SALICETI, Aurelio
– Nacque a Ripattoni, nel Teramano, il 14 maggio 1804 da Giuseppe, originario di Mosciano, e da Maria Giuseppina Ippoliti, discendente da una famiglia di notabili locali.
Personalità eclettica di medico letterato, nel decennio napoleonico il padre aveva intrapreso la carriera giudiziaria che lo condusse a Teramo nel 1815, indirizzando in egual senso il figlio, della cui formazione, anche politica, si occupò personalmente. L’epurazione del padre, esonerato nel luglio del 1821 per «affari di politica opinione» (Gagliardi, 1848) avvenuti nel corso del nonimestre, costrinse Saliceti a farsi carico della famiglia, trovando impiego l’anno seguente come cancelliere del circondario di Nereto. Nel 1823 concorse agli esami di giudicatura a Napoli risultando vincitore, ma non potendo occupare il posto perché non ancora venticinquenne. Proseguì dunque gli studi e dopo la laurea in diritto civile e canonico, conseguita nell’estate del 1824, vedendosi negato il posto di professore nel Real Collegio da un intervento dell’intendente Francesco Maria Perelli, marchese di Tomacelli, si indirizzò all’attività forense.
Risale a questa stagione una modesta attività letteraria i cui frutti furono un poemetto su Pietro Micca (1828) e una traduzione dal latino del poema Del monumento a Pietro il Grande, dell’abruzzese Francesco Filippi-Pepe, pubblicata a Teramo nel 1826 assieme a un inedito dello stesso autore. Appare difficile avvalorare la lettura che vede nella scelta delle tematiche di questi scritti, come di quelle delle traduzioni successive (Le lamentazioni di Geremia voltate in italiano, Napoli 1843, e Il libro di Giobbe voltato in italiano, Napoli 1845), un indice dei primi afflati politici in senso liberale e nazionale, tanto più che la stessa adesione di Saliceti alla Giovine Italia in una Teramo percorsa da un diffuso fervore democratico, data per assodata dai suoi biografi (Mezucelli, 1880, p. 71), è tutt’altro che certa: se, da un lato, viene menzionato da Giuseppe Mazzini in una lettera del settembre del 1833 e, nel 1838, annoverato da un esule abruzzese come possibile referente a Napoli assieme a Carlo Poerio e Matteo de Augustinis, non risultano, d’altro canto, prove documentarie che certifichino la sua diretta partecipazione all’attività cospirativa.
Di certo, invece, in quegli stessi anni diede nuovo impulso alla propria professione, aprendo la rapida strada che lo avrebbe condotto a Napoli. Autorizzato nel 1831 dal nuovo intendente Bonaventura Palamolla a tenere una scuola privata, due anni dopo ricevette l’agognato incarico come professore di giurisprudenza civile e penale nel Real Collegio di Teramo, ottenendo quel posto che gli era stato interdetto nel 1824: nel luglio del 1836 infatti, al termine di un concorso durato più di due anni, Saliceti si guadagnò la seconda cattedra di diritto civile presso l’Università di Napoli, assumendo l’incarico il 9 settembre. Nella capitale non mancò di mettersi in luce come giurista e funzionario, redigendo un manuale di diritto civile (Institutionum juris civilis. Prodromus, Napoli 1843) e una Rivista del codice civile, pubblicata postuma a cura del fratello Tito (Scritti inediti di Aurelio Saliceti, Torino 1864), in cui sviluppò una serrata e acuta critica al codice napoleonico, che pur dimostrando l’acume e la competenza dell’autore, scontava tuttavia un certo passatismo sintomatico del diffuso disagio, tra gli esponenti della scuola storica, rispetto alle tendenze codificatrici del tempo. Nel 1838 la nomina a giudice del tribunale civile di Napoli al posto di Catello de Vito Piscicelli sancì definitivamente lo status conquistato da Saliceti, che fino al 1848 si dedicò soltanto alla carriera di accademico e magistrato, maturando tuttavia proprio in quegli anni l’intransigenza culturale che costituì la cifra del suo attivismo politico.
