CESI (Ceci), Bartolomeo
Nacque a Bologna il 16 ag. 1556, come afferma il Malvasia e confermano i documenti, da un Nicola, di condizione agiata. Fu posto, grandicello (Malvasia), alla scuola di grammatica della sua città, dove ricevette una educazione umanistica e dove fece tanto profitto da divenirvi in seguito lettore di umanità. Giunse probabilmente all'arte in modo fortuito, ma non tardi, se è vero che fu nello studio del pittore Giovan Francesco Bezzi, detto il Nosadella, che morì nel 1571 quando il C. era appena quindicenne (il Malvasia, certo erroneamente, pone questo alunnato "inetà molto avanzata"). D'altronde che egli non sia giunto all'arte in età troppo matura è provato dal fatto che già nel 1574 eseguiva affreschi in S. Stefano. È possibile che il C. per alcuni anni abbia esercitato al contempo l'attività di pittore e quella di lettore; ma la seconda attività fu da lui lasciata definitivamente, forse verso la metà dell'ottavo decennio, quando il suo catalogo comincia ad infittirsi di opere. Oltre al Bezzi, è probabile che il C. abbia frequentato, secondo quanto sostiene il Malvasia, l'accademia del Baldi; nell'arte tuttavia egli può considerarsi un colto autodidatta.
Voltosi inizialmente all'affresco, dopo aver forse tentato opere in plastica come l'Adorazione dei Magi in S. Procolo, eseguì gli affreschi della cappella Vezzi in S. Stefano - che recavano una volta la data 1574 - con Storie della Vergine, figure di santi e grottesche; quindi la decorazione di parecchi palazzi privati a Bologna, Ferrara e Imola, con soggetti a volte classicheggianti; infine le Storiette della Vergine già alla certosa ed ora al Museo comunale di Bologna.
In tutte queste opere egli mostra di aver tenuto presenti molteplici esperienze figurative sebbene tutte di stampo manierista e, soprattutto, emiliano (dai maestri parmensi della tradizione post-correggesca ai ferraresi e al Tibaldi), ma anche direttamente romano (Venusti, Sicciolante, Taddeo Zuccari). La personalità del pittore appare in questo momento caratterizzata da elementi colti, con tendenza a un linearismo prezioso, una forma un po' profana e classicheggiante, un colore raffinato; però con modi sempre composti e misurati. L'attività in tanti luoghi diversi, in edifici pubblici e privati, fa pensare che egli raggiungesse presto, come nota il Graziani, "una notevole rinomanza come decoratore murario".
Nel 1583 il C. entrò nella corporazione bolognese come maestro. In un periodo non lontano ottenne anche la rilevante commissione di affrescare una sala in palazzo Fava a Bologna, per la quale la data del 1583-84 è suggerita dalla contiguità materiale e stilistica con gli affreschi dei Carracci nello stesso palazzo, databili in quegli anni (dovendosi però ricordare che sulla scorta del taccuino personale del C. il Malvasia datava l'opera al '98, commettendo forse qui un'altra svista). Gli affreschi di palazzo Fava, consistenti in un fregio con Storie di Enea, rivelano un senso fantasioso e ancora rinascimentale della storia antica, con toni ariosteschi e affinità con lo spirito del tardo manierismo e (per es., con F. Zuccari).
Ma, a questo punto, l'iniziale e un po' eclettica disponibilità del C. lascia il passo a una tendenza diversa. Forse la frequentazione del Passarotti, dei cui ritratti veristi sembra di sentire un'eco nella sua opera, certamente la vicinanza dell'accademia carraccesca e, soprattutto in questi anni tra 1585 e 1590, una probabile serie di viaggi compiuti a Firenze, quindi a Roma (dove secondo Graziani potrebbe aver lavorato in S. Maria Maggiore nel gruppo dei frescanti di Sisto V) sono i fatti determinanti che lo indussero, già intorno al '90, ad uno stile sempre più sobrio e antimanieristico. Tra l'altro il crescente influsso della Controriforma, che si esprimeva a Bologna nella personalità e negli scritti del Paleotti, lo spinsero verso l'abbandono dei modi profani, verso una "severa grandezza liturgica" (Arcangeli).
