Baldo d'Aguglione
Giurista e uomo politico (sec. XIII-XIV); ebbe particolare rilievo nella Firenze di D. e nella stessa vita del poeta. La sua famiglia era di origine contadina e proveniva dalla val di Pesa, ove aveva tratto il nome dal castello di Aguglione; ne sono ricordate le sepolture in Santa Croce, e si estinse, molto probabilmente, nella seconda metà del Trecento. Il padre di B., Guglielmo, e il fratello, Puccio, furono compresi nei bandi comminati ai ghibellini nel 1268. B., invece, optò per la Parte guelfa, forse giovandosi - ma non si conosce la data della sua nascita - dell'età ancor giovane che per l'innanzi lo aveva sottratto alla responsabilità di precise scelte politiche.
Il primo incarico a noi noto conferito a B. dai suoi concittadini risale al gennaio 1293, quando è compreso fra i tre membri della commissione incaricata di compilare gli Ordinamenti di Giustizia, probabilmente a causa delle sue doti di buon giurista (sembra che avesse studiato diritto a Bologna) e in quanto membro autorevole dell'arte dei giudici e notai, che tanta parte ebbe nella lotta politica fiorentina di quegli anni sostenendo dapprima e poi abbandonando Giano per far lega con i magnati suoi nemici. In quelle difficili circostanze politiche B. fu uno fra i principali interpreti degl'interessi di casta che guidavano l'azione dei membri dell'arte, tutelandoli accortamente proprio negli Ordinamenti, col proporre il bando dei giuristi forestieri sotto specie di aderire alle tendenze popolari, contrarie al ceto forense. Questo era ritenuto sostanzialmente ostile alle conquiste politiche del popolo e interessato a contenerne l'espansione politica mediante la tendenziosa interpretazione delle leggi vigenti.
Un documento del 13 dicembre 1293 ricorda B. impegnato fuori di Firenze, nel sindacato dei magistrati di Poggibonsi; ma appena un anno dopo, il 9 dicembre 1294, egli ebbe ancora una volta una parte di primo piano nella lotta politica cittadina, contro Giano della Bella. Quest'ultimo, infatti, aveva promosso la formazione di una commissione di quattordici ‛ arbitri ' che adeguassero la legislazione fiorentina alle nuove norme emanate con gli Ordinamenti, per porre fine all'interpretazione faziosa che ne facevano i legisti (i " maladetti giudici ", come dice il Compagni). Fra gli ‛ arbitri ', B. rappresentò il sesto di Porta San Piero, insieme a Dino Compagni; e in seno alla commissione operò d'accordo con altri quattro membri dell'arte dei giudici e notai per avviare la rovina politica di Giano, assumendo un atteggiamento conforme a quello del suo ceto, che, se in passato era stato favorevole al della Bella, ora lo abbandonava a sé stesso, avvicinandosi ai magnati che lo combattevano. Il Compagni ci è buon testimone del subdolo lavorio dei legisti che favorì la caduta di Giano e portò alla riforma degli Ordinamenti il 6 luglio 1295. B. fu ancora una volta priore fra il 15 aprile e il 15 giugno 1298, e nello stesso anno prese parte all'ambasceria di pace inviata dal comune per tentare un accordo fra i Bolognesi e gli Este; l'anno seguente fu inviato (10 settembre 1299) ad Anagni con altri cittadini per trattare il medesimo affare dinanzi al papa Bonifazio VIII che si era fatto arbitro di quella vertenza.
Ma B. non poté ritornare a Firenze, perché il 10 ottobre 1299 era stato intentato a suo carico un processo inteso ad accertarne la responsabilità nel broglio commesso dal giudice Niccola Acciaiuoli, quando quest'ultimo, valendosi della sua autorità di priore (per il bimestre 15 agosto-15 ottobre 1299), aveva fatto eliminare - con una rasura o asportando qualche pagina - dagli atti relativi al sindacato del podestà Monfiorito da Coderta (maggio 1299) la testimonianza circa l'assoluzione che quel magistrato gli aveva indebitamente concesso valendosi di false testimonianze a suo discarico. B. apparve ai giudici reo di aver consigliato all'Acciaiuoli la manomissione del ‛ quaderno ', e fu condannato in contumacia, oltre che a duemila lire di multa, a un anno di confino.
L'episodio fu ripreso da D. (Pg XII 104-105) come notizia utile per la datazione degli anni in cui furono costruite le scalee che vanno dalla porta a San Miniato al Monte alle Croci, che egli dice essere state portate a compimento nel tempo in cui la corruzione non era ancor penetrata nella classe dirigente cittadina; ma anche come indice della progressiva degenerazione del costume politico avvenuta in Firenze dopo che la gente ‛ nuova ' era entrata dal contado nella città, guastando la purezza dell'antico sangue fiorentino. L'accenno al villan d'Aguglione è ripetuto non a caso da Cacciaguida (Pd XVI 52-57), nell'invettiva contro le famiglie che si erano inurbate portando in Firenze il puzzo della baratteria e dei brogli.
