nacquero nuove scuole sotto il suo patrocino, come quella aperta da De Sanctis al Vico Bisi nel 1838. Rientrato in città dopo un lungo soggiorno ad Arienzo, dove si era rifugiato nel 1837 a causa dell’epidemia di colera, il marchese aveva ripreso l’insegnamento nella sua nuova residenza, in via Costantinopoli, preferendo dedicarsi solo ai più esperti, anche per completare opere che dessero sistemazione alla sua dottrina, come l’Arte dello scrivere per esempi e per teoriche (Napoli 1843, 1844, 1845; il IV volume, appena abbozzato da Puoti, fu realizzato da Vito Fornari), che lo occupò negli ultimi anni di vita.
Dopo l’avvento del colto monsignor Giuseppe Mazzetti alla presidenza della Pubblica Istruzione e grazie all’appoggio del generale Carlo Filangieri, nel 1839 Puoti venne nominato ispettore degli studi nel Collegio militare della Nunziatella. A sua volta egli fece conferire a De Sanctis un insegnamento prima presso la Scuola militare di S. Giovanni a Carbonara e poi alla Nunziatella. Sullo scorcio del 1845 prevalse la diffidenza della monarchia e Puoti fu rimosso dall’incarico con un pretesto. Ferito profondamente nell’onore dalla motivazione di quell’esonero, la salute del marchese ne risentì e cominciò a declinare. Intanto, il 25 aprile 1843 Puoti aveva ottenuto la nomina ad accademico della Crusca.
Quando morì, il 19 luglio 1847, la sua scomparsa destò viva commozione. Le vicende del 1848, che videro protagonisti molti dei suoi amici e discepoli, e la successiva repressione fecero sì che solo nel 1861 un busto di Puoti potesse essere collocato nel portico superiore dell’Università di Napoli, accanto a quelli di altri insigni maestri.
Puoti condivise con Antonio Cesari l’amore per la semplicità e la naturalezza dei trecentisti minori, il forte normativismo, l’avversione ai neologismi e soprattutto ai francesismi. Tuttavia, nella sua opera gli orientamenti puristici si intersecano con istanze classicistiche, che sul piano biografico trovano corrispondenza nei rapporti allacciati con esponenti del classicismo emiliano-romagnolo-marchigiano: principale tramite di tali rapporti fu il marchese di Montrone, che negli anni del soggiorno bolognese si era legato a Pietro Giordani. La distanza dalle posizioni cesariane riguarda in primo luogo la concezione del rapporto tra forma e contenuto, a cui si collega l’attenzione alla qualità artistica delle scritture; la purezza della lingua per Puoti è obiettivo importante, ma non sufficiente e il fine dell’insegnamento è individuato soprattutto nell’addestramento degli allievi alla naturalezza e all’efficacia espressiva. Il proposito di una restaurazione degli studi si sostanzia in un’apertura al valore della conoscenza, di cui la lingua è strumento essenziale, e nell’allargamento del canone degli autori da proporre ai giovani: non solo i trecentisti, considerati comunque punto di partenza indispensabile, ma cinquecentisti e secentisti.
Se nell’Antologia di prose italiane compilata «ad uso dei fanciulli» (Napoli 1828), i brani annotati rientrano nel più tipico gusto purista (dalle Vite de’ santi Padri al Novellino, alla Cronica di Dino Compagni, al volgarizzamento dei Fatti d’Enea ecc.; testi che saranno riediti da Puoti anche in edizioni a parte), nella dissertazione Della maniera di studiare la lingua e l’eloquenza italiana (Napoli 1837) viene esplicitamente smentita l’opinione di Cesari che «gli autori del buon secolo» fossero «tutti di pari valore» (p. 7). I modelli prescritti si fermano al Seicento, ma notevole è l’attenzione dedicata agli scrittori di storia, arte, medicina e scienze naturali. Non manca, inoltre, il riferimento all’autorità di prosatori moderni, tra cui Gasparo Gozzi e Giordani; critico invece il giudizio sulla Proposta montiana. Nell’Arte di scrivere in prosa l’amplissima esemplificazione testuale è organizzata per generi, ciascuno dei quali suddiviso per tipi di testo, dai più semplici a quelli più impegnativi; così per la prosa narrativa, centrale nell’articolazione del manuale, si parte dalle favole fino ad arrivare al vertice della storiografia.
