BASCHI (fr. Basques; sp. Vascos; ted. Basken; il nome nazionale è Euskaldunak)
Popolazione, distinta per linguaggio dai vicini Castigliani e Francesi, che occupa l'angolo NE. della Spagna, cioè la provincia di Guipúzcoa, quasi tutta quella di Biscaglia (Vizcaya), la porzione settentrionale di quelle di Navarra e di Álava (440.000 ab.) e una regione francese adiacente nel dipartimento dei Bassi Pirenei (200.000 ab.).
Antropologia. - Nonostante il loro piccolo numero, i Baschi, a causa della singolarità del loro linguaggio, hanno eccitato notevolmente l'interesse e le ricerche degli antropologi. Una vecchia presunzione fece dei Baschi il residuo di un'antica razza rimasta immune da incroci; ma ciò è contraddetto dalle differenze che esistono fra il Basco francese e quello spagnolo. Oggi si ritiene da alcuni che essi costituiscano il complesso prodotto finale di una lunga serie d'incroci etnici, mentre altri sostengono non essere i Baschi se non una variazione del tipo alpino prevalente in tutto il sud-ovest della Francia. Le differenze col Basco spagnolo proverrebbero da un maggiore incrocio del tipo primitivo con gli antichi Iberi. Quest'ultima ipotesi porterebbe a ritenere il Basco francese più puro dello spagnolo; ma ciò è contrastato da due autori spagnoli, il Bosch-Gimpera e il de Aranzadi. Questi, basco lui stesso, riconosce un'origine mista al suo popolo, e ammette che esso fu iberico in origine, incrociatosi con Finni e Lapponi dapprima e finalmente con Teutoni. Ancora per ciò che concerne l'origine, Broca farebbe provenire i Baschi dall'Africa, Pruner Bey da un gruppo mongolico, altri dalla razza di Cro-Magnon, mentre Collignon vede in essi una sottospecie del tipo mediterraneo, formatasi per isolamento e che per la statura e le proporzioni generali sarebbe comunque più prossima al tipo mediterraneo che a quello alpino. Certo è che nessun'altra popolazione ha goduto, come quella dei Baschi, di un isolamento tanto perfetto sia materiale sia sociale, politico, linguistico ed etnico; e ciò potrebbe spiegare il suo particolare modo di presentarsi in mezzo alle altre razze dell'Europa.
Le note somatiche del Basco sono tali, da renderlo riconoscibile a prima vista. Caratteristiche sono la sua faccia triangolare e le larghe tempie, così piene da sembrare rigonfie. La testa nel Basco francese è disarmonica, perché larga, mentre la faccia è stretta o, per dir meglio, alta, con mento lungo e appuntito. Gli occhi sono scuri, il naso lungo e sottile, i capelli neri. Sul territorio francese il cranio è molto più corto che in Spagna. La linea di divisione fra i due tipi corre lungo la base settentrionale dei Pirenei, senza coincidere col confine politico. In varî luoghi i Baschi brachicefali francesi penetrano entro il territorio spagnuolo, come, ad esempio, davanti al celebre passo di Roncisvalle.
Il Collignon tracciò una carta per la distribuzione della particolare faccia triangolare del tipo sulle pendici settentrionali dei Pirenei. Si noti però, come già si è detto, che la medesima faccia è propria anche dei Baschi dolicocefali della Spagna. La carta del Collignon è importante, perché mostra distintamente nella bassa Navarra il centro di dispersione del tipo faciale basco. La carta stessa dimostra inoltre che il tipo fisico basco, anziché essere rifugiato nei recessi dei Pirenei, è più frequente alla base dei monti e nelle pianure aperte. Dei tre cantoni francesi col massimo di frequenza della faccia triangolare, due e mezzo dimostrano esistere il fatto fuori delle montagne.
Tutto spinge a far ritenere i Baschi come immigrati, e a tal proposito ricordiamo l'ipotesi del Collignon, che farebbe giungere i Baschi nel paese presentemente abitato alla fine dell'Impero romano. Circondati, come sono, da popoli con testa più lunga e più stretta, dobbiamo ritenere che essi originariamente fossero brachicefali; e i Baschi spagnoli, a testa più stretta dei Baschi francesi, sarebbero quindi un incrocio con i circonvicini dolicocefali spagnoli.
Sono stati misurati molti Baschi, sia in Spagna sia in Francia. La loro statura si presenta come segue:
I Baschi francesi hanno dunque discreta statura, e poiché sono brachicefali, devono essere distinti dagli altri brachicefali della Francia, tutti di bassa statura. I Baschi spagnoli invece sono un po' più piccoli dei Baschi francesi.
La testa è molto allungata nel senso antero-posteriore per ambedue i tipi, anche quando, come nel caso dei francesi, l'indice è brachicefalo.
Una caratteristica della brachicefalia dei Baschi francesi sta nel fatto che essi hanno le tempie enormemente rigonfie. Il carattere è soltanto di questa razza, onde qualcuno ha considerato la sua brachicefalia solamente come accidentale. Il Collignon, per esempio, considera i Baschi francesi come falsi brachicefali.
La testa, nel tipo spagnolo ha un indice verticale di lunghezza di 69,14; nel tipo francese il medesimo indice si eleva a 70,68. L'indice verticale di larghezza dà: per i Baschi francesi in blocco un indice di 85,66, per i Baschi spagnoli un indice di 88,45. Applicando a questi valori la metodica del Sera e del Giardina (v. cefalici, indici) si constata che Baschi francesi e Baschi spagnoli hanno un cranio ugualmente basso, contrariamente a quanto pensa il de Aranzadi.
Per l'indice faciale dei due tipi il Collignon fa rilevare anzitutto che le razze brachicefale hanno in generale più di 96, le dolicocefale meno di 96, almeno in Europa; e che i Tunisini hanno 93,25, gli Arabi 95,3, i Negri del Sūdān 94,58. Nonostante la loro brachicefalia, i Baschi francesi, con 96,25, si collocano accanto ai dolicocefali. In Spagna si ha 95,43.
Anche per l'indice nasale i Baschi francesi sembrano al Collignon separarsi da quanto mostrano di solito i veri brachicefali. I Baschi in genere hanno il naso lungo ma un po' largo. In Francia, secondo Collignon, l'altezza media del naso raggiunge 50,5, la larghezza 34,1; in Spagna, 50,9 e 33,3, con indici nasali medî di 67,5 e 65,7, cioè di leptorinia in ambedue i casi.
Circa i caratteri della faccia, oltre alla sua forma triangolare già accennata, si può ancora notare la sottigliezza delle arcate zigomatiche e il restringersi bruscamente del viso sotto di esse, per finire in un mento fortemente a punta. Questo aspetto è dovuto alla gracilità straordinaria dei mascellari superiori, che sono come compressi in tutti i sensi e ricacciati sotto la vòlta del cranio. La fronte è diritta e alta, la glabella non appariscente, la radice del naso profonda.
