BAGAROTTO (Bagarotto dei Corradi)
Nacque con ogni probabilità da famiglia piacentina, al più presto nella terz'ultima decade del sec. XII; non sembra infatti possibile che sia nato almeno venticinque anni prima del 1179, come pretende chi vuol riconoscere B. in un Bagarotto che in quell'anno fa una professione enfiteutica, atto che richiedeva appunto l'età minima di venticinque anni. Mentre nulla esclude che B. provenisse dalla stessa famiglia del Bagarotto che fa la professione enfiteutica, una data di nascita più vicina al sec. XIII s'accorda meglio con le testimonianze degli anni 1200-1203, in cui B. è ancora solo "iudex communis Bononie", mentre come "doctor legum" compare per la prima volta nel 1206.
In tutti i documenti è chiamato con il solo nome; dai suoi figli tuttavia è detto "de Coradis", o addirittura essi si dicono "de Coradis": in un documento del 1273 si trova: "D. Jacobina filia Gerardi Abaisii et uxor quondam domini Manentis quondam domini Bagarotti de Coradis"; nelle liste degli appartenenti alla fazione dei Lambertazzi, espulsi da Bologna, vi sono i nipoti di B., Simone, Giovanni e Giacomo, che si dicono figli "quondam Coradini de Coradis" (cfr. Sarti). I suoi discendenti, emigrati a Padova per ragioni politiche, assunsero poi, come cognome, il nome di B., chiamandosi "de Bagarottis". Ebbe due figli: Corradino, che ripeteva il nome d'uno zio paterno, e Manente.
Gli atti privati nei quali figura B. come autore o come testimone, o nei quali è comunque citato, sono numerosi e suggeriscono l'idea di un cospicuo patrimonio fondiario posseduto da B., la cui casa si trovava nella Strada Maggiore. La sua vita fu quella tipica dei dottori bolognesi di diritto, immersi in pieno nella vita del Comune, elementi essenziali dei suoi consigli, della sua burocrazia, della sua diplomazia. Numerosi e particolarmente significativi, infatti, sono i documenti che ci mostrano B. partecipare autorevolmente a importanti negozi, così della politica interna come della politica estera, al servizio del comune di Bologna. Nell'autunno del 1200 B. era procuratore del comune per l'acquisto da Salinguerra, capo della fazione ghibellina a Ferrara, e da Pietro di Ramengarda, suo fratello, delle case da quelli possedute in Bologna nel luogo dove si doveva edificare il palazzo del Comune. Partecipò a trattative con Ravenna (ottobre 1201) e con Reggio (giugno 1203), fu ambasciatore a Modena (febbraio 1204) per la ratifica di un accordo, fu testimone in atti del 1209 (diffida al Comune di Volchero patriarca d'Aquileia e legato del re Ottone IV; alleanza tra Bolognesi e Reggiani). Nel febbraio 1216 intervenne quale membro del consiglio del Comune al giuramento dei patti conclusi con i Fiorentini. Nell'aprile successivo partecipò all'atto con cui il Comune concedeva l'esercizio della zecca ai consoli dei mercanti e dei cambiatori. Ancora nel 1216 (settembre) giurò con il podestà di Bologna gli accordi stretti tra due gruppi di Comuni emiliani e marchigiani. Nel dicembre 1217 con Ugolino de' Presbiteri funse da arbitro nella contesa tra il comune di Bologna e il vescovo Enrico per l'elezione del podestà di San Giovanni in Persiceto e di altri luoghi. Particolarmente importante la partecipazione di B., nel 1219 e 1220, come ambasciatore dei Bolognesi, alle trattative di pace con Pistoia, arbitrate da Ugolino dei conti di Segni cardinale vescovo di Ostia e di Velletri, che sancivano la restituzione del territorio della Sambuca ai Pistoiesi. Insieme all'altro ambasciatore, Tuccimanno, B. riuscì ad ottenere il ritorno e la restituzione dei beni a quegli abitanti della Sambuca che avevano parteggiato per Bologna (aprile 1220). Tra gli altri avvenimenti ai quali fu presente si ricorda nel 1220 l'assoluzione dei Bolognesi, ad opera di Corrado, vescovo di Metz e di Spira, cancelliere e legato di Federico II, dal bando per l'occupazione del contado di Imola. Sempre nel 1220 (dicembre) partecipò ai negoziati per la pacificazione del Comune con il vescovo Enrico. Nel novembre 1226 fu tra i procuratori nominati per trattare la pace con Federico II e l'anno successivo era presente allorché venne promulgata la costituzione di Federico con cui si abrogavano le misure punitive a carico dei Bolognesi, tra le quali era la privazione dello Studio. In molti documenti B. appare membro del consiglio di credenza.
