BANCA
(VI, p. 33; App. I, p. 238; II, I, p. 355; III, I, p. 201)
Diritto. - Legislazione bancaria. - Con l'espressione legislazione bancaria si definisce quel complesso di norme a rilievo pubblicistico poste dall'ordinamento per disciplinare sotto i suoi molteplici aspetti l'intermediazione bancaria, fenomeno economico caratterizzato dal duplice momento della raccolta del risparmio tra il pubblico, operata da enti a ciò abilitati, e dal successivo impiego del risparmio così raccolto mediante attività imprenditoriali di finanziamento svolte dai medesimi enti creditizi depositari.
L'autonomia scientifica della disciplina in questione si è realizzata in tempi relativamente recenti soprattutto con la istituzione di cattedre e insegnamenti universitari dedicati alla legislazione bancaria e con la pubblicazione di testi che trattano la materia a livello monografico, a differenza di quanto avveniva in passato allorché la materia era trattata il più delle volte nell'ambito del diritto commerciale, talora nei testi di diritto amministrativo, altre volte ancora alla stregua di mera appendice dei trattati di politica economica e di economia aziendale che si occupavano di argomenti bancari.
Si rileva peraltro la tendenza attuale a ricomprendere nella materia nuovi e sempre più imponenti fenomeni di intermediazione finanziaria nei quali, almeno formalmente, non appare l'intervento degli enti creditizi e che sono caratterizzati dalla presenza di uno solo dei due elementi della intermediazione: la raccolta del risparmio ovvero l'esercizio del credito. Ci si intende riferire a strumenti dell'innovazione finanziaria quali il leasing, il factoring, il merchant banking, i fondi comuni di investimento, l'attività esercitata dalle società finanziarie e da quelle fiduciarie, la gestione di patrimoni mobiliari, l'emissione di titoli atipici, ecc. Ciò in linea con il disegno di base della legge bancaria del 1936 con la quale si intese disciplinare ogni forma di intermediazione finanziaria e non soltanto quella strettamente bancaria.
Sviluppo, principi e caratteristiche della legislazione bancaria. - La legislazione bancaria nella sua accezione innanzi chiarita è costituita da un complesso di disposizioni, dotate di forza normativa la più diversa (si parte da norme a rilievo costituzionale, fino a giungere a "istruzioni" impartite alle b. dall'Organo di vigilanza bancaria), invero spesso non coordinate e amalgamate, tanto che è stata da tempo avvertita l'esigenza dell'emanazione di un testo unico (art. 7 Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello stato 17 luglio 1947 n. 691).
Seguendo lo sviluppo cronologico della normativa, vanno ricordati, quali primi interventi legislativi dotati del carattere della organicità e della generalità, il R.D.L. 7 settembre 1926 n. 1511 e il suo regolamento approvato con R.D.L. 7 novembre 1926 n. 1830, i quali si posero il limitato scopo di tutelare i depositanti che affidavano il loro risparmio ad aziende di credito operanti a breve termine. I due decreti del 1926 non furono mai espressamente abrogati, ma nel 1936 si pose mano a una radicale ristrutturazione del sistema bancario e del suo controllo pubblicistico con l'emanazione di una serie di provvedimenti normativi (R.D.L. 12 marzo 1936 n. 375, convertito in legge 7 marzo 1938 n. 141; R.D.L. 17 luglio 1937 n. 1400 convertito in legge 7 aprile 1938 n. 636; l. 10 giugno 1940 n. 933) complessivamente denominati ''legge bancaria'' e che tuttora costituiscono il nucleo fondamentale della legislazione bancaria, avendo essi dettato disposizioni articolate e dettagliate non solo per una più accorta difesa del pubblico risparmio ma anche per la disciplina della funzione creditizia.
Le autorità di vigilanza bancaria, individuate sin dalla legislazione del 1936 in un Comitato di ministri presieduto dal capo del governo e nell'Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito con a capo il governatore della Banca d'Italia, mutarono con il dopoguerra, passando le relative competenze inizialmente al ministro del Tesoro (Decreto Legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944 n. 226), successivamente e in via definitiva al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, presieduto dal ministro del Tesoro, e alla Banca d'Italia (D.L.C.P.S. 17 luglio 1947 n. 691).
