MEZZAVACCA, Bartolomeo
MEZZAVACCA (de Mezavacchis, Mezavachis), Bartolomeo. – Nacque poco prima del 1350 da Guglielmo e da Tramontana (o Zana) de’ Garisendi, probabilmente a Bologna, dove ebbe casa nella parrocchia di S. Martino de Aposa presso la porta della Paglia, denominata anche torre dei Mezzavacca. La famiglia paterna, trasferitasi nel secolo precedente da Parma, aveva ottenuto la cittadinanza bolognese e mutato l’originario cognome di Tagliaferri. Studente in diritto civile, il 20 dic. 1363 fu emancipato dal padre, insieme col fratello Pietro. Il 15 ott. 1369 conseguì nello Studio bolognese il titolo di dottore in utroque iure.
Non è esatta la notizia, riferita da alcuni biografi, che entrasse a far parte della Curia avignonese come auditor causarum palatii apostolici, relativa invece a un Bartolomeo de Bononia di Ferrara, decretorum doctor e canonico di Treviso, figlio di Giacomo de Carris, nominato vescovo di Recanati nel 1374.
Nel 1371 il M. fu lettore Sexti et Clementinarum nell’Università di Bologna, esaminò in diritto canonico Ubaldino di Cambio da Firenze e Iacopo de’ Prignaschi e assistette alla laurea in diritto civile di Iacopo Orsini. L’anno dopo esaminò vari altri studenti, fu testimone della laurea in diritto civile del parmigiano Matteo dalla Fontana e nominò procuratore fra Antonio da Salerno per presentare un appello a Beltrame da Brossano. Il 26 nov. 1373 laureò in diritto civile Giovanni de’ Lapi. Poi lasciò l’insegnamento nello Studio bolognese.
Il 16 giugno 1374, ancora semplice clericus, fu nominato da Gregorio XI vescovo di Ostuni. Come nunzio apostolico, il 12 ott. 1375 fu incaricato, col vescovo di Ascoli Piceno, il legum doctor Pietro de Torricella, e con Giovanni de Sant’Angelo della Camera apostolica, di richiedere a Bernabò e a Galeazzo (II) Visconti l’osservanza degli accordi conclusi con la Chiesa per la pace in Lombardia, giacché tra l’altro non erano stati ancora restituiti i castelli del vescovo di Luni, mentre gli uomini di Galeazzo (II) continuavano a imperversare in varie città e diocesi.
Da Urbano VI, dopo la vacanza prodottasi il 20 apr. 1378, fu trasferito alla sede episcopale di Rieti, dalla quale derivò l’appellativo di Reatino, col quale fu comunemente noto e che usò anche dopo avere lasciato la diocesi. Durante l’estate probabilmente seguì la Curia pontificia a Tivoli e fu forse allora (oppure nel 1383, quando fu di nuovo in quella località) che un curiale, Francesco da Fiano, gli dedicò un carme, che accompagnava il dono di un porcospino (cfr. Monti).
Fu creato cardinale prete col titolo di S. Marcello, non è certo se nella prima promozione del 18 sett. 1378 o poco dopo. È tradizione che abbia ricevuto il cappello cardinalizio in S. Domenico a Bologna dal vicario pontificio Giovanni Oldrendi da Legnano.
Le sue capacità giuridiche e le esperienze diplomatiche che pare avesse maturato furono utilizzate da Urbano VI nelle trattative con Carlo III d’Angiò Durazzo per l’investitura del Regno di Sicilia, concessa il 1° giugno 1381. Il M. fece parte – con Bonaventura Badoer, Galeotto da Pietramala e altri due cardinali – della commissione alla quale il papa delegò la conclusione della trattativa. Fu per lui l’occasione di un rapporto personale col re, il quale partecipò di persona.
In previsione della venuta nel Regno di Luigi I d’Angiò, che era stato adottato e dichiarato suo erede dalla regina Giovanna I d’Angiò, nel 1382, il papa lo inviò a Napoli con i cardinali Ludovico Donati e Nicolò Moschini, per migliorare i rapporti con Carlo III. Sbarcò il 20 marzo a Piedigrotta, dove i legati furono accolti dal re e accompagnati nella chiesa di S. Maria, prima di essere condotti al Castelnuovo, dove fu imbandito un banchetto.
Poiché permanevano gravi motivi di tensione, relativi al governo del Regno, al ruolo da riservare al nipote del papa, Francesco Prignano, e alla condotta della guerra, nel conflitto tra il re e il pontefice il M. prese le parti di Carlo III. Si oppose all’iniziativa di Urbano VI di recarsi a Napoli e guidò la dissidenza di alcuni cardinali, tra i quali oltre al Donati e al Pietramala erano Bartolomeo Cogorno e Guglielmo d’Altavilla. Nell’estate del 1383 cercò d’impedire l’ingresso del papa nel Regno, sconsigliandone il viaggio per la sua pericolosità e quindi rifiutandosi di accompagnare il papa. Il 15 ottobre il M. fu allora privato del titolo cardinalizio, mentre gli altri cardinali erano posti sotto processo. In loro favore intervenne Carlo III, il quale, nell’incontro che ebbe col papa il 30 e il 31 ottobre, chiese inutilmente a Urbano VI la reintegrazione del M. e l’annullamento dei processi. L’irremovibilità del papa determinò il suo temporaneo arresto da parte del re; si raggiunse poi un accordo provvisorio, ma non risulta un atto di riabilitazione del cardinale deposto. Il 7 genn. 1384, tuttavia, il M. con i cardinali Donati, Cogorno e Altavilla, su una galea inviata dal re, raggiunse Napoli, dove si trovava il papa con la Curia. In seguito i cardinali che si erano separati furono riammessi alla presenza del papa. Nell’estate il M. seguì Urbano VI a Nocera, ma poi abbandonò la Curia per tornare a Napoli, seguito ancora una volta da alcuni cardinali.
