AUSILIO
Franco, probabilmente, o germanico, comunque non italico e tanto meno romano, come si ricava da notizie di carattere autobiografico del dialogo Infensor et Defensor ("Mihi autem qui de longinquis terrarum spatiis ad apostolorum limina profectus sum et sacram ordinationem... accepi", Migne, Patr. Lat., CXXIX, col. 1078, e ancora "Porro cum sis [scilicet tu Auxilius] homo exterae gentis", ibid., col. 1098), fu a Roma certamente dopo l'elezione di Formoso (settembre-ottobre 891), poiché ad essa fa riferimento, sempre nell'Infensor et Defensor (col. 1097) come a fatto cui non avrebbe partecipato personalmente ("interrogavimus eos qui presentes fucrunt quando Formosus inthronizatus est).
L'ipotesi della sua origiáe germanica è unicamente fondata sull'uso di una parola di stampo germanico, "vindile" (= Wendel, arcolaio), che però A. sente come di indubbio etimo latino, poiché dichiara esplicitamente: "ad instar lanifici instrumenti quod a volvendo vindile appelatur" (cfr. In defensionem. sacrae ordinationis papae Formosi, ed. E. Dümmler, in Auxilius und Vulgarius, p. 88). Per altro, l'ipotesi che lo vuole franco, di orígine, troverebbe conferma nei numerosi riferimenti che ai Franchi sono fatti nel corso delle sue opere.
La conoscenza minuta degli avvenimenti napoletani degli anni dell'ultimo quarto del sec. IX, al momento dell'esilio di Atanasio IV e delle persecuzioni patite da Stefano, vescovo di Sorrento, ad opera dei duchi di Napoli, Sergio II e Atanasio II (cfr. Dümmler, Auxilius und Vulgarius, pp. 36 ss., 96-97, e N. Cortese, Il Ducato di Sorrento..., in Arch. stor. per le prov. napol., n. s., XIII [1927], pp. 18 s.), induce facilmente a ritenere probabile un suo soggiomo prolungato a Napoli, forse anche prima del viaggio a Roma, certamente dopo l'ordinazìone presbiteriale che A. ricevette da Formoso. L'ordinazione da parte di Formoso è esplicitamente attestata da A. nel trattatello scritto In defensionem sacrae ordinationis papae Formosi cit., p. 70: "Nobis autem. qui... ab eius vicario [scilicet Petri] consecrationem suscepimus...".
Nella prima ondata antitormosiana che si scatenò dopo la morte del papa (4 apr. 896), con Stefano VI, A. non fu coinvolto, forse proprio perché a Napoli; anche qui, la sua testimonianza ci soccorre: "ordinationes tamen eius scilicet Formosi procul existentes, sicut omnes nostrarum regionum testes existunt, exagitare non ausus est" (In defensionem..., p. 71). Del resto il rapido svolgersi degli eventi dopo la morte di Stefano VI con cambiamenti radicali di atteggiamenti dei pontefici succedutisi, nei riguardi delle ordinazioni formosíane - Teodoro II e Giovanni IX restituirono, com'è noto, ai "clerici* romani colpiti dai provvedimenti di Stefano VI, le cariche - favorì lo stare in ombra di Ausilio. Ma quando il partito antiformosiano riuscì, alla fine di un lungo periodo turbinoso ("unde totus orbis divina illustratur luce, tristes eruperunt tenebrae", dice A. riferendosi a questi avvenimenti: In defensionem..., p. 62), a prevalete con Sergio III, già condannato da Giovanni IX nell'898 e divenuto papa il 29 gennaio, si scatenò una ripresa violenta della lotta antiformosiana. L'invalidazione delle ordinazioni fatte da papa Formoso fu estesa a tutta l'Italia, ponendo a molti vescovi, preti ed ecclesiastici, in genere, il dilemma della riduzione allo stato laicale o dell'accettazione di una riordinazione: "Quosdam autem ex illis, tamquam si nihil sacrae unctíonis habuerint, novum imitati sacrilegíum iterum consecrare non timuerunt, tamquam se prima m cis non consecratio, sed magis execratio fuerit" (cfr. In defensionem..., p. 78).
