Vedi ORIENTALIZZANTE, Arte dell'anno: 1963 - 1996
ORIENTALIZZANTE, Arte
1. Definizione. - Con questa denominazione si indica il periodo dell'arte greca, che segue quello geometrico ed è caratterizzato da una fortissima influenza orientale, evidente nella moltitudine degli oggetti importati dall'Oriente e poi localmente imitati e nei motivi orientali che penetrano in ogni manifestazione dell'arte greca dalla toreutica alla ceramica.
Si parla di arte o. non solo per la Grecia continentale e per le isole, ma anche per le colonie greche d'Italia, per l'Etruria, la valle Padana, la zona atestina e picena. Il fenomeno invece non riguarda l'Egitto né la Spagna. In Francia Massalia ne risente solo per l'importazione di pochi vasi.
Soprattutto l'arte o. è importante in Grecia, dove fu conseguenza delle iniziative commerciali iniziatesi già nel IX sec. a. C., della ricchezza che ne risultò e dello sviluppo coloniale e dove si unì e si intrecciò al sorgere della città-stato.
La nascita in Grecia della città-stato, che nella sua essenza costitutiva è una creazione prettamente originale, ha poi portato al sorgere della architettura e della grande scultura, necessarie per costruire e adornare quelli che sono i nuclei vitali della pòlis: l'agorà, cioè il mercato e il luogo di raccolta dei cittadini di pieno diritto, e l'acropoli, cioè il luogo di culto degli dèi.
In questo periodo di travaglio vitale per la Grecia è particolarmente importante quindi distinguere ciò che la Grecia prende dall'Oriente e rendersi ben conto dove arrivi l'apporto orientale e dove inizî la creazione greca.
Il periodo orientalizzante comprende in Grecia all'incirca il VII sec. a. C., ma bisogna distinguere a seconda dei varî centri. Gli inizî si devono cercare nelle città marinare, che avevano maggiori possibilità di contatti commerciali con la costa asiatica. Per alcuni studiosi gli inizî dell'arte o. sono da cercarsi a Corinto (Payne, R. M. Cook e altri) per altri a Creta (Loewy, Levi, Demargue). L'arte o. non ebbe inizio contemporaneamente nei paesi in cui si diffuse, né terminò nello stesso tempo. A Corinto in base alla ceramica si è posto l'inizio del periodo da alcuni all'800 a. C. (Johansen) da altri al 750 (Payne, Kraiker) da altri ancora al 725 a. C. (Weinberg, R. M. Cook); in Attica c'è ugualmente una oscillazione di date, dal 710 a. C. (Cook, Beazley) al terzo venticinquennio dell'VIII sec. a. C. (Kübler) e a dopo il 700 a. C. (Young).
In altri centri l'inizio dell'arte o. è certamente posteriore, ed è difficile dire di quanto. In Beozia, in Laconia ecc., si calcola in base allo stile, ma non è probabilmente anteriore al 700 a. C. La ceramica rodia incomincia anche essa assai tardi, verso la metà del VII sec. a. C. Anche la fine dello stile subisce le medesime oscillazioni: a Corinto continua fino alla metà del VI sec. a. C., in Attica fino all'ultimo venticinquennio del VII a. C., quando incomincia la tecnica a figure nere, ma i motivi del fregio animale orientalizzante continuano nei vasi in zone secondarie per tutto il VI sec. a. C.
In Etruria i motivi orientalizzanti continuano fino alla fine del VI, ad Este, regione alpina, fino al IV sec. a. C. Inoltre alcuni motivi presi dallo Oriente continuarono per tutta l'arte antica (per esempio la lotta tra fiere e animale domestico).
2. Le colonie egee e le vie commerciali del Mediterraneo. - Il primo problema che si presenta è quello di chiarire donde e come siano giunte le importazioni orientali in Grecia. Varie vie furono proposte che rispecchiano gli interessi dei singoli studiosi. A questo proposito si possono distinguere due fattori importanti, che hanno avuto luogo nel corso tra il X e l'VIII sec. a. C., quello della colonizzazione ionica nei paesi dell'Asia Anteriore e quello dei commerci fenici.
Nell'Odissea si rievoca la duplice esperienza della colonizzazione argonautica sul Mar Nero e della colonizzazione nell'Occidente. La figura di Ulisse adombra l'ansia di scoperta che aveva fatto dei Greci i navigatori del Mar Nero e del Mediterraneo.
Le colonie ioniche dell'Asia Minore vengono a contatto con la cultura orientale e pertanto c'è chi ha attribuito alla Ionia (Hogarth) la funzione di mediatrice tra l'Oriente e l'Occidente. Si è pertanto supposto (Hogarth, Karo e altri) e si suppone ancora oggi (Barnett ecc.), anche se non si considera più come la via commerciale più importante, che le mercanzie e le idee orientali raggiungessero le colonie greche della costa attraverso l'Anatolia e poi tramite Mileto, Samo, Chio e Clazomene si volgessero alla Grecia.
Inoltre una ricca tradizione che va da Omero ad Erodoto dimostra l'esistenza del commercio fenicio con Atene. Quando i poemi omerici trattano di oggetti fenici ne parlano come di oggetti particolarmente preziosi e raffinati.
L'importanza della navigazione fenicia, esagerata dagli storici del 1600 (Bochart) è stata ridimensionata nel 1800 (Beloch). Anche ai Fenici si è pensato come a degli intermediari che hanno fatto conoscere l'Oriente alla Grecia e all'Etruria (Poulsen, Karo, Carpenter). Recentemente però si è sottovalutata l'importanza dei Fenici (Pareti). Tuttavia se i Greci almeno nel IX sec. hanno adottato l'alfabeto fenicio, ciò non si può spiegare senza l'ipotesi di un intenso rapporto commerciale tra Grecia e Fenicia.
