Vedi ITALICA, Arte dell'anno: 1961 - 1995
ITALICA, Arte (v. vol. IV, p. 251)
Negli ultimi trent'anni la denominazione arte i. ha compreso tutte le esperienze figurative sviluppatesi nella penisola prima della conquista di Roma. Il processo è stato favorito in parte dalla rivalutazione di tendenze storiografiche ottocentesche, delle opere di G. Micali in specie, di cui si è recuperato, al di là del tono «antiromano» dell'epoca, l'approccio globale alle evidenze letterarie, documentarie e figurate (Pallottino), in parte da tentativi, a volte solo contingenti, a volte più meditati, di riconsiderare le produzioni artistiche in un quadro unitario sul quale si è proiettata una realtà «nazionale» comunque successiva a quelle esperienze, poiché emersa nella coscienza storiografica a partire dall'unificazione augustea. Si è assistito, altresì, al progressivo indebolimento del concetto di arte i. applicato alle espressioni «popolari» dell'arte romana, una volta che se ne sono riconosciute le motivazioni sociologiche di ambiente municipale o «plebeo» (Bianchi Bandinelli) o che si è tentato di rivalutare categorie come quella dello «stile di genere» (Brendel), verificandola nell'arte di rappresentazione relativa a scene di riti, cerimonie e vita quotidiana.
Il tentativo di riabilitare una «storia italica» autonoma dalle grandi aree disciplinari relative al mondo classico dovrebbe comportare, anche per le manifestazioni figurative, un nuovo disegno in cui includere esperienze come quelle celtiche, etrusco-laziali, magno-greche e fenicio-puniche. Inadatti appaiono, ormai, criteri troppo rigidamente classificatori o le categorie descrittive quali «primitivo», «geometrico» e così via, che hanno dimostrato la loro debolezza in occasione della mostra Prima Italia (1980-81). Appaiono superate anche le concezioni idealistiche collegate alle ricerche sulla «struttura» come anche alla valutazione della «qualità» delle evidenze in rapporto a gerarchie elaborate da certa «Kunstarchäologie».
Incremento e sviluppo delle ricerche archeologiche, d'altro canto, sottoposti alla divisione amministrativa delle Soprintendenze, tendono a privilegiare analisi di microsistemi piuttosto che sintesi su aree culturalmente omogenee, che sembrano sfuggire a desiderate definizioni unitarie. È anche vero, però, che il diverso strutturarsi delle comunità antiche in realtà storico-ambientali differenziate, nelle quali il fenomeno dell'urbanizzazione si realizza in tempi diversi, la mobilità di alcune compagini che a volte si integrano in realtà urbane preesistenti, etnische o greche, e la diversa intensità dei contatti con l'esperienza greca - che fornisce comunque i modelli - direttamente o attraverso la mediazione etrusco-laziale, rendono ancora ardue sintesi definitive.
Si può comunque osservare che le esigenze di rappresentazione connesse con la vita cerimoniale si sviluppano soprattutto nelle decorazioni applicate all'instrumentum e all’ornamentum personale e, successivamente, nell'arte devozionale: si constatano così raramente forme di arte monumentale, tranne che nelle espressioni commemorative connesse al rango o alla committenza pubblica, quand'essa si riconosce in comunità cittadine o territoriali dotate di forte autoconsapevolezza politica.
L'esperienza artistica viene affidata alla volontà di narrare vicende evenemenziali di gruppi o di individui con un'immediatezza che si affida a una percezione veloce. Santuari e necropoli sono i luoghi in cui si celebra una memoria storica della quale sfuggono i referenti mitici, legata piuttosto alla sorte personale: le forme espressive risultano così semplificate, anche quando dipendono da modelli greci, ma si caratterizzano per la forte presa comunicativa.
