BALLO (dal lat. ballare, che appare la prima volta in S. Agostino e sembra sia stato foggiato sul gr. βάλλω; nel greco dell'età imperiale si ha βαλλίζω nel senso di "ballare")
Il Dizionario del Tommaseo lo definisce "l'arte di muovere ordinatamente il corpo con gesti e attitudini eseguite a passi misurati e regolati secondo il tempo dell'armonia". Sinonimo dunque di danza, che sarebbe "ballo ordinato con più arte". Ma, oltre che una determinata forma di danza, ballo, o anche balletto, indica una piccola azione mimica con musica. La parola s'incontra adoperata per la prima volta in questa accezione nel celebre Ballet comique de la Royne di Balthasar de Beauioyeulx (v. oltre). "Le ballet, chose nouvelle - dice il Beauioyeulx - est un mélange géomètrique de plusieurs personnes dansant ensemble sur une harmonie de plusieurs instruments". La parola è subito adottata nello stesso significato in Italia. "Oggi - scrive infatti Bastiano de' Rossi nel 1585 - intendesi per balletto una piccola azione pantomimica con musica e danza; essa è per lo più molto semplice, e consiste solo in alcune scene pantomimiche di carattere pastorale o comico, e il resto in varî generi di piccole danze" (Descrizione dell'apparato e intermedi della commedia rappresentati in Firenze ecc., Firenze, Marescotti 185).
Antichità e Medioevo. - Se la denominazione di balletto è recente, la cosa esiste dai tempi più remoti. Moltissime danze antiche, come tuttora le popolari e le esotiche, sono mimetiche; rappresentano, vale a dire, piccole e rudimentali azioni. La danza greca, osserva Platone (Leggi, 7), quando non è destinata a procurare salute e leggerezza al corpo, è di pura imitazione e si adatta alle espressioni del canto e della poesia. E in essa la poesia determina i gesti espressivi, la musica i movimenti euritmici del corpo (v. danza). Particolare carattere imitativo avevano alcune danze descritte da Senofonte (Ciropedia, VI).
Presso i Romani, al tempo di Augusto, fiorì la pantomima, che trae il suo nome dal fatto che i danzatori, chiamati pantomimi facevano professione d'imitare con i gesti e con atteggiamenti tutte le azioni umane e tutto quello che era nel dominio della storia e della leggenda.
Tutto il repertorio del teatro classico passa così nella pantomima, sicché l'espressione saltare tragoediam, significava rappresentare gli argomenti delle tragedie in questa maniera. Nella pantomima (v.) però, l'elemento mimetico e scenografico sopraffà talmente quello euritmico che, più che ad un balletto, essa si potrebbe paragonare al nostro cinematografo.
Carattere mimetico, come le antiche, hanno le danze medievali in genere, in alcune delle quali entra, o meglio sopravvive, un elemento classico che accentua questo carattere mimetico: la maschera. La maschera, e quindi il travestimento, sono usati nelle cosiddette feste dei pazzi, in cui si parodiavano i misteri religiosi e nelle danze macabre, che hanno ispirato tanti pittori e xilografi e che raffiguravano la caducità della vita umana.
Il Rinascimento. - Azioni mimiche vere e proprie erano molto spesso gl'intermezzi o entremets in uso presso le corti di Europa (la parola deriverebbe dal fatto che avevano luogo nei festini fra una portata e l'altra delle vivande). Il Cahusac (La danse ancienne et moderne, L'Aja 1754) parla di un ballo fatto eseguire nel 1489 da un gentiluomo lombardo, Bergonzo di Botta, per le nozze di Galeazzo Visconti con Isahella d'Aragona. Si vedevano Giasone e gli Argonauti, Teseo e Atalanta, che rappresentavano per mezzo di danze una caccia rumorosa. Entravano poi le regine innamorate: Semiramide, Elena, Medea, Cleopatra, cacciate da Amorini, che in una danza vivace e animata si precipitavano su di esse, le inseguivano con le fiaccole accese e mettevano fuoco ai veli di cui erano coperte.