Le proporzioni del corpo dànno i Baschi come rassomiglianti a popolazioni nord-africane, quali certi Berberi e gli Egiziani antichi. Al pari di essi piuttosto alti, snelli, a larghe spalle che ricordano il tipo quadrato di certe statue egiziane e che sovrastano un torace troncoconico, a cui seguono fianchi stretti e gambe gracili. Il torace è molto largo, con perimetri quasi mai inferiori a 85 cm., mentre frequentissimi, anche nelle giovani reclute, sono quelli che sorpassano i 90 cm. Il rachide ha curve accentuatissime, che conferiscono una grazia particolare alla deambulazione.
Non vi sono vere differenze nel colore degli occhi e dei capelli fra i Baschi e le popolazioni vicine. Come queste, essi sono francamente bruni, a capelli ondulati, e soltanto una trascurabile proporzione ha occhi azzurri e capelli biondi.
Le ricerche eseguite dal de Aranzadi sopra un gran numero di cranî di Baschi spagnoli, ci forniscono i seguenti dati. L'indice cefalico orizzontale è in media 76,6 e 77,5 rispettivamente negli uomini e nelle donne. L'indice vertico-longitudinale medio negli uomini è 70,7, nelle donne 70,2, valori che corrispondono a un cranio decisamente basso.
Nel cranio faciale la maggior dimensione è il diametro bizigomatico, che è in media 129,4 negli uomini e 122 nelle donne. Per l'altezza nasio-alveolare abbiamo 71 e 67. L'indice faciale che se ne ottiene dà medie di 53,9 e di 54,7. Lo stesso indice, nel tipo di Cro-Magnon, è di 48,9. L'indice nasale è in media di 45,7 negli uomini e di 46,4 nelle donne; l'indice orbitale è in media per gli uomini di 87,9, per le donne di 89,9. Esso è molto più variabile dell'indice nasale. Nei Guanci, che si vogliono assimilati al tipo di Cro-Magnon, l'indice orbitale è di 76,5. Come valori medî dell'indice gnatico si hanno, nell'uomo 92,7, nella donna 94.
Per la mandibola si ha una distanza bigoniaca media di 94,3 e di 89,2, una distanza bicondiloidea media di 114,8 e di 104; un'altezza gonio-condiloidea media di 61,8 e di 50,5; una larghezza media del ramo ascendente di 28,7 e di 26, rispettivamente negli uomini e nelle donne.
Bibl.: T. de Aranzadi y Unamuno, El pueblo Euskalduna, San Sebastiano 1889; Oloriz y Aguilera, Distribución geográfica del índice cefálico en España, Madrid 1894; R. Collignon, Anthropologie du sud-ouest de la France, in Mémoires de la Société d'anthropologie de Paris, s. 3ª (1895), fasc. 4; Antropología y Etnología del Pais Vasco-Navarro, Barcellona 1911; T. de Aranzadi, Síntesis métrica de cráneos vascos, in Rev. Intern. de los estudios vascos, XIII (1922); P. Bosch-Gimpera, Die Vorgeschichte der Iberen, in Mitteilungen der anthropologischen Gesellschaft in Wien, LV (1925), p. 69; id., La Prehistoria de los Iberos y la Etnologia Vasca, in Rev. Intern. de los estudios Vascos, XVII (1926).
Etnografia. - L'etnologia basca è divenuta oggetto di studio soltanto al principio di questo secolo. Si può dire che il de Aranzadi fu il primo che investigasse seriamente alcuni aspetti della cultura basca; Schuchard e Franckowski richiamarono l'attenzione degli etnologi su altri punti interessanti di essa. La recente istituzione di musei etnografici a San Sebastiano, Bilbao, Baiona, costituisce la fonte migliore per lo studioso che desideri occuparsi di questa materia. Nel 1921 s'iniziarono la ricerca e lo studio sistematico e scientifico della vita e della cultura del popolo basco nel Laboratorio de Etnologia y Eusko-Folklore fondato e diretto fino ad oggi dal prof. J. M. de Barandiarán. Questo laboratorio, presentemente aggregato alla Società degli studî baschi, pubblica un volume annuale e dà alla luce una pubblicazione mensile intitolata Eusko-Folklore.
La cultura tradizionale del popolo basco, come quella delle altre popolazioni europee, va definita non tanto per mezzo di uno o più elementi considerati isolatamente quanto mediante il loro complesso: le sedi, le industrie e le arti popolari, l'organizzazione sociale ed economica, la religione, la mitologia, la lingua. Il paese basco-spagnolo si può considerare come diviso in due zone: il versante cantabrico, le cui acque vanno nel Golfo di Biscaglia, e il versante mediterraneo che manda le sue acque nel fiume Ebro. Nel versante cantabrico predomina la popolazione distribuita in casali o in case sparse; nel versante mediterraneo, al contrario, la popolazione vive in centri aggruppati. Nelle odierne case rurali possiamo distinguere due tipi: l'antico e il recente. Il primo si caratterizza per avere il piano terreno costituito di un portico largo ed aperto, la cucina in fondo, i dormitorî ai lati, e le stalle e la scuderia dietro la cucina; e un piano unico sovrapposto (soffitta), destinato a granaio e a pagliaio. Il secondo tipo ha il piano terreno destinato alle stalle e alla scuderia; un primo piano con la cucina e le camere da letto e la soffitta che serve da granaio e da pagliaio. La facciata, in tutti e due i tipi, si trova nel lato del comignolo del tetto. Le pareti nelle case di tipo antico sono di calce e pietra fino all'altezza del primo piano, e di assi intramezzati con pilastri e travicelli, nella parte superiore; in quelle di tipo recente tutte le pareti sono di calce e pietra. Il tetto è quasi sempre a due spioventi e di poca inclinazione, coperto di tegole curve; solo in alcuni villaggi più alti dei Pirenei della Navarra si usano tetti con versanti molto ripidi coperti con assicelle di faggio.
L'agricoltura e l'allevamento del bestiame occupano quasi tutto il paese. La pastorizia prevale soprattutto intorno ai massicci montagnosi più estesi, come la Peña de Gorbea, il Monte Oiz, Eutzia, Urbasa, la Peña de Aitzicorri, la Sierra de Aralar e i Pirenei navarri, che sono anche le aree di distribuzione delle stazioni megalitiche dell'epoca eneolitica sinora esplorate nel paese basco. Una vera transumanza non esiste; solo alcune famiglie salgono sui gioghi più vicini al loro paese per passare l'estate con i loro greggi, e gli abitanti di Roncal e di Salas mandano i loro figli adulti o i loro servi verso la costa durante l'inverno e sui Pirenei durante l'estate. La metallurgia era anche molto estesa, soprattutto nella Biscaglia, nella Guipúzcoa e Navarra, fino a che non sopravvennero i moderni procedimenti con gli altiforni.
