astrologia
Ricerca che presume di determinare i vari influssi degli astri sul mondo terreno e, in base a essi, prevedere avvenimenti futuri o dare spiegazione di fatti passati.
Anticamente i termini astrologia (ἀστρολογία) e astronomia (ἀστρονομία) furono a lungo usati come sinonimi per indicare la scienza astronomica in generale. Spesso, per designare l’a. propriamente detta, si soleva far seguire al termine l’epiteto γενεϑλιακή (da γενέϑλη, nativitas) o anche ἀποτελεσματική (da ἀποτέλεσμα, effectus). Una prima ma ancora incerta contrapposizione tra i due termini si delineò solo nel 1° sec. d.C.; ma, persistendo ancora in scritti latini del 13° sec., sotto influenza araba, l’uso dei termini astrologus e astrologia nel senso di ‘astronomo’ e ‘astronomia’, a evitare ambiguità per designare l’a. propriamente detta si ricorse, nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, alla qualifica di giudiziaria, in quanto indagine sui ‘giudizi’ pronunciati dagli astri intorno alle cose terrene. Secondo la tradizione, l’a. ebbe la sua culla in Mesopotamia e come artefici i sacerdoti caldei. I Greci la chiamarono Χαλδαίων τέχνη (ars o doctrina Chaldaeorum), dove χαλδαῖος designa tanto gli abitanti della Caldea quanto i membri del clero babilonese. Del titolo χαλδαῖος si fregiarono altresì i Greci alunni e seguaci dei Babilonesi e il termine, etnico all’origine, finì con l’indicare la professione dei divinatori e facitori d’oroscopi. La tesi orientalistica sostenuta dagli antichi è stata confermata dalla critica moderna che ha fissato a un’epoca non anteriore all’8° sec. a.C. la nascita e la formazione dell’a. caldea. Non è infatti pensabile l’avvento di un coerente sistema astrologico se non dopo preliminari conquiste nel campo della cronometria, tali cioè da suggerire e giustificare l’ipotesi di un andamento regolare e periodico dei fenomeni celesti. La determinazione dell’eclittica, la distinzione dei pianeti dalle stelle fisse, la definizione dello zodiaco, la predizione delle eclissi e la redazione di calendari perpetui, sono da annoverare tra le scoperte più significative raggiunte dai Caldei in campo astronomico. Il carattere sacerdotale della scienza babilonese emerge con chiarezza dalla compenetrazione di astronomia e speculazioni teologiche intorno ai corpi celesti divinizzati. Dalla nozione di una fatalità legata alla regolarità dei moti celesti e dalla concezione della natura divina degli astri, i Caldei conclusero che tutta la vita degli uomini e del mondo fosse regolata dagli astri-dei e che nei loro movimenti fosse iscritto il destino dell’Universo. I Greci appresero dai Babilonesi a distinguere i pianeti dalle costellazioni e, sull’esempio di quelli, consacrarono i singoli astri a una divinità il cui nome serviva a designarli (per es., l’astro di Mercurio, l’astro di Venere, ecc.). Furono probabilmente i pitagorici che, intorno al 5° sec. a.C., procedettero alla sostituzione delle divinità babilonesi con le corrispondenti greche, da cui Ishtar fu identificata con Venere, Nergal con Marte, Nabu con Mercurio, Marduk con Giove, Ninib con Saturno, Sin con la Luna e Shamash con il Sole. Un graduale processo di mitologizzazione interessò anche i segni zodiacali. A partire dal 5°-4° sec. a.C., numerose costellazioni vennero associate agli eroi del mito e il poema di Arato (3° sec. a.C.) sulle figure del firmamento è un chiaro esempio di questa evoluzione tendente ad associare astronomia e mitologia. Il sistema egiziano dei decani, divisioni dei dodici segni zodiacali in tre parti di dieci gradi ciascuna, contribuì altresì a divulgare le trentasei divinità siderali e gli scritti (metà del 2° sec. a.C.) attribuiti al re Nechepso e al sacerdote Petosiride si incaricarono di tramandare la divinazione astrale dell’antico Egitto. Nel 270 a.C. circa