Raggiunto direttamente da questa seconda ondata di persecuzioni antiformosiane, A. reagì con una serie di opuscoli in cui il problema giuridico-teologico, che è alla base di tutta la polemica, è ampiamente affrontato.
La migliore testimonianza di una progressiva chiarificazione dei termini dottrinali della questione - che porta A. ad impostare con novità di atteggiamenti una serie di problemi relativi ai rapporti tra le strutture della Chiesa (vescovi e papa) e ai fondamenti concettuali dell'ordinamento gerarchico e sacramentale (validità e dignità nelle ordinazioni), sì da fame, come recenti studi paiono aver indicato con sicurezza, una fonte per le polemiche pregregoriane sui sacramenti amministrati dai simoniaci - è offerta dalla cronologia stessa dei suoi scritti: In defensionem Stephani episcopi, del 907-908, ed. Dümmler, (pp. 96-106), per l'accusa mossa a Stefano, vescovo di Napoli (m. 907) e prima di Sorrento, zio di Atanasio II duca e vescovo di Napoli, di essere divenuto capo della diocesi partenopea mentre era ancora, almeno nominalmente, presule di Sorrento, accusa e difesa che si centravano su uno degli elementi principali, il divieto canonico della traslazione dei vescovi da un sede all'altra, della polemica antiformosiana. A questa più direttamente connessi dello scritto per Stefano - cui A. non poteva non essere legato da rapporti personali data la sua permanenza partenopea - sono gli opuscoli: In defensionem sacrae ordinationis papae Formosi, del 908 (ed. Dümmler, pp. 59-95); il De ordinationibus papae Formosi, del 911 (ed. in Migne, Patr. Lat., CXXIX, coll. 1059-1074, con ampliamenti di alcuni capitoli pubblicati in Dümmler, pp. 107-116), e il dialogo Infensor et Defensor, anch'esso dei periodo 911-912 (ed. in Migne, Patr. Lat.,CXXIX, coll. 1075-1102).
Nei tre opuscoli di A. è stata notata (Saltet, p. 156) una certa inorganicità e una ripetizione di argomentazioni; ma se incertezze sono innegabili soprattutto nell'In defensionem, va osservato che la linea generale seguita nell'esposizione della difesa di papa Formoso appare piuttosto logica. Prima di sostenere la validità delle ordinazioni impartite A. ritiene necessario eliminare ogni sospetto sulla ficeità dell'elezione di Formoso stesso, accusato di esser salito al soglio pontificio dopo essere stato irretito dalla scomunica lanciatagli da Giovanni VIII, di essere venuto meno al giuramento prestato di ridursi alla comunione laica e di aver cambiato diocesi. Affermata l'iwceità della deposizione di Formoso e l'invalidità del giuramento cui lo stesso era stato costretto, "quod iuramentum non palam sed occulte in quodam cubiculo coactus dedit" (In defensionem...,p. 64), A. mostra come in numerosi casi vescovi precedentemente sottoposti a giudizio erano stati reintegrati nelle loro sedi (c. VI). La stessa traslazione di Formoso da Porto a Roma èavvenuta "hortatu cleri et populi", né ai cambiamenti di diocesi le decretali pontificie sembrano opporsi in senso assoluto: A. cita la pseudo decretale di Antero (Hinschius, p. 152) ed invoca l'argomento dell'opportunità: "Sunt et alii quam plurimi qui necessitatis vel utilitatis causa de sede ad sedem de civitate ad civitatem translati sunt" (In defens.,p. 68). Ciò premesso, A. nel secondo libro dell'In defensionem discute del problema più generale della liceità di opporsi a un provvedimento ingiusto preso da una suprema gerarchia ecclesiastica, nella fattispecie dal papa, Sergio III.
