OSIO, Arturo
OSIO, Arturo. – Nacque a Bozzolo (Mantova) il 23 giugno 1890 da Alessandro, maresciallo dei carabinieri, e da Giovanna Giani.
Nel 1897 la morte del padre, a Trezzo d’Adda, lasciò in grandi difficoltà economiche la donna e i suoi tre figli: Elisa (n. 1889), Arturo e Umberto (n. 1891), futuro marito di Antonietta Nogara. La madre si impiegò a Milano: prima presso l’Assicurazione popolare vita e poi (1909) negli uffici incaricati dell’amministrazione dei beni della famiglia del senatore Ferdinando Bocconi.
Vivace e intelligente, Arturo frequentò il collegio Leone XIII fino alla seconda liceo, poi il Manzoni, dove nel 1909 conseguì la maturità con un’ottima media. Grazie a una borsa di studio, fu ammesso al Collegio Ghislieri di Pavia, laureandosi in legge a pieni voti il 21 dicembre 1913; poco dopo pubblicò La consuetudine nel diritto amministrativo (Milano 1915).
Gli esordi professionali, soprattutto consulenze per il mondo delle cooperative, furono contrassegnati da un forte impegno nel sindacalismo cattolico e da studi giuridico-economici nel settore della cooperazione, specie contadina. Dopo la Grande guerra – nella quale, richiamato come soldato semplice, ottenne due medaglie di bronzo al valore e fu congedato con il grado di capitano – si avvicinò alla politica e al Partito popolare, legandosi a don Luigi Sturzo e aderendo alla corrente di Guido Miglioli, leader della sinistra.
L’impegno tra i popolari si concentrò sul problema della terra; al riguardo sostenne sia l’estensione delle affittanze contadine, sia la necessità di una legge che agevolasse il trasferimento dal proprietario al coltivatore diretto dietro semplice richiesta dei lavoratori e non in base a un decreto di esproprio per pubblica utilità, così come proposto da Sturzo. Questa posizione suscitò vivaci contrasti al Congresso del partito di Napoli nel 1920.
Nelle elezioni amministrative del 1922 fu eletto nel Consiglio comunale di Milano; nel 1923 entrò nel direttorio dei sindacati provinciali del commercio e della piccola industria in rappresentanza dei macellai cattolici milanesi, per assumere poi la presidenza della Federazione degli esercenti di Milano. La scelta provocò rimostranze all’interno del partito, da cui Osio decise di uscire nel 1924, dimettendosi anche dalla carica di consigliere comunale. Conobbe allora la giovane Maria Galluzzi, figlia di un tranviere, che, assunta come segretaria nel suo studio, avrebbe sposato il 10 agosto 1929.
Nel 1925 si avvicinò al fascismo. Grazie all’amicizia con Enrico Maria Varenna, presidente della Federazione editori molto legato a Roberto Farinacci, Benito Mussolini lo nominò direttore generale dell’Istituto nazionale di credito per la cooperazione (progenitore della BNL, Banca nazionale del lavoro).
La nomina cadeva in un momento difficilissimo per l’istituto, nato da un’idea di Luigi Luzzatti e realizzato con Giovanni Giolitti nel 1913. L’essere un organismo di sostegno allo sviluppo del movimento cooperativo che utilizzava quasi esclusivamente anticipazioni pubbliche e risconti, ne costituiva la debolezza politica, prima che economica. Con il fascismo al potere, la sua funzione di riferimento per le cooperative ‘rosse’ e ‘bianche’ subì un ridimensionamento tale da portarlo sull’orlo della chiusura. In ragione delle passività accumulate (per impossibilità di recuperare i crediti erogati durante la guerra) e della sua intrinseca ‘pericolosità’ per il regime, nell’intento di liquidare l’istituto Farinacci propose di sostituire Paolo Terruzzi con Osio, che, senza particolari legami con il mondo finanziario e senza benemerenze politiche, appariva come l’uomo adatto. Il Consiglio di amministrazione dell’istituto, al contrario, era convinto che fosse uomo del regime. Osio sorprese tutti per indipendenza intellettuale e operativa, dimostrando sin dalla nomina un’indisponibilità a esercitare una mera funzione di curatore fallimentare e una non comune capacità di adattamento.