Il re e la regina gli avevano ormai affidato il compito di liberarli dall’incomodo pontefice. Il M. riprese le fila dell’opposizione cardinalizia e del complotto contro Urbano VI. Obiettivo era la neutralizzazione del papa, che sarebbe stato sottoposto al controllo del Collegio cardinalizio; questo gli avrebbe nominato uno o più curatori, sul presupposto dell’incapacità mentale del pontefice, ipotesi non nuova, perché avanzata già nel 1378 tra i cardinali che poi elessero Clemente VII.
A Napoli il M. e i cardinali suoi complici consultarono Bartolomeo da Piacenza e altri dottori in diritto e teologi riguardo ai casi di pazzia del papa e di negligenza o incapacità nel governo della Chiesa. Urbano VI chiese intanto al S. Collegio di approvare la deposizione di Carlo III e reiterare quella del M., ma ricevette un rifiuto che cercò di superare con la nomina il 17 dic. 1384 di nuovi cardinali.
Le rivelazioni fatte dal cardinale Tommaso Orsini denunciarono l’intenzione di accusare il papa di eresia e procedere alla sua condanna, per eleggere un nuovo papa forse nella persona del M. o di Ludovico Donati. L’11 genn. 1385 Urbano VI arrestò sei cardinali presenti a Nocera: Giovanni d’Amelia, Adam Easton, Marino Del Giudice e Gentile de Sangro, oltre al Donati e al Cogorno. Secondo la loro confessione, resa sotto tortura il 21 gennaio, si sarebbero dovuti recare al concistoro nel castello di Nocera, ciascuno con dodici familiari nascostamente armati, per catturare il papa con la complicità del M. e dei reali napoletani e condannarlo al rogo dopo un rapido giudizio.
Il M., rimasto a Napoli, fu scomunicato con tutti i complici. Scrisse il 24 febbraio agli Anziani di Bologna per dichiarare la falsità delle confessioni, che lo denunciavano come organizzatore della trama (Sauerland, pp. 824-827). Con altri quattro cardinali residenti alla corte napoletana, Pileo da Prata, Landolfo Maramaldo, Luca Gentili e Poncello Orsini, promosse nell’estate una dichiarazione di disobbedienza a Urbano VI, che fu trasmessa al clero romano e che ribadiva le tesi della follia del papa (sostenuta anche in uno scritto del 25 marzo; ibid.) e della sua eresia. Non ha alcun riscontro l’affermazione che fuggisse ad Avignone da Clemente VII.
Fu riabilitato da Bonifacio IX il 18 dic. 1389 e riammesso nel S. Collegio col nuovo titolo di S. Martino ai Monti. Se ne rallegrò il cancelliere del Comune di Bologna, Pellegrino Zambeccari, e ne fece le lodi anche Coluccio Salutati.
Dalle lettere che gli scrisse lo Zambeccari siamo anche informati di alcune vicende familiari avvenute attorno al 1395: la morte della madre e il matrimonio di due delle cinque nipoti, Lippa e Gesia, orfane del fratello Pietro, che sposarono rispettivamente Giovanni di Nicolò Ludovisi, poi conte di Aigremont e senatore di Roma, e suo fratello Andrea. Tra i benefici ecclesiastici che tenne in commenda sono ricordati S. Colombano di Bobbio, S. Maria della Pieve di Cento, S. Giovanni in Persiceto, S. Maria del Morello a Bologna, l’abbazia di Fonte Avellana e la basilica di S. Maria Maggiore a Roma. Pare sia stato legato pontificio a Genova e a Viterbo.
Ebbe come segretario negli ultimi anni il notaio Bernardo da Moglio, il quale il 28 luglio 1396 partecipò alla stesura del testamento, nella camera del palazzo della basilica dei Ss. Apostoli a Roma, dove il M. giaceva malato, presente il medico Paolo de Caloriis da Modena. Nominò erede Purità da Viterbo, ma lasciò ai consanguinei Paxio e Andrea Mezzavacca i beni che possedeva a Bologna, provenienti dalle eredità paterna e materna e da un legato testamentario ricevuto il 19 luglio 1394 da Bertuccio di Mainetto Sabadini.
Il M. morì a Roma non il 20 giugno come risulta dalla lapide sepolcrale, ma probabilmente il 29 luglio 1396. Fu sepolto, come aveva chiesto, a Roma in S. Maria Maggiore, di fronte all’immagine di Maria attribuita a s. Luca.
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S. Fodale