Certo è strano non aver trovato in Grecia nessuno stanziamento fenicio, mentre alla foce dell'Oronte ad al-Mina, nel cuore della Fenicia e, più tardi, a Tell Sukas troviamo insediamenti greci. L'emporio greco di al-Mina segna certo un vitale nodo commerciale, almeno fino dalla metà dell'VIII sec., perché ad al-Mina sboccava una delle vie più facilmente transitabili che dalla Mesopotamia portavano al mare, passando lungo l'Eufrate e toccando Babilonia e Karkemish. Da al-Mina ci sarebbe stata una doppia possibilità per cui le merci potevano passare attraverso i porti fenici oppure tramite la Cilicia, Cipro, Rodi, Creta, Thera arrivare in Grecia (Smith, Payne, Maxwell-Hyslop, Akurgal). Questa rotta fu quella più usata, le influenze orientali in Grecia sono soprattutto cipro-levantine con scambi di ceramica, di terrecotte, di bronzi ciprioti e fenici tra le coste della Siria, Cipro, Rodi, Samo, Mileto, Chio, Delo e l'Occidente.
In questa stessa rotta commerciale (Payne, Kunze, Johansen) si sottolineò l'importanza dei rapporti tra Creta e Corinto per ciò che riguardava l'introduzione dei motivi orientali: per altri (Brock, Boardmann, ecc.) la mediazione di Creta non sembra aver avuto una importanza determinante sullo sviluppo artistico di Corinto.
Le isole hanno segnato brevi tappe commerciali di un viaggio che aveva per meta la Grecia, ma non ci meravigliamo nel constatare che le importazioni orientali hanno fatto nascere la nuova arte o. prima nella Grecia propria, a Corinto e ad Atene, e poi nelle isole che rimangono provincialmente attaccate al geometrico, forse perché non hanno la forte tradizione artistica di Corinto e di Atene.
Alla via delle colonie greche e a quella di al-Mina si aggiunge una terza via, quella di N-O, attiva nell'VIlI sec. a. C. e al principio del VII, che metterebbe in comunicazione l'Elam e forse anche Babilonia, attraverso la via del lago Urmia nella valle di Aras con l'Urartu. Quando nella metà dell'VIII sec. Menua, re di Urartu, si volge a N-O e conquista la Colchide la via attraverso Mannae si collega con quella che passa da Erzerum e porta al Mar Nero nei pressi di Trebisonda (Barnett, Pallottino). Per un po' nell'VIII sec. gli Urartei, approfittando della debolezza assira, riescono a tenere anche la via di al-Mina.
È stato messo in relazione il cambiamento dello stile protocorinzio nel corinzio e il mutamento dello stile rodio verso il 630 a. C. (Barnett), con la distruzione di Susa da parte di Assurbanipal, in quanto essa avrebbe come conseguenza l'interruzione del passaggio di N-O che dalla Armenia portava al Mar Nero. Certo la distruzione di Susa ha alterato la situazione politica e ciò ha senza dubbio portato a degli spostamenti e a delle variazioni anche nel sensibile campo dei traffici e dei rapporti commerciali.
L'influenza assira, che si avverte nell'arte greca specialmente dopo il 630 a. C., penetra in Grecia attraverso la Siria, cioè per la via di al-Mina.
Una via che avrebbe fatto centro a Troia, suggerita per l'età della guerra di Troia, ma ammessa da alcuni per l'età successiva, sembra doversi escludere (Page).
3. Motivi e schemi decorativi. - I motivi del nuovo repertorio che gradualmente soppiantano quelli geometrici consistono in trecce, raggi, particolarmente in motivi fitomorfi come rosette, palmette, fiori di loto, volute, e zoomorfi con animali reali e fantastici. Prevalgono le lunghe file di animali che hanno prototipi in Oriente, ma che non sono asserviti all'arte orientale e non ne costituiscono in Grecia un ramo, ma formano uno stile originale. Lo stile orientalizzante greco è ellenico come lo è il geometrico. Il processo di assimilazione e l'originalità variano a seconda delle località in cui l'arte o. si è sviluppata, producendo fenomeni simili, ma non uguali. Soprattutto nella ceramica motivi e ispirazioni straniere sono ben individuabili e permettono di riconoscere varî stili locali.
4. Pittura. - Si è supposta l'esistenza di megalografie nelle varie città, basandosi sulle caratteristiche particolari di alcune composizioni e di certi stili della ceramica come lo stile policromo a Corinto (v. protocorinzi, vasi) specialmente riguardo all'aröballos Mac Millan e all'Òlpe Chigi; il frammento con l'accecamento di Polifemo proveniente da Argo (Robertson), le grandi composizioni protoattiche. La tradizione antica ha tramandato alcuni nomi di pittori, forse attribuibili al VII sec. a. C. come Ekphantos, che il Benson mette in rapporto con alcuni vasi protocorinzi (v. ekphantos, pittore di).
Le sole grandi pitture conservate sono le metope dipinte dal tempio di Thermos in Etolia, con soggetti mitologici; i caratteri delle iscrizioni mostrano che appartengono all'arte corinzia. I frammenti simili del vicino tempio di Kalydon sono troppo piccoli per permettere un giudizio; si può solo notare che era usata la policromia. A differenza della contemporanea pittura vascolare non fu usata l'incisione; le metope sono infatti a linea di contorno. Le figure robuste, le dimensioni mostrano che sono già vicine al senso del volume e alla monumentalità dei koùroi arcaici.