Il contatto con la colonizzazione greca. - Il processo culturale avviato in Italia meridionale dai coloni micenei o dal contatto con le loro tradizioni artigianali lascia come retaggio tecniche di depurazione dell'argilla e di decorazione dipinta che permangono nel «Protogeometrico Iapigio» (metà XI-metà IX sec. a.C.), diffuso in Puglia e Basilicata orientale, noto con vasi forse di importazione a Lipari (Ausonio II). Limitata nella morfologia, eclettica nei motivi, peraltro assai semplici, questa produzione viene considerata il precedente delle due grandi tradizioni che si distinguono nell'Età del Ferro (metà IX-inizî VII sec. a.C.): quella «enotria», detta anche «a tenda», che ha il suo centro nel Materano, ma ampia diffusione nel Vallo di Diano, e quella «iapigio-geometrica», propria della Puglia. Preliminare appare ancora, in ambedue le tradizioni, la distinzione di stili locali: nel Salento si apprezzano i motivi dei vasi di cultura «devolliana» (Albania) e corinzi geometrici, mentre nei ricchi depositi dell'Incoronata, insediamento indigeno nel futuro territorio di Metaponto, si isolano anche motivi del Tardo Geometrico rodio; diverso, invece, il caso della Daunia dove, a partire dall'VIII sec. a.C., inizia, con il «Proto-daunio», la lunga e fortunata esperienza autonoma della relativa ceramica (v. dauni, vasi).
In aree contermini alla colonizzazione greca storica si rilevano invece, a partire dalla metà dell'VIII sec. a.C., produzioni direttamente derivate dal Tardo Geometrico, euboico-cicladico o corinzio, come p.es. nelle necropoli dell'entroterra locrese, nel territorio interno di Siracusa, e, in Campania, nella valle del Sarno o a Capua, dove domina però la mediazione etrusca del Geometrico di Bisenzio. Le prime espressioni della plastica bronzea, presente soprattutto su oggetti di ornamento o su «carrelli», dovrebbero inquadrarsi in questa fase di precoci stimoli greci. I pendagli con coppie abbracciate dalla Calabria e dalla Sicilia orientale (unico esempio da contesto nella tomba T57 di Francavilla Marittima), schematici come le decorazioni delle fibule della Campania (esempi da contesto nella tomba 363 di Capua, che permettono di recuperare i pastiches settecenteschi) indicano forse un primo sviluppo di queste tendenze che trovano poi (offerenti dal Plemmirio e da Vizzini, coppia della Collezione Zingarelli ad Avellino ed elementi del c.d. carrello di Lucera) caratteri comuni nei volti, nella struttura del corpo e nell'evidenziazione del sesso: non convincono i richiami alla plastica tardogeometrica etrusco-meridionale, mentre si enuclea piuttosto una più antica circolazione «meridionale» delle esperienze che collega l'ambiente siculo-calabro alla Campania e, di qui, alla Daunia. Si tratta di zone nelle quali l'impatto con i coloni non comporta processi di integrazione forzata (Siracusa, Megara, Sibari, Metaponto), o di coesistenza pacifica (Siris) o di «riconversione» in senso ellenico dei centri indigeni (Amendolara) e dove i modelli greci, fors'anche per la «cattura» di maestranze elleniche, rappresentano il quadro di riferimento.
Si isolano in tal modo due tendenze che affioreranno costantemente nell'arte i.: una ancorata a tradizioni protostoriche, in cui eventuali esperienze esterne, dirette o mediate, non compromettono l'organizzazione della forma o della decorazione, ingabbiata in convenzioni autonome o affidata all'inventiva estemporanea di un artigiano, l'altra direttamente modellata sull'esperienza esterna, greca o etnisca, di cui vengono ripetuti sia i contenuti figurati (spesso reinterpretati dalla mitizzata storia autoctona), sia le forme espressive. Mentre nella Penisola è possibile seguire, nonostante le caratterizzazioni regionali, percorsi figurativi in qualche modo correlati, le esperienze che si sviluppano successivamente presso gli indigeni della Sicilia, in continuo confronto con i coloni greci o fenici, ma privi di legami continui con le altre genti italiche, appaiono autonome.
L'età dei «principi-guerrieri». - Fra VII e VI sec. si assiste da un lato a una diffusa specializzazione di attività artigianali, dall'altro a processi accumulativi. Le comunità di villaggio divengono i poli di un'incipiente mobilità connessa con lo spostamento di armenti e con forme sistematiche di scambio: si utilizzano percorsi trasversali (fluviali al S, passi appenninici al centro), paralleli alla costa (versante adriatico), o di cabotaggio (versante tirrenico). L'esperienza artistica si consuma per un ceto aristocratico connotato militarmente, che emerge in tempi diversi, fino al termine del VI sec. a.C. In Puglia l'area in cui si sviluppano forme decorative autonome è la Daunia, posta al termine dell'itinerario interno segnato dall'Ofanto e aperta a scambi con genti anelleniche dell'Adriatico. Forme di accumulazione si registrano nelle tombe dell'interno (Lavello), mentre la produzione ceramica, nella quale si introduce la tecnica bicroma, sembra concentrarsi a Canosa (ampio il raggio di esportazioni, sia nelle coste adriatiche, sia in Campania).