Anche dal punto di vista del contenuto, i soggetti cambiarono e si fecero quasi esclusivamente religiosi. Intorno al 1590 il C. eseguì la tela con S. Benedetto in S. Procolo, opera di impianto molto semplice, quasi monotono, ma viva nella tenerezza espressiva dei gesti, nel nuovo verismo del paesaggio, dei panneggi, dell'ombreggiatura, ciò che indica affinità con le tendenze contemporanee di Ludovico e Annibale Carracci da un lato, della riforma del fiorentino Santi di Tito dall'altro.
Duplicità che indica i poli tra i quali da ora in poi oscillerà il C.: l'umanità nuova, intensamente religiosa ma anche molto accostante e piena di significati terreni, e la fredda politezza di una prassi accademica: mescolanza di tratti per la quale già il Malvasia notava com'egli "sostenne con tanta riputazione l'Arte declinante e avvilita". Infatti rispetto ai suoi contemporanei bolognesi, oltre a creare una pittura più "corretta", "delicata poi, e graziosa", "stette più d'essi ancora all'ubbidienza del naturale, in ciò seguendo i concorrenti, e coetanei Carracci; delineando "da venerandi Vecchi, e da belle Donne l'effigie de' volti, copiando da sodi, e ricchi panni...non affettati, non ideali, ma possibili, facili, e gravi...".Le sue "attitudini furono proprie, e non forzate: rattenuto nell'espressioni, per non incorrere in esorbitanze, e affettazioni...".
Circa il 1590 furono eseguiti anche l'affresco alla certosa con Madonna e santi, gli affreschi nel coro e nella navata della chiesa dei SS. Bartolo e Marino a Rimini, e altre opere, dove si riflette il travaglio di "quel periodo di maturazione e assestamento", "di un lento e cosciente lavoro di informazione, di studio e di ricerca di una maniera originale, e orientata tuttavia sul parallelo delle più aggiornate e mature tendenze dell'ambiente romano e fiorentino" (Graziani), cioè Poccetti, Pulzone, Barocci e la sua scuola, Muziano. E sempre intorno al '90 era stata eseguita la decorazione ad affresco con Storie della Vergine e figure di santi nella cappella di S. Maria dei Bulgari, poi parte dell'Archiginnasio (documenti dall'86 al '94): le scene vi erano piene di riflessi romani nello stile e apertamente controriformate nel tono, nel senso che vi si dispiegava l'intento della chiarezza, in modi didascalici, letterari, emblematici (l'intera decorazione, che era certo una delle più impegnative del C., venne distrutta nel corso dei bombardamenti del gennaio 1944).
Intanto il C. viaggiava e lavorava in molti luoghi: i documenti lo mostrano a Roma nel 1591, parlano della sua presenza a Bologna nel giugno dello stesso anno, quando egli affitta locali nel monastero dei certosini. Nel 1594 operava a Siena, nella certosa e nel duomo (Assunta nell'abside), quindi a Imola, nel 1598, per comporre un arco di trionfo in onore di Clemente VIII e per gli scomparsi affreschi del palazzo comunale, nel 1603 per la decorazione ad affresco della cappella della Vergine in cattedrale.
Ma è naturalmente a Bologna che il grosso della sua attività si svolse. Egli vi era certo nel 1595 per eseguire nel presbiterio di S. Domenico la monumentale Epifania con ai lati i SS. Nicola e Domenico (vedi, per i disegni, Neilson, 1973); nella cappella del Rosario dello stesso S. Domenico lavorò a più riprese, in epoca anteriore al 1601, per eseguire alcuni dei Misteri del Rosario (in collaborazione con Calvart, Ludovico Carracci, Reni), quindi nel 1612 per altre decorazioni appartenenti allo stesso complesso (come affermato dal Malvasia e confermato da recenti ritrovamenti documentari: Redigonda, 1960). Tra il 1595 e il 1598 eseguì per la cappella Paleotti in S. Giacomo quello che è giustamente considerato il suo capolavoro, e che già era stato tanto ammirato dal Reni secondo il Malvasia: la Vergine adorata daiss. Benedetto,Giovanni Battista e Francesco.Ed è anche a Bologna che il C. godé ormai di fama come artista affermato e fu al centro-della vita artistica, tant'è vero che egli venne spesso consultato per la costruzione della fabbrica del duomo; mentre con Ludovico Carracci si adoperò per separare la compagnia dei cartai da quella dei pittori (riuscendovi nel 1599), che poi presiedé e animò per anni, spesso come sindaco, o amministratore, altre volte come massaro, fino alla morte.