La nostra cognizione della pittura deriva dalla ceramica, nella quale si può seguire la penetrazione graduale dei nuovi motivi, il loro sviluppo e le loro trasformazioni ed infine il passaggio all'arte arcaica. Questo sviluppo è chiaro e conseguente a Corinto e in Attica, cioè nei centri in cui esisteva già una formazione ed una tradizione artistica, dove ha dato origine ad una produzione brillante e caratteristica, di alta qualità artistica, che ha un posto proprio nella storia della ceramica greca (v. protoattici, vasi; protocorinzi, vasi). La produzione ceramica ha minore importanza, perché meno originale e più scadente, nel resto del Mediterraneo.
Solo queste regioni secondarie vengono qui trattate brevemente.
a) Cicladi. - Quasi contemporaneo a quello attico deve essere stato il sorgere dell'arte o. nelle Cicladi. La ceramica cicladica, come tutta quella orientale, usa l'ingubbiatura chiara e le figure a linea di contorno dipinte con una vernice marrone scura.
Il passaggio dalla fase geometrica a quella orientalizzante è chiaro per Nasso, più incerto per Paro e quasi oscuro per Milo.
Se osserviamo la produzione nassia vediamo che i primi vasi si riallacciano al tipo di anfora slanciata con decorazione geometrica.
Una differenza notevole divide la serie nassia da quella paria: alla forma allungata, estremamente snella e slanciata dell'anfora "araldica" nassia fa riscontro nella serie attribuita a Paro un'anfora estremamente panciuta, dalla base tronco-conica. A questa diversità di forma corrisponde una analoga diversità nella distribuzione della decorazione; infatti nonostante il comune carattere lineare, la decorazione nassia è disposta in metope allungate in senso verticale con, nel riquadro centrale, per lo più animali rampanti, mentre la decorazione paria si distende in metope disposte in senso orizzontale.
L'elemento vegetale che irrompe liberamente nei vasi protoattici qui è estremamente stilizzato e sempre composto, quasi costretto in un riquadro. Alle classi esaminate si aggiunge quella detta di Sifno, che ha un carattere eminentemente sub-geometrico, anche se probabilmente è più recente di quanto farebbe supporre una prima impressione.
In quanto ai motivi notiamo a Nasso una maggiore aderenza a schemi orientali: la sfinge col diadema in testa ed una specie di grembiule tra le zampe, che terminano in zoccoli, particolare che si ritrova in un avorio del santuario di Artemide Orthìa a Sparta, leoni e capre rampanti in schema araldico, cavalli alati. A Paro non troviamo invece animali fantastici o rampanti, ma una serie bellissima di uccelli in volo e poi leoni, cerbiatti, cavalli. Gli uccelli in volo ricordano, nella disposizione delle ali, prototipi orientali ed alcuni trovano un diretto confronto in simili esemplari nella ceramica frigia.
Nei vasi nassi notiamo ad un certo momento un cambiamento: si tentano vasi di maggiore importanza e si imita la forma delle anfore e delle idrie melie di proporzioni minori. Si avverte da ciò che la fabbrica melia incomincia a far sentire la propria concorrenza nell'ambito delle Cicladi.
A questo punto Nasso all'antico repertorio decorativo aggiunge anche scene narrative: Afrodite e Ares su un carro tirato da cavalli alati, Teti che dà le armi ad Achille, il bellissimo piatto, trovato a Thasos, con Bellerofonte e la chimera. Anche Paro, che ha seguito passo passo la stessa evoluzione di Nasso, sente il peso della concorrenza melia; negli ultimi vasi delle due fabbriche compaiono protomi femminili e maschili riprese da Milo; ormai le due isole cedono il posto a Milo.
La produzione melia di carattere meno impegnativo che si affianca alle grandi anfore funerarie è lontana dai vasi di Paro e di Nasso, che hanno una maggiore finezza non solo dal punto di vista disegnativo, ma anche dal punto di vista tecnico, per l'ingubbiatura più compatta e la vernice più lucente. I motivi della spirale e delle protomi umane servono a dare unità all'intera serie melia.
La spirale e la doppia spirale unita con la palmetta e con il fiore di loto forma un intreccio massiccio, che si avvolge intorno al corpo del vaso costituendo il principale ornamento. La pennellata larga, densa, a macchia, aggiunge pesantezza e corporeità all'insieme.
La fabbrica melia deve aver avuto ad un certo momento un deciso impulso che le ha permesso di imporsi nell'ambito delle Cicladi, tuttavia nella sua produzione minore è possibile avvertire uno sviluppo interno, anche se rapido. Nelle rappresentazioni degli animali figurano anche scene di lotta, estranee al normale repertorio cicladico ove si ha maggiore interesse per il senso decorativo che per l'azione. Nelle bellissime protomi di animali, che attribuiamo alla serie paria, la linea è morbida e fluente e tende ad ottenere un'armonia nell'insieme più che a suggerire la forza latente dell'animale. Anche in questo la ceramica cicladica va d'accordo con il Vicino Oriente.
Negli scudi di Toprakkale, influenzati dall'arte assira, troviamo leoni che camminano tranquilli, completamente privi di forza e di ferocia, senza essere impegnati in alcuna azione. Non valgono le fauci spalancate, la lingua fuori della bocca, le grinze che si disegnano sul muso a spaventare né negli esemplari orientali né nella ceramica cicladica.