La nuova Carta Costituzionale, dal suo canto, disponeva che "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito" (art. 47); dizione dalla quale si rileva, da una parte, che la disciplina del credito e del risparmio non è stata assoggettata a riserva di legge, e dall'altra, che il generico riferimento alla "Repubblica" quale detentrice del controllo sul credito e sul risparmio implica il riconoscimento costituzionale dell'assetto organizzativo allora appena creato con il citato decreto legislativo n. 691 del 1947. Dal 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione, bisogna attendere più di trent'anni per un nuovo intervento di legislazione bancaria, costituito dalla l. 10 febbraio 1981 n. 23, il cui art. 14 ha operato una sostanziale anche se incompleta equiparazione della disciplina degli istituti creditizi che operano a medio e lungo termine a quella disposta in generale per le aziende di credito che operano a breve.
Ricco invece di interventi legislativi è il biennio 1985-86, allorché sono apparse la legge 4 giugno 1985 n. 281, i cui artt. 9, 10 e 11 hanno reso possibile l'identificazione da parte della Banca d'Italia dei soci delle società che esercitano attività bancaria, il d.P.R. 27 giugno 1985 n. 350 che, in attuazione della delega legislativa concessa con l. 5 marzo 1985 n. 74, ha provveduto a recepire nel nostro ordinamento la direttiva CEE n. 780 del 12 dicembre 1977, concernente il coordinamento delle disposizioni sull'accesso all'attività bancaria nell'ambito della Comunità Europea, e infine la legge 17 aprile 1986 n. 114 che, nel dare attuazione alla direttiva CEE del 13 giugno 1983, sulla vigilanza degli enti creditizi su base consolidata, ha migliorato la collaborazione tra le autorità di vigilanza dei paesi comunitari ed esteso la supervisione sulle società controllate dalle banche.
Gli anni Novanta appena iniziati si preannunciano ricchi d'interventi legislativi di ampio respiro. Nell'ambito della nuova normativa per la tutela della concorrenza e del mercato si attende che vengano definiti in modo più corretto e rigoroso i rapporti tra mondo bancario e mondo industriale: saranno in particolare disciplinate le partecipazioni di società industriali nelle aziende di credito così da evitare pericolosi fenomeni di asservimento delle b. ai maggiori percettori di credito.
Per le aziende di credito a natura pubblicistica, come gli istituti di credito di diritto pubblico e le casse di risparmio, sono di rilievo le nuove disposizioni legislative che permetteranno loro l'adozione del modello della società per azioni, al fine di mettere le b. pubbliche in condizione di meglio competere, in un mercato bancario allargato a tutti i paesi della CEE, sotto il profilo della produttività e dell'efficienza (l. 30 giugno 1990 n. 218).
L'innovazione legislativa di maggior momento sarà infine rappresentata dall'imminente recepimento nel nostro ordinamento della seconda direttiva CEE del 15 dicembre 1989 sul coordinamento delle legislazioni in materia bancaria. Con essa ci si propone di abbattere le barriere che ancora ostacolano la libertà di stabilimento nel settore creditizio e consentire la piena libertà di prestazione di servizi, con l'intento di pervenire per il 1992 a una sola autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria valida per tutta la Comunità, sia per lo stabilimento di succursali sia per la prestazione di servizi bancari. L'autorizzazione avrà valore per l'esercizio di una serie di attività bancarie indicate in una lista, riportata in allegato alla direttiva medesima, che, derivando da un modello di b. ''universale'', ricomprende una gamma di attività finanziarie ben più ampia di quella tradizionale.