Ammiratore dello stile leopardiano, Puoti dimostrò interesse anche verso Alessandro Manzoni. I giudizi positivi espressi nei confronti dei Promessi sposi (ad esempio nell’introduzione alle Opere di Manzoni, Napoli 1839) colgono però solo in parte le novità dell’opera. Né le sue aperture attenuarono i duri attacchi e le accuse di pedanteria provenienti da giovani esponenti del romanticismo napoletano.
Sul piano più specificamente grammaticale, nelle Regole elementari della lingua italiana (Napoli 1833), notevole appare la selezione delle forme in base ai vari registri stilistici; tuttavia in generale Puoti resta sostanzialmente fermo alla codificazione bembiana.
La produzione lessicografica rientra nel genere dei repertori puristi, sia per l’antigallicismo di fondo, sia per l’attaccamento all’autorità della Crusca e per l’attenzione al dialetto indirizzata alla divulgazione dell’italiano. A proposito del Vocabolario domestico napoletano e toscano (Napoli 1841), va sottolineata la scelta puotiana di registrare sia la pronuncia «ringentilita» delle classi medie sia quella della plebe, indizio di una sensibilità di tipo sociolinguistico. Esiti prevedibilmente limitati si registrano sul piano della terminologia di natura tecnica e pratica. Tuttavia, in quei settori in cui mancava l’esempio di «approvati scrittori», Puoti apre all’uso vivo del popolo e del contado fiorentino.
Il Dizionario de’ francesismi fu inizialmente concepito come supplemento al Vocabolario domestico, per censurare quei francesismi penetrati nel napoletano parlato. La pubblicazione, intrapresa sul finire del 1845, si interruppe al quinto fascicolo per la morte di Puoti e fu solo parzialmente proseguita da Fabricatore.
Ai materiali per l’apprendimento dell’italiano, elaborati da Puoti con la collaborazione dei suoi allievi, arrise un ampio e prolungato successo nelle scuole di tutte le province italiane, come attestano le numerose riedizioni, in Toscana, a Parma, a Torino (oltre che a Napoli), delle Regole elementari, ma anche dei testi antichi da lui annotati e delle antologie finalizzate all’insegnamento della composizione scritta.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia di P., v. Epistolario del marchese B. P., a cura di G. Guidetti, Reggio d’Emilia 1914, pp. 435-484. Altre lettere di e a P. sono pubblicate in N. Cortese, Nuovo contributo al carteggio di B. P., in Rassegna critica della letteratura italiana, XXVI (1921), pp. 153-168; L.A. Sottile D’Alfano - I. Cordova, Il marchese B. P. e una sua corrispondenza, Napoli 1969 (con albero genealogico della famiglia Puoti); A. Laporta, Una corrispondenza inedita di B. P. con Giordano de’ Bianchi marchese di Montrone, Lecce 1974; P. Zolli, Contributo all’epistolario di B. P., in Filologia moderna, III (1978), pp. 241-286; B. Puoti, Lettere a Raffaele Masi (1841-1846), a cura di S. Croce - P. Colonnello, Napoli 1983; Id., Le lettere nell’archivio del Museo di San Martino a Napoli, 1835-1847, a cura di G. Savarese, Roma 2010.
Più volte ristampati gli scritti di Francesco De Sanctis (L’ultimo dei puristi [1868], poi in Id., La giovinezza: memorie postume seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli, a cura di G. Savarese, Torino 1961, pp. 221-246) e di Luigi Settembrini (Elogio del marchese B. P. [1848], poi in Id., Opuscoli politici editi e inediti: 1847-1851, a cura di M. Themelly, Roma 1969, pp. 253-271). Di rilievo, oltre ai passi su Puoti negli scritti autobiografici di De Sanctis (La giovinezza [1889], nel vol. cit., pp. 3-218) e di Settembrini (Ricordanze della mia vita [1879-1880], a cura di M. Themelly, Milano 1961, pp. 35-581), L. Fornaciari, Sulla scuola del marchese B. P. [1835], in Prose, a cura di L. Fornaciari, Firenze 1874, pp. 147-167; S. Baldacchini, Di B. P. e della lingua italiana [1867], poi in Id., Purismo e romanticismo, Bari 1936, pp. 95-136; V. Fornari, Elogio del marchese B. P., Firenze 1879.