Morì più probabilmente solo dopo il 1246, anziché dopo il 1242, come generalmente si pensa: nel 1246 infatti è ancora attestato come confinante in un documento enfiteutico.
Contemporaneo di Accursio e maestro di Odofredo, B. non occupa un posto di prima grandezza nella storiografia antica e modema della scuola dei glossatori. E forse non merita di più. Tuttavia la troppo scarsa conoscenza dei suoi scritti impone di sospendere il giudizio almeno fino a quando tali scritti non saranno stati indagati e studiati a fondo in sé e nel quadro di quella corretta ricostruzione, che ancora non esiste, della letteratura e della dottrina processuale dei glossatori. All'elaborazione del diritto processuale è infatti dedicata tutta l'opera conosciuta di Bagarotto. Nella rassegna della letteratura sul processo, compilata da Giovanni d'Andrea, B. viene subito dopo Bulgaro. Secondo la più corretta interpretazione del passo che lo riguarda, B. avrebbe composto due lavori: il primo Precibus et instantia, così designato dalle parole iniziali, in cui la trattazione si aprirebbe con l'"accusator"; il secondo, designato da B. col titolo Cavillationes, le cui parole iniziali sarebbero "Cum periculosum sit mihi", e che comincerebbe con la trattazione della "iudicis recusatio". Questo secondo scritto coinciderebbe, secondo Giovanni d'Andrea - che però rinuncia a individuare chi dei due sia stato il plagiario - "quasi per omnia... ad literam" con i Preludia causarum di Uberto di Bonaccorso. Il trattato Precibus et instantia è stampato col titolo De exceptionibus dilatoriis et declinatoriis iudicii nei Tractatus illustrium... iurisconsultorum, III, 2, Venetiis 1584, cc. 128v-130r. Precedentemente era stato compreso nei Tractatus lionesi del 1549, vol. IX, cc. 100 r-101 v.
Se ne conoscono parecchi manoscritti: 1), Parigi, Bibl. Nat., cod. Lat. 4603, cc. 4r-15v, col titolo "Quedam cautele Bagaroti iuris professoris"; 2) Ibid., cod. Lat. 4604, cc. 25r-28v; 3) Ibid., cod. Lat. 4604, cc. 129r-131v, col titolo "De exceptionibus a magistro Bagaroto editis"; 4) Lussemburgo, Bibl. Nat., ms. 105, cc. 15r-17r col titolo "Cavillationes Bargarotis (sic!)"; 5) Lipsia, Universitätsbibliothek, ms. 921, cc. 140r-145r; 6) Roma, Bibl. Ap. Vat., cod. Barb. Lat. 1440, cc. 7r- 10v; 7) Ibid., cod. Vat. Lat. 2690, cc. 69 ss.; 8) Avignone, ms. 762, cc. 25-32; 9) Gdansk Mar., ms. F 77, c. 223v; 10) Londra, British Museum, Arundel n. 469 (459, secondo Wunderlich).