Il suo stile di vita - i "degni costumi" - e il "sostenuto decoro" della sua arte spiegano secondo il Malvasia com'egli, "più d'ogn'altro Maestro di que' tempi, venisse applaudito e stimato", tanto da essere "reputato comunemente padre, e protettore della Professione, e de' Professori...". I Carracci lo fecero una volta giudice in una delle gare di pittura tenute dall'Accademia degli Incamminati; nel 1613 fu arbitro circa il valore di un quadro del Salimbeni. I suoi quadri erano inviati in tutta l'Emilia. Nel 1619 fu nominato maestro del disegno dell'Accademia degli Ardenti.
La tarda attività del C. continuò secondo le linee indicate, però giungendo a una specie di codificazione del linguaggio secondo una maniera sempre più austera, che dopo il 1600 circa lo pose ai margini dello sviluppo dell'arte bolognese e che da allora fino ai giorni nostri lo ha fatto considerare come artista emblematico della Controriforma nella sua fase cinquecentesca, cioè austera, rigorista, monacale: una specie di caso esemplare. La rinuncia all'orpello sembra ora per il C. il dovere primo, come la riduzione a ciò che è essenziale, facilmente comprensibile, seppure ancora pieno di quel bolognese calore umano, di quel pathos rattenuto ch'è anche una caratteristica di contemporanei come Ludovico Carracci e il primo Reni, che al C. è debitore. I nudi sono evitati con cura (egli soleva dire: "la loro introduzione non convenirsi nelle private Case, non che nelle Chiese"), i suoi personaggi si rivestono di una grave modestia; le forme si fanno rigide e quasi monotone. Così egli appare nella decorazione della chiesa di S. Gerolamo alla Certosa, consistente in una serie di grandi tele (Orazione nell'orto; Crocifissione; Deposizione)e affreschi (Santi; Storie dell'Antico Testamento), che furono eseguiti probabilmente tra il 1612 e il 1616; o nella grande tela di Nicolò Albergati alla certosa di Ferrara, del 1620. Gli ultimi anni furono prolifici, tanto ch'egli si servì qualche volta di aiuti, con ancora grandi decorazioni (come quella perduta di palazzo Albergati, del 1615), quadri per chiese della città e della provincia, alcuni ritratti. Il suo studio era frequentato da qualche giovane pittore di talento, come il Tiarini.
Il C. morì il 15 ag. 1629 a Bologna (documento riportato dall'Oretti: la data 1635 fornita dall'Orlandi è perciò errata).
Il C. usava il disegno preparatorio, studiando dal vero "a parte a parte", e unendo spesso degli studi parziali in un insieme da usarsi poi come schema per l'opera in grande; e molti suoi disegni si vedevano fra i "dilettanti": erano più apprezzati "que' primi che a pezzi dal modello con tanta risoluzione ritraea che que' secondi posti insieme..." (Malvasia). Il Graziani, che ne ha elencati una cinquantina (la maggior parte agli Uffizi), nota che in questo campo il C. rimase fedele alla tecnica manieristica della preparazione a biacca, preferendo tonalità tenui e atmosfere diffuse a una chiara indicazione di forma e linea.