Fra i prodotti tradizionali dell'industria paesana si devono segnalare le secchie di betulla per il latte e il quaglio, dove (ormai raramente) si cuoce il latte introducendovi pietre incandescenti; la secchia (suilla) fatta con doghe di legno e larghe strisce di ferro; le caldaie di bronzo; i vasi di corno proprî dei pastori di bestiame vaccino ed equino (oggi poco usati); i cucchiai di legno e di corno; le torce e lampade ad olio (krisallu), che ora si usano solamente in alcune località di Álava; il lume a petrolio, molto diffuso benché già cominci ad essere sostituito dalla luce elettrica fin nelle case più isolate; sedie e tavoli fatti di fibre di corteccia di legno intessute; il carro a due ruote massicce di legno (rinforzate con ferro) fissate nell'asse, pure di legno; la treggia (lera); il giogo frontale; l'aratro (goldia) di uno o più denti, secondo i varî usi; la laya, strumento di ferro a due denti, col quale varie persone messe in fila rimuovono profondamente la terra, alzandola in grosse zolle; la falce dentata; la trebbia a mano (irabiurra, chipita, zaro); la pietra per trebbiare (garyotzekoa) contro la quale si batte il covone di grano. Come singolarità del vestire tradizionale è da segnalare la boina o chapelak (berretto basco) propria dell'uomo, e il panno bianco (estalki) con cui ricoprono la testa le donne sposate; la cappa (oggi poco usata); i sandali con la suola di sparto e le scarpe rustiche di cuoio di vacca. Fino al principio del sec. XIX gli uomini usavano cappello largo e calzoni corti. I calzoni e la camicia erano di tela, e le calze e i calzettoni di lana, tutti confezionati in casa.
La religione del popolo basco è la cattolica. Però, studiando il complesso di sopravvivenze che rimangono nella cultura basca, possiamo distinguere varî strati religiosi. Sotto lo strato cristiano ne esiste un altro d'influenza romana confermato dall'archeologia: le ninfe o genî delle acque (amilamia); la purificazione delle terre coltivate col fuoco portando loro manate di erbe bruciate nel falò della vigilia di San Giovanni; la galerre, figura dell'anno vecchio che viene bruciata nell'ultimo giomo dell'anno; la questua per i lupi, il giovedì prima di carnevale; la concezione dell'anima come spettro. Altri elementi religiosi sembrano risalire a un fondo indo-europeo anteriore all'influenza romana. Il sole, di genere femminile (lo chiamano "signora Madre" ama-andre, in alcune narrazioni), è considerato come occhio di Dio e occhio della luce diurna; al tramonto va ad unirsi con la sua madre, la terra; appare ballando al principio dell'estate. Il cardo silvestre (Carlina acaulis), come rappresentazione del sole, proteggente la casa, e l'ascia e la falce che hanno uguali funzioni protettrici, rispondono all'ideologia indo-europea. Le parole ortz e ost che significano "cielo" corrispondono al vocabolo antico Urtzi con cui era designato Dio, ed entrano come componenti nei nomi baschi di giovedì (ortzegun) e venerdì (ortziral), come accade anche in varie altre lingue d'Europa. Esiste il mito indo-europeo della pietra del fulmine che penetra nella terra e risale alla superficie in capo a sette anni. La Luna (in alcune invocazioni le dànno il nome di "nonna") feconda le piante. Le credenze e le leggende relative ai laminak o genî delle acque e ai ciclopi come Alarabi, Tartalo e altri, appartengono anch'esse al ciclo indo-europeo. Sono dello stesso ciclo le credenze e le pratiche che si riferiscono alle fonti sacre, al genio o divinità del fuoco che s'invoca in alcune occasioni; l'uso del carbone come amuleto; l'abitudine di sotterrare i cadaveri delle persone non cristiane sotto la gronda della propria casa; l'uso che il padre di famiglia spartisca il pane sacro della vigilia di Natale; le offerte e i lumi che si portano alle sepolture per alimentazione ed illuminazione dei morti. Un altro strato, più frammentario dei precedenti, le cui tracce si trovano nei villaggi più appartati e che perciò è da considerare il più antico, è rappresentato dalle credenze relative alla dea suprema Mari e ad altri genî o divinità zoomorfiche che abitano i precipizî e le caverne. La dea Mari abita su certe rupi (in quelle di Amboto, Aketegi, Muru, Trindoki, Ori), dirige le nubi e spartisce la pioggia fra i suoi servitori, castiga quelli che mentiscono, ecc. Inoltre i genî delle caverne hanno generalmente l'aspetto di cavalli e di tori. A un fondo culturale molto arcaico va pure riportato il costume della couvade, che Strabone menziona per gl'Iberi, e si vuole abbia persistito tra i Baschi fino nel Medioevo.
Non solo come elementi di lavoro, ma anche di emulazione e di scommessa, si usano i remi, l'ascia, la sbarra o palanca, il palo, i trampoli, la trebbia, la sega, il secchio, ecc. Le scommesse si estendono anche alla prova dei buoi con una pietra di 280 arrobe (2444 chili), che, con il suo anello per il gancio, suole giacere nella piazza pubblica (cfr. de Aranzadi: Etnologia, in Antropologia y Etnologia del Pais Vasco-Navarro, Barcellona 1911, p. 155). Si fanno anche la lotta e il pugilato, il duello col bastone (makilka), le corse a piedi, le lotte di montoni, e le non meno pittoresche gare di versi, nelle quali i contendenti disputano in versi cantati davanti ad un numerosissimo pubblico. Il giuoco delle bocce e soprattutto quello della pelota sono famosi. Fra le danze si devono segnalare in primo luogo l'aurresku e la ezpata-dantza, con figure molto originali, che vengono eseguite al suono del flauto e del tamburello.
Il legno intagliato è abbastanza frequente in frontali di casse, in tavole, sedie, gioghi, vasi di corno, ecc. I motivi degli ornamenti sono generalmente geometrici, molti di forma circolare e alcuni a spirale. È frequente anche l'ornamentazione a forma di denti di sega, tanto nelle intagliature, quanto nelle vesti. Abbondano, soprattutto nella Navarra, dischi sepolcrali di pietra con ornamenti varî, e i loro corrispondenti in legno detti argizaiolak: tanto negli uni quanto negli altri predominano i disegni circolari. Oggi non si erigono più.
L'etnografia dei Baschi francesi presenta in complesso una meno spiccata singolarità culturale, ma possiede varî elementi in comune con il paese basco spagnolo, e altri elementi che le sono proprî (v. francia).
Bibl.: Cfr. oltre le pubblicazioni del Laboratorio di etnologia già citate, R. Karutz, Volkstümliches aus den baskischen Provinzen, in Zeitschr. f. Ethnologie, 1899; T. de Aranzadi, Etnografía, Madrid 1917; Laloy, Ethnographisches aus S. W. Frankreich, in Arch. f. Anthrop., 1904; P. Bosch Gimpera, Die baskische Ethnologie im Lichte der neuesten archäologischen Forschung, in Zeitschr. f. Ethnologie 1923; J. M. Barandiarán, La religion des anciens Basques, Enghien 1923.
