AUGURI (lat. augŭres)
Sono forse in origine i veggenti delle primitive popolazioni italiche, che da segni dati dagli uccelli (la parola sembra riconnettersi etimologicamente ad avis) interpretavano la disposizione d'animo degli dei di fronte ad un'azione umana. I pii romani dei tempi più antichi non iniziavano nessuna azione importante prima d'esser sicuri del consenso degli dei, e, se anche ciascun cittadino poteva consultare da solo la volontà divina, i soli auguri conoscevano i minuziosi precetti per spiegare rettamente i segni con i quali la divinità manifestava il suo favore all'azione che si voleva imprendere, o all'improvviso, quando l'azione era già iniziata, ritirava il consenso già concesso. Ma di cotesti auguri privati, presto scomparsi, poco o nulla sappiamo. Importanza ebbero soltanto gli auguri pubblici, auguri per antonomasia, gli interpreti ufficiali degli auspici di stato. Furono probabilmente gli stessi auguri privati che riunitisi in collegio riuscirono a rendersi indispensabili allo stato e a far riconoscere come ufficiali le loro interpretazioni.
L'istituzione del collegio degli auguri, il cui prestigio non è inferiore che a quello dei pontefici, è fatta variamente risalire dalla tradizione a Romolo o a Numa. Sino al 300 a. C. il collegio sembra si componesse di cinque membri tutti patrizî; la legge Ogulnia di quell'anno, aprendo il collegio ai plebei, ne accrebbe il numero a nove, che da Silla fu poi portato a quindici e da Cesare a sedici. Nell'età imperiale il numero poteva superare quello fissato, perché gl'imperatori avevano il diritto di nominare membri soprannumerarî e d'altra parte essi stessi e i loro parenti solevano esser nominati senza riguardo al numero. Il collegio, i cui componenti erano legati fra loro da stretti vincoli d'affetto, si rinnovava per cooptazione, finche la legge Domizia del 103 a. C., abrogata da Silla, ma nel 63 a. C. tornata nuovamente in vigore, prescrisse anche per gli auguri, come per gli altri collegi sacerdotali più importanti, l'elezione mediante i comizî ristretti formati da 17 tribù tratte a sorte. Il collegio manteneva ancora parte del suo antico diritto, in quanto che la scelta dei comizî era legata a una lista di candidati presentata dallo stesso collegio in base alle proposte dei singoli membri, ciascuno dei quali giurava in pubblica assemblea d'indicare la persona che riteneva più degna dell'ufficio; perché d'altra parte la libertà d'elezione non fosse eccessivamente limitata ciascun candidato doveva esser proposto da non più di due auguri. La lista era formata durante la repubblica solo in caso di vacanza, sotto l'impero in un giorno stabilito di ogni anno. Con Tiberio, insieme con quelle dei magistrati, anche le elezioni degli auguri e degli altri sacerdoti passarono al senato, e ai comizî era soltanto comunicato l'esito dell'elezione. In realtà però il diritto del senato era limitato all'elezione dell'imperatore e dei membri della famiglia imperiale; per gli altri l'imperatore faceva valere il suo diritto di raccomandazione. In qualsiasi modo fosse avvenuta l'elezione, lo eletto era poi cooptato pro forma dal collegio, dopo di che, probabilmente per opera di uno dei due auguri che avevano proposto il candidato, seguiva la inaugurazione, cioè la consultazione degli augurî a garanzia del gradimento e della protezione di Giove. Un lauto banchetto offerto dal nuovo augure chiudeva la cerimonia. Il pagamento di una somma all'entrata nel collegio ci è attestato per il tempo di Caligola.
Per l'elezione ad augure non si richiedevano requisiti speciali, diversi da quelli necessarî per gli altri sacerdoti: l'alta considerazione che godette sempre l'augurato e la sua importanza politica spiegano come fossero accolte nel collegio solo persone distinte per nascita o per meriti. Negli ultimi secoli della repubblica alcuni posti erano riservati ai plebei, cinque per la legge Ogulnia, otto, a quanto sembra, quando il collegio comprese quindici membri. La distinzione scomparve nell'età imperiale in cui il collegio si completava, come gli altri maggiori, con persone di grado senatorio. L'ufficio è a vita e nessun delitto, per quanto grave, può provocare, a differenza di altri sacerdozî, l'espulsione. Esso non impedisce di rivestire cariche di stato o altro ufficio sacerdotale, ma la cumulazione con uno degli altri tre collegi maggiori è rara durante la repubblica e ancor più rara durante l'impero; diventa comune solo nel IV sec. - auguri sono ricordati sino alla fine di questo secolo - quando il paganesimo raccoglie tutte le sue forze per combattere l'estrema lotta. Solo l'imperatore e i principi della casa regnante appartengono a tutti i più importanti sacerdozî. Oltre che per le solite funzioni, il collegio, che non sembra possedesse una propria sede, si raccoglieva, almeno un tempo, le none di ogni mese in casa di qualche augure per discutere di cose interessanti la scienza augurale o per rispondere a quesiti proposti. La presidenza era tenuta dal più anziano. Le discussioni e le decisioni prese erano registrate e conservate nell'archivio collegiale che custodiva altresì le norme della disciplina augurale. Lo stato metteva a disposizione del collegio dei servi pubblici; da parte sua il collegio con le rendite dei suoi estesi possessi pagava calatori, che erano addetti al servizio personale di ciascun augure e per lo più liberti dello stesso, e viatori. Distintivi caratteristici degli auguri erano il lituo, un bastoncino ricurvo senza nodi, preso dagli Etruschi, col quale segnavano i limiti dei templa, e una trabea speciale di porpora e cocco che sembra indossassero solo in certe funzioni. Del resto erano equiparati nei privilegi e nel vestito ai membri degli altri collegi più importanti.
