MARCH, Auzias
Poeta catalano, nato a Gandia verso il 1397 e morto a Valenza nel 1459. Nipote di Jacme, facile verseggiatore di "noves rimades" e promotore insieme con Lluis d'Aversò dei Giochi Florali a Barcellona (1393); figlio di Pere, poeta pur esso di fluida vena nelle composizioni narrative, ma, come il fratello, lirico travagliato e sottile nei sirventesi morali e nelle canzoni di amore; le nobili tradizioni della sua famiglia, dove il valore delle armi s'era da tempo congiunto con i pregi della dottrina e dell'arte, ebbero in lui un degno erede e un mirablle continuatore. In giovinezza fu prode cavaliere al sersvizio di Alfonso V il Magnanimo; in seguito, eccellente poeta nei fecondi ozî della sua vita di gran signore feudale. Partecipò (1420) alla spedizione contro la Sardegna sollevata dal visconte di Narbona, seguendo il suo re nell'ardita e sfortunata impresa contro i Genovesi in Corsica; concorse efficacemente all'espugnazione delle Isole Kerkennah nel golfo di Gabès (1424), e si ritrasse a vita privata, senza rompere le sue buone relazioni con la corte, non appena le ambizioni di Alfonso V si volsero verso l'Italia. La sua opera poetica, che assomma a centoventotto composizioni variamente ripartite e disposte dagli antichi editori (Valenza 1539, con la trad. castigliana di Baltasar de Romaní; Barcellona 1543, 1545; Valladolid 1555; Barcellona 1560) è il frutto più importante prodotto dalla lirica catalana continuatrice, con più mature esperienze artistiche, della tarda tradizione provenzale della scuola tolosana.
Seguendo l'ordinamento che ci è conservato, con lievi discrepanze, nei più autorevoli manoscritti apografi, s'intravede la distinzione generale, forse puramente cronologica, ma che non esclude un criterio direttivo estetico e psicologico, in canti d'amore e in canzoni di morte, dove, piangendo la perdita della sua amica Teresa, il poeta sale a considerazioni filosofiche che dànno all'ultima parte della sua produzione un carattere esclusivamente didattico e moraleggiante. In perenne contrasto di sentimenti e di aspirazioni, con un psicologismo sottile che attinge i suoi modi alla tradizione filosofica scolastica e fonda il dramma dell'anima sulla triplice ripartizione delle sue facoltà, vi si descrivono gli sforzi dolorosi per attingere, fuori dalle nebbie del senso, attraverso cadute e amare delusioni, le vette spirituali del puro amore. Il poeta vuol vivere la sua passione affrancandola dalle necessità e dalla finitezza della vita: una passione oscura e vaga, senza forma e maniera d'essere, protesa verso il suo oggetto, ma rigirantesi su sé stessa per cogliersi come desiderio che perpetuamente si rinnova, come ansia che mai s' appaga: affermazione assoluta della volontà di amare, che insofferente di limiti e incapace di realizzarsi, permane immobile nella sua astrattezza e approda alla negazione dell'amore. La voce costante di questo atteggiamento spirituale è il dolore, riconosciuto e accettato come forma essenziale di un amore eternamente chiuso in sé. Ne nasce così una lirica che faticosamente si travaglia tra il più puro intellettualismo e la passione accorata, i cui accenti di sofferenza raramente si risolvono nella purezza della visione e del canto. Mistico dell'amore profano, il M. rivive attraverso un'esperienza personale, con note di sincerità e di originalità profonda, la concezione amorosa di Provenza e la ragiona scolasticamente, distillandola talvolta in formule di rara eleganza, ma talvolta stremandola in comparazioni concettuali dove l'elemento fantastico viene a mancare. È l'ultimo dei grandi poeti medievali; ma certamente il più tipico per l'aspra violenza dello stile, per il piglio della frase incisiva e tagliente, per il tono e gl'impeti d' una passione vissuta e sentita come universale e non mai dominata e riconosciuta nella sua legge. La sovrabbondanza di elementi logici e astratti, più ancora che le difficoltà di un'espressione spesso chiusa e oscura, spiega la scarsa fortuna del M., esaltato piuttosto che imitato, sia in Catalogna che in Castiglia, per tutto il sec. XV. Durante il rinascimento con l'imperante petrarchismo, con la ripresa delle sottigliezze amorose provenzali, col trionfo del neoplatonismo, ritornarono a lui i grandi lirici castigliani, Boscán, Garcilaso, Acuña, Herrera e fu ripetutamente tradotto. (Les obres d'A.M., ediz. critica a cura di A. Pagès, I-II, Barcellona 1912-1914).
Bibl.: M. Menendez y Pelayo, Hist. de las ideas estét., I, Madrid 1883, p. 396 segg.; id., Antología de Poetas líricos castellanos, XIII: Juan Boscán, Madrid 1908; A. Pagès, A.M. et ses prédéc., Parigi 1912: id., Cimment. sur lespoésies d'A. M., Parigi 1929; M. Csaella, in Boll. della Soc. Dant. it., n. s., XX, p. 199 segg.; A. Rubió y Lluch, in Anuari de l'Inst. d'estudis cat., 1912.