Fra i dignitarî locali si afferma l'uso di segnalare le tombe con stele antropomorfe, rinvenute in numero cospicuo fra Siponto e Salapia. Strutturalmente diverse dagli antichi segnacoli di Monte Saraceno, esse sviluppano, a partire dal 700 a.C. circa (stele di Arpi), figure tabulari nelle quali è minuziosamente realizzato a incisione l'abito cerimoniale, spesso fornito di ricami figurati, ricchi di riferimenti a miti o storie non sempre decifrabili (v. stele daunie). Nel resto della regione, tranne la produzione di ceramiche di tradizione geometrica locale, in Peucezia e in Messapia, mancano manifestazioni analoghe (qualche frammento di stele è ora segnalato a Cavallino). Ma mentre nella Peucezia l'accumulazione di beni esotici domina sulla rielaborazione autonoma (tombe «principesche» di Noicattaro, Conversano), il più intenso rapporto dei Messapi con i Greci favorisce processi acculturativi che investono negli insediamenti edifici monumentali e forme di culto; nella ceramica dipinta, eseguita al tornio a partire dal 550 a.C., l'assunzione di uno stile decorativo a figure nere, derivato dalla ceramica attica, favorisce la rara ripetizione di saghe elleniche (trozzella della Ny Carlsberg Glyptotek).
Fra l'entroterra campano e l'Ofanto, il cuneo etrusco dell'agro picentino e le coste ioniche della Basilicata si attivano, in quest'età, processi economici che favoriscono del pari una frammentazione sociale: accumuli di ricchezze rivelano sia le ricche tombe «principesche» della Val d'Agri (Alianello, Armento), sia quelle meno prestigiose di Oliveto Citra e Cairano. La tradizione geometrizzante della ceramica «enotria» si articola in fabbriche secondarie (botteghe vengono distinte a Oppido Lucano, fornaci sono state scoperte a Pisticci), mentre i beni di prestigio (armi anche decorate, vasellame simposíaco) sono di fattura etnisca e magno-greca.
Alla fine del VI sec. a.C. si diffondono pendenti di ambra scolpita noti in queste zone (Sala Consilina, Padula, Roscigno, Oliveto Citra), nel Melfese e, nei centri adriatici, a Ruvo e Canosa, nonché, a N, a Belmonte Piceno e Falconara. Scene complesse, figure isolate, busti e teste femminili possono essere distinti in due gruppi stilistici: nel primo, più cospicuo, gli esempi migliori si connettono alle esperienze della glittica etnisca (si veda il c.d. gruppo del satiro e della menade a confronto con gli pseudoscarabei del Maestro del Dioniso di Boston), mentre le più diffuse teste femminili (gruppo Roscigno), possono ricordare la prima plastica votiva capuana. Il secondo gruppo, al contrario, con raffinate teste da Armento o il leone in atto di aggredire da Belmonte è di certo eseguito da maestranze greche (forse metapontine). Fondamentalmente ricettiva appare anche la cultura materiale degli insediamenti indigeni della Campania settentrionale. Nelle tombe dei ceti emergenti la ceramica di impasto locale sviluppa decorazioni plastiche mediate dell'area falisca (tomba 697 di Capua) per attestarsi poi, prima della diffusione del bucchero, su tipologie locali (Cales e Capua). I beni di prestigio appaiono etruschi (vasellame bronzeo simposíaco di Cales e Capua) e laconici (hydrìai del gruppo Telesstas, crateri): a un capo militare va forse attribuita la ricca tomba capuana che conteneva il carro Dutuit (570 a.C. circa).
Forti novità ha riservato recentemente la Sabina tiberina: si va enucleando, alla fine del VII sec. a.C., una cultura figurativa di tipo falisco, riflessa in particolare nella ceramica d'impasto decorata con appliques plastiche, incisa o excisa, e, successivamente, percorsa da fregi realizzati con l'ausilio di cilindretti. Allo stesso gusto animalistico riportano le oreficerie (elementi di stole, pettorali), mentre i finimenti equini e le decorazioni in bronzo sbalzato di un carro da Monte Libretti (antica Eretum), finiti alla Ny Carlsberg Glyptotek, rivelano una cultura figurativa assai più alta, recuperabile anche nelle lamine decorate, forse di un seggio, conservate nello stesso museo, già attribuite a fabbrica ceretana: il repertorio animalistico tardo-orientalizzante presenta anche straordinari esseri fantastici (uomo-pesce alato come despotes theròn), assolutamente nuovi.