Un mese prima dell’ufficializzazione della nomina, il 22 giugno 1925, scriveva a Varenna di aver accettato «volentieri perché la questione è piena di grane», e di volere «rivoltarsi le maniche per ripulire dalle vecchie incrostazioni un ambiente sul quale hanno agito parassitariamente tutte le cricche politiche ed economiche del tempo passato» (Scialoia, 1974, p. 9 n. 6). Con una prassi inconsueta rese pubblici il bilancio del 1925 e le perdite accumulate, nell’obiettivo di farne emergere le cause, chiudere col passato e costringere il governo a pronunciarsi sul futuro. Aveva, infatti, scommesso sul governo.
La politica economica del regime tra 1926 e 1927 schiudeva nuove opportunità per l’istituto e la parziale riforma bancaria del 1926 offriva la formula di Istituto di credito di diritto pubblico (ICDP) per ottenere la gestione dei servizi bancari legati alle attività di enti statali e parastatali. Complice l’estraneità al regime delle due maggiori banche miste, Banca commerciale italiana e Credito italiano, contrarie alla rivalutazione monetaria, il fascismo fu indotto a privilegiare l’istituto guidato da Osio. Questi, a sua volta, assumendo iniziative politicamente delicate e qualificanti – appalto dei servizi finanziari del parastato, della mutualità sociale e delle organizzazioni sindacali in concorrenza con le grandi banche miste – fece in modo di giovare al regime nella delicata congiuntura e di consentire all’istituto un suo specifico spazio di manovra.
Con la trasformazione in Banca nazionale del lavoro e della cooperazione del 19 maggio 1927, Osio pose mano alla riorganizzazione della banca attraverso un’estensione delle operazioni ben al di là dei ristretti ambiti della cooperazione, coinvolgendo enti pubblici e previdenziali e confederazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori.
I successi ottenuti suscitarono le gelosie degli ambienti governativi, dell’alta burocrazia ministeriale e della finanza sempre ostili e inclini a considerare il nuovo direttore generale un corpo estraneo all’élite politico-finanziaria. Ma Osio perseguì con determinazione i suoi obiettivi e continuò ad allargare l’attività verso gli enti pubblici e a erogare credito ad artigianato e piccola industria. Nel 1929, poi, la trasformazione ufficiale in BNL, dichiarata ICDP, aprì la strada a un decennio di espansione, percorsa avvalendosi di una strategia basata su operazioni di salvataggio e/o assorbimento di molte banche cattoliche, a cominciare dalla Banca delle Marche e degli Abruzzi.
Ne derivò una crescente presenza della BNL in molte regioni, con aumento di clientela e depositi, interventi a sostegno di imprese in difficoltà e nuove iniziative in settori diversi: fondiario, piccola e media industria, cinematografia e teatro. In sostanza, Osio aveva compreso che la crisi bancaria degli anni Trenta e l’attuazione di un’economia mista rinsaldavano i legami tra pubblico e privato. La stessa riforma bancaria del 1936, che separava il credito a breve da quello a medio-lungo termine, pur aspramente criticata da Osio perché «troppo influenzata dalla teorica, diciamo così, professorale di Beneduce» (Cianci, 1977, p. 336), offriva alla BNL l’occasione di operare in posizione di forza nel settore del credito speciale attraverso un nuovo modello gestionale dei fondi pubblici: l’abbandono dei contributi a fondo perduto e l’affidamento dei capitali «come fondi di dotazione o di rotazione, a organismi di credito in grado di utilizzarli attraverso sezioni particolari appositamente costituite per l’esercizio del credito speciale» (Castronovo, 2003, p. 357): una soluzione di rilievo nel panorama bancario dell’epoca.
