PAGELLO, Bartolomeo
PAGELLO, Bartolomeo. – Nacque a Vicenza tra il 1446 e il 1448 da Lodovico di Leonardo e da Dorotea de' Spiciaroni da Cividale, il cui padre Francesco insegnava grammatica a Vicenza a spese del Comune già a partire dal 1422. Dal matrimonio nacquero anche Lionello e quattro femmine, Chiara, Tarsia, Caterina, Filippa.
La famiglia Pagello era tra le più illustri di Vicenza, dove si era stabilita nel 1136, proveniente dalla Germania. Conobbe una ascesa costante, in particolare nel XV secolo. Nel marzo 1487 il retore Oliviero da Arzignano la celebrava in questi termini: «dico Paielam domum praecipuum esse Vicentine civitatis decus et ornamentum et gloriam» (Marx, 1978, p. 198); nello stesso anno i Pagello acquisirono il titolo di nobiles. I legami familiari influenzarono la carriera letteraria e politica di Pagello. La madre Dorotea aveva sposato in prime nozze Nicolino Trissino e il fratello Lionello sposò Chiara di Vincenzo Capra, nipote per parte di madre del poeta Antonio Loschi, anch'egli imparentato con la famiglia Trissino. Ciò offrì a Pagello la possibilità di inserirsi dopo il 1490 nel circolo di Giovangiorgio Trissino.
La formazione di Pagello fu affidata ai grammatici Ognibene Bonisoli da Lonigo e Oliviero da Arzignano. Particolare influenza esercitò il primo, che nel De laudibus eloquentiae (Vicenza 1476), alla cui pubblicazione partecipò lo stesso Pagello, teorizzò il ruolo trainante dell’eloquenza nella formazione umanistica. Altri allievi vicentini di Ognibene furono Barnaba da Celsano, Francesco Maturanzio, Enea Volpe e Marsilio Emiliano. Di questa generazione di intellettuali, Pagello divenne il principale punto d’incontro. Nel dicembre 1475 Celsano, rivolgendogli un saluto affettuoso «Vale, Musarum decus», gli offrì in dono la Cosmographiam Ptolomei Alexandrini e citò Eudosso e Arato, riprendendo i commentari a Virgilio di Servio.
A quella data Pagello aveva già conquistato un ruolo politico nel governo di Vicenza, che, dopo il 1470, tendeva ad affermare un ideale di Repubblica sul modello di Venezia. Nel 1470, ottenne il titolo di eques e si avviò verso la completa emancipazione, avvenuta nel 1482.
Il 28 ottobre 1477, quando morì lo zio Guglielmo Pagello, che dal 1464 al 1470 era stato segretario di Paolo II, ereditò la sua biblioteca: vi aggiunse «dieci libri della istoria veneziana dall’origine della città fino alla guerra di Chioggia» oggi perduti. La biblioteca fu consultata dopo il 1508 da Gaetano da Thiene, che nel 1504 aveva ricevuto la tonsura dal vescovo di Vicenza Pietro Dandolo. Fra i libri che potè consultare, oltre a Cicerone e altri classici, vi furono i Soliloqui di S. Agostino e la Vita di s. Paolo Eremita.
Negli anni 1476 e 1477 ebbe l'occasione di diventare un diffusore dell'opera di Cicerone e dell’arte dell’eloquenza. Nel settembre 1476, infatti, si trasferì a Vicenza Giovanni da Reno, che il 7 settembre costituì con Pagello e Barnaba da Celsano una società editoriale, che avrebbe dovuto operare fino al 7 settembre 1477. Unite alla capacità «in persuadendo alterum Ciceronem» come scrisse nel 1487 il grammatico Pietro de’ Bruti, Pagello dimostrò qualità imprenditoriali, utilizzando per la stampa correttori e curatori e seguendo le moderne tendenze del mercato. Fra le prime scelte editoriali fu la pubblicazione, il 22 dicembre 1476, delle opere del maestro Ognibene da Lonigo: oltre al citato De laudibus eloquentiae, il Commentarium in libro De oratore di Cicerone. In un secondo momento si unì alla società Bartolomeo da Valdagno, rettore della chiesa di S. Stefano a Vicenza.
La società probabilmente proseguì la sua attività oltre la scadenza contrattuale del 1477, fino al 1480, anno in cui Enrico da Santorso, che aveva la sua libreria alle Pescherie vecchie acquistò da Pagello cento copie del De oratore di Cicerone con il suo commento.
Dal 1476 al 1479 Pagello fece parte del Consilium maior quingentorum. In questa veste, il 25 maggio 1476 si trovò coinvolto in un procedimento di pacificazione fra le suore di S. Tommaso, agostiniane, e quelle di S. Chiara, convento di cui era uno dei fundatores.
Al 1478 risale l’Epicedion in funere Leonelli fratris. Nel 1479 pronunciò a Vicenza l'orazione funebre per Ognibene da Lonigo, Oratio habita in senatu de duobus rhetoribus post mortem Omniboni conducendis ac de laude ipsius Omniboni, proponendo la nomina al suo posto di due retori «ex tota Italia».