Lingua. - Il nome Basco deriva dalla forma latina Vasco, tema Vasc-ŏn- (cfr. le parole basche ait-on "nonno", am-on "nonna", giz-on "uomo", rispettivamente da aita "padre", ama "madre", giza "uomo") contenuto anche in Bascontum. Dal medesimo tema deriva Vasconia "Guascogna". Il nome odierno della lingua basca è euska-ra, uska-ra o eskua-ra, forme avverbiali in -ra col significato di vasconice (vascuence), cfr. romanice, ecc.; e l'elemento eusk si collega al nome degli Ausci dell'Aquitania, dove, nei primi secoli d. C., si parlava un linguaggio che si può considerare come la fase più antica del basco. Da euskara, poi, deriva il nome di Euskaldun-ak che gli odierni Baschi dànno a sé stessi.
La lingua basca, limitata a ristrette regioni montuose e costiere, costituisce una tipica isola linguistica in mezzo ai flutti della latinità che non valsero a sommergerla. Come tutti i linguaggi isolati, ha un'importanza scientifica grandissima. Si aggiunga che la struttura del Basco è totalmente diversa dalla struttura delle lingue circonvicine. Il verbo, soprattutto, parve sempre singolarissimo e fece pensare a una remota parentela coi linguaggi polisintetici dell'America Settentrionale. Si osservi, p. es., la coniugazione prefiggente di bil- "venire":
Niente di simile si trova nelle lingue indoeuropee, uraloaltaiche, dravidiche e altre, mentre formazioni analoghe si hanno in lingue africane, caucasiche, indocinesi. e anche in idiomi dell'America Settentrionale. Il verbo basco è pure largamente incorporante, potendosi includere in esso l'oggetto pronominale diretto e indiretto, p. es. d-a-kar-t "lo porto io", n-a-bil-ki-o "io vado a lui". Un esempio d'una forma polisintetica sarebbe z-e-n-e-uka-z-ki-o-te-e-n "voi li tenevate a loro" del dialetto guipuzcoano.
Il basco è un idioma molto arcaico, il quale conserva la caratteristica primitiva di ripetere nella frase il nome mediante il pronome, p. es. "la donna, essa lo dà a lui, il pane al mendicante". Da ciò proviene l'incorporazione obbligatoria dei pronomi soggettivi e oggettivi nel verbo, come nelle lingue americane, e da ciò anche la profonda distinzione tra la coniugazione intransitiva e la transitiva.
Anche la declinazione presenta caratteristiche assai notevoli, come l'articolo posposto (gizon "uomo", gizon-a "l'uomo"), la flessione del solo secondo termine di un gruppo (ur garbia "l'acqua pura", genitivo ur garbiaren), le numerose posposizioni, e soprattutto la distinzione del soggetto attivo e inattivo. Il soggetto inattivo dei verbi intransitivi o neutri non ha alcun segno (ni "io", aita "padre"), il soggetto attivo, ossia operante, ha il segno -k (così detto "caso attivo" o "ergativo", ni-k, aita-k).
Fonetica. - Il sistema fonetico basco comprende le cinque vocali normali; soltanto il dialetto suletino ha ü. Vi sono poi combinazioni di vocali che spesso sono sorte per essersi dileguate delle consonanti intervocaliche, per es. basso navarrese eun "giorno" da egun.
Oltre alle consonanti normali, vi sono le aspirate kh, th, ph, anche nh, lh, rh. Abbondano i suoni mouillés, come t′, d′, ń, indicati generalmente nella scrittura col raddoppiamento: tt, ll, ecc. Molto imperfetta è la rappresentazione dei suoni spiranti e affricati: per s si scrive z (anche å), mentre s rappresenta un suono tra s e š. Il ch vale č nei dialetti spagnoli, š nei dialetti francesi. Il j si pronuncia (e anche si scrive) in laburdino come il y francese, in guipuzcoano come il j spagnolo (kh), in suletino come j francese (ž).
Si distingue nettamente r forte (rr) da r debole anche quando non è intervocalico, nel qual caso si scrive generalmente sempre un r semplice.
La spirante f non è un suono basco primitivo.
In principio di parola sono di regola esclusi i gruppi di consonanti, ciò che costituisce una caratteristica arcaica. Un'altra caratteristica arcaica è la mancanza di r iniziale. Il p iniziale, come ha dimostrato H. Schuchardt, si trova soltanto in parole prese a prestito. In fine di parola mancano le sonore g, d, b, inoltre p e m. Lo m finale si mutò in n.
Come in molte altre lingue, anche nel basco si osserva la variazione vocalica a: e-o oppure: a: i-u (spesso si hanno oscillazioni fra e ed i, fra o ed u, specialmente davanti a liquide e nasali). Esempî: basco sp. i-gar-i: basco fr. e guip. i-ger-i "nuotare"; bisc. bal-tz: basco fr. e guip. bel-tz "nero"; garr "fiamma": gorr-i "rosso": guip. i-garr: basco fr. a-gorr "secco"; guip. iri: bisc. uri "città"; bisc. itzi: guip. ecc. utzi "lasciare".
Alcune parole si presentano in alcuni dialetti con vocale doppia e in altri con vocale semplice, per esempio:
In alcuni casi sono più primitive le forme con vocale doppia, p. es. in a(h)ate dal lat. anate; in altri casi abbiamo distrazione, p. es. in mihimen dal lat. vīmen.
Quanto alle consonanti, le alternazioni di sorde e sonore sono frequenti, e nella maggior parte dei dialetti le esplosive sorde si mutano in sonore dopo la liquida l e le nasali m n, p. es. galdu in luogo di *gal-tu. Nelle parole prese a prestito dal latino o da lingue neolatine in epoca antica le sorde iniziali divennero sonore, per esempio:
Le aspirate, che ora si trovano soltanto nei dialetti francesi (insieme con h), sono primitive, comprese le nasali e liquide aspirate. Nelle iscrizioni aquitaniche compare spesso lh, nelle iberiche lh e rh (frequente). Sono notevoli le corrispondenze di lh dei dialetti francesi negli altri dialetti della Spagna:
Altri dialetti spagnoli hanno r in luogo di l per assimilazione, per es. erur "neve", berar "erba" sul. burar, guip. bular (fr. bulhar) "petto". Si noti zilar "argento" da *silf-ar (donde il tedesco silb-er; cfr. il berbero a-zerf "argento").
In molte parole lo h iniziale deriva dalla spirante χ (non direttamente da k, come generalmente si crede). Nell'interno della parola si ha un'alternazione g : h, per es. guip. e-go: fr. e-ho "macinare".
I fenomeni di palatalizzazione non sono rari. Nella formazione dei diminutivi molte consonanti possono essere mouillées. Cfr. guip. zakur: dim. chakur (cioè sakur, čakur) "cane".
Infine si noti che molte consonanti possono dileguarsi, specialmente in posizione intervocalica.