I principi fondamentali che la legislazione bancaria ha posto possono così sintetizzarsi. L'attività bancaria, consistente nella raccolta del risparmio tra il pubblico e il conseguente esercizio del credito, costituisce funzione di interesse pubblico che può essere esercitata solo da persone giuridiche autorizzate dalla Banca d'Italia e da questa controllate. Il carattere pubblico della funzione non fa però venire meno la natura privatistica dell'attività, che resta affidata alle responsabili scelte gestionali delle b., imprese specializzate che operano nel settore del credito assumendo il relativo rischio imprenditoriale. Per il fatto di collegare su base fiduciaria una vasta pluralità di soggetti, l'intermediazione bancaria ha caratteristiche di sistema e implica rischi di instabilità che richiedono adeguate forme di controllo prudenziale. Al fine di assicurare la stabilità degli enti creditizi e la corretta collocazione delle loro risorse, le b. devono operare in autonomia dagli altri settori dell'economia. Si tratta del principio della separatezza tra sistema bancario e mondo industriale e commerciale, che mira a evitare ipotesi di pericolosi asservimenti delle imprese che erogano il credito a quelle che lo utilizzano.
Due possono considerarsi le caratteristiche peculiari della legislazione bancaria. La prima consiste nell'elasticità della normativa, la quale, più che disciplinare direttamente i soggetti del sistema bancario e la loro attività, conferisce competenze e strumenti discrezionali di intervento alle autorità creditizie, rendendo possibile, con l'introduzione, la modifica e l'eliminazione di regole amministrative, di adeguare continuamente l'attività degli enti creditizi alle mutevoli esigenze economiche, realizzando in tal modo la cosiddetta ''amministrativizzazione'' della disciplina del settore bancario.
La seconda caratteristica consiste nel tecnicismo che, da una parte, implica che l'ente creditizio, nell'operare le sue scelte, deve obbedire a regole tecniche non codificabili in formule rigide, ciò che comporta il riconoscimento della natura imprenditoriale dell'attività bancaria e la sua sottrazione a controlli selettivi; e, dall'altra, che il compito di supervisione sia affidato a un'autorità, la Banca centrale, che ha la medesima natura bancaria degli enti vigilati.
Le caratteristiche sopra delineate della legislazione bancaria hanno fatto sì che il trascorrere degli anni dalla emanazione del suo nucleo principale, avvenuta nell'ormai lontano 1936 e per di più in presenza di un diverso assetto costituzionale dello stato, non ha inficiato validità ed efficacia della normativa di base; questa anzi, con il suo carattere flessibile, ha dimostrato un'eccezionale capacità di adattamento alle sopravvenute e sempre più mutevoli esigenze economiche del paese, riscuotendo quindi tuttora concordi giudizi di sufficienza e adeguatezza dei principi fondamentali posti.
Aziende e istituti di credito.- Soggetti del sistema creditizio sottoposti alla legislazione bancaria sono le aziende e gli istituti di credito. Le prime raccolgono risparmio ed esercitano il credito a breve termine.
Esse sono ricomprese dalla legge bancaria nelle seguenti categorie: Istituti di credito di diritto pubblico (Banca Nazionale del Lavoro, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Monte dei Paschi di Siena e Banco di Sardegna); b. di interesse nazionale, società per azioni controllate dall'IRI (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma); Casse di risparmio; Monti di credito su pegno; Banche popolari; Casse rurali e artigiane; Filiali di aziende di credito straniere; b. in genere, categoria residuale di aziende di credito, costituite in forma societaria, disciplinate esclusivamente dalla legge bancaria a differenza delle altre categorie per le quali a questa generale disciplina si aggiunge quella disposta da specifiche disposizioni di legge. Tra queste ultime vanno ricordate per la loro importanza: il R.D. 25 aprile 1929 n. 967, il R.D. 5 febbraio 1931 n. 225, il R.D.L. 24 febbraio 1938 n. 204 e la l. 3 giugno 1938 n. 778 per le Casse di risparmio; la l. 10 maggio 1938 n. 745 e il R.D. 25 maggio 1939 n. 1279 per i Monti di credito di 2ª categoria; i decreti legislativi 10 febbraio 1948 n. 105 e 16 aprile 1948 n. 569 per le Banche popolari; il R.D. 26 agosto 1937 n. 1706 e la l. 4 agosto 1955 n. 707 per le Casse rurali e artigiane.
Nell'ambito delle aziende di credito possono ricomprendersi gli Isti tuti centrali di categoria (Istituto di credito delle Casse di risparmio ita liane, Istituto centrale di b. e banchieri, Istituto centrale delle Banche po polari italiane, Istituto di credito delle Casse rurali e artigiane) formatisi nell'ambito di alcune categorie di aziende di credito con compiti di coordi namento interno.
