NAPPINI, Bartolomeo
NAPPINI, Bartolomeo. – Figlio di un Anastasio, nacque nel 1634 circa a Petrizzi, in diocesi di Squillace, nel Catanzarese.
Delle radici calabresi, vantate in diversi componimenti poetici, non si dimenticò mai («Son Calabro, non Arcade, e men vanto», Sonetti pedanteschi di don Polipodio Calabro, 1769, proemio), sebbene si fosse trasferito giovanissimo a Roma, dove rimase per tutta la vita, conquistandovi una certa fama letteraria.
Avviato alla carriera curiale (era verosimilmente laureato in legge), lavorò per la Camera apostolica; a partire dal pontificato di Clemente X fu chiamato abate per aver ricevuto gli ordini minori; in seguito divenne canonico della collegiata di S. Maria della Rotonda o ad Martyres (il Pantheon); fu di vita «esemplare» e «molto dotto» (Crescimbeni, 1720, p. 255).
La sua abbondante produzione poetica (elegie, epistole, inni, capitoli) fu solo in piccola parte pubblicata. Versi d’occasione comparvero in antologie a stampa a partire dal 1662 (La rocca di Pindo, «applausi poetici» editi a Bologna a cura di Girolamo Lironi per la laurea in legge del lucchese Vincenzo Torre). Una notevole raccolta di suoi componimenti fu curata dal famoso erudito Giovanni Giustino Ciampini, che si propose di pubblicarla: la morte improvvisa (1698) vanificò il progetto.
Nell’Accademia degli Infecondi, istituzione letteraria fondata nel 1653 cui aderì con piena convinzione, strinse amicizia con numerose figure della cultura romana, in particolare Giuseppe Berneri. Dopo la fondazione (1690) e il rapido sviluppo dell’Arcadia, in accordo con altri sodali, tra cui il canonico Arcangelo Spagna, persistette nel sostenere gli Infecondi e le loro posizioni poetiche e critiche, per più aspetti diverse da quelle della nuova accademia. Di formazione e spesso di professione giuridica – ne avevano fatto parte anche alcuni dei primi Arcadi, come Giovanni Mario Crescimbeni, Silvio Stampiglia, Gian Vincenzo Gravina –, gli Infecondi escludevano infatti dalle loro riunioni i componimenti amorosi (del tutto assenti nella produzione di Nappini) e sentivano come inutili modernismi le libertà degli Arcadi in tema di versificazione e di rime (rifiutando la zampogna, simbolo arcadico, Nappini dichiarava il proprio tono popolaresco: «canto al suon di colascione», Sonetti pedanteschi …, 1769, proemio). Suoi versi sono perciò compresi in due raccolte degli Infecondi, le Poesie per celebrare la liberazione di Vienna (1684) e la Raccolta delle compositioni accademiche (1699). L’orvietano Leone Alberici , anch’egli Infecondo, gli indirizzò versi elogiativi (Poesie, 1679).
Dagli ultimi anni del Seicento, Nappini adottò lo pseudonimo «don Polipodio pedagogo calabro», col quale sottoscrisse sonetti e altri versi d’occasione (sonetto per le Poesie varie di Francesco Posterla nel 1704, cantiuncula latina per il volume II di Oratorii di Spagna nel 1706, sonetti su fogli volanti nel 1716), nonché la raccolta Narratiuncula del preterito bello (Milano, s.d. ma ante 1719), contenente versi burleschi contro letterati e insegnanti da strapazzo, individuati nella tradizionale figura del pedante della poesia giocosa 'fidenziana'. In questo stile scambiò versi con Berneri e ottenne il maggior successo: a detta di Crescimbeni (1720, p. 255), nella poesia 'pedantesca' scrisse «con tanta finezza di gusto che poteva appellarsi il Fidenzio del nostro secolo». La popolarità di cui godette in Roma ispirò al letterato e impresario Giovanni Domenico Bonmattei Pioli la «comedia per musica» Il Polipodio overo Li mastri di scola, rappresentata con burattini in un teatrino in via dei Coronari nel Carnevale 1701. Il soprannome fu scelto con intento burlesco: si tratta di una piccola felce dei boschi e delle rupi (Polypodium vulgare), dal rizoma dolciastro, sorta di liquirizia usata come blando purgante per bambini e ragazzi.