I processi culturali attivati nell'Orientalizzante dall'area tiberina riversano le loro esperienze oltre Appennino alla fine del VII sec. a.C. Notevole importanza assume un centro come Colfiorito (Plestia) al passaggio degli itinerari transappenninici, ma l'artigianato di lusso si sviluppa, anche su spunti trasmessi da oggetti importati, soprattutto nell'area «picena»: nelle ceramiche con applicazioni plastiche (tombe di Pitino, Belmonte Piceno e Campovalano); nella toreutica, come nelle decorazioni a traforo di foderi di spade, di placche di «stole», di pendagli di chatelaînes (Campovalano, Alfedena) o nelle decorazioni a sbalzo delle ciste bronzee (gruppo Ancona) e dei kardiophỳlakes (gruppi Numana, Paglieta, Alfedena); e, infine, in rare decorazioni in osso (pisside dalla tomba 17 di Pitino, placchetta della tomba 127 di Campovalano). Dominante è uno stile animalistico fantastico, di derivazione falisco-capenate, che si recupera anche nelle decorazioni graffite o excise (Pitino, Campovalano, Loreto Aprutino). Nelle necropoli appaiono monumenti di tipo commemorativo commissionati dalla comunità (testo sulla stele di Penna S. Andrea) che riflettono anche la concezione locale dell’àgalma (testo del Guerriero di Capestrano). A parte le pietre iscritte nelle quali si è intravista una silhouette antropomorfa di profilo (Mogliano, Servigliano), stele iconiche con testo commemorativo sono note a Bellante e a Penna Sant'Andrea. Il Guerriero di Capestrano non è fenomeno isolato: oltre al frammento di statua femminile che doveva far gruppo con esso, la stele scoperta a Guardiagrele può costituire un precedente della classe, che si diffonde sia in Marsica (Collelongo), sia in zone pedemontane (oltre al già noto «frammento Leopardi» di Loreto Aprutino se ne vedano ora altri da Manoppello, Rapino, Atessa). La rappresentazione minuziosa delle armi o degli ornamenti femminili (che permette di collocare questa produzione nei decenni centrali del VI sec. a.C. favorendo una cronologia ancora più alta per la nota testa di guerriero da Numana), si associa a una progressiva aspirazione plastico-volumetrica che traduce in forme monumentali modelli ellenizzanti presenti in arredi di prestigio (si vedano, p.es., opliti e arcieri sul coperchio bronzeo dalla tomba 14 di Pitino o le più tarde anse di hydrìai da Belmonte e Tolentino).
Al nucleo etrusco stabilito lungo il corso del Marecchia va attribuita la fioritura orientalizzante del centro di Verucchio, direttamente collegato con la regione interna percorsa dall'alta e media valle del Tevere. Decorazioni plastiche in bronzo fuso applicate a utensili e a vasi («nettaunghie», ansa dalla tomba Le Pegge 3) trovano frequenti analogie su nettaunghie e pendenti da Novilara: viene messa così in dubbio la recente ipotesi che riconosce nelle figurine più scelte delle tombe Servici 83 e 85 influenze dell'area siriaca.
Lo sviluppo di un'arte narrativa, a Verucchio, è testimoniata da intagli su troni lignei (tombe 85, 89) ai quali è necessario ormai ricorrere per spiegare il fenomeno delle stele in pietra rinvenute a Novilara. Oltre a/quelle con ornati geometrici (necropoli Molaroni e Servici: impossibile l'associazione di una stele con la tomba 52), spiccano i noti monumenti con scene complesse da S. Nicola di Valmanente: forniti a volte di elogia scritti in alfabeto di derivazione nord-etrusca e databili per questo al pieno VI sec. a.C., esprimono, su registri diversi, episodi di vita militare terra marique relativi a gruppi o cacce eroiche e favolose, ambientate, secondo alcuni, nell'aldilà. Il guerriero isolato sulla stele iscritta di Rimini, forse di eguale ambiente, si associa invece a tipologie volterrano-fiesolane e si data attorno agli inizî del V sec. a.C.