Se il 1936 segnò l’apogeo della banca e gli anni successivi l’espansione internazionale (Eritrea, Spagna, Albania e Africa Orientale Italiana, seguite da uffici di rappresentanza a New York, Buenos Aires, Berlino e Lisbona), le grandi banche miste, il Banco di Napoli, la Banca d’Italia, la Confederazione generale bancaria fascista e l’IRI non perdonarono mai a Osio l’attivismo e le capacità manageriali. La profonda avversione dell’alta banca e le ricorrenti voci di legami con personaggi del mondo degli affari e dell’affarismo non furono infatti estranee alla sua improvvisa sostituzione con Alberto D’Agostino, amministratore delegato della Banca commerciale, decisa da Mussolini il 21 gennaio 1942. Pochi anni prima Osio aveva dato alle stampe lo studio Il fascismo e l’organizzazione del credito (Milano 1939).
Dopo un periodo trascorso in Africa per curare gli interessi di imprese sorte durante il fascismo, l’appoggio di Franco Marinotti lo portò alla presidenza della Banca Scaretti, società per azioni nata nel 1943 (erede dell’antica ditta bancaria privata Scaretti attiva a Roma dal 1840).
Il trapasso di un consistente pacchetto azionario a un nuovo gruppo di soci facenti capo allo stesso Osio, contribuì nel 1948 alla trasformazione di questa in Banca romana di credito agricolo e commerciale, dal 1954 nota semplicemente come Banca romana.
L’impulso all’attività della banca fu certificato da un ampliamento della politica creditizia estesa ad agricoltura, cinematografo, commercio. La forza propulsiva di Osio si andò tuttavia progressivamente attenuando, anche per mancanza di validi collaboratori; nel 1967 la Banca fu assorbita dall’Istituto bancario italiano (poi confluito nella Cassa di risparmio delle provincie lombarde).
Morì a Roma il 3 giugno 1968.
La sua residenza romana, Villa Osio, che si era fatto costruire alla fine degli anni Trenta, fu centro di un sodalizio culturale frequentato da esponenti della cultura, del cinema, della finanza (Leo Longanesi, Roberto Rossellini, Mino Maccari, Ernesto Fassio, Carlo Pesenti, Renato Angiolillo e, sporadicamente, Sturzo). Realizzata nel quartiere Ostiense dall’ingegnere Cesare Pascoletti, progettista delle principali sedi BNL, fu ceduta da Osio alla Snia Viscosa nel 1967, con diritto di abitarla sino alla sua morte, all’indomani della quale la moglie dovette lasciare l’immobile. Negli anni Ottanta passò ad Antonio Nicoletti, personaggio di spicco della malavita romana appartenente alla banda della Magliana che mutò profondamente l’aspetto originario della villa e del giardino (circa 25.000 m2). Dopo un intervento di recupero storico-architettonico dell’intero complesso, promosso dall’amministrazione comunale, la villa è stata riaperta al pubblico nel 2005 ed è oggi sede della Casa del Jazz.
Fonti e Bibl.: La documentazione più copiosa si trova negli archivi della Banca nazionale del lavoro, della Banca d’Italia e nell’Archivio centrale dello Stato di Roma. Sull’uomo e il banchiere: V. De Biasi, A. O. (1890-1958), in Collegio Ghislieri. Pavia. Associazione Alunni, Annuario 1964-1968, Pavia 1969, pp. 141 s.; A. Scialoia, Protagonisti dell’intervento pubblico: A. O., in Economia pubblica, 1974, 11-12, pp. 7-15; E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Milano 1977, pp. 71, 335 s.; V. Castronovo, Alle origini della Banca nazionale del lavoro, in Dall’Istituto nazionale di credito per la cooperazione alla nascita della Banca 1913-1929, I, a cura di M.R. Ostuni, Firenze-Roma 1997, ad ind.; G. Toniolo, L’affermazione della Banca nazionale del lavoro durante la grande crisi, in La crescita di una banca di Stato durante la grande crisi 1929-1936, II, a cura di M.R. Ostuni, Firenze-Roma 1998, ad ind.; V. Castronovo, Storia di una banca: la Banca nazionale del lavoro e lo sviluppo economico italiano 1913-1983, Torino 2003, passim. Sulla casa di villeggiatura di famiglia a Calagrande nell’Argentario – una sorta di appendice della residenza romana – il ricordo del nipote Bernardino, figlio di Umberto Osio, Calagrande, ovvero degli Hortuli Hosiani, Firenze 2011.