AVVELENAMENTO (fr. empoisonnement; sp. envenenamiento; ted. Vergiftung; ingl. poisoning)
È l'effetto sugli organismi viventi di sostanze dette veleni (lat. venenum) che, agendo su elementi del corpo o su loro prodotti, ne impediscono il regolare funzionamento o addirittura ne sopprimono la vita. Gli avvelenamenti presentano diverse forme e diversa gravità a seconda della sostanza dalla quale sono provocati e degli organi e dei tessuti colpiti. Importanza notevolissima ha la quantità del veleno, il suo stato fisico, il grado di diluizione.
Ci sono avvelenamenti dovuti al fatto che il corpo chimico che li provoca decompone senz'altro i tessuti con cui viene in contatto (caustici), oppure si combina con la sostanza delle cellule dando luogo a una combinazione non attiva funzionalmente (esempio tipico l'avvelenamento da ossido di carbonio, nel quale il CO si combina con l'emoglobina degli eritrociti determinando la formazione di carbossiemoglobina, composto stabile, inadatto quindi alla respirazione parenchimale).
Le sostanze che determinano l'avvelenamento possono essere esogene, cioè estranee all'organismo, provenienti dall'esterno, oppure endogene, risultanti cioè dal metabolismo dei tessuti e destinate normalmente ad essere eliminate o neutralizzate o distrutte; o anche prodotte da alterata attività dei tessuti stessi. Esistono quindi delle autointossicazioni (v.). Tali sono gli avvelenamenti da impedita o alterata funzione dei reni, da alterata funzione epatica, da turbata funzione intestinale, da fatica, da incompleta elaborazione di materiali metabolici, da deficiente o alterata funzione di ghiandole endocrine.
Le sostanze capaci di produrre avvelenamenti possono essere inorganiche ed organiche e queste d'origine animale, vegetale, o batterica. Molte sostanze velenose hanno costituzione chimica nota e per parecchie di esse la costituzione stessa e le affinità che presentano con la sostanza propria dei tessuti viventi spiegano l'avvelenamento. Talune invece sono di costituzione chimica ancora ignota: tali sono le tossine batteriche, sostanze colloidali d'azione fisiopatologica costante e generalmente specifica per ogni specie batterica da cui provengono (v. infezione). Avvicinabili alle tossine batteriche sono alcuni prodotti di vegetali superiori (per es. la ricina, che si trova nel seme del ricino, l'abrina, che si trova nei semi del jequiriti), e di animali (per es. veleni di Serpenti, di Anfibî, di Artropodi, di Celenterati).
Gli effetti degli avvelenamenti sono diversi, oltre che in rapporto alla natura e alla quantità della sostanza che li provoca, anche a seconda dell'importanza funzionale dell'organo e del tessuto colpito. Così si hanno avvelenamenti rapidamente mortali e altri di maggiore o minore cronicità.
Gli organismi, entro certi limiti, possono abituarsi all'uso di sostanze velenose, come è dimostrato dalla tolleranza così frequente che con l'uso l'uomo contrae per l'alcool, per i veleni del tabacco, per l'arsenico, ecc. La tolleranza acquistata con l'uso continuato e progressivo dei veleni chimicamente definiti è detta mitridatismo: quella che si può pure ottenere per le tossine è detta immunità antitossica. I rapporti tra di esse non sono ancora noti. Nei casi di mitridatismo i succhi organici non rivelano capacità neutralizzanti l'azione del relativo veleno; nell'immunità antitossica invece si trovano tali sostanze o condizioni specifiche (v. anticorpi e immunità).
Bibl.: E. Frey, Die Wirkung von Gift- und Arzeneistoffen, Berlino 1921; A. Cevidalli, I veleni quali fattori di malattia, in P. Foà, Trattato di anatomia patol., Torino 1923; H. Zannger, Vergiftungen, Lipsia 1924; G. Coronedi, Diagnosi e terapia degli avvelenamenti, Firenze 1926; S. G. Zondek, Die Elektrolyte, Berlino 1927.
Medicina legale. - L'avvelenamento può interessare la medicina legale perché l'omicidio può essere perpetrato con l'uso di sostanze venefiche, il che ne costituisce aggravante; perché casi di morte o di lesioni colpose possono essere dovuti a errore professionale o a disgraziato accidente, ovvero a conseguenze preterintenzionali; perché si possono avere infortunî o malattie professionali da valutarsi in relazione alle assicurazioni sociali; perché il suicidio accidentale o volontario può avvenire per veleno, ecc.