Ma gli studi del Kuttner hanno recentemente dimostrato che il Precibus et instantia non è altro che la Summula de reorum exceptionibus di Pillio, dedicata all'arcidiacono Osmundo di Parigi, composta tra il 1185 e il 1193, e da B. fatta propria. Dello scritto di Pillio esiste una prima breve versione nel cod. Chis. E VII 211; il vero e proprio trattato è contenuto in almeno sei manoscritti: Napoli, Brancacc. IVD 4; Cambridge, Trinity College B. 129; Parigi, Bibl. Nat., cod. Lat. 3969 (ma vedi infra); Roma, Bibl. Ap. Vat., cod. Vat. Lat. 2343; Roma, Bibl. Casanatense, ms. 1094; Bamberg, Staatliche Bibliothek, Jur. 34.
Insieme all'attribuzione a B. del Precibus et instantia cade anche, secondo il Kuttner, quella di una Summula de reprobatione instrumentorum che si trova in appendice a diversi manoscritti del Precibus et instantia (sia recanti il nome di Pillio, sia recanti il nome di B.,), e che sarebbe piuttosto da ricondursi alla paternità di Ponzio da Ilerda, come si ricava dal ms. 1094, c. 181rv della Bibl. Casanatense e dal ms. Can. 91, c. 102rv di Bamberg.
Resta da chiarire il rapporto tra il Precibus et instantia (ormai sappiamo di Pillio) e le Cavillationes di B., che il Savigny ritiene siano un'opera sola. Ma le Cavillationes sono senz'altro un diverso, assai più ampio scritto, nel quale, se mai, fu incorporato il più breve Precibus et instantia. Intanto l'espressione "cavillationes" indica una trattazione generale delle eccezioni cui dalle diverse parti del giudizio si può far ricorso nelle diverse fasi del processo. Mentre il Precibus et instantia è la trattazione delle sole "exceptiones" ovvero "obiectiones" consentite al convenuto per poter fin dall'inizio respingere la "actoris intentio", e all'accusato per poter "iudicium declinare". Non c'è poi alcuna ragione di mettere in dubbio la notizia di Giovanni d'Andrea relativa a un'opera chiamata Cavillationes con incipit "Curn periculosum sit mihi". Inoltre le Cavillationes di B. appaiono nel catalogo degli "stationarii" bolognesi, con l'indicazione "5 quat.", la stessa ampiezza attribuita alle Cavillationes di Giovanni de Deo.
Che a proposito di quest'ultima opera sia da farsi il nome di B. suggerisce un manoscritto londinese di Cavillationes (Londra, British Museum, Arundel, n. 459 [469 secondo Kuttner]), illustrato dal Wunderlich, dove nell'indicazione dell'autore - identificabile indubbiamente in Giovanni de Deo - si fondono curiosamente i nomi del bolognese e dello spagnolo ("Bagarottus de Ylisdeo, Yspanus, doctor bononiensis decretorum"). In una "additio", poi, di Giovanni d'Andrea allo Speculum del Duranti, sembra vi sia la prova di una divisione in sei libri almeno delle Cavillationes di B. (Giovanni d'Andrea, ad Speculum, l.I, partic. II "de actore", add. a): "Bagarotus pagina I li. 6 versi. nunc de civilibus pulchrius"). È lo stesso luogo in cui è riprodotto alla lettera lo schema, esistente nel Precibus et instantia (§ 20 dell'edizione a stampa veneziana), delle eccezioni dilatorie in materia civile: prova di un preciso rapporto tra le Cavillationes di B. e il Precibus et instantia (ora, come sappiamo, non più di B.).
Ma anche altri manoscritti vengono in discussione per le Cavillationes di B.: nel già ricordato codice parigino miscellaneo 3969, da c. 66r a c. 81 v. è compreso un ampio scritto, intitolato "... Cavillationes domini Bagaroti", che per l'intitolazionc e l'estensione, non tuttavia per l'"incipit", potrebbe identificarsi con l'opera di Bagarotto. Tanto più che è lo stesso scritto in cui da c. 71r a c. 72r è inserito un Precibus et instantia,dal Kuttner collocato tra i manoscritti della redazione di Pillio. Ma c'è anche un codice di Treviri, che insieme al parigino appena citato e ad altro cassinese hanno servito al Palmieri per l'edizione del Pillii libellus de preparatoriis litium..., che il Seckel invece attribuisce a Guizardus (Guizardinus) de Porta. È dell'attento riesame di quest'opera e dallo studio delle relazioni intercorrenti tra le Cavillationes di B. e i Preludia causarum di Uberto da Bonaccorso, nonché tra le Cavillationes di B. e quelle di Giovanni de Deo (per l'opera di quest'ultimo tenuto anche conto dei rapporti che la legano a Uberto da Bobbio) che bisognerà muovere per l'identificazione dell'opera maggiore di Bagarotto.