Esito tardo della scultura megalitica vengono considerate, al contrario, le statue-stele della Lunigiana, rinvenute nel territorio attraversato dal Magra e dai suoi affluenti Varo e Taverone. Due dei tre gruppi tipologici appaiono ormai databili fra tardo VII e VI sec. a.C.; lo consentono elementi di tipo antiquario, come tipi di pugnali e asce, e alcune iscrizioni in alfabeto etrusco chiusino arcaico incise su tre esemplari (da Zignago, Bigliolo e sulla stele Bocconi). La schematicità delle forme, che solo nella fase più tarda assumono aspetto decisamente antropomorfo, rivela una residualità di tipo preistorico emanante da comunità di tipo guerriero in contatto con gli ambienti golasecchiano da un lato ed etrusco-settentrionale dall'altro.
Diversa è l'origine di altre manifestazioni di carattere narrativo, esibite nelle tombe dell'aristocrazia paleoveneta, note come «arte delle situle», sviluppatasi inizialmente nel centro di Este. La produzione di questi recipienti, di uso cerimoniale, viene affidata, a partire dal 600 a.C., a toreuti educati in ambiente etrusco-settentrionale e felsineo (si veda il tintinnabulo della Tomba degli Ori di Bologna), che inseriscono nei registri orizzontali narrazioni. di vita signorile entro bestiari favolosi di ascendenza tardo-orientalizzante. Oggetti cui era riconosciuto particolare pregio, le situle vengono inserite in circuiti di scambi cerimoniali (esempî a Numana, Bologna, Como, Carniola, Halstatt). Il nuovo linguaggio figurativo applicato alle già note tecniche a sbalzo e a incisione si diffonde anche su armi da parata e cinturoni, giungendo talvolta a nitidi fregi zoomorfi (elmo di Oppeano). La tradizione così formata tende a conservarsi per lungo tempo: il disegno prevale poi sullo sbalzo e si accentua un gusto esornativo, sovrabbondante.
Centri monumentali e santuari. - Santuarî situati lungo itinerari di traffico, in luoghi delegati allo scambio e abitati assumono, nel corso del VI e del V sec. a.C., una veste monumentale. Il processo si avvia precocemente in Sicilia dove si assiste a una diversificata formazione di centri in area orientale (Mendolito), centrale (Sabucina) e occidentale (Monte Adranone): l'iscrizione «sicula» presso la porta d'accesso al Mendolito conferma che almeno questo sito fungeva da polo di aggregazione politica. Gli scambi con le colonie rendono episodica la produzione vascolare d'imitazione che nell'area di Sant'Angelo Muxaro-Polizzello ripete motivi geometrici in cui emergono curiose tendenze all'astrazione (oinochòe da Polizzello); nell'area di Sabucina-Capodarso, invece, si isolano casi di forte attrazione dei modelli greci, non solo nella ceramica figurata (cratere da Sabucina con felini) ma anche nella riproduzione realistica di un modello di edificio sacro, sorta di tempietto in antis con acroteri ed elementi decorativi. Nell'area orientale, infine, emerge una produzione di bronzetti votivi a figura di guerriero, eco dell'analoga produzione della costa piuttosto che della lontana produzione sabellica, che trova legami più saldi con la plastica fittile locale (p.es. busto e statua da Grammichele di Torrevecchia), esemplata su tipi greci.
Anche nella Penisola il processo si attiva presto a Serra di Vaglio (Potenza), dominante la valle del Basento, dove si succedono fasi edilizie con terrecotte architettoniche di tipo metapontino a cominciare dal secondo quarto del VI sec. a.C. (lastre con monomachie e cavalieri). La diffusione dei sistemi di copertura fittile si diffonde a partire dalla fine del VI sec. a.C. con sime e antefisse a gorgòneion, circolari o pentagonali, che si distribuiscono nei centri dell'area del Bradano e del Basento, e, al di là dell'Ofanto, ad Ascoli Satriano e a Ordona. Il processo degenerativo dell'immagine è spesso interrotto da nuovi modelli, che si trasmettono nel corso del V sec. a.C. Ciò non accade, invece, per i sistemi diffusi dalla Campania, tramite la via dell'Ofanto, che presentano antefisse semicircolari, per lo più nimbate, nelle quali volti femminili o rare figure intere sono prive di saldezza formale (esempî a Melfi, Tiati, S. Severo, Lucera, Arpi, Aecae).
