LORIA, Arturo
Nacque a Carpi il 17 nov. 1902 da Aristide e da Antonietta Righi, quarto di otto figli.
Il padre, israelita, nato a Modena, brillante e ambizioso, era un industriale trasferitosi a Carpi per impiantarvi una manifattura di lavorazione del truciolo per cappelli di paglia; la madre, carpigiana, donna semplice, cattolica osservante, non impose, tuttavia, ai figli il rispetto delle regole confessionali. La biografia del L. fu per larga parte strettamente intrecciata con le vicende della sua numerosa famiglia, che la personalità del patriarca Aristide tenne saldamente unita.
Da bambino, il L. fu colpito dalla poliomielite, che lo lasciò claudicante e costituì un doloroso nodo nella sua vita ("Siamo cresciuti, Cinisca, e nel crescere io ho incontrato la malattia", scrive in Endymione, Firenze 1947). Nel 1911, il padre spostò i suoi commerci a Firenze, trasferendovi l'azienda e aggiungendo alla manifattura del truciolo anche quella della paglia e del feltro; il L. seguì la famiglia, ma ebbe sempre un sentimento di nostalgica tenerezza per i suoi primi anni emiliani: "vorrei ritornare bambino per ritrovare e godere l'impressione profonda che mi facevano allora le cose" (lettera a Nerina Edenberg, Pisa, 8 luglio 1923: Firenze, Gabinetto Vieusseux, Fondo Arturo Loria). A Firenze frequentò il regio liceo Galileo Galilei, dove compì i suoi studi in maniera diligente ma non brillante, diplomandosi il 14 luglio 1921.
La prosperità economica e il consolidarsi della fortuna del padre industriale permisero al giovane L. di coltivare i propri interessi, come lo studio del pianoforte e l'attività sportiva, nonché di frequentare le famiglie della ricca borghesia toscana mentre intrecciava le prime relazioni sentimentali. Furono gli anni delle intense letture dei classici della letteratura francese, spagnola e tedesca, della scoperta di E.A. Poe, di F.M. Dostoevskij e di F. Nietzsche, ma anche delle prime prove letterarie, rimaste inedite.
Dopo le vacanze a Forte dei Marmi, nell'autunno 1921 il L. si stabilì a Pisa dove, per volontà del padre, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Negli anni pisani, cominciò a scrivere novelle e racconti che avrebbero più tardi trovato definitiva sistemazione nelle sue tre raccolte edite fra il 1928 e il '32 (Il cieco e la bellona, Firenze 1928; Fannias Ventosca, Torino 1929; La scuola di ballo, Firenze 1932). In questo periodo nacque anche l'idea portante delle Memorie inutili, nucleo fondante di un futuro romanzo mai completato (poi, parzialmente, in Argomenti, I [1941], nn. 3-8).
Nel 1923 era cominciata pure la corrispondenza con una giovane di origine russa conosciuta a Firenze, Nerina Edenberg (57 lettere, scritte da Pisa, da Forte dei Marmi e da Firenze dal 14 febbr. 1923 al 14 maggio 1926, sono nel Fondo Arturo Loria), che contiene numerose e significative riflessioni sull'arte e sulla scrittura.
Filo conduttore di questo carteggio, insieme con il tema amoroso più o meno esplicito, è quello dell'autocoscienza poetica e del sacrificio imposto dall'arte: "La mia vita di scrittore è all'inizio. Sento una forza nuova nascere in me: mi scopro una prontezza che io non sospettavo e che darebbe bellissimi frutti qualora io possedessi il dono magnifico della calma interiore" (Forte dei Marmi, 30 luglio 1925). Malgrado la continua tensione emotiva e affettiva in cui lo tenne l'amore per Nerina, dal punto di vista artistico furono questi per il L. anni operosi e produttivi.