In Francia rappresentazioni di questo genere avevano luogo principalmente alla corte fastosa dei duchi di Borgogna. In una festa data a Lilla nel 1454, nel corso del festino, fu rappresentato fra l'altro un mistero mimato, nel quale in una serie di quadri si vedeva la storia del Vello d'oro. Similmente nel 1468 alle nozze del duca di Borgogna a Bruges si rappresentò la storia di Ercole.
Spettacoli affini erano i carri, i trionfi e le mascherate che avevano luogo a Firenze ai tempi del Magnifico, dei quali possiamo farci un'idea dai canti carnascialeschi che si eseguivano in essi.
Baldassare Castiglione, in una sua lettera, dà una descrizione particolareggiata di una festa che si può considerare un vero balletto, la quale ebbe luogo nel 1521 nel cortile di Castel Sant'Angelo al cospetto di Leone X. Spettacoli mimici sono infine gli intermedî delle tragedie e delle commedie all'antica, che si eseguivano tra un atto e l'altro, e che costituivano spesso un'altra rappresentazione più importante della principale. Nel 1518 gl'intermedî dei Suppositi di Ludovico Ariosto rappresentavano la favola della Gorgone. Nello stesso tempo quelli della Calandra a Urbino rappresentavano la storia di Giasone.
Questi spettacoli sono introdotti da italiani in Francia alla corte di Caterina de' Medici. Italiani sono infatti i celebri coreografi Pompeo Diobono, maestro di Cesare Negri, l'autore delle Gratie d'Autore (Milano 1602), che insegnava a Milano nel 1550 e che fu condotto in Francia nel 1554 dal maresciallo De Brissac; e milanesi Virginio Bracesco, Ludovico Palvello, Giampietro Gallino e G. F. Giesa. Ma il più famoso di tutti è il piemontese Baltazarini, divenuto nel 1567 valet de chambre alla corte di Francia. Egli fu il creatore del primo balletto vero e proprio rappresentato alla corte di Francia il 15 ottobre 1581 per le nozze del duca di Joyeuse e di mademoiselle di Vaudemont, e che fu detto Ballet comique, non nel senso di grottesco, bensì di drammatico. Ed è un misto di poesia declamata, di musica e di rappresentazione scenica, collegate da una favola drammatica: quella di Circe. Il canevaccio era del Beauioyeulx (come si faceva chiamare il Baltazarini), la poesia del De Chesnay, elemosiniere del re, la musica dello stesso Beauioyeulx e di altri collaboratori anonimi. Il successo fu straordinario, e ben presto si ebbero delle imitazioni. Nel 1592 fu rappresentato un Ballet des Chevaliers Franåois et Bernais. L'anno seguente fu rappresentato a Tours un Ballet de Madame de Rohan.
Questo nuovo genere di spettacolo, creato in Francia da un italiano, viene poi importato in Italia dal Rinuccini, che alla corte di Francia aveva avuto occasione di ammirare le magnifiche feste. Aggiungiamo che esso influì sensibilmente sul mask inglese. Ma, sorta l'opera in musica e inaugurato lo stile recitativo, le parti che nel balletto francese erano recitate diventano cantate. Il Ballo delle ingrate, uno dei primi balletti composti dal Rinuccini sul tipo di quelli francesi, musicato da Claudio Monteverdi e rappresentato a Mantova nel 1608, segue questo nuovo sistema (vedi ed. completa del Monteverdi, curata da G. F. Malipiero, vol. VIII).
Una singolare composizione che si può considerare come una pantomima all'antica è il Combattimento di Clorinda e Tancredi, dello stesso Monteverdi (v. il volume citato), sulle famose ottave del Tasso, composto nel 1626, rappresentato nel 1638 a Venezia nel palazzo Mocenigo in forma narrativa e rappresentativa, poiché gli attori in esso fanno "i passi e i gesti nel modo che l'oratione (vale a dire la voce del narratore) esprime" e cantano quando l'azione lo richiede.
