BAGELLARDO (Bajalardi), Paolo, da Fiume
Nacque probabilmente a Padova, agli inizi del sec. XV, da una famiglia nobile che ivi risiedeva da molti anni.
Non è accertata l'origine dell'appellativo "a Flumine", per alcuni dovuto a un possibile temporaneo trasferimento dei genitori del B. a Fiume nel Quarnaro. Non avendo tuttavia la città giuliana all'epoca del B. tale nome, si può prospettare l'ipotesi che simile appellativo si riferisca ad altra località (forse Fiume, paese situato tra Pordenone e San Vito al Tagliamento), oppure che stia ad indicare solo l'ubicazione in Padova della famiglia del B., che avrebbe risieduto perciò in prossimità del Bacchiglione o di altro corso d'acqua.
Addottoratosi prima in filosofia quindi in medicina, com'era consuetudine del tempo, presso lo Studio patavino, il B. dimostrò negli studi una non comune acutezza e versatilità d'ingegno. Nel 1441 la università lo nominò lettore di filosofia, mentre la fama della sua vasta dottrina varcava le mura della città. Nel 1444 divenne lettore di medicina e per i ventotto anni durante i quali insegnò "sine ulla controversia primatum tenuit" (Scardeone). Il 26 nov. 1472, succedendo al titolare Valle, ottenne la cattedra vera e propria. Il 21 aprile dello stesso anno apparve il suo Libellus de aegritudinibus et remediis infantium. La fama e la stima raggiunte dal B., presso i concittadini e le autorità civili, sono indubbie; più volte venne richiesto il suo giudizio per risolvere casi controversi: nel 1463 fu scelto con F. Passera, come esperto, per ispezionare davanti ai deputati e al cancelliere di Padova, il corpo, ritenuto di s. Luca Evangelista, venerato in S. Giustina.
Questa ispezione si era resa necessaria per risolvere una controversia tra Padova e Venezia sorta in seguito all'arrivo nella città lagunare, nel 1463, del corpo d'un santo, creduto anch'esso s. Luca. Il doge che aveva espresso il desiderio di donare queste reliquie alla chiesa di S. Giobbe in Venezia, di fronte alle rimostranze dei Padovani, che si ritenevano in possesso del vero corpo di s. Luca, diede incarico appunto ad alcuni pubblici rappresentanti di risolvere la questione.
Nel 1471, insieme al Rossi, altro docente patavino, rappresentò lo Studio di Padova in un ricorso da questo fatto presso la Signoria di Venezia, contro la pretesa dei Veronesi di "creare doctores in artibus et medicina" "vigore cuiusdam antiqui privilegii". L'esito del ricorso fu però favorevole ai Veronesi che videro riconosciuta, con una bolla papale, la facoltà di aprire uno Studio di diritto canonico e civile, di medicina e arti.
Il 13 giugno 1480, chiese ed ottenne licenza di trasferirsi a Venezia dopo aver egli stesso designato il suo successore. Tornò tuttavia a Padova dove morì, "iam senex", o il primo giugno 1492, come si trova scritto in un esemplare della prima edizione della sua opera (Bibl. Bertoliana di Vicenza), o nel 1494, come altri riporta. Fu seppellito nel sepolcro dei suoi antenati, sotto i portici della chiesa di S. Antonio.
"Scripsit quamplurima" (Scardeone), ma la sola opera che conosciamo è il Libellus..., dedicato "ad Illustrissimum Principem Dominum Nicolaum Truno...", doge di Venezia.
L'opera è divisa in due parti: nella prima, De regimine infantium in primo mense, sono descritti i "modi figurandi infant, fassiandi aut cum institis aut fassia et balneandi et modum cibandi et modum lactionis maxime primi mensis et electio nutricis"; nella seconda parte, che è composta di 22 capitoli, si tratta di varie malattie che possono colpire il bambino nei primi anni.