Nelle scene, in verità piuttosto rare e isolate, in cui troviamo animali impegnati nella lotta, possiamo pensare invece ad una influenza di prototipi attici, come nel leone che addenta un cerbiatto sulla brocca paria a testa di grifone, oppure ad una influenza di prototipi corinzî come nelle rappresentazioni melie che vedono impegnati tori e leoni con cinghiali, o tori e leoni affrontati fra di loro. L'influenza corinzia è d'altra parte evidente nei vasi più tardi della serie melia come nell'anfora di Eracle. Ai colori che si fanno più numerosi, alle rosette che si moltiplicano si aggiunge anche l'uso della incisione, che sostituisce le linee bianche in uso per i particolari interni.
Negli ultimi vasi meli corintizzanti si nota il decadere dello stile melio e la fabbrica melia finirà verso la fine del VII sec., sopraffatta dall'esportazione corinzia.
La ceramica melia in particolare ed anche altre fabbriche cicladiche, che per ora ci resta difficile identificare, hanno imitato lo stile rodiota. D'altra parte a Rodi nello stile di Euphorbos compaiono all'improvviso motivi spiraliformi di tipo melio (Kardara) che fanno pensare come anche Rodi abbia ripreso qualcosa da Milo. Una sessantina di ornamenti meli hanno riscontro anche in Attica, pur se nessuno è identico al prototipo melio, ma sono tutti leggermente modificati dal gusto attico (Kardara).
b) Eretria. - Una classe ceramica, in stretta dipendenza dalle Cicladi, è quella di Eretria. La grande anfora di Eretria, dall'alto collo cilindrico, la pancia ovoide, l'alto piede conico è vicina alle anfore di Thera, attribuite a Paro. La pesantezza dell'anfora di Eretria dimostra che essa ha voluto imitare la forma paria, anche se non è riuscita a raggiungerne l'eleganza e la tensione della forma. Le anfore parie sono del periodo orientalizzante mentre quelle di Eretria ripetono ancora motivi geometrici, ciò che dimostra il loro attardamento.
Anche molti dei motivi decorativi sono ripresi dalla serie paria, quali le linee serpentine riunite a gruppi, usate specialmente per riempire le zone del collo. I motivi sono però affollati, non hanno la misura di quelli pari. Quando incomincia ad accogliere motivi orientalizzanti l'anfora di Eretria verrà decorata con maggiore cura da un lato, e il lato posteriore verrà decorato solo con dei lacci, che ricordano la decorazione della parte posteriore delle anfore araldiche nassie.
Negli ultimi esemplari sub-geometrici si inizia l'uso del rosso e del bianco. In bianco vengono pure fatte le linee sottili che servono per rendere il dettaglio secondo un uso che si trova nel protoattico e a Milo.
c) Samo, Rodi, Chio e alcune città ioniche. - L'inizio dell'arte o. vera e propria, che si manifesta in queste regioni, con lo stile detto rodio dagli archeologi italiani, o milesio o rodio-milesio, e detto delle capre selvatiche dagli inglesi, è posto da alcuni (R. M. Cook) alla metà del VII sec. a. C. e da altri (Johansen) nel secondo venticinquennio del VII a. C. Queste due datazioni si possono però conciliare considerando il secondo venticinquennio del VII sec. a. C. come il periodo di trapasso dalle forme geometriche a quelle orientalizzanti. Questo periodo di passaggio non si avverte però a Rodi, ove notiamo solo il prolungarsi dei vasi di tradizione geometrica come le coppe decorate con figure di uccelli, incorniciate da motivi geometrici. A Samo, invece, ove è una fabbrica di un livello assai più alto di quello di Rodi, troviamo vasi in cui si uniscono ai motivi orientalizzanti, consistenti in volute ed in fregi animali, metope e meandri di tradizione geometrica. Lo stile, impropriamente chiamato rodiota, è infatti diffuso in un area molto più vasta e a Samo, a Smirne, e altrove troviamo esemplari di uno stile più vivo di quello di Rodi, mentre a Larissa, Pitane e in molte altre città troviamo una edizione più grossolana.
Chio, nella sfera settentrionale, ebbe una fabbrica importante. Peculiare di Chio è il cratere a campana, decorato con figure assai vigorose, con una particolare vivezza di colori. Il cratere a campana continua nell'inizio del VI sec. e subisce un forte influsso corinzio.
Lo stile delle capre selvatiche ha animali in nero con la testa a volte a linea di contorno sulla superficie chiara dal vaso e l'insieme che ne risulta è particolarmente piacevole, anche se genera monotonia. Sulla superficie del vaso si distendono in fregi orizzontali capre selvatiche, sfingi, grifoni, cani, oche, leoni, pantere, lepri, arieti. Queste file di animali, indefinitamente ripetute, sembrano ispirarsi a tappeti o stoffe. Nel gioco dello scuro sul chiaro, nel ritmico succedersi degli animali si raggiunge un certo valore decorativo, una musicale, ritmata scansione della superficie.
Verso il 630 a. C. lo stile delle capre selvatiche cambia per effetto della forte influenza corinzia.
d) Creta. - A Creta il periodo orientalizzante per alcuni sorge contemporaneamente a Corinto, per altri alla fine dell'VIlI sec. a. C. e si affianca al geometrico che prosegue parallelamente all'orientalizzante. Creta ancora più che la Grecia già da tempo aveva contatti col mondo orientale, ma nel campo vascolare i motivi sono però diversi dalla Grecia e Creta potrebbe averli presi da un'altra via. Alcuni motivi parvero essere stati mediati da Cipro, la cui influenza è evidente negli aröballoi decorati con cerchi concentrici rossi su nero e nei pìthoi policromi di Cnosso.