Sebbene esito di rinvenimenti sporadici, le decorazioni fittili documentano un'edilizia stabile, civile o sacra, estro spazî urbani che vanno definendosi negli abitati della Messapia (Cavallino, Vaste, Oria), Peucezia (Monte Sannace, Gravina, Altamura) e Daunia (Canosa, Ordona, Arpi): di maggior rilievo appaiono le modanature e il capitello dorico in pietra leccese da un edificio di Cavallino e le sime fittili da un sacello di Canosa (Toppicelli). Connesse direttamente con le esperienze greche sono anche le statuette fittili medio- e tardoarcaiche rinvenute in luoghi di culto di Oria (Monte Papalucio) e Garaguso (predio Altieri), ambedue situati in zone di transito.
In Campania l'emergenza di santuari appare precoce, in specie nell'area settentrionale. Un'edilizia sacra stabile, derivata da modelli corinzi o laconici tramite Cuma, è segnalata da arttefisse con teste tardo-dedaliche (Capua, Minturno) e semicircolari con immagini della pòtnia theròn. A Capua si assiste all'affermazione di nuovi sistemi di copertura fittile, direttamente ispirati da quelli ionici, nel santuario extraurbano del Fondo Patturelli, originariamente centro della vita agricola della chòra. La città diviene uno dei poli di elaborazione di tali sistemi, che ritroviamo sia nei centri settentrionali (Cales, Teanum), sia in quelli della paralìa (Pompei, Fratte di Salerno): i modelli vanno attribuiti a Cuma, da cui si riversano anche in centri medio-tirrenici (Teano, Minturno, Circei, Satricum, Roma, Caere), ma sviluppano anche tipi figurati originali (una replica con Gorgone a figura intera a Satricum). Fra i due poli del santuario emporico di Marica, alle foci del Garigliano e di quello capuano si situano i depositi votivi ancora malnoti di Cassino, Cales e Teano attribuibili a un'area «aurunca». Nelle serie di donarì fittili, inizialmente derivati dalle esperienze dell'Età del Ferro, si innestano poi, a partire dagli inizî del V sec. a.C., influenze della plastica etrusco-laziale (si veda la statua votiva femminile con porcellino da Teano a grandezza naturale e la serie con «madri» di armati).
La nuova funzione svolta da Capua, che comporta forse la definizione urbanistica del sito attorno al 500 a.C., stando a recenti scoperte, provoca il trasferimento di bronzisti, cui vanno attribuiti i «lebeti»-cinerario, noti anche a Suessula, e di ceramografi che lavorano sulla scia di tardi esponenti delle botteghe vulcenti e ceretane. Il santuario suburbano rimane aperto al culto indigeno che si arricchisce, dopo la conquista «sannitica» del 423 a.C., dei noti monumenti in tufo (non più considerati dopo la monografia di Adriani) e di donarî fittili: da una fase iniziale che astrae modelli tardoarcaici si tende poi, nel corso del IV sec. a.C., a una progressiva integrazione con la scultura devozionale medio-italica. Riflessi dell'ambiente campano-settentrionale si colgono in pochi ex voto fittili dal Santuario di Mefite in Val d'Ansanto, dove il culto diviene più intenso a partire dal 350 a.C.: problematica rimane la cronologia dei noti xòana lignei, cui non giova, per la datazione, l'ipotetico rapporto con le teste delle stele daunie.
Nell'Italia centrale appenninica nei luoghi di culto all'aperto, posti per solito in prossimità di fonti, lungo gli itinerari della transumanza, emergono come ex voto di maggior rilievo i copiosi prodotti di una piccola plastica in bronzo che prende spunti da quella importata, etnisca centro-settentrionale: nel territorio fra Esinò e Metauro e anche a Rimini si riscontrano pregevoli esempi di età sia tardoarcaica (kouros di Corinaldo, kore di Rimini, «sacerdote» di Isola di Fano), sia classica (Minerva e Giove di Apiro). Lo stesso accade più a S, in area sabina, stando ai depositi di Ancarano di Norcia e Valle Fuino di Cascia. L'artigianato umbro sceglie di preferenza divinità armate in assalto, con svettanti cimieri, intenzionalmente allungate, in posa statica in ambiente settentrionale, dinamica in ambiente meridionale: l'iconografìa è quella fissata nel corso del V sec. a.C. che si protrae anche successivamente con produzioni «schematiche», ridotte a pura silhouette: il Marte di Todi rappresenta la realizzazione più colta e monumentale che si conosca, affidata a un artista volsiniese degli inizî del IV sec. a.C. da un capo militare della comunità locale, ormai divenuta centro urbano, sia pur di «frontiera».