Contemporaneamente, sempre sotto l'influenza dello stile recitativo, anche nel balletto francese le parti declamate diventano cantate. Nel 1609 il Ballet de la Reine ha dei racconti a voce sola di grande interesse. Nel Ballet de Monseigneur le Dauphin e nel Ballet d'Alcine, rappresentati nel 1610, la sostituzione del canto alla declamazione è un fatto compiuto. Lo stesso accade nei balletti successivi, come possiamo vedere dalla ricostruzione che il Prunières (v. Bibl.) fece di uno di essi, intitolato La délivrance de Renaud, rappresentato al Louvre nel 1617.
Questi balletti ebbero fin dal loro inizio carattere di rappresentazione pubblica. Il Ballet comique de la Reine ebbe luogo nella sala di Borbone che era una delle più vaste dell'Hôtel de Bourbon. Gli altri nella Grande Halle del Louvre, all'Hôtel de Ville e all'Arsenal. La messa in scena era fastosissima e nel Ballet comique e in quelli seguenti era simultanea, vale a dire in tutta l'estensione della sala. Solo nel 1596 fu adottata la messa in scena successiva, e in essa il fiorentino Alessandro Francini introdusse i prodigi della scenografia italiana. Dame e gentiluomini recitavano e danzavano, ma in seguito solo il Grand ballet finale fu riservato ai gentiluomini, mentre i ballerini professionisti prendevano parte a tutte le entrate.
La musica di questi balli era fatta di arie e di danze di carattere poco espressivo, ma le scene di pantomima e certi passi di carattere avevano un interesse musicale. La musica delle parti danzate era opera collettiva dei coreografi, del capo dei violini e degli stessi ballerini. Le parti corali e vocali erano invece affidate a musicisti di professione, tra i quali bisogna ricordare Pierre Guédron e Antoine Bóssert, la cui fama sarà offuscata soltanto da quella del Lulli.
Il ballet subisce una nuova trasformazione dopo il 1621. Già negli ultimi due balli anteriori a questa data i racconti non sono determinati da alcun intrigo. Il Ballet des Fées dans la forêt de St.-Germain, rappresentato al Louvre nel 1625, non è più che una successione di quadri e di pantomime senz'alcun legame drammatico.
Il balletto torna così, per un singolare fenomeno d'involuzione, ad adempire la funzione d'intermedio nelle tragedie e nelle commedie recitate. Corneille compone Andromède, tragedia mista di canti e di danze, rappresentata nel 1650, e Le Toison d'or; Molière scrive delle commedie-ballo con musica del Lulli per le feste di Saint-Cloud e di Versailles, nelle quali il re danzò spesso. Fra queste Le mariage forcé (1664), L'amour médecin (1665) e Les amants magnifiques (1670), in cui gl'intermedî costituiscono la parte essenziale dello spettacolo, e le scene in prosa il pretesto.
Il balletto si unisce infine all'opera di musica, dominata ormai in Francia dalla personalità di G. B. Lulli.
Il ballo moderno. - I balli erano la parte più cospicua dell'opera francese e, considerati separatamente, costituivano uno spettacolo piacevole, magnifico, e veramente teatrale. Sennonché, come osserva giustamente il Rousseau (La Nouvelle Heloïse, II, 23), nelle opere del Quinault, librettista del Lulli, e in quelle dei suoi successori, a ogni atto l'azione eta interrntta nel punto più interessante da una festa che si svolgeva davanti agli attori seduti, nella quale i personaggi principali erano completamente dimenticati. L'assenza d'interesse drammatico dei balletti introdotti nell'opera, il Rousseau la nota maggiormente nei balletti veri e proprî, fra cui gli allegorici erano i più insopportabili, perché la danza interrompeva sempre l'azione, non c'entrava che per caso e non imitava nulla. Contro questa degenerazione insorse Jean Georges Noverre (1727-1810), maestro di ballo e direttore delle feste alla corte di Francia, il quale nelle sue Lettres sur la danse (Lione 1760), opera di grande importanza che ebbe molte edizioni e fu ammirata dal Lessing e dal Voltaire, propugnò una riforma radicale del ballo che si doveva iniziare da quella del costume.