L'attività indipendente del collegio è limitata ad alcune cerimonie augurali (auguria), a noi malamente note. La più notevole di esse è l'augurium salutis o maximum, la consultazione degli augurî e la solenne preghiera per la prosperita dello stato, che può esser compiuta solo quando nessun esercito è al campo. Oltre a questa funzione, gli auguri implorano l'aiuto divino per la fertilità delle campagne; delimitano, inaugurano e conservano i templa, gli spazî in cui si possono osservare i segni divini; procedono all'inaugurazione di sacerdoti, che ci è attestata per gli auguri stessi, per i tre flamini maggiori e per il re dei sacrifizî; designano e conservano le linee del pomerio e dell'ager effatus, che segnano i limiti della validità degli auspìci urbani, soprattutto di quelli presi per la convocazione dei comizî centuriati. Ma l'importanza, essenzialmente politica, del collegio dipese dalla sua funzione d'interprete ufficiale degli auspìci pubblici, esclusi quelli militari e crebbe di pari passo col decadere religioso degli auspìci (v. auspicio). I segni (auguria o signa), che gli auguri interpretano, sono tratti in origine soprattutto dai fulmini e tuoni (ex caelo), dagli uccelli (ex avibus), da quadrupedi (ex quadripedibus), dal modo di mangiare dei polli (ex tripudiis), da presagi funesti (ex diris). Tutti questi segni possono offrirsi da soli, esser cioè oblativi; impetrata è soltanto l'apparizione di segni celesti e di segni degli uccelli. Più tardi, riservato il tripudium al campo, gli augurî impetrativi furono ricavati quasi senza eccezione dai segni celesti. Il magistrato prendeva da solo gli auspìci e non era obbligato da nessuna legge a farsi assistere da un augure. Ma, anche per la brevità del suo ufficio, egli non conosceva bene il valore dei segni che potevano manifestarsi durante l'osservazione degli auspìci impetrativi, ed erano tanto meticolose le formalità da osservarsi, tante le complicazioni possibili per l'incontro di altri auspìci o per la trascuranza dei prescritti limiti di spazio e di tempo, che era inevitabile il ricorso per consiglio al collegio, il quale si era specializzato nello studio degli auspìci e teneva, almeno nei tempi più antichi, gelosamente segrete le prescrizioni del diritto augurale. Ed è naturale che qui restasse libero campo all'arbitrio e che gli auguri, che, negli ultimi secoli della repubblica, meno degli altri credevano a un'origine divina degli auspìci, abusassero della loro scienza, ridotta ormai a formule vuote di contenuto, per scopi politici. Se per l'omessa o errata consultazione degli auspìci impetrativi o per la comparsa di auspìci oblativi era impugnata la validità di un atto politico, si consultava il collegio degli auguri che, dopo accurato esame della questione, constatava eventualmente l'errore (vitium). Il responso del collegio non legava giuridicamente, ma non si conosce che un sol caso in cui sia stato trascurato. Più facilmente poteva essere contestata, per inosservanza delle norme augurali, la validità delle deliberazioni dei comizî. Ad evitare dannose dilazioni nell'elezione dei magistrati o nell'approvazione di leggi, si usava, almeno nell'ultimo secolo della repubblica, far assistere, anche nelle assemblee della plebe, il magistrato presidente da uno o più auguri, che in casi dubbî istruivano sul significato di un segno e avevano il diritto (nuntiatio) di constatare, per osservazione propria od altrui, l'intervento di sfavorevoli auspìci oblativi e conseguentemente sciogliere l'assemblea colla nota formula alio die. Gli auguri divennero così gli assistenti dei magistrati che presiedevano comizî e assunsero funzioni che erano originariamente estranee al loro ufficio, quale quella di invitare il popolo a procedere al voto. Sotto l'impero l'augurato diventa un ufficio puramente onorifico.
Sull'esempio di Roma, e forse anche per tradizioni locali, ebbero collegi di auguri le altre città d'Italia, e l'istituzione si estese anche ai municipî e alle colonie delle provincie. Secondo lo statuto della colonia Giulia Genetiva della Spagna, il fondatore della colonia ha diritto di nominare auguri senza limitazione di numero, ma in seguito il collegio non deve avere più di tre membri. L'elezione avviene nei comizî; l'eletto deve appartenere alla colonia e avere in essa la sede o prenderla entro cinque anni dalla fondazione. Il sacerdozio è a vita, ma, contro l'uso vigente a Roma, viene perduto in seguito a condanna. Gli auguri hanno diritto d'indossare in certe occasioni la toga pretesta e di sedere negli spettacoli tra i decurioni, e sono esonerati, essi e i loro figli, dal servizio militare e da altri obblighi. L'unica loro incombenza è quella di dirimere dubbî in materia di auspìci. Disposizioni presso a poco identiche furono in vigore nelle altre città. Variava però il numero degli auguri e in qualche luogo l'elezione spettava ai decurioni. Spesse volte sono ricordati nelle iscrizioni donativi e promesse di donativi per l'elezione. È lecito anche coprire l'augurato in due città e cumularlo con altri uffici sacerdotali e municipali.
Bibl.: A. Bouché-Leclercq, Hist. de la divinat. dans l'antiquité, IV, Parigi 1881, p. 175 segg.; Spinazzola, in E. De Ruggiero, Diz. Epigr., I, p. 178 segg.; G. Wissowa, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., II, coll. 2313 segg., 2580 segg.; id., Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 523 segg., dove si trova citata tutta la bibliografia.