Intanto, A. si mostra contrario all'annullamento di ogni ordinazione perché " illicita ", distinguendo tra una "ordinatio quae in tantum probatur illicita ut nisi removeatur, anathema sit" ed un'altra "quae paululum videtur illicita eique interduni pro temporis necessitate indulgendum est" (p. 79); tale distinzione, che si appoggia soprattutto sul canone IX del concilio neocesariense nella versione dionisiana (cfr. Mansi, Sacror. Concil. Nova et Ampliss. Collectio,II, Florentiae 1759, col. 544), è in armonia con la linea di ispirazione nettamente agostimana, che pervade tutta l'opera di A. (cfr. in proposito, N. Haring, The Augustinian Axiom: Nulli sacramentum iniuria facienda est, in Medieval Studies, XVI[1954], pp. 96 s.). Ma più interessante risulta l'atteggiamento di A. verso la nota proibizione di accusare i superiori - contenuta in tutta la tradizione canonistica e ampiamente ribadita dalle stesse Pseudo-isidoriane,il cui uso èpiù d'una volta testimoniato nelle opere di A. (cfr. D. Pop, La défense du pape Formose, Paris 1933, p. 58; H. Zimmermann, p. 70) -: in una serie di argomentazioni in cui A. mostra di distinguere ufficio da persona che lo ricopre si nega che il fatto stesso di essere papa permetta di considerare la sua persona come quella di chi "paradisi gaudia consequatur" (Dümmler, p. 81); si insiste sulla necessità che l'ufficio deve essere di stimolo ad operare bene, secondo un passo sapienziale (VI, 9): "cui plus committitur, plus ab eo exigitur et fortioribus fortior instat cruciatio"; si respinge l'interpretazione estensiva ed incondizionata del principio "petrino" della "potestas solvendi et ligandi" (per questo cfr. il lavoro di W. Ullmann, Principles of Government and Politics in the Middle Ages, London 1961, che però omette di considerare la posizione di Ausilio). Infatti (Dümmler, p. 89): "Qui sunt ergo pastores, quibus ligandi solvendique facultas a Domino commissa est? Primus quidem ut legentibus patet, universalis papa, vicarius scilicet apostoli Petri, deinde sunt episcopi, postremo autem presbiteri, sed non secundum pastoris arbitrium, sed potius quisque secundum merituni suum aut solvitur aut ligatur". Ciò permette di capire come, insieme con la serie di argomentazioni contenute nel De ordinationibus, in cui si costituisce, come fece osservare il Saltet (p. 157), una specie di dossier patristico e canonistico a favore delle trasiazioni dei vescovi (in certi casi) e della validità delle ordinazioni fatte da Formoso (anche ove si ammettesse una certa irregolarità nella sua elezione), l'opera di A. potesse servire di ampia documentazione ed ispirazione per s. Pier Damiani (cfr. J. Ryan, Cardinal Humbert of Silva Candida and A., in Medieval Studies, XIII[1951], pp. 218-23) e potesse essere con qualche probabilità l'oggetto della polemica contro lo Spinosulus anonimo di Umberto di Silvacandida nell'Adversus Simoniacos (J. Ryan, cit., p. 219, nn. 7 e 9). Sul piano dello sviluppo delle idee, il De ordinationibus non fa che ricalcare le linee del trattato precedente, offrendo comunque una documentazione più ampia e pertinente. Superiore comunque a tutti gli opuscoli di A. risulta il dialogo Infensor et Defensor, in cui l'argomento principale è costituito da.ll'esame della legittimità delle riordinazioni imposte dai provvedimenti di Sergio III lasciando da parte la questione della persona di Formoso. La conclusione cui giunge A., stabilendo, anche in questo caso, un parallelo tra il sacramento del Battesimo e quello dell'Ordine, è la negazione più recisa delle riordinazioni, considerate sacrileghe. Che il papa le imponga non ha nessun rilievo perché il rispetto e l'obbedienza dovute alla prima sedes non lo sono ad un pastore che abbia tradito il suo mandato: si ritrova, con una formulazione più chiara, la distinzione tra ufficio e dignità: "Honor et dignitas uniuscuiusque sedis venerabiliter observanda sunt. Praesidentes autem si deviaverint, per devia sequendi non sunt; hoc est si contra fidem vel catholicam religionem agere coeperínt, in talíbus eos nequaquarn sequi debemus" (Patr. Lat., CXXIX, col. 1089). Nel che, mentre è da notare la conoscenza e l'uso delle Pseudo-isidoriane, già rilevato, si manifesta la caratterizzazione di quest'uso in funzione di salvaguardia, da ogni eccessiva estensione giurisdizionalistica romana, della posizione delle chiese particolari. Tanto più significativa è la circostanza in quanto l'olsera ch A. viene elaborata a circa una sessantina d'anni - come pare probabile - dalla compilazione delle false decretali, e testimonia pertanto di una tendenza originaria sostanzialmente diversa da quella cristallizzatasi successivamente di difesa delle prerogative della Chiesa romana, elemento s.econdario, in questo periodo, delle finalità della raccolta (cfr. soprattutto G. Hartmann, Der Primat des römischen Bischofs bei Pseudo-Isidor, Stuttgart 1930, che peraltro non si sofferma su Ausilio).