Quali fossero i costumi adottati nei balletti si può desumere, oltre che dalle stampe del tempo, dall'opera del padre Menestrier, il quale attesta che "i venti si vestivano di piume per mettere in luce la loro leggerezza, o portavano dei soffietti in mano per esprimere la loro azione". Il tempo era vestito in quattro colori per dare l'idea delle stagioni e così via. Le danzatrici inoltre erano sepolte in enormi paniers e col volto coperto di maschere. Il Noverre nelle sue Lettres sur la danse intende di diminuire di tre quarti i paniers ridicoli delle ballerine e di riformare il costume secondo dati rigorosamente storici. Ottenuto questo risultato, mirò a sopprimere la maschera, il che avvenne nel 1772. "Le visage - egli dice - est l'organe de la scène muette". Questa riforma del costume doveva necessariamente portare a quella della danza. Egli cerca dunque di dare un contenuto espressivo alle entrate del ballet, che consistevano in evoluzioni geometriche, e un'espressiva drammaticità alle pantomime. Egli vuole che si studino i quadri dei grandi pittori per avere una idea di quello che debbano essere i movimenti e i gesti delle masse e dei singoli attori.
Ma il lato più importante della riforma del Noverre è l'abolizione della parola e la creazione del ballo pantomima, come genere a sé. I balli eseguiti fino alla prima metà del sec. XVIII erano inframmezzati di parti, le quali erano recitate nei balli anteriori all'avvento dell'opera e cantate in quelli posteriori. Solo nel 1745 s'incontra una pantomima di Favart, Les Vandages de Tempe (ristampata dal Curzon in La Musique, 1914), che è accompagnata da musiche di canzoni dell'epoca, le quali, col testo che ricordano, commentano l'azione, puramente mimata. Ora secondo il Noverre il ballo dev'essere intelligibile senza il soccorso della parola. La musica soltanto deve animare e sostenere la pantomima. Quella dei vecchi balli era fatta di monotoni passamezzi, minuetti e gavotte. Il Noverre cerca invece una musica espressiva, armoniosa e variata, che possa suggerire mille tratti; e, stando a quello che egli stesso ci dice, ebbe la fortuna di trovare chi gli potesse fornire una musica siffatta nel Granier, accompagnatore del concerto di Lione. Quivi appunto, prima del 1760, e più tardi a Stoccarda, il Noverre mise in pratica il suo nuovo metodo; fin dal 1748, come egli stesso dichiara, aveva fatto rappresentare balli d'azione a Marsiglia. Solo nel 1776 riuscì a far rappresentare a Parigi Les caprices de Galathée, balletto in un atto con musica del Granier; l'anno seguente Les Horaces, ballo tragico in cinque atti con musica di Startzer, nel 1778 Les petits riens con musica di Mozart, e nel 1780 Médéé et Jason, ballo tragico con musica di Rodolphe, che era già stato rappresentato nel 1762 a Stoccarda.
Il ballo pantomima, in cui la parola, recitata o cantata, è eliminata, si stabilisce così definitivamente sul teatro francese. Seguendo i principî adottati dal Noverre, Max Gardel fa rappresentare nel 1778 La Chercheuse d'Esprit in un atto; nel 1779 Mirza, ballo d'azione; nel 1881 La fête de Mirza in quattro atti, con musica del Grétry; e contemporaneamente il fratello Pierre Gardel nel 1778 faceva rappresentare Ninette à la Cour; nel 1783 La Rosière, ballo d'azione in due atti, e nel 1785 Le premier navigateur con musica del Grétry. La musica dei balli senza nome del compositore era di solito un arrangement di arie note. Che il ballo ormai avesse raggiunto una reale potenza emotiva si può dedurre, per es., da una lettera (del 15 settembre 1785) al Bernacchi, dove il Metastasio scrive: "già la giustizia del popolo punisce sensibilmente i nostri cantori, avendoli ridotti al vergognoso impiego di servir d'intermezzo ai ballerini" (le parti s'erano invertite; v. sopra) "e con somma ragione; poiché, avendo rinunziato i musicisti all'espressione degli affetti, non grattano più l'orecchio, e i ballerini per l'opposto procurano d'insinuarsi nel cuore". Analogo è il pensiero dell'Algarotti.