Nella relazione di Giuseppe Ghezzi, Il premio tra gli applausi del Campidoglio (Roma 1705) è contenuto un Parere di Nappini sull’emblema dell’Accademia del Disegno fondata da Clemente XI, in cui difende l’impresa contro alcuni critici del giorno.
La decadenza dell’Accademia degli Infecondi nei primi anni del Settecento – le riunioni, fino ad allora tenute in S. Carlo dei Catinari, cessarono – spinse Nappini ad aderire all’Arcadia (1709) col nome pastorale di Silverio Anteate: ne fu espulso in seguito alla scissione del 1711, provocata dalla rottura di Gravina e seguaci col custode generale Crescimbeni, ma fu ben presto riammesso. Era nel frattempo divenuto canonico decano del capitolo del Pantheon.
Ebbe ricca biblioteca personale, annoverante testi di vario genere (fra essi scritti di Roberto Bellarmino e i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze di Galileo nell’edizione elseviriana del 1638). Nel 1715 fece stampare dalla tipografia Chracas una Lettera al signor fiscale della sacra Congregazione sopra le Messe.
Morì il 10 febbraio 1717 a Roma, nella sua casa posta nell’«isola della Catena» presso la Sapienza.
Lasciò la raccolta completa delle sue rime in due codici manoscritti, oggi conservati nella biblioteca Casanatense di Roma (nn. 3941 e 5192). Un’ampia selezione di sonetti 'fidenziani' in tre centurie fu stampata a Guastalla nel 1769-70 a cura del letterato bussetano Ireneo Affò col titolo Sonetti pedanteschi di Don Polipodio Calabro, pedagogo e pastore: poiché della tiratura rimasero invenduti parecchi esemplari, l’editore Giacomo Beniamino Kross li rimise in commercio dotandoli di un nuovo frontespizio (Rime pedantesche di celebre autor calabrese sopra varj morali, critici, e dilettevoli argomenti secondo il gusto del presente secolo), che falsamente li faceva figurare stampati a Londra nel 1780 a cura di Aristarco Scannabue, cioè Giuseppe Baretti, in realtà del tutto ignaro della cosa (Custodi, 1822).
La Narratiuncula è stata considerata dalla critica una delle più gustose opere del genere fidenziano (Belloni, 1929; Croce, 1949). I sonetti e gli altri componimenti poetici ebbero buona circolazione negli ambienti romani nel Settecento e anche oltre, per i riferimenti a luoghi e costumi della città (Crescimbeni [1720, p. 255] li ricorda «applauditissimi [...] per Roma tutta, per la quale sono iti e van tuttavia continuamente in giro»); a essi vanno aggiunti i versi maccheronici contro gli intrighi amorosi dei melodrammi coevi, con raccomandazione agli studenti di limitarsi alle commedie del Collegio clementino e del Seminario romano. L’edizione del 1780 dei sonetti è stata ripubblicata di recente (Rime pedantesche, a cura di P. Crupi, 3 voll., Soveria Mannelli 2005).
Un ritratto caricaturale di Nappini fu delineato dal pittore Pier Leone Ghezzi nel 1712 (Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, inv. CF.124, 287).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Vicariato, Parrocchia di S. Eustachio, Morti, III, ad diem 10 febbraio 1717; Parrocchia di S. Maria ad Martyres, Morti, IV, ad eundem diem. G.M. Crescimbeni, in Notizie istoriche degli Arcadi morti, II, Roma 1720, pp. 254-256; P. Custodi, Scritti scelti inediti o rari di Giuseppe Baretti, I, Milano 1822, pp. 40 s.; G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, II, Milano 1852, p. 356; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza 1870, p. 411; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, p. 331; B. Croce, Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1949, p. 81; M. Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti in opere di autori e traduttori italiani, Firenze 1951, p.122; Autori italiani del Seicento, a cura di S. Piantanida - L. Diotallevi - G. Livraghi, Milano 1948-51 (rist. anast. Roma 1986), nn. 2587, 2595, 2978; Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, a cura di A.M. Giorgetti Vichi, Roma 1977, p. 233; G. Morelli, Di Giuseppe Berneri e delle sue poesie dialettali inedite, in Strenna dei Romanisti, XXXVIII (1977), p. 251; A. Piromalli, La letteratura calabrese, Cosenza 1996, I, p. 133; S. Franchi, Drammaturgia romana II (1701-1750), Roma 1997, pp. 2, 25, 41.