La scoperta delle malefatte di Monfiorito da Coderta offrì la possibilità di rivedere molti altri processi già trattati da quel giudice, così che fu rimessa in discussione la sentenza che egli aveva pronunziato contro una monna Giovanna vedova di Ubertino da Gaville sotto l'influenza di Corso Donati, il quale - insieme a sua moglie Tessa, madre di Giovanna - era l'altra parte nella controversia. Riaperto il dibattito, per riparare all'ingiustizia perpetrata contro Giovanna, la lite fu portata dinanzi a una commissione di due arbitri, uno dei quali, tuttavia, fu proprio B., quantunque reduce dalla poco edificante condanna che lo aveva bollato come falsario in atto pubblico.
La presenza di lui in Firenze, in quella veste, a poco tempo di distanza dal bando ne dimostra indirettamente l'avvenuto ritorno alla vita pubblica, così come si puòdedurre l'avvenuta riabilitazione dal fatto che egli fosse nel dicembre 1301 fra i membri delle Capitudini delle arti maggiori e che intervenisse, fra quella data e l'autunno del 1313, a numerosi ‛ consigli opportuni ' del comune.
B. aveva orientato ancora una volta opportunisticamente le sue scelte politiche secondo la mutevole fortuna delle parti. Da ‛ bianco ' che era stato, aderì alla Parte ‛ nera ', ricavando nuovi onori e altre cariche pubbliche dall'abbandono degli antichi compagni di lotta. Il Compagni, ricordandolo fra coloro che si erano aggregati ai vincitori del momento, ne biasimò l'opportunismo e la persistente inclinazione a " mal fare ", e concordava in questo giudizio sferzante con un altro giudice già collega di B. al tempo degli Ordinamenti - Donato Ristori - che era rimasto fedele alla Parte bianca ma ne aveva pagato il fio, condannato come era stato al supplizio dopo la sfortunata impresa compiuta nel marzo 1303 dai fuorusciti contro Pulicciano.
Inseritosi nel nuovo gruppo dirigente, B. fu ancora due volte priore, nei bimestri 15 ottobre - 15 dicembre 1302 e 15 giugno-15 agosto 1307; fra il 1305 e il 1306 ebbe numerosi incarichi amministrativi e diplomatici dal comune. Nel marzo 1306 trattò, insieme a Dardano Acciaiuoli, la lega con i Bolognesi, i Lucchesi e i Pratesi, che fu conclusa il 5 aprile a danno dei ghibellini e dei Bianchi; nel dicembre 1308 svolse un'altra missione diplomatica trattando la pace con gli Aretini. Nel frattempo, esercitò anche la professione forense, come mostrano alcune testimonianze di sue consulenze prestate a partire dall'anno 1296, di sue curatele di fallimenti (1308-1310), insieme con un consilium dettato nel 1310. Ancora nel 1312 fu eletto, insieme con Duccio Magalotti, a trattare una nuova alleanza con Lucca, Bologna, Padova, e quanti altri signori e città avessero voluto aderire a quel patto.
Il suo nome è legato, tuttavia, alla cosiddetta ‛ riforma '; cioè agli ordinamenti pubblicati il 2 settembre 1311 dai priori e collegi (B. era membro di questa signoria, che governò fra il 15 agosto e il 15 ottobre di quell'anno), per concedere l'amnistia ai fuorusciti, nel tentativo di pacificare gli animi in vista della discesa di Enrico VII. Da questa ‛ provvisione ' fu escluso - è ben noto - D. insieme con parecchi altri ghibellini e guelfi bianchi, e il provvedimento fu considerato perciò un gesto di crudele e faziosa discriminazione; senza, tuttavia, considerare troppo il fatto che D. aveva contribuito per suo conto a rinfocolare l'odio contro di lui scrivendo al comune la lettera del 31 marzo e all'imperatore quella del 16 aprile, (Ep VI, VII) le quali suonavano aperta sfida nei confronti dei suoi concittadini e certamente erano ben note all'opinione pubblica.
La discriminazione ai danni di D. è il motivo per cui i commentatori della Commedia citano con un giudizio negativo la ‛ provvisione ', che fu attribuita alle suggestioni di B. (" libro di messer Baldo ", " Cerna di messer Baldo "), ritenendo che egli avesse avuto, come esperto legista, una parte di primo piano nel formularla sotto il profilo politico e giuridico.
Nei mesi dell'aperta ostilità di Enrico VII contro Firenze, B. restò fedele al comune, ed è molto improbabile la congettura avanzata dallo Scartazzini che egli, nel settembre 1312, avesse lasciato la città per passare sotto le bandiere dell'impero, tornando però ben presto entro le mura per evitare la confisca dei suoi beni. Se, infatti, egli compare nell'elenco di " quelli che andarono allo imperadore Arrigo quando puose hoste a Firenze " (in un documento edito dal padre Ildefonso di San Luigi nelle Delizie, XI, pp. 109 ss.), è anche vero che lo troviamo per la quinta volta priore (bimestre 15 dicembre 1312 - 15 febbraio 1313) poco dopo questo presunto tradimento rientrato. Sarebbe stato troppo presto, cioè, per essere assolto da una colpa tanto grave come quella di aver appoggiato, sia pure per poco, un nemico acerrimo della sua città. D'altra parte, B. fu incluso - con l'annotazione " qui dicitur iudex " che suona quasi come destituzione per fellonia dalla sua qualifica di giudice da parte di Enrico - nel bando comminato dall'imperatore contro i Fiorentini e, il 20 maggio 1313, compare come testimone alla nomina degli ambasciatori che dovevano recarsi a Napoli per offrire a Roberto d'Angiò la signoria di Firenze.