La rivoluzione del 29 gennaio 1848 lo colse dunque, per sua stessa ammissione, di sorpresa, «non avendo io avuto l’onore d’essere tra cospiratori» (Risposta di Aurelio Saliceti ad un’accusa, in Il Nazionale, 1° luglio 1848, p. 254), ma la mutata temperie politica non tardò a coinvolgerlo: nominato nella Commissione superiore di revisione già il 23 gennaio, all’inizio del mese successivo fu destinato all’intendenza di Avellino prima e di Salerno subito dopo, con uno spostamento giustificato dalle più gravi tensioni politiche presenti nel Principato citeriore. Fu un incarico breve, significativo più per la definizione delle sue posizioni – nel primo Indirizzo agli amministrati coniugava espressioni sinceramente realiste con l’entusiasmo per una costituzione considerata come scaturigine della rigenerazione nazionale duosiciliana – che per l’azione amministrativa. Il 6 marzo, infatti, fu richiamato a Napoli dal nuovo incarico di ministro della Giustizia nel secondo governo presieduto da Nicola Maresca Donnorso di Serracapriola. In questa compagine Saliceti, nominato in virtù della propria competenza tecnica, finì per rappresentare l’elemento più radicale, mettendosi in luce in occasione della vertenza sui gesuiti, dei quali propose l’allontanamento da Napoli per ragioni d’ordine pubblico, del dibattito sulla legge Bozzelli relativa alla guardia nazionale, da lui considerata eccessivamente repressiva, e di quello sull’abolizione della Camera dei pari. Abbandonato polemicamente il ministero a seguito della questione dei gesuiti, Saliceti – bersagliato da una miriade di articoli e fogli volanti violentemente ostili e infamanti – non si ritirò dalla vita pubblica; al contrario, nell’aprile elaborò insieme a Raffaele Conforti il programma per un nuovo governo che, nel prevedere maggiori poteri alla Camera bassa, una riforma elettorale in senso democratico e un più intenso coinvolgimento del Regno nella causa nazionale italiana, costituiva un vero manifesto politico, su cui egli non volle scendere a compromessi ricevendo per questo nuove accuse di repubblicanesimo, ma incassando al contempo l’adesione di molti liberali, fra i quali Guglielmo Pepe. In un tale contesto, il precipitare degli eventi lo colse in una posizione pericolosissima: ritenuto il vertice di una vasta cospirazione, il 15 maggio rischiò a più riprese di essere arrestato e linciato, tanto da determinarsi a lasciare il Regno in fretta e furia, alimentando ulteriormente tali dicerie.
In una Roma in pieno fermento, Saliceti giunse con la nomea – immeritata – di acceso democratico, e benché prendesse parte attiva al dibattito pubblico il suo orientamento politico stentava a definirsi: certamente non mazziniano tout court, egli non era neppure, com’è stato scritto, attivo nei circoli popolari di Filippo De Boni (Morelli, 1990, p. 293). Riconosciuto quale giurista autorevole, dopo la fuga di Pio IX fu eletto deputato il 21 gennaio 1849, quindi chiamato, con Carlo Armellini e Mattia Montecchi, a comporre il Comitato esecutivo. Con l’insediamento del triumvirato, il 19 marzo, poté tornare al suo ambito d’elezione, il legislativo, partecipando attivamente ai dibattiti dell’Assemblea costituente e alla redazione – in qualità di relatore – del testo costituzionale promulgato il 3 luglio «sotto il cannone e le bombe» (Nocilla, 1989, p. 131), nel corso della quale si spese largamente in favore della pubblicità del suffragio e della primazia dell’Assemblea, per non correre «il rischio d’avere un Presidente all’uso di Francia» (p. 241). Il 1° luglio, nell’ora più drammatica per la Repubblica Romana, assieme a Livio Mariani e Alessandro Calandrelli, accettò di comporre per pura formalità l’ultimo triumvirato, prima di riparare all’estero.
Privo di mezzi e di conoscenze che potessero aiutarlo, Saliceti giunse dapprima in Inghilterra entrando presto in contatto con Mazzini, che oltre a procurargli alcune lezioni d’italiano per sostentarsi, lo volle come rappresentante del Mezzogiorno nel Comitato nazionale italiano fondato nel 1850. Fu un’esperienza effimera, che coincise con l’acme del suo democratismo, condensato nel saggio inedito L’età nostra, e si concluse nel settembre del 1851 con l’abbandono del Comitato e dell’Inghilterra, in disaccordo – come Giuseppe Sirtori poche settimane prima – con l’impostazione dittatoriale, ma non con il principio repubblicano.