Un buon numero di informazioni sull'opera del C. ci viene da un taccuino tenuto dal pittore stesso a partire dal 1591 e procedente fino al 1625. Questo taccuino - oggi perduto - fu pubblicato parzialmente dal Masini e dal Malvasia. Per quanto riguarda la sua vita la fonte migliore è quella del Malvasia, il quale non solo conobbe molti documenti originali oggi non più disponibili, ma ebbe molte informazioni dal figlio del C. stesso, Francesco (nato nel 1606 e anch'egli pittore dilettante), e dai suoi nipoti Bartolomeo e Nicola. L'articolo del Graziani è l'unico studio monografico moderno sul pittore.
Fonti e Bibl.: I. A. Bumaldo, Minervalia Bononiensia, Bologna 1641, p. 261; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1650, ad Indicem; C. C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1678, I, pp. 317-329; II, pp. 53, 183; F. Baldinucci, Notizie dei professori..., IX, Firenze 1771, pp. 123-127; Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 124: M. Oretti, Notizie de' professori...;P.A. Orlandi, Abecedario pittorico..., Bologna 1704, p. 92; Ch. de Brosses, Viaggio in Italia [1739-40], Bari 1973, ad Ind.; G. Canuti, Pitture di B. C. ... nella capp. di S. Maria Nunziata detta de' Bulgari in Bologna, Bologna 1832; Id., Allegorie...nel soffitto della cappella..., Bologna 1834; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 6, Milano 1933, pp. 681, 705-717; A. Graziani, B. C., in La Critica d'arte, IV (1939), pp. 54-95, G. Briganti, Ilmanierismo e P. Tibaldi, Roma 1945, pp. 100, 111; M. Gregori, I ricordi figurativi di A. Manzoni, in Paragone, I(1950), 9, p. 14; C. Gnudi-G. C. Cavalli, G. Reni, Firenze 1955, ad Indicem; C.Volpe, Lucio Massari, in Paragone, VI(1955), 71, pp. 3 s., 6; F. Arcangeli, Sugli inizi dei Carracci,ibid., VII (1956), 79, pp. 20, 22, 28, 36, 38; Id., in Maestri della pittura del Seicento emiliano (catalogo), Bologna 1959, pp. 50-55; E. Feinblatt, in Los Angeles Mus. Bull., X(1958), 3 (not. d'acquisizione); P. L. Redigonda, Ilcompimento dei "Misteri del Rosario" e l'affermaz. malvasiana su B. C., in Arte antica e moderna, 1960, pp. 201-203; A. Emiliani, La Pinacoteca di Bologna, Bologna 1967, ad Indicem; C. Johnston, Idisegni dei maestri. Il Seicento e il Settecento a Bologna, Milano 1971, p. 88; E. Schleier, More Drawings by B. C., in Master Drawings, X (1972), 4, pp. 365-367; Le collezioni d'arte della Cassa di Risparmio in Bologna,I dipinti, Bologna 1972, pp. 67, 352 s., tav. 16; C. Johnston, Mostra di disegni bolognesi dal XVI al XVIII sec., Firenze,Uffizi, Firenze 1973, pp. 32-35; N.W. Neilson, Bologna not Rome, in Master Drawings, XI(1973), 3, pp. 269-271, fig. 2, tav. 26; L. C. J. Frerichs, Italiaanse Tekeningen,I,de 17de eeuw (catal.), Amsterdam 1973, p. 18, n. 44; La chiesa parrocchiale di S. Giovanni in Monte in Bologna, Bologna s.d., pp. 36, 168, tavv. XXVII-XXXI; C. Volpe, Il fregio dei Carracci e i dipinti di pal. Magnani..., Bologna 1976, pp. 42-44; Armando Neerman, OldMaster Drawings, London s.d. [1976], n. 10 (Annunciata); Art at Auction 1976-77, London 1977, ill. p. 68 (disegno di Giovane che suona);A. Forlani Tempesti, 38 disegni del C. comprati da Leopoldo de' Medici, in Scritti in onore di U. Procacci, Milano 1977, pp. 486-498; C. Thieme, in Ital. Zeichnungen des 16.-18. Jahrh. (catal.), München 1977, pp. 148 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 324 s. (con bibl.); Encicl. Ital., IX, p. 887.