Anche i vasi a testa umana, come quello di bronzo dell'Antro Ideo e quello di Arkades, i quali sono anteriori agli stessi tipi del continente, possono essere derivati da Cipro che amò molto decorare con motivi plastici la sua ceramica.
Il carattere sperimentale tipico dell'arte è più che in Grecia manifesto a Creta, in quanto l'isola non ha mai superato questa fase e, forse proprio per il fatto che era esposta a tante e così diverse influenze, ogni centro ha risposto in maniera particolare alla sollecitazione che gli veniva dall'esterno. A Praisos, per esempio, abbiamo uno stile a linea di contorno come nelle Cicladi e così a Kavousi, nella Creta orientale, che è sotto l'influenza delle correnti orientali. A Cnosso invece, nel secondo venticinquennio del VII sec. a. C. abbiamo ornati floreali ripresi da Corinto ed esempî isolati nella tecnica corinzia a figure nere come nell'alàbastron con la sfinge.
Anche ad Afrati verso la metà del VII sec. notiamo l'influenza di Corinto negli animali a figure nere dei dìnoi, che imitano le forme metalliche. Una terza tecnica con le figure dipinte in bianco sul fondo scuro è presente a Creta (v. geometrica, arte). L'influenza attica assai scarsa a Creta potrebbe non essere diretta, ma mediata attraverso le Cicladi con cui Creta deve avere avuto assai intensi rapporti, tanto è vero che a Delo si trovano vasi cretesi e vasi nassi a Creta; inoltre il geometrico di Thera sembra senza dubbio influenzato da Creta.
e) Laconia. - A Sparta i motivi orientalizzanti si infiltrano nel tessuto geometrico che continua a lungo. Si ripristina il fondo bianco perduto nell'ultimo periodo geometrico per influenza del protocorinzio; esiste infatti una intima connessione tra queste due fabbriche peloponnesiache. Anche a Sparta si è voluto trovare traccia dell'influenza di Creta, ma si può piuttosto pensare che la somiglianza sia dovuta ad una uguale derivazione di motivi come i cerchi concentrici da parte di esemplari in metallo. La ceramica laconica non ha avuto particolare splendore in questo periodo, forse perché ha subito troppo l'influenza di Corinto. I motivi vegetali sono assai rari; dominano le rosette ed il melograno, motivo preferito della ceramica laconica. Verso la metà del VII sec. iniziano le prime rappresentazioni di figure di animali: cavalli alati, cervi pascenti, leoni. L'incisione sarà usata solo nel periodo successivo, la testa è a linea di contorno: i particolari interni sono a linea riservata. L'influenza protocorinzia è riconoscibile dalla frequenza con cui si ripetono le scene di caccia alla lepre; ma il disegno non raggiunge la bellezza degli originali. La figura umana è molto rara: è interessante un volto di profilo dalle caratteristiche semitiche, che sembra riprodurre una delle Assurattaschen.
Nell'arte o. incomincia a Sparta la produzione dei piatti e si trova la lekàne che è una forma popolare che durerà a lungo. Verso il 630-620 c'è un netto cambiamento per ripercussione della fabbrica corinzia.
f) Beozia. - È stata sempre una regione isolata, al contrario dell'Attica, e questo si avverte anche nelle sue manifestazioni artistiche che restano sempre nell'orbita delle imitazioni. Le anfore beotiche dell'inizio del periodo orientalizzante ripetono, anche se in modo più grossolano, il tipo dell'anfora cicladica con alto collo, larga pancia con anse doppie e alto piede tronco-conico. Alcune oinochòai, assai simili al tipo nassio, hanno un serpente plastico sull'ansa.
La ceramica geometrica è assai tarda come mostrano i motivi floreali ed i particolari disegnati a linea di contorno: si può dire che geometrico e orientalizzante si fondono insieme in Beozia e danno ai suoi vasi una impronta particolare. Tipica di questa specie è l'anfora da Tebe con la Pòtnia Theròn circondata dagli animali; non vi è alcun senso di composizione, le figure si affollano le une alle altre.
Particolarmente ornate le coppe, ingubbiate di bianco, con motivi di uccelli in volo a linea di contorno dipinti in rosso e nero che continueranno fino alla fine del VI a. C.
In Beozia troviamo anche una produzione di pìthon a rilievo, che si collega con la simile produzione insulare.
Interessante è trovare in Beozia i corpi di animali (leoni) divisi a zone come si vedono in Etruria nel VI sec. a. C.
5. Plastica greca. - Scarse sono le grandi statue. La nostra cognizione delle correnti artistiche è data in massima parte da figurine in terracotta, da bronzetti e da alcune sculture a grandezza inferiore al vero. La scultura ha caratteristiche diverse a seconda che fiorì nel Peloponneso, Creta e Rodi (scultura dedalica) in Attica e sulle coste dell'Asia Minore.
Il dedalico corrisponde all'ultima parte del periodo orientalizzante che vede sorgere l'arte monumentale (Homann-Wedeking). Col dedalico si sostituiscono alle forme esuberanti dell'inizio dell'orientalizzante proporzioni solide bene stabilite, una composizione chiara e nitida (Rumpf) che nella concezione della testa esplica una formula astratta, matematica, mirante ad una perfezione ideale (Jenkins).