Composizione e derivazione. - La lingua basca ha la facoltà di formare composti nominali alla stessa guisa delle lingue indoeuropee. Esempi: ait-ama-k "padre e madre", gau-eguna-k "notti e giorni", zuri-gorri "bianco e rosso" (dvandva), artzan-or "cane di pastore", bihotz-min "mal di cuore", sudur-zilho "buco del naso, narice", uda-berri "estate nuova, primavera", arri-bizi "pietra vivente, eco", begi-argi "dagli occhi chiari", begi-gorri "dagli occhi rossi", buru-gogor "dalla testa dura, testardo" (composto bahuvrīhi).
Oltre alle forme comuni di raddoppiamento (p. es. go-gor "duro"), il basco ha forme speciali come nahas-mahas "pêle-méle" zurru-murru o zurru-burru, con carattere onomatopeico.
La derivazione delle parole si fa generalmente per mezzo di suffissi, ma non mancano i prefissi, specie vocalici, elementi molto arcaici.
Le vocali finali hanno spesso una funzione determinata come nelle lingue bantu: -a ha carattere verbale, -e indica uno stato o modo di essere, -i forma aggettivi verbali o participî passati di significato passivo o intransitivo, -o forma sostantivi concreti. E poiché dai verbi derivati per mezzo di suffissi consonantici si formano dei nomi con le medesime terminazioni vocaliche, ne viene che i suffissi primarî delle formazioni deverbali sogliono costituire delle serie. Nel basco abbiamo due serie principali:
Dalla seconda deriva la serie incompleta -tza -tze -tzo (da -tja, ecc.). Vi sono poi numerosi altri suffissi, fra cui non pochi composti. Numerosi sono anche i suffissi secondarî delle formazioni denominali. Per la categoria dei diminutivi abbiamo: -ko, -čo, -to, -tjo, -ńo; inoltre il composto -s-ko.
Declinazione. - Le principali caratteristiche della declinazione basca sono:
a) Forme determinate e indeterminate nel singolare e (nei nomi) solo determinate nel plurale, p. es. gizon "uomo": gizon-i "a uomo", gizon-a "l'uomo": gizon-a-r-i "all'uomo", plur. gizon a-k "uomini, gli uomini".
b) Forma semplice per il soggetto inattivo, ergativo in -k per il soggetto attivo.
c) Inserzione di varî elementi (-r-, -ga-, -ta-, -za- o -tza-) in molte forme di casi obliqui, per es. Bilbao-n "in Bilbao", ma gizon-a-ga-n "nell'uomo; seme "figlio": seme-re-n "del figlio".
Vi sono parecchie tracce del genere nascente o evanescente. Nelle forme del verbo finito transitivo il soggetto agente "tu" usato come suffisso è -k per il maschile, -n per il femminile; per es. e-kar-k "porta tu (uomo)", e-karre-n "porta tu (donna)". Come -k rappresenta hi (erg. hi-k "tu"), così -n "ra" *hi-n "tu" di genere femminile (cfr. berbero še-k "tu" masch., še-m "tu" femm.).
Per altri indizî del genere v. A. Trombetti, Le origini della lingua basca, Bologna 1925, p. 61.
Il suffisso del plurale nei nomi e pronomi è -k, nei nomi sempre preceduto dall'articolo; per es. haye-k "quelli, essi", gizon-a-k "gli uomini" La forma primitiva, stando alle iscrizioni iberiche, sembra essere stata -ke; cfr. il dialettale gizon-a-ke-n "degli uomini".
In casi obliqui del plurale dei nomi troviamo un suffisso -e-ta-. Così nei casi locali abbiamo: mendi-a-n "nel monte", mendi-ra "al monte" (dial. mendi-a-la), poi:
In altri casi abbiamo al plurale soltanto -e-, per es. mendi-e-i (dat.) "ai monti", strum. mendi-e-z. Questo -e- deriva da -a-(k)e-: cfr. gizon-e-n "degli uomini" (dialettale gizon-a-ke-n). L'iberico, infatti, presenta il -k- in tutte le forme del plurale.
Nelle voci del verbo finito il plurale viene indicato da -te (-de), con assimilazione -tz- o -z; per es. d-a-kar "lo porta": d-a-kar-te "lo portano essi", d-a-kar-ki-o "lo porta a lui": d-a-kar-ki-o-te lo porta a loro"; d-a-bil "egli va": d-a-bil-tz-a "essi vanno", d-oa "egli va": d-oa-z, sul. d-oa-tz-a "essi vanno".
Allo schema della declinazione iberica ricostruita da H. Schuchardt aggiungiamo qui le corrispondenze basche:
Nel basco, i segnacasi -n e -ga-n "in" si uniscono sempre al nome determinato dall'articolo, per es. eche-a-n "nella casa", gizon-a-ga-n "nell'uomo" (ma con pronomi e nomi proprî di per sé determinati si tralascia l'articolo: Bilbao-n "in Bilbao", ni-ga-n "in me"). Vanno invece col nome senza articolo -ra "verso", -ko "di", -ka "a", -(t)i-k "ex", per es. eche-ra "a casa, verso casa", eche-ko "di casa", eche-tik "da casa".
I pronomi dimostrativi formano un sistema con distinzione di tre gradi di distanza e hanno due forme, una per il nominativo e l'altra per i casi obliqui:
Anche i pronomi di prima e seconda persona formano un piccolo sistema con vocale i al singolare e u al plurale:
Si noti l'elemento u in neu "io stesso", heu "tu stesso", eu "egli stesso", geu "noi stessi", zeu "voi stessi", neu-re "di me stesso, mio stesso" (non riflessivo ni-re, ne-re), "io entro neure echean = in casa mia". Per il pronome riflessivo assoluto si usa buru "testa" coi possessivi, p. es. neure burna "la mia testa; me".
I pronomi interrogativi si formano da due basi, ze- o zo- e no-, con distinzione dell'animato e inanimato: ze-in, zo-in, zo-in "chi?", ze-r "che?", no-r "chi?".
Al nostro pronome relativo in funzione di soggetto e oggetto corrisponde in basco la particella -n aggiunta al verbo, ultima parola della proposizione relativa che, quale determinante (attributo), si prepone al nome. Da da-tor "egli viene" si fa da-torre-n "che viene, veniente", da-torre-n mutila "il veniente ragazzo, il ragazzo che viene".
Coniugazione. - La parte più caratteristica e complicata della grammatica basca è senza dubbio la coniugazione del verbo con le sue forme eminentemente polisintetiche.
I verbi si dividono in due categorie ben distinte, intransitivi e transitivi. Il verbo intransitivo ha i pronomi soggettivi prefissi: n-a-bil "io vado", h-a-bil "tu vai", d-a-bil "egli va", n-a-bil-ki-o "io vado a lui". Il verbo transitivo ha l'oggetto preposto e il soggetto posposto: n-a-kar-k "mi porti tu", d-a-kar-t "lo porto io", d-a-kar-ki-o-t "lo porto io a lui".
Oltre alle forme comuni vi sono le forme "allocutive" contenenti una specie di dativo etico di seconda persona con forma simile a quella dell'oggetto indiretto (salvo che la preposizione con questo è -ki- o -i- mentre con quello è soltanto -i-).