Contemporaneamente all'attività negli uffici e a quella letteraria incrementò il suo patrimonio immobiliare per via ereditaria. Il 5 agosto 1479 la madre Dorotea, che dettò il testamento in casa del figlio, lo nominò erede universale di un patrimonio che si estendeva a Montebello, presso Verona, stabilendo un lascito per i conventi vicentini di S. Lorenzo e di S. Chiara; in un secondo testamento, steso l’8 maggio 1484, Dorotea annullò tuttavia il precedente e dispose come eredi i nipoti Romeo e Pietro, figli del fratello Antonello. Il padre di Pagello, Lodovico, nel testamento del 29 agosto 1482 offrì al figlio emancipato la conferma delle donazioni effettuate il 15 giugno 1476 e il 10 giugno 1480; a queste aggiunse una terza donazione, una apotheca a Vicenza che poteva offrire sette ducati d’oro di guadagno ogni anno. Gli altri beni entrarono in possesso del nipote Aloisio, figlio di Lionello. Del 1479 è una vendita di terreni alla sorella Caterina.
A partire dal 1486, su influenza di Poliziano, Pagello compose alcune Silvae: Urbinas (per amicizia verso Federico da Montefeltro), Chalcis (in occasione della sconfitta dei veneziani a Negroponte, il 12 luglio 1472), Maura (per la fallita impresa dei veneziani nel 1464), Manto (del 1482, rivolta a Lorenzo de’ Medici), Parthenope (terminata forse nel 1500, sulla figura di Carlo VIII, principe «deforme» morto nel 1498). Nel frattempo, nacque in lui il fascino della Grecia. Il 29 agosto 1492 con il patrizio Andrea Marcello (a Luigi Marcello indirizzò la silva Marcella) si diresse verso Creta e Corfù: qui si fermò per una burrasca e in sogno gli comparve, ammalata, l'innamorata Panfila, alla quale dedicò le elegie De Pamphila sua (Poesie inedite, 1894, pp. 83-85). Al ritorno raggiunse Sirmione e la casa-accademia del filosofo Leonardo Nogarola; frequentò quindi l'umanista Domizio Calderini (presso di lui lesse un epigramma dettato da Poliziano, inciso su una lapide).
Il 3 luglio 1496 come capo dei Deputati deliberò il restauro del palazzo pubblico di Vicenza. Al 1497 risale l’Ode monocolos paraenetice ad praestantissimum et eruditissimum virum Bartholomaeum Paiellum Vincentinum et vatem che gli indirizzò Francesco Maturanzio. In nome della teologia e dell’eloquenza il 1° gennaio 1508 inviò a Lodovico Zuffato un ritratto del vescovo ideale nella persona di Pietro Dandolo.
A partire dal 1509 la Comunità di Vicenza gli affidò numerosi incarichi. Il 4 giugno 1509 fu inviato a Schio con sedici oratori; il 22 novembre 1509 comparve in Collegio a Venezia accompagnato da dieci oratori. Il 2 agosto 1510 informò Antonio da Thiene sulla peste che infieriva a Vicenza e il 23 agosto informò da Bassano il provveditore Zuan Nadal sulla possibilità di armare i contadini. La guerra della Lega Santa mise in pericolo Vicenza e il 12 settembre 1510 Pagello scrisse al provveditore Vettore Cappello che «etiam l’imperador vegnirà in persona a Vicenza». Il 28 settembre successivo era impegnato a «vender le sede» per la Comunità. Il 5 agosto 1512 fu oratore a Venezia e il 16 maggio 1515 si fece promotore affinché fosse riconsegnato a Vicenza il frumento accumulato a Padova. Il 2 novembre 1516 fu inviato a rappresentare la sua città a Venezia e il 27 settembre 1516 fu sollecitato a consegnare i denari che la Signoria aveva richiesto: con lui compaiono Federico da Porto e Nicolò Chiericati.
Pagello risiedeva allora stabilmente a Venezia: il 9 agosto 1509 per salvare la città dall’intervento delle truppe dell'imperatore Massimiliano I, egli e altri nobili furono invitati a consegnare 50.000 ducati. A tal fin fu contratto un debito con il banchiere fiorentino Giancarlo Borromeo e alcuni mercanti imperiali. Per costringere la Repubblica al versamento della somma si ricorse alle censure ecclesiastiche e alla scomunica, che colpì Pagello e gli altri incaricati della trattativa, su intervento di Leone X, il 27 aprile 1514; Adriano VI la revocò verso la fine del 1522, poi la riprese sempre nel 1522 e Leone X la revocò definitivamente il 12 gennaio 1524. Nel 1523 Pagello compose una Orazione per l’elezione del doge Andrea Gritti.
Morì a Vicenza, probabilmente nel 1526, se il 3, il 16 e il 27 luglio 1527 Leonardo Da Porto lasciò ai figli di Pagello, Girolamo, Simone, Lodovico e Leonardo, l’incarico di controllare le transazioni commerciali della famiglia. Fu sepolto a Vicenza nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Corona.
Dopo le edizioni parziali Bhartolomeus Paiellus - Hieronymus Bononius, Epistolae ex codice Bibliothecae Bertolianae, Vicenza 1851 e A. Cerutti, Lettere inedite di dotti italiani tratte dagli autografi della biblioteca Ambrosiana, Milano 1867, una prima sistemazione delle fonti manoscritte e della biografia su Pagello si deve al volume Poesie inedite di B. P. celebre umanista, a cura di F. Zordan, Tortona 1894, basata su quattro codici conservati nella Biblioteca civica di Vicenza. Il lavoro di Zordan ha costituito la base del lavoro di B. Marx, B. P.: Epistolae familiares (1464-1525). Materialien zur Vicentiner Kulturgeschichte des 15. Jahrhunderts und kritische Edition des Briefwechsels, Padova 1978, con nuove fonti manoscritte. A ciò si aggiunge Padova, Biblioteca universitaria, Raccolta Benvenisti, Lettere, 2131/192-25.
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