Il nuovo stile contrasta con quello del periodo precedente: le statuette geometriche, modellate a masse separate, con i vari elementi giustapposti tra di loro piuttosto che organicamente connessi, con il modellato duro e angoloso producono una generale impressione di irrequietezza, di vivacità aumentata dall'eccitazione prodotta dai grandi occhi sbarrati. Di contro ai bronzetti stilizzati e filiformi del periodo geometrico si attua un nuovo senso del volume e della massa che dà organicità e vita all'insieme del corpo (Matz). Questo equilibrio e questa solidità delle forme, che esprime una forza interiore ed una intima tranquilla serenità, dà un senso di monumentalità alle opere dedaliche, anche se di piccole dimensioni. È per questo che il dedalico è il periodo di formazione e di creazione della grande scultura.
Le caratteristiche dedaliche sono particolarmente rilevanti nella testa che spesso manca di profondità, è bidimensionale, e destinata alla sola veduta frontale. Il cranio è piatto, la fronte bassissima è tagliata orizzontalmente al di sopra delle sopracciglia da una o due file di riccioli, perfettamente orizzontali che vanno da tempia a tempia. Il viso piatto costruito saldamente e geometricamente ha forma triangolare nelle statue più antiche (Nikandre di Nasso 660-650 circa) a esagono nel periodo intermedio (rilievo dell'acropoli di Micene 640-630 a. C.), quadrangolare con angoli arrotondati nelle opere che continuano lo stile dedalico nel VI sec. a. C. (koùros di Polymedes di Argo a Delfi).
La chiarezza e la nitidezza della linea di contorno, la regolarità geometrica si allentano nella Grecia orientale (figurina di terracotta da Samo).
In Attica abbiamo una sfinge in terracotta che regge un incensiere, trovata nel Ceramico di Atene. Il volto ovale, il cranio rotondo, la profondità della testa, i piani che si fondono gradualmente l'allontanano dal "dedalico". La morbidezza dei passaggi l'avvicina ad una terracotta samia, anche se nella terracotta ateniese si avverte un senso della struttura, una sicurezza di linea, una organicità che fanno sembrare molle la terracotta di Samo. La sfinge rappresenta una corrente stilistica diversa tanto da quella samia quanto da quella peloponnesiaca.
I contatti con l'Oriente nel VII sec. in questo campo non sono molti; si avvertono solo per l'acconciatura dei capelli (Etagenperücke) che ricordano il klaft egiziano, e forse per i tre schemi adottati: il koùros, la kòre e la figura seduta (v. greca, arte). Il bellissimo leone in pòros della necropoli di Corfù ripete la tipologia orientale, ma è una creazione greca; si è infatti sciolto dalla legatezza orientale per assumere i movimenti liberi dell'arte greca; se il corpo è in riposo come negli animali colossali a guardia dei palazzi assiri, la figura è elasticamente tesa, il movimento in potenza aumenta la ferocia, al contrario di quanto succede nei prototipi orientali in cui la ferocia è così accentuata che perde in effetto.
Gli sphyrèlata di Dreros (Creta) sono il migliore esempio rimasto di figure in lamina di bronzo.
Gli influssi orientali si manifestano soprattutto nel periodo di transizione tra la fine dell'VIII e la prima metà del VII sec. a. C., specialmente nella plastica a carattere industriale in bronzi, in avorî o in terrecotte che talvolta raggiungono altezza d'arte.
Modelli orientali importati, trovati quasi tutti nei grandi santuarî (acropoli di Atene, Olimpia, Delfi, Delo, Perachora, Grotta Idea a Creta, santuario di Artemide a Efeso e di Artemide Orthìa e Sparta, Heraion di Samo) hanno dato origine a imitazioni locali, che si allontanano rapidamente dal modello originario. Gli attacchi alati per gli anelli (Assurattaschen) dei lebeti bronzei che provengono da Gordion, Olimpia, Preneste e Vetulonia mostrano, anche per l'estensione di territorio in cui furono trovati, che si tratta di bronzi fatti in Oriente, per alcuni studiosi in Urartu (Maxwell-Hyslop, Pallottino, Amandry, Akurgal, ecc.) e per il confronto con simili attacchi trovati presso il lago Van. Tali lebeti sono stati importati in Grecia ed in Italia. In Grecia accanto a numerosi tipi sicuramente importati troviamo esemplari fatti localmente (Olimpia, Atene).
Per le protomi di grifone e di leone che ornavano i lebeti si discute se il tipo più arcaico di protomi in lamina battuta sia di origine greca (Jantzen, Hanfmann) o se sia importato dall'Oriente (questa è la teoria sostenuta fino dai primi scavi di Olimpia e riaffermata recentemente da Maxwell-Hyslop, Amandry, Akurgal, Barnett).
Le prime protomi sembrano da considerarsi importate (da officine neo-hittite trasmigrate in Urartu per Akurgal) mentre sono certamente greche le prime protomi a fusione, le quali raggiungono alta qualità artistica per la bellezza della linea, almeno fino alla seconda metà del secolo, quando diventano eccessivamente stilizzate.
Protomi e attacchi alati, eseguiti in Grecia, sono stati attribuiti a botteghe di Corinto alle quali si devono pure attribuire alcune lamine di bronzo sbalzato, alcuni elmi e scudi in lamina di bronzo trovati a Olimpia e bronzetti provenienti da Perachora (leone, colomba del santuario di Hera Limènia). A Corinto si devono pure i bei vasi plastici in terracotta della ceramica a testa umana e leonina. In area cicladica troviamo l'equivalente dell'aröballos Mac Millan a testa di leone da Corinto nella brocca paria a testa di grifone. I due animali ripetono il tipo in uso sui lebeti e ci riportano all'area neo-hittita.