L'influenza della riforma del Noverre è sentita anche in Italia che vanta famosi coreografi quali Gaspare Angiolini, avversario del Noverre, Gaetano Gioia (1768-1826), Salvatore Viganò (1768-1821) e Guerra (1810-1846), tutti e tre napoletani. Il più illustre fra tutti fu il Viganò, che lo Stendhal arrivava a mettere allo stesso livello di Napoleone e di Rossini. I suoi balli si distinguevano per la magnificenza della messa in scena, in cui era mirabilmente secondato dal Sanquirico, per la drammaticità della composizione. Il Viganò, musicista, compose inoltre gran parte della musica dei suoi balli, rappresentati alla Scala di Milano (Otello, La spada di Kenneth, La Vestale, Didone).
Il Viganò, che era stato allievo del Dauberval, attraverso il quale aveva conosciuto le teorie del Noverre, realizza queste teorie nei suoi balli, come lo stesso coreografo francese non aveva saputo. Nella prefazione alla Vestale, che è il suo capolavoro, dichiara infatti che lo spettatore deve comprendere tutto senza ricorrere né al programma dello spettacolo né ai commentarî. E, per quanto possiamo argomentare dalle descrizioni dei contemporanei, questi balli dovevano realizzare degli effetti drammatici che oggi soltanto in certe produzioni cinematografiche sono possibili. Ma dopo la morte del Viganò, nonostante che alla Scala gli spettacoli si succedano ininterrottamente, il ballo decade e si riduce nuovamente a un seguito di evoluzioni geometriche, legate insieme da una favola assurda e grottesca.
Così, verso la fine del secolo il ballo in Italia si può dire scomparso o ridotto, come abbiamo detto, a evoluzioni geometriche di masse di ballerine, sopra una trama più o meno grottesca e su sfondi di oleografici se pur talora grandiosi scenarî. Non si può ad ogni modo dimenticare che il ballo Excelsior di Luigi Manzotti, con musica di Marenco, ebbe, dal gennaio all'ottobre 1881, ben cento rappresentazioni (v. coreografia).
Un periodo di vero splendore ha il ballo in Francia durante il Romanticismo, di cui diventa un'espressione non trascurabile. Silphide, La fille du Danube, Gisèle, per non citare che qualcuno dei balli più in voga, non sono che la glorificazione di un tipo femminile soprannaturale, silfide, ondina, o altro, incarnato dalle famose danzatrici del tempo: Fanny Essler, Carlotta Grisi, Fanny Cerrito e Maria Taglioni, le quali sono celebrate dai più grandi scrittori e poeti contemporanei. Il ballo continua a godere il favore del pubblico durante il Secondo Impero e l'ultimo trentennio del secolo XIX, e illustri maestri (Délibes, Reyer, Lalo, Massenet, Méssager) ne compongono le musiche (v. anche pantomima).
Balletto russo. - Col nome di balletto russo si designa particolarmente un genere di ballo pantomima portato a Parigi nel 1909 da Sergio de Diaghilev (v.). Queste rappresentazioni coreografiche, che hanno avuto sin dal loro apparire un successo straordinario, rinnovatosi poi per ogni dove, non realizzano apparentemente che le idee espresse dal Noverre nelle sue Lettres sur la danse. La composizione è intelligibile senza parole esplicative, le entrate sono drammatiche e le pantomime espressive. Gli scenarî e i costumi sono creati da grandi artisti quali Leone Bakst, L. Benois, e F. Roerich. Ma oltre tutto questo vi è un fatto nuovo che distingue nettamente questi balli dai precedenti. Essi presentano figurazioni plastiche ispirate direttamente a musiche sinfoniche. In altri termini, in essi la musica suggerisce l'azione e determina il gesto, e non già l'azione ispira la musica come nei balli di una volta.