Il verbo basco ha due tempi semplici, presente e imperfetto (preterito). Il presente ha per caratteristica -a-, l'imperfetto -e-, oppure -i-, che vengono subito dopo i prefissi pronominali. L'imperativo nel verbo semplice intransitivo non si distingue dall'indicativo nella seconda persona: h-a-bil "tu vai" e "va!". Nella terza persona compare il tema dell'imperfetto (b-e-bil vada!), come nel transitivo: e-kar-k "porta tu", e-karre-n, f., b-e-kar "che egli porti!".
Il congiuntivo non è altro che l'indicativo seguito dalla particella relativa -n "che", per es. da-kar-t "lo porto io": da-kar-da-n "che lo porti io". Invece di -n i verbi intransitivi hanno -la, per es. da-bil-tza "essi vanno": da bil-tza-la "che essi vadano".
Le forme del "potenziale" derivano da quelle del presente e imperfetto mediante l'aggiunta di -ke, coi transitivi anche -te, per es. d-u-t "l'ho io": d-u-ke-t "lo posso avere io, lo avrò"; n-a-tor-ke "io posso venire": n-e-n-tor-ke "io potevo venire".
I verbi deverbali si formano con suffissi che si trovano anche nei corrispondenti nomi deverbali. Ma il basco ha anche un prefisso -ra- (o -r-, basso nav. -re-) che forma il causativo, per es. i-kus-i "vedere" (propr. "veduto"): era-kus-i "mostrare"; e-ra-karr-i "far portare"; e-ra-torr-i "far venire"; i-kas-i "imparare": i-ra-kas-i o e-ta-kas-i "insegnare".
Secondo una teoria che il Trombetti ha combattuto negli Elementi di Glottologia (§ 353) il verbo transitivo basco avrebbe carattere passivo e, per esempio, d-a-kar-gu invece di significare "lo portiamo noi" significherebbe "esso è portato da noi". Questa teoria passivistica è fondata principalmente sulla presenza del cosiddetto caso ergativo, di cui non si riconobbe la vera essenza. In gu-k d-a-kar-gu "noi lo portiamo, noi" il -k è semplicemente una particella enfatica che serve a rendere enfatico il soggetto in quanto è attivo, e non esprime affatto l'agente ("da noi"), nel qual caso invece di -gu sarebbe indispensabile -gu-k.
La coniugazione basca è semplice o perifrastica. La coniugazione semplice è ora limitata a pochi verbi: van Eys ne enumera 5 intransitivi e 28 transitivi. Alcuni verbi hanno doppia forma, per es. i-kus-i "veduto" d-a-kus-t "lo vedo io" oppure, i-kus-te-n d-u-t "in vista l'ho io".
Un paradimma del verbo intransitivo abbiamo dato in principio. Il verbo transitivo si può rappresentare in questo modo:
Con soggetto espresso: d-a-kar-gu "lo portiamo noi" ecc. E prescindendo dai prefissi oggettivi, si ottiene una coniugazione suffiggente:
In contrapposto allo -a- del presente, l'imperfetto ha -e- (talvolta -i-), che è la vera caratteristica di questo tompo. Dopo -e- i verbi intransitivi inseriscono di regola un elemento -n-, che però manca nella terza persona; per es. n-e-n-torre-n "io portava". Vi sono eccezioni dovute all'analogia. Nel verbo transitivo la presenza o assenza di -n- determina differenze di significato: n-e-karre-n "io portava" ma n-e-n-karre-n "mi portava (egli)". Le forme dell'imperfetto hanno poi, sempre in fine, un elemento -n.
Le forme dell'imperativo sono sempre senza -n-, per es. e-kar-k "porta tu", e-karre-n f., e-kar-zu "portate voi", b-e-kar "che egli porti", b-e-kar-te "che essi portino!". Nella terza persona anche l'intransitivo ha forme simili: b-e-bil "che egli vada!", b-e-bil-tz "che essi vadano!". Si notino na-kar-k "mi porti tu", ma e-na-kar-k "portami tu", e le forme dell'imperativo di "dare": i-n-da-k "dà a me", i-gu-k "dà a noi"; e-mo-k "dà a lui", e-ie-k "dà a loro".
La coniugazione perifrastica è molto estesa nel basco e si fa per mezzo di za- "essere" e u- "avere" per l'azione imperfettiva, e rispettivamente per mezzo di di- e za- per l'azione perfettiva. Questi ausiliari si uniscono all'inessivo del nome verbale o infinito al participio o al radicale che ne è l'abbreviazione.
La perifrasi e-thor-te-n da (cfr. ingl. he is coming; lett. "egli è in venire") può equivalere al semplice d-a-thor "egli viene".
Il futuro si forma col participio in genitivo con -n oppure con -ko, per es. ethorri-re-n da oppure ethorri-ko da "egli verrà".
Parentela del basco. - Due grandi problemi si collegano alla lingua basca, di cui l'uno riguarda la sua relazione con l'antico iberico e l'altro la sua parentela prossima e remota.
Che il basco sia la continuazione dell'antico iberico è già a priori verosimile e apparve confermato dall'esame dei nomi proprî un secolo fa a Guglielmo di Humboldt. Migliore conferma ebbe il nesso iberico-basco da Hugo Schuchardt, il quale, fondandosi specialmente sulle leggende delle monete, poté ricostruire la declin azione iberica e dimostrarne la stretta concordanza con la declinazione basca (Die iberische Deklination, Vienna 1907). Il Bosch-Gimpera ritiene i Baschi profondamente distinti dagl'Iberi, ma senza poter addurre argomenti linguistici. Lo stesso si dica dell'opinione, espressa da Schulten nell'opera Numantia (Monaco 1914), di un nesso basco-ligure, opinione già combattuta da H. Schuchardt.
Quanto alla parentela prossima del basco, lasciando da parte le innumerevoli ipotesi fantastiche, due sole dottrine hanno solido fondamento, cioè: a) che il basco sia affine alle lingue camitiche; b) che sia affine alle lingue caucasiche. A una connessione del basco con le lingue dell'Africa settentrionale pensò fin dal 1710 il Leibniz. Comparazioni in tal senso furono fatte poi da Klaproth, Charencey, Latham, Gèze, Giacomino, Georg von der Gabelentz, e meglio da H. Schuchardt, alle vedute del quale si accostò Uhlenbeck. A una connessione del basco con le lingue del Caucaso pensò fin dal 1836 Antoine d'Abbadie, e alcune comparazioni in tal senso furono fatte poi da Klaproth, Ellis, Schuchardt, finché, a cominciare dal 1902, Trombetti affermò risolutamente essere il nesso basco-caucasico più stretto del nesso basco-camitico, in ciò seguito da H. Winkler, K. Oštir e N. Marr. Nella sua opera Le origini della linqua basca (Bologna 1925) il Trombetti ha sostenuto: 1. che il nesso basco-caucasico è più stretto del nesso basco-camitico; 2. che il basco concorda più col camitico meridionale che col camitico settentrionale; 3. che il camitico meridionale concorda col caucasico più del camitico settentrionale. Le reciproche relazioni di parentela si possono quindi rappresentare schematicamente in questo modo:
Il Trombetti ritiene che, prima dell'arrivo degl'Indoeuropei, nell'Europa meridionale si avesse una zona etnico-linguistica continua ibero-caucasica, della quale rimasero intatte le parti estreme. Le concordanze onomastiche ibero-libiche, sulle quali lo Schulten si fondava per ammettere un passaggio di Libii nella Penisola Iberica, vengono invece spiegate dal Trombetti con una antica colonizzazione dell'Africa da parte degl'Iberi.