Stabilitosi a Parigi, centro dei repubblicani in dissenso con Mazzini, Saliceti trovò accoglienza in casa del principe Lucien Murat come precettore, non già – come si scrisse – per un disegno preordinato di Napoleone III, ma grazie all’aiuto di alcuni compatrioti, il generale Pepe in primis. Iniziò così l’ultima importante stagione politica della vita di Saliceti, convertitosi a partire dal 1854 alla causa murattiana – di cui divenne principale ideologo fino al 1860 – non per opportunismo, ma sull’onda della delusione per il fallimento del sogno repubblicano del 1849, che riuscì a unire attorno a quel progetto politico numerose voci di esuli meridionali e non solo, fra i quali il generale Luigi Mezzacapo, protagonista della difesa di Venezia e cognato di Saliceti. Autore del più celebre opuscolo murattiano, La quistione italiana, Murat ed i Borboni, pubblicato anonimo a Parigi nel 1855, Saliceti fu in quegli anni al centro di una serrata attività propagandistica, alimentando l’opposizione antiborbonica, facendo proselitismo fra gli esponenti dell’esulato meridionale e rispondendo ad attacchi della più diversa provenienza (Daniele Manin e Francesco De Sanctis le voci più influenti). Gli accordi di Plombières e la guerra del 1859 frustrarono le residue speranze di un appoggio imperiale al progetto del principe Murat, inducendo Saliceti a fare ritorno in patria nel maggio del 1860 con la speranza di potersi reinserire nella politica italiana.
Giunse prima a Bologna, dove nel marzo Luigi Carlo Farini l’aveva nominato professore di diritto commerciale – incarico cui rinunciò a novembre –, e poi a Napoli, incontrando in viaggio lo stesso Mazzini; qui, nel 1861, si candidò a deputato nell’undicesimo collegio, risultando eletto al ballottaggio. Non si trattò, però, di un ritorno alla vita pubblica: circondato da diffidenza e già malato, partecipò pochissimo ai lavori parlamentari.
Morì in solitudine a Torino il 22 gennaio 1862.
Scritti e discorsi. Scritti inediti di Aurelio Saliceti, Torino 1864; Scritti editi e inediti. Il giurista, a cura di P. Di Attilio, Milano 1991; Scritti editi e inediti. Il costituente, il politico, a cura di P. Di Attilio, Roma 2004.
Fonti e Bibl.: L’Archivio del Museo centrale del Risorgimento di Roma custodisce alcuni nuclei di lettere e documenti di Saliceti, distribuiti in diversi fondi: Fondo Archivio, bb. 78, 256, 1103; Fondo Casimiro De Lieto, bb. 173, 175; Fondo Nelson Gay, b. 551. Una corrispondenza più copiosa e organica, ma non ordinata e relativa quasi esclusivamente alla stagione dell’esilio, è invece conservata presso le Archives nationales de Paris, Fondo Murat (31AP), bb. 62, 63. Infine, presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma si trova una ricca collezione di articoli e fogli volanti contro e in difesa di Saliceti risalenti alla stagione napoletana del 1848. Inoltre, E. Gagliardi, Poche parole di risposta ad uno scritto portante per titolo il liberale del 29 gennaio, in Il Nazionale, 12 aprile 1848.
B. Mezucelli, A. S. e i suoi tempi, Teramo 1880; V. Bindi, Un poemetto inedito su Pietro Micca di A.S., in Rivista abruzzese, XXX (1915), 7, pp. 337-345; G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano 1920, passim; F. Bartoccini, Murattismo. Speranze, timori e contrasti nella lotta per l’Unità italiana, Milano 1959, ad ind.; T. Pedio, Classi e popolo nel Mezzogiorno d’Italia alla vigilia del 15 maggio 1848, Bari 1979, ad ind.; A. Marino, A. S.: avvocato politico e riformatore abruzzese dell’Ottocento, in Aprutium, VI (1988), 2-3, pp. 5-12; D. Nocilla, Sovranità popolare e rappresentanza negli interventi di A. S. alla Costituente romana del 1849, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXVI (1989), 2, pp. 231-244; A. Scirocco, A. S. da Teramo a Napoli, da avvocato a ministro, in Clio, XXV (1989), 1, pp. 123-146; E. Morelli, A. S. e Giuseppe Mazzini, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXVII (1990), 3, pp. 291-296; S. D’Agostino, A.S. a Napoli nel 1848, in Studi storici meridionali, XII (1992), 2, pp. 133-146; E. Di Ciommo, La nazione possibile. Mezzogiorno e questione nazionale nel 1848, Milano 1993, ad ind.; F. Marinelli, A. S. e la sua critica al Code Civil, in Bullettino della deputazione abruzzese di storia patria, LXXXV (1995), pp. 401-408; G. Foscari, A. S.: funzionario e «rivoluzionario»?, in Stato e società nel Regno delle Due Sicilie alla vigilia del 1848, a cura di R. De Lorenzo, Napoli 1999, pp. 193-233; D. Arru, La legislazione della Repubblica romana del 1849 in materia ecclesiastica, Milano 2012, ad ind.; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/aurelio-saliceti-18040516#nav.