Analoga a quella umbra appare la genesi della plastica votiva in bronzo in area veneta e alpina. Prodotti di importazione etnisca si riconoscono in pregevoli immagini dal territorio adriese (Ercole di tipo cipriota, «Ercole» di Contarina, con iconografia identica a un esemplare da Valle Fuino) e in altre schematiche dalla Val di Non («coppia» da San Zeno: Trento, inv. 6956-7), degli inizî del V sec. a.C.; più tardi troviamo un guerriero di produzione felsinea in Val Venosta (Agums). Esistono, però, prove dell'attività di artigiani vaganti anche su lunga distanza (guerriero da San Zeno con iscrizione retica, affine alla coppia meno famosa di devoti di Monteguragazza, nell'Appennino bolognese).
A una modesta officina individuata ad Adria, che imita modelli nord-etruschi soddisfacendo una popolazione sparsa lungo il corso del Tartaro agli inizî del V sec. a.C., segue una serie di manifestazioni che interessa i grandi insediamenti formatisi in pianura, lungo gli itinerari fluviali. Ad alcuni prodotti unici come la «dea» di Coldevigo (Este) che conserva solo il copricapo di tipo etrusco, seguono serie di immagini polarizzate sulla rappresentazione di guerrieri, cavalieri e offerenti piuttosto che di divinità concentrate nei depositi votivi di San Pietro Montagnon, Este (Baratella) e Padova (San Daniele, Mortise).
Attive soprattutto fra tardo V e IV sec., le officine atestine realizzano un repertorio variato, animato da un rude senso plastico; quelle patavine, invece, piuttosto monocordi nelle figure di cavalli e cavalieri, si perdono in un linguaggio più schematico, che rintracciamo anche negli ex voto di San Pietro Montagnon, e raggiungono esiti di incredibile rozzezza nelle madri e nelle donne di San Daniele. La toreutica interessa ancora l'ambito cerimoniale (si veda ora l'interessante mobile dalla tomba atestina Ricovero 1984/23), ma si estende anche in quello santuariale: nelle lamine votive teorie di offerenti, di guerrieri e cavalieri (Este-Baratello, Vicenza) si alternano a probabili figure di divinità (Este: Calderigo e Tiro a Segno; dischi di Montebelluna), attenendosi a quella grafia di maniera che si riscontra nella tarda fase dell'«arte delle situle». Nuclei consistenti di bronzetti votivi si riscontrano infine nel santuario di Loudera a Lagole, avamposto dei Veneti lungo le vie carovaniere transalpine: domina una produzione schematica, attestata anche a Cordignano (Treviso) e a Padova, ma non mancano figure di guerrieri derivate dalla tradizione atestina.
Città e distretti territoriali. - I movimenti migratori che attraversano l'Italia centro-meridionale a partire dalla fine del VI sec. a.C. provocano, nel corso del V, una rottura degli equilibri socio-politici. Se si escludono le aree già interessate da forme di urbanizzazione, come la Campania e l'Apulia, gli assetti territoriali di tipo paganico trovano nei centri fortificati e nei santuari di tipo cantonale i punti di aggregazione. Cinte difensive costruite con tecnica greca sono documentate negli agglomerati urbani dell'Apulia come nelle guarnigioni lucane lungo le valli del Bradano o del Basento o in quelle bruzie disposte attorno alla Sila; nel Sannio pentro, al contrario, dominano tecniche poligonali. Ne consegue che gli aspetti militari appaiono prevalenti sia nelle forme del culto, sia nelle decorazioni funerarie, sia, infine, nella ceramica figurata. Ci si avvia, peraltro, a una progressiva omogeneizzazione delle esperienze nei confronti dei modelli greci trasmessi da quelle colonie che divengono centri di grande elaborazione culturale: Taranto, Thourioi o Neapolis.
Le tecniche di riproduzione attraverso matrici fittili permettono la diffusione di un'arte devozionale fortemente ellenizzata sia nella produzione di statuette, prevalenti in Apulia, Lucania e Bruzio, sia nelle teste o nelle statue, che dominano nei depositi votivi della Campania (Capua, Cales) e delle colonie di Roma (Lucera). Deviazioni da questi modelli si avvertono sia in Sabina (Monteleone) che fra gli Equi (Carsoli); raggiungono esiti di inaudito squallore fra i Pentri (Schiavi d'Abruzzo). Diverso è il caso della piccola plastica bronzea, dominata dalla figura di Ercole, replicata sia nello schema tardoarcaico dell'eroe in assalto sia in quello classico del dio stante: la produzione, ininterrotta fra IV e inizî del I sec. a.C., è affidata ad artigiani che lavorano autonomamente, soggetti a «riprese» in senso colto collocabili attorno al 300 e alla metà del II sec. a.C. Offerte da una committenza mobile, formata da militari e mercenari, le serie appaiono difficilmente localizzabili, poiché prive di un lavoro di classificazione, da tempo promesso: è probabile che le prime officine operino in area campana e lucana e che, successivamente, si distribuiscano anche nel Sannio.