Gli avorî che si trovano nei grandi santuari sono in parte importati, in parte di fabbricazione locale (Delfi, Delo, Sparta, Perachora, Efeso). Il materiale stesso fu importato dall'Oriente, la sua lavorazione indica una tecnica orientale. È stato anche supposto che artigiani provenienti dall'Asia ne abbiano insegnato la lavorazione nei varî centri del Mediterraneo (Barnett). Gli schemi risentono maggiormente di quelli orientali (domatore di leone da Delfi, avorî di Efeso, di Atene, di Sparta). Significativa in questo periodo è anche l'oreficeria e particolarmente quella di Rodi (v. oreficeria).
6. L'orientalizzante nel Mediterraneo occidentale - Sicilia e Magna Grecia. - L'arte o. è dovuta soprattutto alla colonizzazione greca, anche se i Greci già dal Miceneo erano in rapporti commerciali con l'Italia. Sono rare le importazioni dirette dall'Oriente (grande caldaia bronzea con attacchi a testa di toro da Cuma), frequenti invece i vasi protocorinzi importati dalla Grecia; a Cuma sembra esservi stata una fabbrica locale di vasi protocorinzi. Alcuni vasi da Siracusa mostrano influssi greci. Resta inspiegata l'attività del pittore Aristonothos (v.) di cui un vaso, trovato a Caere, mostra tanto influssi di Siracusa quanto del Protoattico.
7. Etruria. - Gli influssi orientali sono fortissimi in Etruria, assai più che in Grecia. Da alcuni ciò è stato messo in rapporto alla presunta origine orientale degli Etruschi, da altri più ragionevolmente è stato spiegato il fenomeno col fatto che gli Etruschi non hanno la possente individualità artistica dei Greci. Gli influssi orientali sono pervenuti in Etruria sia direttamente dall'Oriente, sia attraverso la Grecia. Intermediarî sarebbero stati i Fenici o, secondo il Pareti, i Focei.
Gli oggetti importati non sono numerosi: caldaie con protomi e attacchi alati (Preneste, Vetulonia), per alcuni (Barnett, Akurgal) anche i sostegni a cono (Tomba Barberini a Preneste), vasi in lamina d'oro e d'argento (Caere, Preneste), alcuni avorî (Preneste). Molte sono le imitazioni locali specialmente a Caere (lebeti con protomi e sostegni, avorî, tazze d'argento di Vetulonia).
Per altri oggetti come per gli incensieri a ruote rimane incerto se l'origine sia locale perché mancano confronti completamente convincenti (Vetulonia e Preneste).
L'arte o. in Etruria inizia per alcuni nel terzo venticinquennio dell'VIII sec. a. C., per altri nell'ultimo. Queste date sono puramente indicative, perché i cambiamenti e le influenze sono sempre graduali e ciò è tanto più vero per le singole città etrusche che, a seconda della loro posizione geografica, sono passibili di ricevere di prima mano, o attraverso la mediazione delle città costiere, le influenze della nuova corrente orientalizzante.
Le città dell'Etruria meridionale costiera che hanno diffuso questa facies culturale sono infatti più ricche, Caere soprattutto è ricca in maniera favolosa, forse per lo sfruttamento della zona metallifera tra la Tolfa e Allumiere. Come per Caere, anche per le altre città si può pensare che la ricchezza in metalli rendesse loro facile i commerci con i paesi del Mediterraneo, i quali davano oggetti d'arte in cambio del metallo etrusco.
Nella oreficeria, che è una delle più importanti anche se è di qualità meno ricca di quella greca, notiamo una distinzione nel gusto artistico tra l'Etruria meridionale (Preneste, Caere) ove la decorazione è così sovrabbondante da nascondere la' linea del gioiello e l'Etruria del N (Vetulonia, Marsiliana), ove il gusto è più sobrio e più severo (v. oreficeria).
La corrente orientalizzante, pur innestandosi in Etruria nell'ambito della cultura villanoviana, segna l'inizio di una facies completamente diversa. Il villanoviano infatti rappresentava la continuazione di una cultura ormai da tempo comparsa in Italia, sebbene rinvigorita da contatti con l'Europa centrale; l'orientalizzante invece, attraverso i commerci marittimi, mette l'Etruria in rapporto con l'Oriente e le colonie greche d'Italia e ciò serve a mutare profondamente l'orizzonte culturale. I gruppi dei villaggi dell'età villanoviana sono ora sostituiti da città, una civiltà eminentemente agricola diventa ora una civiltà di scambi, di commerci, di sfruttamento delle risorse minerarie del sottosuolo e solo alcune città dell'Etruria settentrionale trovano ancora la loro principale fonte di vita nell'agricoltura.
L'incinerazione lascia il posto all'inumazione: accanto alle tombe a fossa hanno inizio le camere lunghe e strette con falsa vòlta, oppure a falsa cupola nell'Etruria settentrionale, coperte con un tumulo di terra. Alla uguaglianza dei sepolcri villanoviani fanno riscontro ora le monumentali tombe dei ricchi, ove si trovano gli oggetti importati dall'Oriente, che mancano invece nelle tombe comuni, ove si trovano solo scarabei pseudo-egiziani.
Nel secondo venticinquennio del VII sec. incomincia l'uso del bucchero nero sottile; non si trova ancora nella tomba tarquiniese di Bocchoris dell'inizio del periodo orientalizzante, ma si diffonderà largamente, specialmente nella seconda metà del VII sec. a. C.