Resta da fare un cenno della parentela remota. Severino Vater, il dotto continuatore del Mithridates di Adelung, accennò per il primo alla somiglianza del basco con le lingue americane. Nel 1821 Guglielmo di Humboldt esaminò l'importante questione giungendo ad ammettere la possibilità di una remota connessione storica. Anche il conte H. de Charencey trattò delle affinità del basco con le lingue dell'America Settentrionale, in particolare con quelle del Canada (gruppo Algonchino), mettendo in rilievo talune somiglianze che, in verità, meritavano di essere prese in considerazione; ma la sua ipotesi di un'antica emigrazione dall'Europa all'America attraverso l'Atlantide non aveva alcuna verosimiglianza. Recentemente poi un valente glottologo, Uhlenbeck, ha accennato a notevoli coincidenze basco-americane, senza peraltro dedurne alcuna conclusione circa un possibile remotissimo nesso storico.
La questione si presenta ora in tutt'altra forma e la soluzione va cercata a oriente, non a occidente. Il Basco si collega strettamente al Caucasico. Ora questo gruppo linguistico, secondo il Trombetti, si collega al gruppo Indo-cinese (Sino-tibetano) dal quale, per il tramite delle lingue paleoasiatiche, si passa al gruppo azmericano.
Letteratura. - Fino al sec. XVI i documenti della lingua basca consistono unicamente in nomi proprî di luogo e di persona. Nei primi secoli d. C., si parlava nell'Aquitania al nord dei Pirenei un linguaggio che si può considerare come la fase antica del basco. Conosciamo circa 200 nomi aquitani di persone e di divinità, i quali, come dimostrarono Luchaire, Schuchardt e altri, si spiegano perfettamente col basco odierno. Abbiamo inoltre una grande iscrizione del 90 a. C. contenente nomi di persone che appartenevano al territorio degl'Ilergeti confinanti coi Vascones. Dal secolo VIII fino al XVI ancora soltanto nomi di luogo sparsi in varî documenti, come bolle pontificie, lettere patenti, ecc. Del 980 è una carta latina che delimita la diocesi episcopale di Baiona e dà i nomi di alcune località basche. Apocrifi sono certi canti di guerra che si erano fatti risalire a grande antichità.
Il primo che parlò del basco e ne citò vocaboli fu Lucio Marineo Siculo nelle sue Cosas memorables de España (Alcalá 1530). Un breve discorso basco di Panurgo si legge nel nono capitolo del secondo libro dell'opera di Rabelais (1542). Ma il primo libro stampato è del 1545 (Bordeaux) e porta il titolo Linguae Vasconum primitiae. È una raccolta di poesie in parte religiose e in parte erotiche di Bernardo Dechepare, curato di Saint-Michel-le-Vieux (Bassa Navarra). Il libro, rarissimo, fu ristampato nel 1874 a Baiona.
Dopo d'allora si ebbero principalmente traduzioni di opere religiose. La più importante è la versione del Nuovo Testamento di Giovanni Liçarraga (meglio Leizarraga) di Briscous, ministro protestante a Bastide Clairence, stampata alla Rochelle nel 1571 a spese del parlamento di Navarra e per ordine di Giovanna d'Albret. Anche di questo libro, divenuto assai raro, si fecero ristampe, fra cui ottima quella del 1900 curata da Schuchardt e Linschmann. Larga diffusione ebbe anche il Guero (1643), libro di devozione compilato dal sacerdote Pedro de Axular.
Non mancano però i lavori originali, i quali, anzi, dal 1880 circa in poi, prevalgono per numero sulle traduzioni: romanzi e novelle, poemetti, articoli varî di letteratura, ecc. La lirica, particolarmente, non manca di pregio. Fra gli scrittori più noti ricordiamo: Alzaga, A. Barriola, Arana Goiri, F. Arrese Beitia, D. Aguirre. Come specialità basca fu considerata la pastorale drammatica, che invece per argomenti, struttura e tecnica deriva dai misteri francesi medievali, come dimostrò G. Herelle, Les sources des pastorales et la méthode de travail des pastoraliers (Gure Herria, II, pp. 691-701).
Interessante è la letteratura orale, ricca di racconti e di canti improvvisati con particolare abilità. Una preziosa raccolta si ha nel Cancionero popular vasco (Bilbao 1919 segg.) di R. M. de Azkue, con versione spagnola e accompagnamento musicale. Un'altra raccolta si pubblica in appendice a Gure Herria ("il nostro popolo"), rivista mensile fondata nel 1921 a Bordeaux, la quale pubblica novelle, poesie e racconti.
Tutti i dialetti hanno concorso alla formazione della letteratura basca che, se non ha raggiunto un alto grado d'eccellenza, è tuttavia in pieno sviluppo e merita l'attenzione degli studiosi.
Bibl.: Fino al 1898, v. la bibliografia di J. Vinson, Essai d'une bibliographie de la langue basque, I, Parigi 1891; II, Parigi 1898. Dal 1907, gli studî baschi fanno capo alla Révue intern. des études basques.
Una magistrale introduzione allo studio del basco è lo schizzo dello Schuchardt, Primitiae linguae Vasconum, Halle 1923; non raccomandabile E. Portal, La lingua basca, Milano 1926. Come vocabolario, si consulti: R. M. de Azkue, Diccionario vasco-espanol-français, Bilbao 1905-06.
Fra gli studî linguistici, ricordiamo: H. Schuchardt, Bask. Studien. I. Über die Entstehung des baskischen Zeitworts, in Denkschr. Ak. Wien, XLIII, iii; H. Gavel, Eléments de phon. basque, Parigi-Biarritz 1921; A. Trombetti, Le origini della lingua basca, Bologna 1925; H. Schuchardt, Das Baskische und die Sprachwiss., in Sitzungsber. Ak. Wien, CCII, iv. Vedi anche: iberi: Lingua.
Per la letteratura, oltre alla bibl. citata nel testo, cfr. l'articolo nella Enciclopedia Universal, XXI, Barcellona 1923, p. 1447 segg.