Con l'istituzione a Firenze della facoltà di giurisprudenza nell'anno accademico 1924-25, il L. rientrò in famiglia per concludere gli studi universitari. Ben determinato a proposito del suo futuro ma rispettoso dei doveri familiari, dopo aver conseguito la laurea il 28 genn. 1926, accettò di iniziare il tirocinio in uno studio legale a Firenze, pur continuando la sua silente e appartata attività letteraria. Frutto di tale diuturna operosità furono i primi racconti pubblicati in riviste e giornali toscani, fra cui spicca Il diavolo zoppo, apparso in Solaria (I [1926], 11, pp. 35-44), che inaugurò la sua duratura collaborazione con la rivista fiorentina di A. Carocci. Seguirono, nel 1927, altri racconti: La tromba; La lezione d'anatomia; L'appuntamento; Il registro.
In queste prime prove narrative il L., pur partendo da una problematica psicologica, costruisce un intreccio, un centro narrativo e descrittivo che ha contribuito, in sede critica, ad attribuire alle sue storie il paradigma di "picaresco". Egli trasferisce in una vicenda emblematica e avventurosa di derelitti o di esistenze al margine della vita sociale il rovello di una verità da mostrare per poterla condividere: quella della malattia e della solitudine. I picari loriani sono creature innocenti che scontano la propria innocenza come una colpa in un mondo perverso che li ha obbligati a una vita di bassifondi e di mendicità, di inganni e di afflizione. Isolati, ciascuno nemico dell'altrui disperazione, i personaggi del L. esprimono tutti una patetica ricerca di evasione dalla violenza del mondo.
Il L. venne in contatto con l'ambiente culturale vivo e fecondo che ruotava intorno a Solaria, trovando soprattutto in A. Bonsanti, G. Colacicchi e R. Papi amicizie che lo avrebbero accompagnato nel corso dell'intera esistenza. Nel giro dei solariani, che si incontravano al caffè delle Giubbe rosse, il L. poté conoscere, tra gli altri, anche E. Montale e lo scrittore olandese A. van Schendel, delle cui opere era appassionato lettore. Nel marzo 1928, per le edizioni della rivista uscì il già citato volume Il cieco e la bellona, dedicato alla famiglia, che raccoglie le novelle apparse in Solaria, e che ottenne un buon riscontro di pubblico e di critica, con recensioni di Montale, E. Cecchi, R. Franchi.
Nel corso dello stesso anno, pur avendo accettato qualche incarico nella fabbrica familiare di feltri, divenuta ormai una grande industria con sede a Montevarchi, il L. partì per un viaggio in Grecia al seguito di una compagnia teatrale, invaghito di una attrice. Seguì un soggiorno a Parigi, dove frequentò gli ambienti letterari e gli studi dei pittori (G. De Chirico, F. De Pisis) e dove conobbe una pittrice polacca di cui si innamorò, Polia, motivo dei suoi frequenti soggiorni nella capitale francese nei tre anni successivi. Al ritorno dal primo viaggio, il L. scrisse alcuni dei suoi racconti più famosi, Il falco (in Solaria, IV [1929], 1, pp. 3-11), Le sirene (ibid., 7-8, pp. 3-32) e Racconto d'inverno (Pegaso, I [1929], 10, pp. 423-436; 11, pp. 575-589), poi riediti nella raccolta Fannias Ventosca, dedicata a Polia. Tra Firenze e Parigi, cominciò anche a lavorare alla sua terza raccolta, La scuola di ballo, ancora dedicata a Polia, nel frattempo ammalatasi di una tubercolosi di cui doveva morire nel 1933.
In quest'ultimo volume, la figura del picaro scompare. Il mondo dei personaggi loriani si incupisce di pari passo con l'incupirsi del mondo intorno allo scrittore; nelle loro storie, in cui il viaggio è rappresentazione della condizione umana, prendono il sopravvento la solitudine e l'immobilità, fino a quella estrema della morte. La solitudine dell'artista cambia dimensione, diviene uno stato d'animo paralizzante: la padrona della scuola di ballo, circondata da sconfitti dormienti, affronta la morte "con le più tremende paure dell'attesa". Nell'Italia letteraria P. Pancrazi, lodando l'opera, parlò apertamente di "pessimismo ebraico": l'ingiustizia, l'isolamento, l'umiliazione, l'irreparabilità del limite, la rovina, l'incognita della morte che attendono le creature sconfitte, sono considerati temi di matrice ebraica.