La differenza può sembrare sottile ma è notevole, poiché questo fenomeno dà luogo addirittura a una nuova forma di dramma musicale. Come la tragedia, ossia la rappresentazione scenica, sorge dal lirismo monodico e corale ed è determinata dal bisogno che la melica crea nell'animo dello spettatore, di vedere obbiettivati i gesti e le visioni che essa suggerisce, così il nuovo dramma sorge dalla musica sinfonica completamente emancipata dall'elemento verbale, ma da sola potentemente espressiva al pari della melica antica.
Tra i primi balletti russi, la cui coreografia è quasi sempre di M. Foltin, sono da ricordare Sheerezade e Sadko, ispirati a poemi sinfonici di RimskijKorsakov, Carnaval e Papillon, ispirate alle suites omonime per pianoforte di Schumann; Les silphides, ispirate a musiche di danza di Chopin; e più tardi Le donne di buon umore su musiche clavicembalistiche di Domenico Scarlatti, orchestrate da Vincenzo Tommasini e la Boutique fantasque su musiche pianistiche di Rossini, strumentate da Ottorino Respighi. Vi sono inoltre balli con musiche originali, come Daphnis et Cloé di Maurice Ravel e Le chapeau tricorne di Manuel de Falla, Barabau di Vittorio Rieti e in primissimo luogo i tre balli di Igor Stravinskij: L'oiseau de feu; Pétruška (1911) e Le sacre du printemps (1915). Ma il principio è lo stesso; che la musica di questi balli non cerca di commentare punto per punto un'azione già fissata in tutti i suoi particolari dal coreografo, ma si ispira ad una traccia determinata seguendo leggi prevalentemente sinfoniche.
Il balletto russo così, più che un'evoluzione dell'antico genere, rappresenterebbe l'estrema espressione del dramma musicale, che sorgendo dalla musica sinfonica ormai non può essere se non puramente mimico.
Il balletto russo, che, fino alla morte del suo creatore Diaghilev, avvenuta nel 1929, non ha cessato di evolversi riflettendo tutte le più significative tendenze dell'arte moderna, dall'impressionismo al cubismo al futurismo, ha influenzato o meglio mutato radicalmente la concezione del ballo tradizionale. Tutti i balli apparsi dopo il 1910 si può dire che s'informino agli stessi principî adottati dai russi. Tali i balli svedesi che rappresentarono fra l'altro La Giara di Alfredo Casella, con scenario di G. De Chirico.
Fra i balli italiani citiamo Il salice d'oro, Il carillon magico e Casanova a Venezia di Pich-Mangiagalli. Ricordiamo infine una stagione di balletti e di pantomime svoltasi a Roma nel 1922 al Teatro degli Indipendenti diretto da A. G. Bragaglia, fra le quali notevoli La Baiadera dalla maschera gialla di Francesco Santoliquido, La Torre rossa di Guido Sommi Picenardi, La Fantasima, azione comica su canzoni a liuto del sec. XVI, e Malagueña, azione tragica su canzoni popolari spagnuole con scenarî di Virgilio Marchi.
Per ballo come festa mondana v. feste e veglione.
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Rinascimento e Seicento: A. Solerti, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, Firenze 1905; H. Prunières, Le ballet de cour en France, Parigi 1914; E. Stein, Ballets dansés à la cour d'Honoré II, in Revue Mus., 1920, XI; P. Gori, Feste fiorentine attraverso i secoli, Firenze 1926, p. 324 segg.
Sette e Ottocento: C. C. Noverre, Life and work of the chev. Noverre, Londra 1882; H. Prunières, Le ballet du XIXe siècle, in Revue Mus., 1921; id., S. Viganò, ibid.; V. S. Hugo, Tableau de la danse au théâtre pendant la révolution française, in Revue Mus.; R. Haas, Die Wiener Ballet Pantomime in 18. Jahr. um Glucks Don Juan, in Studien zu Musikwiss., 1923; Levinson, Vie de J. S. Noverre, Parigi 1929.
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