La critica filologica ha concordemente negato a B. l'altro piccolo scritto che si ha a stampa sotto il suo nome, il De reprobatione testium in Tractatus..., Venetiis 1584, IV, c. 298r-300r, e in Tractatus..., Ludguni 1549, V, c. 253), in certi manoscritti attribuito a Iacopo Baldovini, attribuito anche a Bartolo, ma che ha per autore più probabile Iacopo d'Egidio da Viterbo. Tuttavia un'originale trattazione sui testimoni, opera di B., che incomincia con le parole "Quid sit testis", e alla quale Giovanni d'Andrea aveva fatto preciso riferimento, è stata recentemente individuata dal Kuttner in cod. Barb. Lat. 1440, cc. 15v-21r. Per altre attribuzioni a B. valgono ancora le osservazioni finali del Savigny.
Sulla via di una decisa rivalutazione di B., se non altro come primo autore di una delle più popolari opere processuali del Medioevo, ci mette l'esistenza a Firenze di un manoscritto del libellus fugitivus con una precisa attribuzione a B. (Bibl. Naz., ms. Magl., XXIX, 179, cc. 357r-386v.). Tale attribuzione potrebbe avere, di per sé sola, uno scarso valore probante, se nel testo non mancassero tutti quei riferimenti che sono stati addotti dal Savigny e dal Meijers come prove dell'origine francese dell'opera e del suo autore, Nepos de Montealbano. È assai probabile invece che quest'ultimo si sia limitato ad adattare alla Francia un'opera di Bagarotto. Un'opera italiana, dunque, il libellus fugitivus (del che Kantorowicz non dubitava, cfr. Einführung, p. 30), affine per molti versi alle Cavillationes, un'opera che avrebbe avuto una grandissima fortuna e molti imitatori in Europa, scritta com'era "... pauperibus idest minoribus compatiens ac nimiam subtilitatem reprobans ad opus reorum et fugientium qui ab improbis petitoribus impugnantur...". Continua B. nella prefazione: "... in hoc presenti opusculo reos fugere docere volo et petitiones improborum actorum seu petencium obviare, et primo contra rescriptum, contra procuratores, contra publicam personam, contra syndicum, contra yconomum, contra actorem, contra privatam scripturam, contra privilegia, contra iudicem, contra arbitrum, contra compromissum, contra actorem, contra compromissorem, contra advocatum, contra tutorem et curatorem, contra libellum, contra testes, contra testamentum, contra sententiam iudicis et arbitri, contra appellationes, contra prescriptiones et usucapiones dicam. In fine ad captandum benivolentiam presencium seu actorum".
Se la paternità di B. per quest'opera e per il prototipo delle Cavillationes verrà definitivamente accertata, le dimensioni di B. professore appariranno senz'altro maggiori, nel quadro così poco esplorato dell'incipiente transizione tra l'età dei glossatori e l'età dei commentatori. A quella che è stata detta l'epoca dei post-glossatori B. senz'altro prelude per l'occhio che tiene rivolto particolarmente alle esigenze della pratica e del foro. B. fu, certamente, avvocato assai in vista. Il ricordo di una causa che lo vide contrapposto a Iacopo Baldovini è in Giovanni d'Andrea, ad Speculum,l. III, tit. de lib. concept. § nunc dicendum. Un documento padovano, pubblicato dal Gloria, ricorda un consilium dato dal B. insieme a Odofredo nel 1236.
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