il sacerdote caldeo Beroso fondava una scuola a Coo e di lì divulgava il nuovo credo astrologico in tutta la Grecia. Tra le dottrine da lui insegnate sono da ricordare in particolare la tesi della simpatia universale, che è dogma fondamentale dell’a., nonché la concezione di un Universo scandito dalla successione di cicli cosmici o ‘grandi anni’ aventi ciascuno un’estate e un inverno (annunciati dal periodico ritorno dei pianeti in un medesimo segno), a cui seguivano un rogo e un diluvio universali. Adottata dallo stoicismo, l’idea del grande anno fu trasmessa da Posidonio ai Latini presso i quali ebbe vasta circolazione (la si incontra anche in Virgilio). Ma il contributo più rilevante dello stoicismo alla diffusione dell’a. consiste nell’aver elevato a dignità filosofica e a validità universale la dottrina dell’unità del cosmo espressa nella teoria della simpatia universale, per la quale tutte le parti dell’Universo, pur distanti, sono tra loro in rapporto e reciprocamente agenti. Con ciò, le più varie pratiche divinatorie godettero ampio credito tra gli stoici. Posidonio in particolare elaborò un complesso sistema teologico dove i postulati dell’a. caldea venivano accolti e ordinati; il misticismo astrale, divenuto la religione dominante dei circoli dotti, favorì il declino dell’antico antropomorfismo ellenico mentre il Sole, elevato al sommo della gerarchia divina, era venerato da sovrani come Adriano e Giuliano quale protettore personale e dell’impero. D’altra parte, i progressi dell’astronomia e della matematica della scuola di Alessandria venivano confermando la fede nell’a. innalzata a dignità di scienza e circondata del prestigio di una disciplina esatta: al 2° sec. d.C. risale il Tetrabiblos (o Quadripartitum, dal titolo della sua traduzione latina medievale dall’arabo) di Claudio Tolomeo che rimarrà per secoli la più alta manifestazione sistematica della scienza genetliaca. Al dilagare della credenza orientale nella fatalità astrale si oppose il greco Carneade (2° sec. a.C.) i cui argomenti non tardarono a imporsi a tutti i posteriori avversari della dottrina del fato fino al 5° sec. d.C. L’impossibilità di osservare con esattezza l’ascensione del segno zodiacale al momento della nascita o della concezione, le assurdità cui dava luogo sia la considerazione di un parto gemellare sia quella di una sciagura o catastrofe collettiva, infine la constatazione di caratteri e costumi comuni a tutto un popolo o a tutta una razza: tali, in breve, le classiche obiezioni di Carneade volte principalmente a salvaguardare la responsabilità morale dell’uomo. Cicerone, Favorino di Arles, Alessandro d’Afrodisiade, Sesto Empirico sono altresì da annoverare tra i più risoluti difensori della libertà umana contro il determinismo astrologico. I cristiani dei primi secoli concepirono le pratiche divinatorie, comprese l’a. e la magia, come invenzioni diaboliche aventi una qualche validità e veridicità prima dell’avvento del Cristo, che aveva definitivamente annientato il regno di Satana. Gli gnostici valentiniani svilupparono un’interessante teoria sul rapporto tra credenze astrologiche e dottrina battesimale, per la quale il Signore – dichiarava Teodoto – «è disceso sulla terra per trasferire quanti credono in Cristo dalla fatalità alla provvidenza di quello» e il battesimo ci redime dalla dipendenza astrale mediante l’azione dello Spirito santo. L’idea del Salvatore che trionfa sul potere degli astri, sottraendo l’umanità al divenire e al fato, non era tuttavia estranea ai culti orientali e alle dottrine misteriche, come testimonia, per es., un inno a Iside, celebrata quale redentrice e dominatrice del fato. Con ciò l’a., riconosciuta vera in epoca anteriore alla venuta di Cristo, sopravviveva per tutti coloro che non avevano abbracciato la fede cristiana.