Per un inquadramento della figura di P. nella storia culturale e linguistica di Napoli, v. G. Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell’Otto-cento, Roma-Bari 1973; A. Marinari, B. P., il purismo e le scuole private napoletane, in La letteratura italiana: storia e testi, VIII, 1, Roma-Bari 1975, pp. 203-216; M.I. Chirico, P. e gli studi classici, in La cultura classica a Napoli nell’Ottocento, Napoli 1987, pp. 321-327; S. Covino, Ruggero Bonghi tra P., Manzoni e Ascoli, in Filologia e Critica, XII (1987), pp. 384-426; La Campania, in L’italiano nelle regioni, Torino 1992 e 1994, I, §§ VI.1-5, e II, § IV.1 (di P. Bianchi); M.R. Strollo, L’istruzione a Napoli nel ‘Decennio francese’. Il contributo di Matteo Angelo Galdi, Napoli 2003; N. De Blasi, Storia linguistica di Napoli, Roma 2012, pp. 89-112; A. Vinciguerra, Purismo e antipurismo a Napoli nell’Ottocento, Firenze 2015.
Sul purismo e sul classicismo e sul valore ideologico del puotismo, v. G. Mazzoni, L’Ottocento, I, Milano 1934, pp. 315-327; S. Landucci, Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano 1963, pp. 33-40; S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa 1969, pp. 1-132; C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1971, pp. 120-122, 274-276; T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, II, Roma-Bari 1976, pp. 279-280; S. Timpanaro, Il Giordani e la questione della lingua, in Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, pp. 147-223; L. Serianni, Norma dei puristi e lingua d’uso nell’Ottocento, Firenze 1981; M. Vitale, La questione della lingua, Palermo 1984, pp. 374-386, 407 s., 493-496; Id., L’oro nella lingua, Milano-Napoli 1986, pp. 3-115, 173-272, 507-539; M. Bellina, Sull’epistolario di Antonio Cesari, con una lettera inedita a Luigi Angeloni e alcune note sul purismo, in Studi linguistici per Luca Serianni, Roma 2007, pp. 51-72; C. Marazzini, Da Dante alle lingue del Web, Roma 2013, pp. 155-171; L. Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna 2013.
Su aspetti specifici dell’opera di P., v. L. Rosiello, Il “Dizionario de’ francesismi” di B. P., in Lingua nostra, XIX (1958), pp. 110-118; V. Rotolo, B. P. e il neogreco, Napoli 1972; A. Vallone, Manzoni e P., in Atti dell’Accademia Pontaniana, n.s., XXIII (1974), pp. 239-252; Id., B. P. e il “Vocabolario domestico”, in Lingua nostra, XXXVI (1975), pp. 65-73; C. Marello, Lessico ed educazione popolare. Dizionari metodici dell’800, Roma 1980, pp. 29-32, 41 s., 143 s.; A. Hönigsperger, Die Regole elementari della lingua italiana von B. P., in Zur Geschichte der Grammatiken Romanischer Sprachen, Tübingen 1991, pp. 111-126; N. De Blasi, Testi classici e testi di lingua (con un accenno al metodo di B. P.), in Come parlano i classici, Roma 2011, pp. 369-393.
Sulla fortuna scolastica delle opere di P., v. C. Trabalza, Storia della grammatica, Milano 1908, p. 502; M. Raicich, Scuola, cultura e politica da De Sanctis a Gentile, Pisa 1981, pp. 97-117; F. Franceschini, I nipotini di padre Cesari. Il purismo e la sua influenza nella scuola dell’Italia unita, in Storia della lingua italiana e storia dell’Italia unita, Firenze 2011, pp. 295-310.