ARZ von Straussenburg, Artur
Colonnello generale, capo di Stato maggiore dell'esercito austriaco. Nacque nel 1857 a Nagy Szeben (Hermannstadt, ora Sibiu); era perciò, di nazionalità, un sassone della Transilvania. Studiò legge a Dresda. Dopo l'anno di volontariato, divenne nel 1878 sottotenente di fanteria; fu poi ufficiale di Stato maggiore; generale di brigata nel 1905. Allo scoppio della guerra era tenente feldmaresciallo capo di una sezione (direzione generale) al ministero; fu nominato comandante della 15ª divisione; il 5 settembre 1914 ebbe il comando del VI corpo d'armata, che tenne per circa due anni, segnalandosi per energia, chiarezza di vedute e spirito offensivo. Il 16 agosto 1916, quando la Romania stava per dichiarare la guerra alle potenze centrali, l'A. venne nominato comandante della 1ª armata ricostituita e inviata a difendere la frontiera minacciata dal nuovo nemico; ma le scarse forze poste a sua disposizione lo costrinsero a cedere terreno all'avversario sino all'arrivo della 9ª armata tedesca, comandata dal Falkenhayn, che l'A. secondò nella efficace offensiva per la conquista della Valacchia. Il 2 marzo 1917 il nuovo imperatore Carlo nominò l'A. capo di Stato maggiore dell'esercito, dopo l'esonero del Conrad, il quale non consentiva al giovane imperatore d'ingerirsi, come desiderava, nelle operazioni militari, mentre l'A. - pur non mancando di manifestare il proprio pensiero - si sottometteva in definitiva alla volontà sovrana. Non si immischiò nella politica, non fu geloso quando l'imperatore credette di rivolgersi per consiglio ad altri capi.
L'A. si sforzò di elevare l'istruzione dell'esercito, di migliorarne l'ordinamento; con la sua dirittura e la sua condiscendenza seppe meritarsi la fiducia del comando supremo tedesco ed evitare da parte propria ogni attrito con esso. Come condottiero, aveva idee chiare e giuste e, a differenza di Conrad, conosceva la truppa. Queste sue qualità spiegano i risultati da lui ottenuti come capo di Stato maggiore. Ridotto l'esercito in critiche condizioni dalle ripetute offensive nostre sul Carso e l'Isonzo, l'A. propose come unico rimedio l'offensiva dalla conca di Plezzo-Tolmino per scardinare la fronte italiana, colpendola sul fianco. Egli seppe convincere il Ludendorff, che avrebbe preferito finirla con la Romania, ad aiutarlo contro l'Italia. Durante la 12ª battaglia dell'Isonzo, l'imperatore prese il comando dell'esercito e l'Arz diresse le operazioni. Anche di fronte ai grandi successi, l'A. non perdette il suo equilibrato giudizio, e, più presto di quanto si ritiene, valutò la cresciuta resistenza dell'esercito italiano e ne trasse le conseguenze. Sin dal 1° dicembre 1917, quattro giorni prima cioè che i Franco-Inglesi entrassero in linea, l'A. ordinò l'arresto dell'offensiva. Le operazioni dovevano continuare sugli Altipiani e sul Grappa solo per rettificare le posizioni. Ma, in seguito ai risultati non del tutto soddisfacenti delle operazioni, l'A. il 21 dicembre ordinava: "Non dovranno avere luogo altre azioni per portare innanzi la sistemazione definitiva del Grappa. La posizione definitiva è da scegliersi in modo che le truppe non siano soggette ad inutili perdite. Se per raggiungere gli scopi predetti sia necessario, non si esiti ad arretrare considerevolmente anche su tratti di fronte molto rilevanti." Tale ordine, mentre è un indice della sua giustezza di vedute militari, dimostra quanto sia infondata l'asserzione di autori francesi che fu la brillante azione dei Francesi sul Tomba (30 dicembre) a fermare l'offensiva austro-tedesca.
Le qualità concilianti di A. erano state in complesso di vantaggio nell'offensiva dell'ottobre 1917, riuscendo ad ottenere l'accordo delle forze tedesche con le austriache. Per la battaglia del Piave si verificò il contrario. Spirito equilibrato, egli si proponeva soltanto di costringere gl'Italiani a ripiegare al Brenta, mediante un'offensiva dal Grappa e una dal Piave verso Treviso, con attacchi di fronte limitata, che consentissero di tenere forti riserve. Ma il Conrad, infiammato dai successi tedeschi in Francia, sognava lo sfacelo dell'esercito italiano: il Boroevic voleva giungere sino all'Adige. Tutti vollero sovrapporre i loro progetti a quello primitivo dell'Arz. Il Waldstätten (alter ego dell'A. e uomo di fiducia dell'imperatore) vi aggiunse l'offensiva verso il Tonale, il Conrad quella sugli Altipiani, l'arciduca Giuseppe quella sul Montello, il Boroevic l'azione del Piave. L'A., visto l'entusiasmo generale, di fronte a proposte di capi così provetti, consentì che si attaccasse ovunque. Le riserve però sparirono, e quindi l'offensiva fallì miseramente, perché l'A. non fu più in grado né di riparare l'insuccesso avuto dal Conrad, né di sfruttare il limitato successo iniziale ottenuto sulla fronte del Boroevic. L'opinione pubblica fece comprendere che riteneva, come era difatti, responsabile anche l'Arz, che due volte presentò inutilmente le dimissioni all'imperatore.
L'offensiva di Vittorio Veneto sorprese in complesso l'A., come lo sorpresero tanto lo sfacelo della monarchia, quanto le rivolte dell'esercito, nonché il tentativo fatto all'ultimo momento dal nuovo presidente del consiglio Andrassy di ottenere una pace separata, abbandonando la Germania, pur di salvare la monarchia degli Asburgo. Quando fu necessario firmare l'armistizio di Villa Giusti, che offriva all'Italia la possibilità di attaccare la Germania attraverso il Tirolo, l'imperatore lasciò il comando supremo all'A., ma questi non volle accettare: e il penoso incarico dovette assumerselo il maresciallo Köwess. L'A. però dovette, nell'attesa dell'arrivo del Köwess, ordinare l'accettazione dell'armistizio, a lui ostico specialmente per la clausola sopra citata, tanto più che egli pochi giorni prima aveva assicurato il plenipotenziario militare tedesco della fedeltà dell'Austria, dicendogli che l'Austria non era la Bulgaria e che a Vienna non regnava Ferdinando. Ma d'altra parte la fortunata offensiva italiana aveva reso inevitabile l'accettazione incondizionata dell'armistizio dettato dall'Intesa.
"Testa pratica con sane vedute; splendido soldato, prezioso compagno d'armi", lo definisce il Hindenburg nel suo coscienzoso, equilibrato ottimismo nel giudicare gli uomini: tale elogio ha ben meritato l'A. da parte dei suoi alleati. Ma per la sua natura restia ad affrontare le difficoltà interne che ostacolavano l'azione di comando, l'A., anziché imporre la decisione che stimava necessaria, finì con l'ammettere svantaggiose soluzioni di compromesso. Pubblicò le sue memorie Zur Geschichte des grossen Krieges (Vienna 1924). In esse gli avvenimenti sono esposti con molta obbiettività e vi traspare ovunque la nobiltà dell'animo dell'A. e la sua profonda devozione alla persona del giovane imperatore.