La distinzione delle aziende di credito dagli istituti sotto il profilo della durata temporale delle operazioni non è nella realtà delle cose così netta come fu ideata dal legislatore del 1936. In effetti presso le aziende di credito di maggiori dimensioni sono presenti sezioni autonome che erogano credito a lungo termine e le aziende sono in determinati casi autorizzate a travalicare nella concessione dei fidi il limite del breve termine.
Gli istituti di credito esercitano attività bancaria a medio e lungo termine diretta a finanziare investimenti in comparti essenziali dell'economia nazionale (fondiario, edilizio, industriale, agrario, delle opere pubbliche, minerario, alberghiero, ecc.), tanto permeati di interesse pubblico da indurre spesso lo stato a stimolare i fruitori di credito con agevolazioni e incentivi.
Per quanto attiene al credito speciale agevolato, va però nettamente distinta, da una parte, l'attività creditizia vera e propria effettuata dall'istituto di credito impiegando denaro dei risparmiatori, assumendo il rischio dell'operazione e obbligandosi al rimborso del risparmio impiegato, dall'altra, l'incentivo, disposto dallo stato, nei cui riguardi non c'è né assunzione di rischio né obbligo di rimborso.
L'attività bancaria e il suo controllo. - Aziende e istituti di credito esercitano una tipica attività di intermediazione tra una massa indifferenziata di individui che si rivolge loro per mettere a frutto i propri risparmi senza il rischio dell'investimento, e le imprese bisognose di finanziamenti. Tale attività si denomina attività bancaria. La natura giuridica dell'attività bancaria, sulla quale si sono registrate nel tempo contrastanti opinioni soprattutto della giurisprudenza penale che talvolta ha ritenuto di individuarvi un pubblico servizio con la conseguente applicabilità dei reati contro la pubblica amministrazione nei confronti di chi esercita tale attività, è stata chiarita dal d.P.R. 27 giugno 1985 n. 350, il quale ha disposto che "l'attività di raccolta del risparmio tra il pubblico sotto ogni forma e di esercizio del credito ha carattere di impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano".
Le b. sono dunque del tutto libere di determinarsi nei confronti della loro clientela, non solo nella scelta dell'operatore economico con cui stipulare contratti bancari, ma anche nel fissare le clausole contrattuali. In particolare i tassi passivi e attivi, relativi, rispettivamente, alla remunerazione del risparmio raccolto e al costo per il cliente del credito erogato, sono determinati caso per caso dalle leggi del mercato e sono influenzati soltanto dalle variazioni del tasso ufficiale di sconto, cioè dal costo del credito di ultima istanza che la b. a sua volta può ottenere dalla Banca centrale ponendo in essere operazioni di anticipazione contro pegno di titoli di stato o garantiti dallo stato e risconto di carta commerciale.
L'alta vigilanza a livello politico-amministrativo sugli enti creditizi è affidata dal D.L.C.P.S. n. 691 del 1947 al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, composto dal ministro per il Tesoro che lo presiede e dai ministri per i Lavori pubblici, per l'Agricoltura, per l'Industria, per il Commercio con l'estero, per il Bilancio, per le Partecipazioni statali, per il Coordinamento delle politiche comunitarie e per il Mezzogiorno. Alle sedute del Comitato prende parte il governatore della Banca d'Italia. Al Comitato spetta un potere di direttiva, che viene esercitato per indirizzare l'attività di supervisione della Banca d'Italia, un potere regolamentare, che si estrinseca nell'emanazione di delibere alle quali la Banca d'Italia si conforma nel dettare le proprie istruzioni alle b., e un potere di amministrazione attiva, atteso che i provvedimenti di vigilanza devono essere emanati con decreti del ministro del Tesoro "sentito" il Comitato.
La vigilanza tecnico-amministrativa sugli enti creditizi è esercitata dalla Banca d'Italia a termini del ricordato D.L. n. 691 del 1947, il quale ha attuato il disegno di affidare la supervisione tecnica delle b. alla Banca centrale, alla quale già competeva la difesa del valore della moneta, compito questo che per essere efficacemente disimpegnato deve essere coordinato con il controllo del credito.