Il I cap., "de sahphati fauositate et eius cura", vuol dare la descrizione e la cura di malattie della pelle. Il B. si appella alle sentenze di vari autori arabi ed in particolare di ar-Rāzī, di cui cita il trattato "seu libellus egrotudinibus infan.", non citato da alcun altro scrittore; il II capitolo, "de epilepsia", dà una notevole definizione della malattia e mostra come l'autore non creda alle superstizioni allora dominanti. Gli argomenti dei successivi capitoli sono: "de spasmu puerorum seu infan." (III); "de instantia uigiliarum" (IV), sull'insonnia; "de egrit. oculorum" (V); "de egrit. aurium ab intra" (VI); "de apostematibus seu pustulis aurium ab extra" (VII); "de pustulis siue alcola oris", nel quale dà descrizione e cura della stomatite ulcerosa (VIII); "de dolore gingiuarum" (IX); "de feissuris labiorum" (X); "de apostem. gutturis infan." (XI); "de tussi et reumatismo" (XII); "de uomitu" (XIII), in cui si seguono i consigli di Avicenna e ar-Rāzī; "de fluxu" (XIV); "de stipticitate" (XV); "de tenasmone siue continua uoluntate egerendi" (XVI); "de uerminibus siue lumbricis" (XVII); "de tumore uentris" (XVIII); "de difucultate urine" (XIX); "de impotentia continendi urinam et mictu in lecto" (XX), ove il B. indica un originale trattamento terapeutico che si continua tuttora; "de ruptura seu ernia" (XXI), dove si vede come fossero inesatte le conoscenze del tempo su questa malattia; "de pruritu aut pustulis aut excoriatione accidentibus in cruribus, in coxis et in dorso et in toto corpore" (XXII).
Di quest'opera si conoscono parecchie edizioni: la prima, che termina con il motto "Sola miseria caret invidia", uscita a Padova è del 21 apr. 1472. Seguono le edizioni del 10 nov. 1487 e del 1505 circa, pubblicata la prima "Venetiis, apud Matheum de Vindischgretz", la seconda forse a Lione. L'ultima apparsa "Lugduni, apud Germanum Rose" nel 1538, porta questo titolo: Opusculum recens natum de morbis puerorum cum appendicibus Mag. Petri Toleti. Il 16 marzo 1486 apparve una traduzione in volgare del Libellus per opera di "uno bresciano a complimentia de molte donne".
Il Libellus è la prima opera di pediatria che ci sia stata tramandata interamente; fino alla sua apparizione, inoltre, non erano stati stampati trattati di una materia medica specifica al di fuori della chirurgia; il suo valore storico è infine accresciuto dalle numerose citazioni di autori della scuola araba, della quale il B. sembra essere seguace: ar-Rāzī in particolar modo, sul quale deve aver compiuto studi particolari, Avicenna, e molti altri; né manca il ricordo di Galeno, Ippocrate e altri grandi maestri della scienza classica. Ma, e qui è il valore intrinseco dell'opera, le opinioni e le cure, di questi autori non sono dal B. accettati passivamente, poiché egli alla tradizione antepone la ricerca e l'esperienza personale; così nella sua opera appaiono, seppur confusamente, accenni di semeiotica e di igiene. Ne risulta la figura di un attento, preciso, ordinato osservatore che, se anche non portò alla scienza medica fondamentali innovazioni, seppe essere ad un tempo il ponte tra la ricca tradizione araba e la scienza occidentale e l'originale iniziatore italiano della medicina pediatrica.
Bibl.: Bernardini Scardeonii... De antiquitate urbis Patavii et claris civibus Patavinis libri tres, Basileae 1560, pp. 213-214; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 42; G. Vedova, Biografia degli Scrittori padovani, Padova 1832, I, p. 405; A. Cantilena, Scritti pediatrici dal 1000 al 1700, in La Medicina italiana, II (1921), p. 253; R. Simonini, Sopra il Libellus, ibid., pp. 124-126, 176-182 (è questo il più completo saggio sul B. che finora si abbia, con vasta bibl.); K. Sudhoff, P. B., in Erstlinge der Pädiatrischen Literatur, München 1925, pp. VII-LI (in quest'opera è anche ristampato il Libellus del B. nella ediz. originale; nelle tavv. IX-X, XII-XV, sono raffigurate diverse altre edizioni); Encicl. Ital., V, p. 845.