Storia. - Le recenti ricerche di T. de Aranzadi hanno dimostrato che in pieno periodo eneolitico esisteva già una civiltà pirenaica, che abbracciava per lo meno tre gruppi autonomi e originarî: il paese basco, la zona pirenaica della Catalogna, la Francia di sud-ovest. Inoltre è ora provato che gl'Iberi, durante il secondo periodo glaciale, si estesero per la pianura castigliana a spese dei Celti, entrati nel periodo di Hallstatt, ma non giunsero fino al paese basco; è bensì vero che dopo il periodo eneolitico l'antica civiltà di Almería, esistente nella valle dell'Ebro, ebbe reciproche influenze con la regione pirenaica, che mantenne tuttavia la propria indipendenza. L'insediamento di una popolazione nei Pirenei occidentali risaliva quindi a tempo molto antico e traeva origine, quanto alla civiltà franco-cantabrica, dal periodo paleolitico, quanto all'asturiana, dal neolitico.
I Baschi, tribù preiberiche indigene della regione occidentale dei Pirenei e rifugiatesi sul massiccio montagnoso che le teneva isolate dalle influenze esteriori, lasciarono passare le invasioni celtiche che sboccarono nella penisola iberica per Roncisvalle, senza mescolarsi con esse. Più tardi i Vascones non si mostrarono ostili ai Cartaginesi di Asdrubale, e con la venuta degli Scipioni nella Spagna cominciano le loro pacifiche relazioni coi Romani: Sertorio nelle sue lotte poté contare sull'appoggio della maggior parte delle popolazioni basche; Pompeo percorse la regione e riuscì ad averla alleata. Dopo i tentativi di Augusto per sottometterli, i Baschi acquistano dapprima il diritto latino, e poi, nel 212, la cittadinanza romana; ma, in realtà la loro romanizzazione si ridusse a ben poco. Nel periodo delle invasioni barbariche i Baschi, rimasti fedeli all'Impero, combattono prima contro gli Svevi e poi contro i Visigoti; ma Leovigildo li sconfigge ed edifica la città di Vitoria. Allora una parte dei Baschi emigra in Guascogna e vi si stabilisce, senza però sottomettersi ai Franchi. I Visigoti non riuscirono mai tuttavia ad avere una sovranità assoluta su queste montagne. I Baschi formarono sempre un'unione di piccoli raggruppamenti, affratellati dai vincoli della lingua e dell'origine comune.
Nei secoli VIII e IX la Guipúzcoa e la Galizia sono fuori dell'ambito della dominazione musulmana; invece a quell'epoca una parte di quelle popolazioni incomincia a comparire nella storia sotto il nuovo nome di Navarra. Al principio del sec. X è costituita la monarchia di Navarra, che in seguito rappresenta una parte preponderante nelle lotte della riconquista. Álava ebbe dapprima dei conti dipendenti dalla Castiglia, ma poi si unì ad essa sotto Fernán González e i suoi successori. Dopo successive incorporazioni al regno di Navarra, fece parte definitivamente della Castiglia nel 1200. La Guipúzcoa, dopo aver ondeggiato tra Navarra e Castiglia, si riunì anch'essa a quest'ultima verso lo stesso tempo. La Biscaglia formò una signoria, che per eredità passò pure al regno castigliano, i cui sovrani presero da allora il titolo di signori di Biscaglia. Tuttavia, la fierezza e lo spirito d'indipendenza dei Baschi si manifestano ancora nel geloso attaccamento ai loro privilegi, uno dei quali dà ai guipuzcoani i diritti di gentiluomini (hidalgos); anche coloro ch'erano nati nella Biscaglia si ritenevano nobili (hijosdalgos). In sostanza i Baschi, mentre formano una forte unità etnico-linguistica, non hanno avuto un'unità politica, né quindi una storia comune. Tuttavia è interessante notare che essi, benché divisi fra sovranità diverse, hanno conservato un nucleo comune d'istituzioni e di privilegi, che si manifestano principalmente nei fueros (diritto consuetudinario), con differenze non molto sensibili da valle a valle, da villaggio a villaggio. Comprendevano di solito l'esenzione dal servizio militare, dalle gabelle sul tabacco e sul sale e l'autonomia amministrativa. Per maggiori particolari sulla storia basca v. álava, biscaglia, guascogna, guipúzcoa e navarra.
Bibl.: T. de Aranzadi, Antropología, in Geografía del pais Vasco-Navarro, 1917; R. Ortiz de Zárate, Situación general de las provincias vascongadas durante la monarquía goda, in Euskal Erria, revista vascongada, LIV (1906), pp. 337-41; C. de Echegaray, Las provincias Vascongadas à fines de la edad media, San Sebastiano 1895; O. de Apráiz, Del origen vasco del reino de Aragon, in Boletin de la Comisión de Monumentos de Navarra, XI-XII (1920-21); G. de Belparda, Historia critica de Vizcaya, Madrid 1924.
Musica.
La musica popolare basca, pur non avendo una fisionomia così propria e peculiare come la lingua, si distacca tuttavia notevolmente da quella dei popoli vicini, e in alcuni tratti presenta agli etnologi questioni non meno complesse che per la linguistica. Per es. l'elemento mediterraneo che appare in alcune melodie basche, tessute su gamme simili alle arabe, da alcuni è considerato come proveniente dal contatto coi Mori, da altri è fatto risalire alle origini stesse del popolo basco, e precisamente da coloro che ne ammettono la derivazione berbera.
La manifestazione principale della musica presso i Baschi è la danza. Fra le danze l'aurresku (nome che si riferisce propriamente alla prima delle quattro figure che compongono questa danza) è la più importante per originalità melodica, per energia ritmica, e anche per diffusione e pratica d'uso; in essa sono da notarsi la prima e la terza figura (lo zortzico) rispettivamente in 5/4 e in 5/8. Non di rado s'intercala fra la terza e l'ultima figura (arin-arin), il fandango, danza più propriamente spagnola. Lo Iztuela nel suo Guipuzcoaco dantzak (1824) elenca sino a 36 danze. Ciò si spiega con l'importanza che i Baschi annettevano per tradizione alle varie danze, molte delle quali si collegavano con solennità civili o religiose. In alcune città basche i municipî mantengono tuttora un piccolo gruppo, generalmente di quattro musicanti, nei costumi del sec. XVIII, con l'incarico di sonare gli strumenti tradizionali delle danze popolari, e cioè speciali flauti (silbotia e chistuak) e tamburi (atabal e trun-tinnak).
Se nella musica per danza si scorgono rapporti con quella analoga degli Spagnoli, il canto basco è invece profondamente originale. In esso si ritrovano tutti i generi più comuni nella canzone popolare d'ogni paese: specialmente la ninna-nanna e le canzoni d'amore. Predomina in generale un'intonazione di pensosa tristezza, pur temperata di frequente da quella virile energia, che rende inimitabilmente animate le danze basche.
Raccolte di canzoni e danze: J. I. de Ituesta, Euscaldun ancina ancinaco, San Sebastiano 1826; R. M. de Azkue, Cancionero popular vasco, Barcellona 1927.
Bibl.: F. Michel, Le Pays basque, sa Population... et sa Musique, Parigi 1857; F. Gaskue, Orígen de la música popular vascongada, in Rev. Int. des Études Basques, VII (1913); L. Millet, A proposit de les harmonitz. de les Cançons pop. basques, in Rev. Mus. Catalana, 1929, settembre.