Fine essenziale del controllo esercitato dalla Banca d'Italia non è la bon tà della singola operazione bancaria, il cui accertamento è riservato alle scel te imprenditoriali dell'azienda, bensì la stabilità e l'efficienza delle b. nel loro complesso. Il fine squisitamente pubblicistico del controllo compor ta che soci e creditori delle aziende di credito, a differenza dei depositanti, non possono ritenersi tutelati dall'attività di vigilanza sulle aziende di cre dito. Si può dire che tutta la vita societaria e operativa delle b. è supervi sionata dalla Banca d'Italia. Essa autorizza la costituzione delle nuove aziende di credito, approva i loro statuti, autorizza determinate forme di impie go e di investimento, impone cautele per evitare gli aggravamenti del ri schio derivanti dal cumulo dei fidi concessi a una troppo ristretta clientela, a tal fine mettendo a disposizione delle b. il servizio della Centrale dei rischi, autorizza fusioni e incorporazioni e, in caso di crisi delle imprese bancarie, avanza la proposta al ministro del Tesoro di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta, procedura concorsuale questa che nel settore bancario tiene luogo del fallimento.
Per esercitare appieno il suo controllo la Banca d'Italia esamina i bilanci e i verbali delle sedute degli organi amministrativi delle b., può richiedere dati e informazioni e ispezionare le aziende con propri funzionari, i quali riferiscono soltanto al governatore le irregolarità accertate anche se si tratta di reati. Tutti i funzionari della Banca d'Italia sono tenuti a mantenere il segreto d'ufficio. Le irregolarità amministrative accertate sono sanzionate con pene pecuniarie. Compiti circoscritti di vigilanza bancaria sono poi affidati alle cinque regioni a statuto speciale limitatamente alle aziende di credito a rilievo regionale.
Bibl.: G. Vignocchi, Il servizio del credito nell'ordinamento pubblicistico italiano, Milano 1968; M. Nigro, Profili pubblicistici del credito, ivi 1969; C. M. Pratis, La disciplina giuridica delle aziende di credito, ivi 1972; G. Ruta, Il sistema della legislazione bancaria, Roma 1975; M. Porzio, Il governo del credito, Napoli 1976; M. S. Giannini, Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1977; P. Vitale, Pubblico e privato nell'ordinamento bancario, Milano 1977; F. Capriglione, Intervento pubblico e ordinamento del credito, ivi 1978; R. Costi, L'ordinamento bancario, Bologna 1986; G. Molle, La banca nell'ordinamento giuridico italiano, Milano 1987; P. De Vecchis, Banca d'Italia, Digesto IV, Torino 1987; G. Sangiorgio, Ordinamento amministrativo del credito, ivi 1990.
Finanza. - Ruolo della banca nel mercato finanziario. - Nelle moderne economie di mercato gli intermediari finanziari assolvono, tra le altre, la funzione di mediatori tra le unità in surplus e le unità in deficit dell'economia, realizzando un tipico processo di trasferimento delle risorse dai settori in avanzo a quelli in disavanzo.
Parte integrante dell'attività di intermediazione svolta da questi soggetti − bancari e non − è quindi di conciliare e rendere compatibili le scelte, non sempre coincidenti, di composizione del portafoglio degli operatori con eccedenze di risparmio (le famiglie), con le scelte di indebitamento degli operatori che invece realizzano operazioni di investimento ricorrendo al finanziamento esterno (le imprese e il settore pubblico). A tale scopo gli intermediari − e soprattutto quelli bancari − compiono un'attività di trasformazione qualitativa dei flussi di fondi adattando, di volta in volta, alle preferenze dei prestatori e alle esigenze degli utilizzatori le caratteristiche (grado di rischio, struttura delle scadenze e rendimenti) degli strumenti finanziari da loro emessi.