Da Vulci e Caere provengono la maggior parte dei vasi etrusco-corinzi che imitano i vasi corinzi e si possono datare nella prima metà del VI secolo. Questi vasi, di cui possono esistere altre fabbriche in altri centri etruschi, sono assai lontani dagli originali, da cui si distaccano per l'argilla più rozza, la vernice più opaca, l'incisione arbitraria che non segue più la struttura dei corpi, ma, nonostante questa maggiore trascuratezza, esprimono un certo vigore ed hanno un forte senso decorativo, che porta ad un allontanamento dalle forme naturalistiche. Tra questo gruppo si distingue un insieme di tazze con un bordo a scacchi che s'ispira alla ceramica laconica (v. corinzi, vasi).
Questa forte influenza greca fa supporre che almeno alcune città dell'Etruria meridionale come Caere e Tarquinia possano essere state direttamente in contatto con le città della Magna Grecia ed anche con Corinto che, dalla metà del VII alla metà del VI sec. a. C. fa sentire più di ogni altra città greca la sua influenza in Etruria.
La scultura etrusca nel VI sec. risente dell'influenza dedalica peloponnesiaca, particolarmente a Vulci (Centauro di Villa Giulia, statuetta della Tomba d'Iside), ma in ciascuna opera etrusca ai caratteri ereditati dal dedalico si uniscono influssi della Sicilia e della Magna Grecia ed anche dell'Asia Minore e delle colonie greche della costa asiatica. A Chiusi il dedalico è certamente mediato da Vulci.
8. Padana. - I motivi decorativi o. delle più antiche stele funerarie di Bologna, secondo alcuni studiosi (Ferri, Polacco) sarebbero derivati direttamente dall'Oriente, escludendo l'intermediario greco o etrusco.
9. Civiltà atestina. - La presenza di motivi orientalizzanti nella civiltà atestina si avverte specialmente nelle situle e negli altri bronzi figurati, che rappresentano la manifestazione più impegnativa di questa civiltà. Questo tipo di decorazione detto "fitozoomorfa" per indicare le due componenti dell'arte o. (Ghirardini) è stato recentemente denominato (Mansuelli) come orientalizzante settentrionale.
La Fogolari, studiando l'argomento ha notato come sia difficile stabilire un immediato termine di confronto, perché i motivi sono ripetuti con molta libertà ed essa ne cerca la derivazione nell'ambito di tutto il mondo mediterraneo.
Vorremmo precisare però che se è naturale trovare gli stessi motivi nell'area neo-hittita come in quella siriana, a Creta, come in Grecia, nelle Cicladi ed in Etruria per lo stesso espandersi del fenomeno, è altrettanto vero che uno studio non debba basarsi sulle generiche affinità, ma scoprire le particolarità peculiari che si manifestano in una data facies culturale e cercare quale sia la civiltà in cui si ritrovino uguali e pertanto si possa considerare come l'anello di congiunzione tra il mondo orientale e quello in esame.
È da notare, innanzi tutto, che la zona veneta eccelle per il numero, la qualità, nonché la priorità cronologica rispetto all'area danubiano-balcanica (VI sec. a. C.) dei bronzi orientalizzanti. Infatti la sutura tra la forma della situla e la tecnica dei punti a sbalzo delle necropoli di urne con l'elemento narrativo ripreso dal mondo mediterraneo, avviene ad Este. I motivi orientalizzanti di solito si fanno derivare nel loro nucleo principale da una via marittima adriatica, per altro ignota. Però è più probabile che i motivi orientali siano pervenuti dall'Etruria nella zona di Este, donde si saranno poi irradiati verso il N.
Effettivamente l'esame dei singoli motivi potrà confermare questa ipotesi (Kastelic); per esempio la fiera alata o reale, in atto di divorare la gamba di un altro animale, è dalla Banti considerata come un motivo che non ha riscontro esatto né in Oriente, né in Grecia, ma è una trasformazione etrusca del motivo dell'uomo o dell'animale attaccato da una fiera. All'Etruria ci riportano anche i centauri alati con la parte anteriore umana, rari altrove, e gli animali con quattro ali. L'origine adriatica sarà piuttosto da ammettere per i motivi orientalizzanti che compaiono nei dischi e nelle laminette votive del IV sec. a. C.
10. Piceno. - Il termine orientalizzante è usato qui come valutazione di una facies culturale e non come una determinazione cronologica, giacché questo tipo di cultura è assai posteriore a quella originale e continua anche quando questa è già stata soppiantata, non solo in Grecia, ma anche in Etruria, da una nuova espressione.
I rapporti del Piceno con l'esterno assumono un particolare sviluppo proprio a partire dal VII sec. a. C. quando si importano nel territorio prodotti orientalizzanti in oro, argento, bronzo ed avorio direttamente attraverso l'Adriatico e indirettamente tramite i valichi appenninici dell'Etruria. Il Pareti pensa che i Focesi siano stati gli intermediari di questa cultura per i loro commerci nell'Adriatico e nel Tirreno, ma l'ipotesi sembra da scartarsi. In questo periodo l'influenza etrusca è attestata efficacemente dalle necropoli di Falciano e si mantiene attiva nella zona dell'Appennino marchigiano sino entro il VI sec. a. C., come manifestano gli oggetti della necropoli di Pitino di S. Severino, come il bell'elmo con le sfingi affrontate, nella tecnica della incisione.
Gli influssi orientalizzanti sono particolarmente sensibili a Numana (avorî) e a Belmonte donde provengono situle, dischi, cinturoni, ciste, coppe, scudi, uova di struzzo. Recentemente uno scudo da Fabriano è stato considerato protoattico, ma lo stile sembra diverso da quello attico vigoroso e pieno di tensione vitale e si dovrà studiare se non sia piuttosto un prodotto locale sotto l'influenza attica, che è particolarmente sensibile sulla sponda adriatica.
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