Morì in patria fra il 18 settembre 1313 e il 19 marzo 1314; fra la data, cioè, in cui lo troviamo presente per l'ultima volta nei consigli del comune e la data di un notarile rogato da ser Dolcibene di Chiarissimo nel quale si attesta che sua moglie Gasdia riconosce un debito, con l'autorizzazione datale dal marito già defunto con il proprio testamento rogato da ser Albertino Campi. B. l'aveva sposata circa l'anno 1288, ed ella gli aveva dato una figlia, Sandra, la quale nel 1342 è ricordata nella sua qualità di sposa di un Francesco del Mazza, abitante in Firenze, nel popolo di San Stefano. La moglie gli sopravvisse di qualche anno. Il ricordo di altri eredi di B. (un Chele del fu ser Guarnieri e un Piero del fu Lando d'Aguglione) si trova, insieme con quello della moglie, in un documento dell'11 ottobre 1315 conservato nell'archivio vescovile di Fiesole.
Bibl. - Fonti manoscritte relative al ‛ cursus honorum ' di B. sono conservate nell'Archivio di Stato di Firenze, Priorista fiorentino Mariani, II, carte 310v-311; a stampa cfr. i documenti editi nelle Delizie degli eruditi toscani, VIII, Firenze 1777, 82; IX, ibid. 1777, 333 ss., 342; X, ibid. 1778, 30, 132; XI, ibid. 1778, 6, 20, 61 ss., 109 ss., 113, 130, 240; Priorista fiorentino istorico, di M. Rastrelli, ibid. 1783, 37, 47, 57, 67, 69. Per la sua partecipazione all'opera legislativa del comune, cfr. i Consigli della Repubblica fiorentina, a c. di B. Barbadoro, I e II, Bologna 1921, passim; F. Bonaini, Gli ordinamenti di giustizia del Comune e popolo di Firenze compilati nel 1293, in " Arch. Stor. It. " n.s., I (1855) 5; Le consulte della Repubblica fiorentina dall'anno MCCLXXX al MCCXCVIII, a c. di A. Gherardi, II, Firenze 1898, 604 ss., 637, 639, 640. Si vedano anche le cronache di Marchionne Di Coppo Stefani, a c. di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., XXX, I 77, 88, 108, 112, e di Dino Compagni (I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua cronica, I, Firenze 1879-1880, 633, 702, 1053, 1092 ss.; II, ibid. 1879, 51, 63, 80 ss., 208 ss., 238, 398 ss.), La cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in Rer. Ital. Script. IX 2, a c. di I. Del Lungo, 35, 41, 43, 52-54, 133, 152, 250 ss., 265; e L. Bruni, Historiarum Florentini populi libri XII, ibid., XIX 2, 3, a c. di E. Santini e C. Di Pierro, 88, 105. Per qualche cenno sulla famiglia di B., cfr. S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, I, Firenze 1615, 161, e D.M. Manni, Osservazioni istoriche... sopra i sigilli antichi dei secoli bassi, XVIII, ibid. 1749, 75 ss.; L. Biadi, Memorie di San Pietro in Bossolo e dei paesi adiacenti nella valle dell'Elsa, ibid. 1848, 75 ss. Si vedano, inoltre, per riferimenti d'interesse più specificamente dantesco, Scartazzini, Enciclopedia 47, 1957 ss.; G. Arias, Le istituzioni giuridiche medievali nella D.C., Firenze 1901, 16; F. Flamini, Il canto XII del Purgatorio, Firenze 1904, 18; A. Della Torre, L'epistola dell'amico fiorentino', in " Bull. " XII (1905) 151, 156, 172; L. Rocca, Il canto XVI del Paradiso, Firenze 1920, 18; E.G. Parodi, Il canto XVI del Paradiso, ibid. 1933, 16; M. Barbi, A proposito di Buoso Donati, in Problemi I 309 ss.
Per l'inserimento della figura e dell'opera politica di B. nella storia cittadina e nella critica dantesca, cfr. R. Davidsohn, Storia I - III, Firenze 1965, passim; I. Del Lungo, Dell'esilio di D., ecc., ibid. 1881, 74, 107 ss.; ID., La gente nuova in Firenze ai tempi di D., in D. ne' tempi di Dante. Ritratti e studi, Bologna 1888, 66-74; P. Villari, I primi due secoli della storia di Firenze, Firenze s.d.3, 305 ss., 408; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze, ibid. 19602, 83, 214, 246; N. Ottokar, Studi comunali e fiorentini, ibid. 1948, 125-132; M. Apollonio, Dante. Storia della Commedia, I, Milano 1958, 41; R. Abbondanza, B. d'A., in Dizion. biogr. degli Ital. v (1963) 506-510.