L'accertamento medico-legale dell'avvelenamento si fonda sui seguenti principali criterî di giudizio.
a) Criterio clinico, ossia quello che si riferisce alla sintomatologia presentata dal paziente, distinguendo gli effetti dei veri veleni esogeni da quelli dei tossici d'origine infettiva, dai prodotti anormali del ricambio, come nell'acidosi diabetica, nell'uremia, nelle gastroenteriti acute, ecc. Il perito terrà dunque conto delle risultanze anamnestiche in rapporto alle dosi e alle tolleranze individuali, del tempo e modo d'insorgenza dei disturbi, valutando il significato specifico dei vomiti, delle diarree, dei dolori viscerali, dei reperti analitici delle urine, ecc. Egli interpreterà, nel decorso clinico, il significato dei sintomi di depressione, di narcosi, di eccitazione motrice, ecc., in relazione a speciali veleni nervini. Forniranno indizî particolarmente significanti il decorso della malattia e le notizie attinenti alle sostanze ingerite, i veicoli e i modi di propinazione delle sostanze stesse; se cioè per via stomacale, polmonare, nasale, vaginale, rettale, cutanea, ipodermica, endovenosa, ecc. E si dovrà tener conto altresì delle vie di eliminazione del veleno (vomiti, feci, saliva, urine) raccogliendo le secrezioni ed escrezioni per l'analisi chimica e microscopica.
b) Criterio necroscopico, ossia quello che si fonda sul rilievo delle alterazioni viscerali all'autopsia che deve essere praticata con tecnica perfetta per evitare accidentali inquinamenti dei visceri sui quali si dovranno poi eseguire le analisi chimiche. Essi devono essere raccolti e conservati in recipienti appropriati secondo apposite istruzioni tecniche, a seconda che si tratti di cadaveri bene conservati o no, come quelli provenienti da esumazioni.
Il perito necroscopo terrà conto dei caratteri esterni del cadavere, vedrà se vi siano macchie o colorazione anormali della cute (itterizia, ipostasi rosse, ecc.), esaminerà la pupilla, la bocca e la retrobocca. Parecchi veleni producono alterazioni gastriche abbastanza caratteristiche, altri lasciano lesioni caustiche d'aspetto vario. Così si dica delle alterazioni enteritiche a carattere emorragico, necrotico, ulceroso, ecc. Assai significative riescono particolari alterazioni degenerative, specialmente quelle grassose, rispetto ad alcuni veleni (fosforo, arsenico), nonché talune alterazioni nefritiche, per esempio quelle da sublimato corrosivo. Così pure si trarranno rilievi dall'esame del sangue, specialmente a carico dell'emoglobina. Altri veleni non lasciano che semplici fatti congestivi viscerali, specialmente se l'avvelenamento si è svolto in modo acutissimo. Nei casi d'avvelenamento cronico si notano lesioni generalmente più spiccate o anche alterazioni anatomiche secondarie, quali stenosi cicatriziali, nefriti interstiziali, lesioni vascolari, ecc.
c) Criterio chimico, ossia la valutazione del risultato dell'analisi chimico-tossicologica eseguita sui visceri. Già durante l'autopsia il chimico può trarre preziosi indizî dell'eventuale presenza di certi tossici valendosi dei caratteri organolettici (odore, colore, fosforescenza, ecc.), ovvero di certe prove preliminari reattive, svelando, per esempio, acidità anormali, reazioni particolari sulle lastrine metalliche, utilizzando saggi microchimici varî. Poi il chimico procederà all'analisi sistematica applicando i noti processi di dialisi, di distillazione, di estrazione, di distruzione della sostanza organica, il metodo delle precipitazioni successive e finalmente quello dell'identificazione con reazioni differenziali a seconda dei varî veleni. I reagenti usati saranno purissimi e scrupolosamente controllati. All'analisi qualitativa seguirà l'analisi quantitativa del veleno eventualmente riscontrato in ciascun viscere separatamente considerato, in modo che si possa stabilire la localizzazione e distribuzione del veleno stesso a prova del suo assorbimento intra vitam.