Il corretto svolgimento di questa opera di ''contatto'' tra i diversi settori dell'economia è perseguito dagli intermediari finanziari che in Italia sono: Banca d'Italia, Ufficio Italiano Cambi, b., Tesoro e Cassa Depositi e Prestiti, Istituti di Credito Speciale (ICS), investitori istituzionali e di recente, negli anni Ottanta, fondi comuni di investimento, ecc. Tale opera di contatto non solo assicura un efficiente funzionamento del sistema dei pagamenti, ma rappresenta, non ultimo, un fattore importante nel determinare il processo di crescita e il grado di sviluppo di un sistema economico.
È proprio la separazione tra decisioni di investimento e di risparmio, l'imperfezione del mercato dei capitali e l'asimmetrica informazione sul comportamento dei prenditori e dei datori di fondi che crea i presupposti per l'esistenza della funzione di intermediazione. In questo schema la b. si differenzia dagli altri operatori finanziari per vari aspetti. Il primo di essi è che una larga componente delle passività bancarie è rappresentata da depositi (in conto corrente, a risparmio, ecc.) i quali vengono solitamente utilizzati come mezzo di pagamento dal pubblico e quindi sono moneta. Questo elevato grado di liquidità di buona parte delle passività bancarie ha fatto sì che la b. fosse sottoposta, rispetto alle altre tipologie di intermediari, a un più stringente e severo regime di controlli.
Un secondo aspetto riconosce tra le funzioni peculiari della b. − con importanti implicazioni microeconomiche − l'attività di redistribuzione del rischio che essa opera nel momento stesso in cui offre contratti che espongono depositanti e azionisti a un differente grado di rischio (rispettivamente quasi nullo e massimo). La b., nello svolgere questa funzione, investe cioè in attività soggette a rischi di diversa natura (rischi di credito, di variazione del rendimento atteso, di liquidità) che non sempre hanno un valore di mercato certo e accertabile; al contrario offre, invece, passività di rendimento e valore certi in termini nominali.
La b. non esaurisce quindi la propria funzione di intermediazione nel collegare nel modo più opportuno domanda e offerta di capitale, ma essa in sostanza interviene operando una trasformazione dei rischi a favore dei depositanti che in tal modo sono resi immuni dall'alea e dall'incertezza legate all'attività di investimento finanziario. Non a caso la b. si assume la totale responsabilità del rischio di credito. La condizione cruciale di tale trasformazione sta nella possibilità per la b. di gestire in modo ottimale i rischi a cui è soggetta ogni attività di intermediazione, combinando in modo adeguato attività di vario tipo e realizzando economie di scala nella gestione delle informazioni.
Oltre alla trasformazione e alla gestione del rischio, un terzo elemento che differenzia la b. da altre tipologie di operatori presenti sul mercato finanziario è l'attività di acquisizione di informazioni. Essa è infatti fonte di un servizio implicito che la b. offre alla sua clientela congiuntamente all'erogazione del credito. In tal modo la b., forte del suo ruolo di depositaria di informazioni riservate (segreto bancario), si pone come garante nei confronti del mercato circa l'affidabilità dei suoi debitori e al contempo produce un'informazione che viene acquisita dal mercato stesso e che permetterà ad altri operatori di erogare credito con minor rischio.
Le caratteristiche sopra ricordate stanno a indicare che un mercato finanziario efficiente è per la b. solo un requisito per poter assolvere meglio e con costi più competitivi la propria funzione e non − come per altri intermediari di diretta emanazione del mercato − una condizione per la sua esistenza.
Evoluzione del modello bancario italiano. - Un modo per qualificare la fisionomia di un sistema finanziario è calcolare l'incidenza dei fondi intermediati da uno dei suoi operatori sul totale delle attività finanziarie. A seconda dell'importanza quantitativa delle passività che gli utilizzatori finali di fondi collocano rispettivamente sul mercato dei titoli (azionario e obbligazionario) − e cioè direttamente presso altri operatori − oppure presso gli intermediari creditizi (b. + ICS), il sistema finanziario ricalca due modelli operativi diversi: uno orientato ''al mercato'', l'altro ''agli intermediari''.