L’ argomento del trionfo di Cristo sul fato fu presto abbandonato dai padri della Chiesa, che si volsero ad altre ragioni, principalmente a quella, di origine neoplatonica, relativa alla distinzione tra segni e cause, accolta da Filone, Origene e altri. In nome della morale si ricorse di preferenza alle argomentazioni di Carneade: Giustino, Ireneo, Ippolito di Roma, Origene, Metodio d’Olimpo, Eusebio di Cesarea, Basilio, Gregorio di Nissa, Diodoro di Tarso, Giovanni Crisostomo e altri figurano tra i polemisti cristiani fedeli alla linea di Carneade. S. Agostino, che riprese e concluse l’annosa disputa aperta dal filosofo accademico, giunse ad affermare preferibile la posizione dei sostenitori del fatalismo astrale rispetto a quella di coloro che, seguendo Cicerone, negavano la prescienza divina e la realtà della profezia; ripudiò tuttavia con fermezza l’a. accusandola di voler sostituire il determinismo naturale alla volontà di Dio. Colpita dall’anatema agostiniano, l’a. in Occidente tacque o visse una misera e occulta esistenza per circa otto secoli; con il sec. 12° riprenderanno vigore e si rinnoveranno le discussioni intorno alla vera e alla falsa a., preoccupazione costante in Ugo di San Vittore, Domenico Gundisalvi, Giovanni di Salisbury. Attraverso gli scritti astrologici di Albumasar molti motivi di fisica aristotelica passeranno in Europa e non a caso nel 13° sec. le condanne emesse a Parigi della dottrina d’Aristotele colpiranno ripetutamente il fatalismo astrale. Peraltro, proprio dottrine aristoteliche quali quella della ‘quinta essenza’, della incorruttibilità dei corpi celesti, del loro moto eterno circolare e perfetto, della dipendenza dei processi sublunari dai moti celesti, che sono a fondamento dell’a. medievale, favoriranno altresì la sua accettazione da parte di teologi e filosofi cristiani. Sia Alberto Magno sia Tommaso d’Aquino testimoniano un vivo interesse per l’a.; entrambi concordano nell’ammettere l’esistenza di influssi astrali nel senso di un sistema di forze che governano il mondo terreno, pur respingendo decisamente l’idea del fato come assoluta necessità. Così legittimata, l’a. verrà annoverata tra le discipline il cui insegnamento era impartito nelle facoltà delle Arti.
Dal 14° alla fine del 15° sec. circa, fatta eccezione per i violenti attacchi di N. Oresme e J. de Gerson, l’a. si impose (purché mantenuta entro i limiti stabiliti), permeando di sé sia la cultura comune sia gli ordinamenti universitari. Già volgarizzata nelle enciclopedie del sec. 13°, essa faceva ora bella mostra di sé nei libri d’ore e nei calendari; la medicina ricorreva ai suoi lumi così come la meteorologia. L’Umanesimo la favorì: Marsilio Ficino fondava sull’a. la condotta del dotto, mentre Dürer incideva sul rame Melencolia I, rappresentazione del temperamento derivato da Saturno. Nondimeno, certi sviluppi eterodossi, lesivi del dogma, si erano venuti esplicitando e l’ardimento di alcuni maestri aveva richiamato l’attenzione sul pericolo naturalistico insito nella concezione astrologica. Gli scritti e le prediche di Girolamo Savonarola, dal 1484 fino alla morte, attestano l’opposizione del frate al naturalismo astrologico accusato di corrompere i costumi ed estinguere la religione. Le Disputationes adversus astrologiam divinatricem (uscite postume nel 1496) di Giovanni Pico della Mirandola segnano una data fondamentale nella storia della a.: con rigore teorico, Pico riconduceva qualsivoglia influsso astrale alla sola comunicazione di moto, luce e calore vanificando altre occulte influenze e considerava nulla o comunque irrilevante la stessa emanazione di luce-calore che non fosse quella proveniente dal Sole e dalla Luna. Assumendo in funzione antiastrologica il principio del cielo causa universale, Pico dichiarava definitivamente falsa la partizione, basata sulla diversa natura degli astri, della causalità celeste da cui conseguirebbe una diversificazione degli effetti. L’opera pichiana ebbe larga diffusione in Europa e aprì un intenso e impegnato dibattito sui fondamenti dell’a. che gli opposti partiti dei fautori e degli avversari della disciplina incriminata protrassero per tutto il sec. 16° e oltre. Tra i polemisti antiastrologici sono degni di menzione: Giovan Francesco Pico del- la Mirandola, Symphorien Champier, Giovanni Mainardi, Geminiano Montanari, Giovanni Calvino, Tommaso Erasto, Andrea Dudith. La crisi dell’a. fu altresì determinata dal venir meno della distinzione fra cielo e Terra verificatasi nel corso dei secc. 16° e 17° e definitivamente compiuta da Newton, che abolì qualsiasi differenza tra mondo celeste e mondo sublunare. Ma la rivoluzione copernicana non soppiantò l’a. che continuò a vivere ben oltre Copernico fino al sec. 18°. Respinta durante il periodo positivista, nel 20° sec. l’a. ha trovato nuova vita in un legame tra segni planetari e archetipi nella teoria junghiana.