Nel 1933 il premio Fracchia di 5000 lire, promosso dall'Italia letteraria, attribuito al suo ultimo lavoro segnò per il L. l'apice del successo, sottraendo il libro all'area del dibattito e consegnandolo al plauso e all'entusiasmo della critica.
Per i racconti del L. si fecero i nomi di A. Gide, J. Cocteau, di E.A. Poe, si richiamarono le atmosfere pittoriche di G. Tiepolo, J. Callot e F. Goya; nel numero del 12 febbr. 1933, l'Italia letteraria dedicò al L. tre pagine aperte da un articolo di Montale e chiuse dalla pubblicazione di Serra, uno dei racconti del libro premiato.
Sull'onda di questa consacrazione, il L. venne invitato da D. Bigongiari, docente di filologia romanza alla Columbia University di New York, a tenere per un semestre un corso alla Casa Italiana della Columbia, diretta da G. Prezzolini, dal L. conosciuto anni prima a Parigi. Il L. giunse a New York il 29 nov. 1933, cominciando durante il soggiorno americano la stesura di un diario di viaggio, che andò a inserirsi nella struttura del Diario senile del personaggio autobiografico Alfredo Tittamanti, iniziato il 6 marzo 1933 e progettato come parte finale delle Memorie inutili, in cui il L. annotò impressioni, nostalgie e rimpianti personali.
Rientrato in Italia il 2 giugno 1934, il L. trovò la situazione politico-sociale del Paese molto cambiata: il regime aveva stretto le maglie della censura e anche Solaria incontrava difficoltà che un anno dopo portarono alla sospensione delle pubblicazioni. Il L., invitato in numerose città per parlare dell'esperienza americana, cominciò a collaborare con la rivista Letteratura, fondata dall'amico Bonsanti, con dieci brani dal titolo Dal "Diario senile" di Antonio Tittamanti (II [1938], 4, pp. 47-52).
Nel novembre 1938, l'attuazione delle leggi razziali costituì un duro colpo per la famiglia Loria, fortemente limitata sia nell'attività commerciale sia nelle proprietà, e successivamente costretta a una vera e propria diaspora: abbandonata la villa Il Pellegrino, a Trespiano, dove i Loria abitavano dal 1925 e dove il L. aveva un proprio appartamento indipendente, il padre Aristide con la madre e il fratello Ruggero trovarono rifugio a Montevarchi, la sorella Milena con la sua famiglia riparò in Svizzera, l'altra sorella Sara a Milano, il fratello Achille si stabilì a New York. In questi frangenti, il 23 marzo 1939, il L., all'insaputa della famiglia e degli amici, scelse di battezzarsi nella cattedrale di San Miniato presso Pisa e il 17 agosto dello stesso anno ricevette la cresima.
A tale passo il L. era giunto per solitudine e attraverso un lungo e sofferto dialogo interiore ("Ho la religione di credere che un giorno ne avrò una", scrisse in Ancora per il "Diario", Fondo Arturo Loria, 23 sett. 1938, inedito). Per non essere frainteso, perché quella conversione tanto a lungo meditata non apparisse un opportunistico espediente, egli tacque con tutti sulla sua conquista della fede, mentre affidava le sue riflessioni alle Memorie e al Diario.
In questa atmosfera di insostenibile rovina, durante i primi mesi del 1941, mentre imperversava la guerra, il L. cominciò a lavorare all'ambizioso progetto di una tetralogia drammatica, di cui scrisse però soltanto la parte finale, il dramma satiresco Endymione (dapprima uscito a puntate in Letteratura, VII [1943], nn. 1 e 2, con lo pseudonimo di Lorenzo Valla, e ibid., 1946, n. 1; poi, nel citato volume del 1947).
Lo scrittore vi ripropone, con perfezione stilistica e solennità drammatica, la favola classica dell'eroe Endymione, proponendo gli aspetti lunari e femminili del mito come portatori di un nuovo umanesimo, cresciuto sulle rovine della civiltà.