Il dialogo Infensor et Defensor era stato scritto su richiesta di Leone, vescovo di Nola, perseguitato dagli anti-formosiani per la sua elezione e invitato energicamente a farsi riordinare: prova ulteriore della permanenza e della notorietà che A. doveva aver raggiunto nel Napoletano, se lo stesso Leone s'era rivolto a lui dopo aver consultato "Francos... peritos viros" (Patr. Lat., CXXIX,coll. 1075-1076); nelle quali parole parrebbe di cogliere una conferma della fama di canonisti che dovevano aver conseguito gli esperti transalpini, in epoca post-pseudoisidoriana. Il dialogo Insimulator et Actor (Patr. Lat., CXXIX, coll. 1103-1112), se di Ausilio, riprende brevemente i temi della validità delle elezioni formosiane.
Nella scarsità di elementi biografici per ricostruire le vicende personali di A. può apportare una certa luce una recente congettura di D. Mallardo (Giovanni Diacono..., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, II[1948], pp. 319 s.) che propone una nuova lettura di un passo della Passio S. Ianuarii, relativo alla traslazione di s. Sosso. Per questa interpretazione risulterebbe che l'abbate del monastero di S. Severino si sarebbe rivolto a Stefano vescovo di Napoli per ottenere il permesso della ricerca del corpo del santo "per Auxilium, domini sacerdotem": quell'Auxilius" appunto si identificherebbe con A., dato anche - possiamo aggiungere - che ci sono noti i suoi rapporti con Stefano e che si può supporre con buona probabilità che in una questione che riguardava una delicata procedura la sua designazione non poteva non cadere a proposito.
Ugualmente in termini di probabilità va posta la data della morte di A., se con lui è da identificarsi quell'Auxilius ricordato nel Necrologio cassinese (cfr. J. Mabillon, Annales Ordinis Sancti Benedicti, III, Lutetiae Paris. 1706, p. 36) come morto il 25 gennaio di un anno posteriore al 912.
Incerta l'attribuzione ad A. di un'Invectiva in Romam (Patr. Lat.,CXXIV, coll. 823-838) assegnatagli senz'altro da P. Fournier, Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., V, coll. 971 s.: cfr. Pop, La defénse..., passim), come di un commentario al Genesi, che si trovava a Monte Cassino. Di A. sono invece degli opuscoli grammaticali, sull'etimologia, i Flosculi; dagli scritti pro-formosiani sembra dipendere una raccolta di canoni del ms. Vall. T. XVIII (ma cfr. S. Lindemans, A. et le ms. Vall. T. XVIII, in Revue d'Hist. Ecclés.,LVIII [1962], pp. 470-484).
Fonti e Bibl.: L'opera ancor oggi indispensabile per A. è quella più volte ricordata di E. Dümmler, Auxilius and Vulgarius, Leipzig 1866; sempre da consultarsi, L. Saltet, Les réordinations, Paris 1906, e M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, I, München 1911, pp. 437 ss.; II, ibid. 1923, p. 805 ad p. 438; A. Schebler, Die Reordinationen in der "altkatolischen" Kirche, Bonn 1936, pp. 203-207. Sul periodo cfr. il lavoro di H. Zimmermann, Papstabsetzungen des Mittelalters, in Mitteil. des Instituts für dsterr. Geschichtsforschung, LXIX (1961), pp. 47 ss. Per i rapporti dell'opera di A. con quella di s. Pier Damiani, oltre a quanto già citato nel testo, cfr. J. Ryan, S. Peter Damiani and his canonical Sources, Toronto 1956, passim; Encicl. Ital., V, 381.