Nel primo il finanziamento degli investimenti delle imprese poggia in larga misura sul ricorso al mercato finanziario che nella fattispecie realizza un collegamento diretto tra settori in avanzo e in deficit dell'economia. Il principio sotteso a questo modello è che solo una quota del finanziamento del sistema produttivo, ovvero il finanziamento del capitale circolante e dei fabbisogni della piccola impresa, sia gestita dal sistema creditizio (e dalle b. in particolare), mentre la media e la grande impresa vedrebbero soddisfatte le proprie esigenze legate a investimenti di capitale fisso mediante emissioni di titoli sul mercato finanziario.
Nel modello finanziario orientato ''agli intermediari'', invece, un ruolo preponderante nel meccanismo di trasmissione dei flussi di risparmio agli utilizzatori di fondi è assegnato agli intermediari creditizi ai quali è delegato in toto il finanziamento del sistema produttivo.
Il caso italiano è un tipico esempio di questa predominanza dell'intermediazione rispetto al mercato, al contrario dell'esperienza dei paesi anglosassoni dove il maggior sviluppo del mercato mobiliare e l'elevata efficienza dello stesso, oltre che l'operare di elementi socio-culturali diversi, hanno storicamente favorito l'affermarsi del primo modello. I due ''modelli' sono ovviamente delle semplificazioni concettuali: in concreto, l'esperienza ci pone di fronte a soluzioni intermedie, variamente graduate a seconda del momento storico e delle caratteristiche istituzionali di ciascun paese. Non è quindi lecito in assoluto affermare la superiorità di un modello rispetto all'altro, quanto piuttosto è possibile verificare le scollature che storicamente si sono manifestate tra le effettive esigenze del sistema produttivo da un lato, e l'assetto del sistema finanziario dall'altro. La storia economica delle istituzioni e dei mercati si occupa di questi temi.
La centralità del ruolo assegnato alla b. nel meccanismo di finanziamento e la posizione marginale rivestita dal mercato dei valori mobiliari sono due elementi che hanno largamente inciso nel determinare l'evoluzione del sistema finanziario e bancario italiano.
La legge bancaria del 1936, infatti, non si è limitata a perseguire obiettivi di tutela dei depositanti disciplinando l'esercizio dell'attività bancaria, ma ha inteso svolgere anche un ruolo di indirizzo attivo del sistema creditizio. La stessa scelta di affidare a un particolare tipo di intermediari (ICS) l'esercizio del credito industriale implicava che il mercato finanziario avesse un ruolo secondario nel processo di sviluppo economico del nostro paese, e precisamente quello di consentire l'assorbimento delle obbligazioni emesse dal sistema di credito speciale. Il sistema creditizio italiano d'altra parte si è sviluppato avendo come punto di riferimento un certo grado di specializzazione funzionale e temporale degli intermediari; il risultato di questa separazione istituzionale tra attività creditizie a breve e a medio-lungo termine è stato una struttura bipolare degli operatori presenti nel settore: aziende di credito e ICS.
Le prime agiscono soprattutto nel comparto a breve termine dell'intermediazione finanziaria e sono abilitate alla raccolta di fondi a vista o a breve presso il pubblico (depositi), che utilizzano per l'erogazione di prestiti (impieghi) destinati a soddisfare le esigenze di esercizio dei prenditori (le imprese) e per l'acquisto di titoli (essenzialmente titoli di stato e degli ICS).
Gli ICS agiscono invece prevalentemente nel medio-lungo termine emettendo obbligazioni e utilizzando la propria provvista per impieghi in massima parte a non breve scadenza e con un prefissato piano di ammortamento. Essi inoltre sono specializzati nei diversi settori produttivi e/o nelle dimensioni delle imprese finanziate (specializzazione funzionale) e preposti altresì alla concessione del credito agevolato in quanto considerati fornitori di fondi per investimento di capitale fisso o per altre attività ritenute di interesse nazionale e come tali meritevoli di incentivazione e protezione.
Questa separazione istituzionale sta a dimostrare che, nel caso italiano, è stata privilegiata una struttura finanziaria non solo orientata ''agli intermediari'', ma basata sulla b. pura (b. di deposito o b. commerciale), la cui attività ruota intorno alla concessione del credito ordinario. Questa bipartizione è tuttora presente nel sistema creditizio italiano sebbene alcuni cambiamenti intervenuti nell'ultimo decennio (despecializzazione degli intermediari e sviluppo e rafforzamento del mercato mobiliare, nuovi prodotti finanziari, indicizzazione dei rendimenti) ne abbiano sfumato il significato.