A guerra finita la fabbrica dei Loria, pur devastata dalle bombe e depredata dei macchinari, riprese la produzione, mentre la famiglia ritornò alla villa ancora per metà occupata dai soldati statunitensi. Invitato da R. Ramat, il L. iniziò una stagione di militanza politica iscrivendosi al Partito d'azione dove si occupò dei programmi culturali; fu quindi, con Montale e Bonsanti, fondatore e condirettore del settimanale fiorentino Il Mondo (1945-47). Negli anni Cinquanta, incrementò l'attività di operatore culturale, viaggiando molto, tenendo conferenze pubbliche in Italia, Svizzera, Gran Bretagna, in particolare sulla letteratura americana dell'Ottocento. Nel 1952 si trasferì a Parigi per un incarico annuale presso la United Nations educational, scientific and cultural organization (UNESCO).
Questi furono, tuttavia, per il L. anche anni di grandi tristezze a causa dei problemi relativi alla fabbrica di Montevarchi, che si avviava al fallimento, alla villa di famiglia, abbandonata dai fratelli, e per la morte, a breve distanza, della madre (1948) e del padre (1951).
Nel dicembre del 1952, su invito dell'allora direttore M. Missiroli, il L. iniziò a collaborare con il Corriere della sera, e alla RAI (Radio audizioni Italia) con una serie di copioni teatrali. Tra il 1952 e il 1954 lavorò alla traduzione degli scritti d'arte di B. Berenson e alla composizione delle poesie del Bestiario, rimaste inedite (Bonsanti ne curò l'edizione postuma, Milano 1959). Nel 1957, aveva raccolto in volume Settanta favole (Firenze), ironiche riflessioni sul presente già apparse nel Corriere della sera. Nel frattempo proseguiva la sua intensa attività di conferenziere.
Il L. morì a Firenze il 15 febbr. 1957.
Fra le opere del L., oltre a quelle già citate: Firenze dalle Giubbe Rosse all'Antico Fattore, con pagine dall'inedito Giornale di bordo di Arturo Loria, a cura di M. Vannucci, Firenze 1973, pp. 107-156; Lettere a Solaria, a cura di G. Manacorda, Roma 1979 (con 23 lettere del L.); Memorie di fatti inventati. Racconti editi e inediti, a cura di F. Celli Olivagnoli, Firenze 1989. Poco dopo la morte del L. la ristampa delle opere edite è stata curata da A. Bonsanti per la collana "Narratori italiani" della Mondadori (Milano): Il cieco e la Bellona, prefaz. di A. Bonsanti, 1959; Il compagno dormente, prefaz. di G. Ferrata, 1960; Fannias Ventosca, 1961; La scuola di ballo, 1962. M. David ha tradotto e curato, per le Éditions Desjonquères di Parigi, varie antologie dei racconti del L.: Les sirènes, 1986; Le spectacle, 1988; La muse, 1988. Negli ultimi anni sono uscite le ristampe: Fannias Ventosca, prefaz. di L. Baldacci, Firenze 1997; Il compagno dormente, prefaz. di L. Baldacci, ibid. 1998.
Per notizie sul Fondo Arturo Loria (Firenze, Gabinetto Vieusseux), dove sono conservati inediti ed epistolari del L. si veda A. L. mostra di documenti (catal.), a cura di M. Marchi, Casalecchio di Reno 1992. Per gli scritti editi apparsi in rivista o inclusi in sillogi e in varie pubblicazioni, e documenti rari, con il catalogo degli inediti, si vedano gli Apparati bibliografici in F. Celli Olivagnoli, Avventure personali. Biografia di A. L. attraverso gli scritti, Firenze 1990, pp. 199-222.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia critica fino al 1998 si rimanda a N. Mainardi, Il caso L.: storia e antologia della critica, con introd. di M. Marchi, Firenze 1998. Vedi pure: L'opera di A. L. Atti del Convegno, Firenze( 1991, a cura di R. Guerricchio, Impruneta 1993; La zona dolente. Studi su A. L., a cura di M. Marchi, Firenze 1996; E. Pellegrini, La riserva ebraica. Il mondo fantastico di A. L., Reggio Emilia 1999; M. Marchi, Bestie edite e inedite di A. L., in Bestiari del Novecento, a cura di E. Biagini - A. Nozzoli, Roma 2001 [ma 2000], pp. 213-239.