Per evitare erronee conclusioni occorre infatti tener conto che il veleno potrebbe essere penetrato nel cadavere post mortem per inquinamenti accidentali (involucro metallico, fiori artificiali, sostanze del terreno, ecc.) o dolosi; inoltre anche piccole tracce di talune sostanze potrebbero provenire dalle cure fatte, da intossicazioni professionali, ecc.; né si dovrà chimicamente confondere la presenza di qualche alcaloide con le ptomaine provenienti dalla putrefazione. Ma anche quando il risultato delle analisi chimiche riesca negativo, non si potrà sempre escludere il venefizio, giacché piccole quantità di taluni veleni potentissimi possono essere sfuggite all'analisi per imperfezione della tecnica, ovvero per evaporazione o trasformazione nell'organismo o nel cadavere, oppure per completa eliminazione durante la vita, o per altre contingenze.
d) Criterio fisiotossico, ossia il saggio della sostanza sospetta riguardo al suo specifico modo d'azione su animali da esperimento scelti come particolarmente sensibili. Tale, per esempio, la caratterizzazione dell'atropina mediante l'effetto midriatico (dilatazione della pupilla) ottenuto per instillazione nel sacco congiuntivale; tale l'effetto tipico della muscarina sui movimenti del cuore della rana; tale l'effetto tetanizzante della stricnina, ecc. Bisogna notare che talune ptomaine hanno proprietà fisio-tossiche simili a quelle di alcuni alcaloidi.
Comunque è da avvertire che l'accertamento del veneficio deve essere desunto dal complesso dei criterî di giudizio sopraccennati, tenendo presenti le notizie specifiche intorno alle circostanze del caso.
Soccorsi d'urgenza negli avvelenamenti. - Bisogna, quanto prima si può, neutralizzare l'azione del veleno, favorirne la rapida eliminazione, curare opportunamente i sintomi più gravi e più minacciosi. Praticamente è difficile neutralizzare il veleno perché la parte già assorbita e circolante non può essere vinta da un antidoto chimico. L'uso degli antidoti (v.), o contravveleni, deve essere possibilmente collegato con la lavatura dello stomaco, adoperando soluzioni alcaline (come quella di magnesia usta) negli avvelenamenti da acidi, e soluzioni acide (p. es. di acido acetico, citrico, tartarico) negli avvelenamenti da alcali.
Quando il veleno svolge la sua azione attraverso la cute, se ha imbevuto gl'indumenti deve essere neutralizzato dopo che la pelle, rapidamente messa a nudo, è stata detersa con cura. Non si dimentichi che alcune sostanze (p. es. i clorati) possono provocare autocombustioni ed altre (alcool, etere, composti benzolici) possono incendiarsi con molta facilità.
Provocando il vomito, o con la lavanda gastrica, si allontanano i residui del veleno ingerito o quanto del veleno possa eventualmente essere eliminato dallo stomaco; quando il veleno è già passato nell'intestino se ne favorisce l'eliminazione secondo i casi mediante purganti o clisteri.
Il vomito si provoca titillando le fauci con le barbe di una penna, o somministrando gli emetici (grammi 0.50-1 di solfato di rame in 100 di acqua), o con l'iniezione ipodermica di uno-due centigrammi di apomorfina.
La lavanda dello stomaco in passato s'eseguiva con la pompa gastrica connessa a un tubo di gomma introdotto dalla bocca, attraverso l'esofago, nello stomaco. S'immetteva dal tubo il liquido di lavaggio, e il pistone d'un piccolo corpo di pompa, scorrendo nel cilindro cavo metallico determinava successive aspirazioni del contenuto dello stomaco, regolate da un giuoco di valvole che disperdeva all'esterno l'effetto di compressione. Ma si finiva alle volte per aspirare e ledere più o meno gravemente la mucosa e tutta la parete dello stomaco, fino a produrre perforazioni tanto più facili per le lesioni distruttive indotte dal veleno.
Meno pericoloso è l'uso della sonda gastrica o sonda di Faucher. Il sifonaggio dello stomaco si fa con un tubo di gomma che si inizia a fondo cieco con due aperture laterali; è munito d'un segno che indica il punto fino al quale deve essere introdotto nello stomaco riferendosi alle arcate dentarie e corrisponde approssimativamente alla distanza fra i denti e il fondo dello stomaco. Nella parte che rimane al di fuori della bocca è inserita una palla cava di gomma che con opportune compressioni e rilasciamenti avvia il deflusso del liquido. Bisogna astenersi dall'introdurre la sonda quando si presuppongano gravi lesioni delle pareti del tubo digerente; non bisogna adoperare sostanze oleose o grasse che rappresentano un solvente per molti veleni dei quali perciò accelerano l'assorbimento.
I disturbi della circolazione si combatteranno con i rimedî dell'insufficienza cardiaca (v. cardiocinetici), quelli della respirazione con quanto s'è detto per l'asfissia (v.). I sintomi e la cura dei singoli avvelenamenti sono descritti con particolari più ampî nelle voci rispettive.