Anche nel corso degli anni Settanta il sistema creditizio è stato oggetto di profonde modifiche che hanno interessato sia le b. sia gli ICS e che in larga misura sono strettamente connesse alle tensioni sul lato dei prezzi − di origine sia interna che estera − sperimentate dalla nostra economia. Le preferenze dei risparmiatori vanno verso le attività finanziarie più liquide, con un ''forzoso'' spostamento verso il breve termine dell'intermediazione bancaria dal lato del passivo; si assiste a una redistribuzione del peso delle diverse categorie di crediti bancari con un aumento delle obbligazioni e una flessione degli impieghi, causa l'operare dei vincoli amministrativi sul credito (vincolo di portafoglio e massimale sugli impieghi) introdotti nel 1973.
Parallelamente crescono le difficoltà di raccolta degli ICS che si trovano sempre più legati alle b. con l'instaurarsi di un circuito di ''doppia intermediazione''. Gli ICS infatti trovano difficoltà nel collocamento delle proprie emissioni presso le famiglie, non solo perché questo operatore è strutturalmente poco propenso a tale tipologia di investimento finanziario, ma anche per l'avversa fase congiunturale (alta inflazione che introduce incertezza sui tassi e maggiori rischi connessi a operazioni finanziarie oltre il breve termine). I titoli degli speciali hanno quindi dovuto trovare collocazione − in assenza di un mercato finanziario evoluto − presso le aziende di credito, l'altro grande intermediario.
Si è così verificato il fenomeno della ''doppia intermediazione'' secondo cui un intermediario finanziario (nel nostro caso le b.), oltre a concedere direttamente fondi agli utilizzatori finali, finanzia un altro intermediario (gli ICS) il quale a sua volta effettua prestiti agli utilizzatori finali. Le aziende di credito hanno svolto un ruolo che si è rivelato essenziale per la stessa operatività degli ICS; esse hanno gestito il trasferimento della quasi totalità delle risorse dagli operatori con saldi finanziari positivi a quelli in deficit, operando la trasformazione delle scadenze necessarie per il funzionamento dell'attività di investimento.
Solo verso la fine degli anni Settanta (1977) questa ''iperintermediazione'' ha subito un rallentamento causa la diffusione dei BOT e la successiva creazione di un mercato dei titoli del debito pubblico. A partire dal 1980 infatti a livello di sistema bancario si verifica il fenomeno della disintermediazione (v. in questa Appendice), mentre a livello di ICS si assiste all'avvio di un non trascurabile − e ancora in atto − movimento di ripresa. È proprio in questi anni che inizia il processo di omogeneizzazione del sistema bancario con una riduzione dell'attività delle grandi b. a favore delle aziende di credito di più ridotte dimensioni e delle Casse di risparmio. L'evoluzione recente del mercato finanziario mostra una tendenza comune ai maggiori paesi industriali, verso la despecializzazione degli intermediari, con le b. commerciali che hanno visto ridurre progressivamente la loro quota di intermediazione a favore di altri operatori. In realtà, gli stessi fattori istituzionali ed economici che hanno contribuito alla trasformazione del sistema creditizio negli anni Ottanta (processo di omogeneizzazione operativa del sistema bancario; progressiva liberalizzazione della normativa valutaria e conseguenti più ampie opportunità per le b. nelle scelte gestionali; innovazione finanziaria sia nelle tecniche di intermediazione che nella gestione delle operazioni ''fuori bilancio''; modificazione nelle decisioni di risparmio e di investimento degli operatori) affondano le loro radici nel processo evolutivo iniziato nel decennio precedente. Ne è risultata la creazione di nuove aree di sovrapposizione tra l'attività delle aziende di credito e quella degli ICS che ha favorito la concorrenza tra gli operatori esistenti all'interno dei mercati e la formazione di nuovi intermediari e ha posto i corretti presupposti all'integrazione e alla globalizzazione dei mercati finanziari.
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