Largo è il dispendio che le aristocrazie urbanizzate rivolgono alla sfera cerimoniale. Nel IV sec., in Apulia, parte dei vasi monumentali a figure rosse di stile «ornato» prodotti a Taranto sembra diretta alla committenza indigena: si è ipotizzato che alcune botteghe operino direttamente per alcuni centri o che vi abbiano stanziato filiali (v. apuli, vasi). A documentati esempi di abitazioni di lusso (Monte Sannace, Arpi) rispondono, sul piano dell'arte funeraria, tombe a semicamera o a camera con decorazione dipinta. Gli esempi precoci di Ugento sono seguiti, nel IV sec. a.C. da una tradizione che si diffonde a Ruvo, Monte Sannace ed Egnazia, a Canosa e Arpi: sistemi strutturali, decorazioni allusive al ruolo militare, alle cerimonie che accompagnano il rito di passaggio si sviluppano secondo modi espressivi comuni alle esperienze colte dell'area macedone.
A Canosa l'architettura dei complessi tombali monumentali riservati a gruppi familiari si ispira ancora a modelli macedoni, mentre nel campo dell'edilizia sacra il tempio extraurbano di San Leucio adotta forme decorative composite, diffuse anche nei partiti decorativi delle tombe con rilievi scolpiti di Lecce e Vaste. Le fabbriche di ceramica locali si riservano ormai la produzione corrente, inserendo motivi vegetali nei dominanti orditi geometrici orizzontali: a Canosa si isola anche una produzione detta «listata», in cui teste femminili o rare scene figurate rivelano la netta divaricazione delle espressioni «popolari» nei confronti di quelle «colte», mentre i vasi plastici combinano secondo un gusto sovrabbondante figure intere o protomi derivate da matrici di ambiente «colto» (v. canosini, vasi).
La conquista lucana delle colonie greche di Poseidonia e Laos comporta, nel corso del IV sec. a.C., l'integrazione di gruppi aristocratici indigeni entro comunità di tipo urbano: avviene in tal modo una sorta di omogeneizzazione, nella produzione artistica, fra quest'ambiente e quello dei centri urbani della Campania, sia della costa che dell'entroterra. Se si escludono alcune tradizioni già consolidate, come quelle della scultura votiva in pietra e in terracotta di Capua, che persistono e si rinnovano con nuovi modelli della scultura attica e poi lisippea (si vedano p.es. le statue di togati di Cales degli inizî del III sec. a.C.), pittura tombale e ceramica figurata con tematiche funerarie mostrano una sorta di comunanza sia nei programmi figurativi, sia nelle tecniche espressive. L'incremento delle scoperte di Paestum (v.) ha consentito ormai una seriazione delle tombe a cassone dipinte, eseguite fino alla conquista romana del 273 a.C., che permette un facile inserimento, nella sequenza, di monumenti analoghi scoperti a Capua, Cuma, Nola e Sarno. Di impegno limitato, poiché prive di «pubblico», le scene figurate esaltano i valori militari maschili e quelli domestici femminili, recependo anche, ma solo a Paestum dove le tipologie sono più varie, concezioni escatologiche ellenizzanti; fra i Campani, al contrario, prevale l'ideologia degli équités, ben attestata nelle tombe di S. Prisco, che coinvolge tutto il gruppo di appartenenza in eventi cerimoniali (Nola, tomba 1977).
Concentrata nella seconda metà del IV sec. a.C., la pittura «osca» si rivela fortemente legata a concezioni disegnative, presenti nella ceramica figurata, e solo alla fine del IV-inizî del III sec. subentrano nuove tecniche come quella dell'ombra portata (S. Prisco, tomba 3; Paestum, tomba del magistrato). Assai alta, invece, è la qualità dei vasi da mensa a figure rosse prodotti, a partire dal 370 a.C., da officine impiantate in Campania da Sicelioti che sostituiscono, con la loro attività, l'interrotto rapporto con il Ceramico di Atene e con le sue mediazioni commerciali siracusane: a Capua, Cuma e Abella si sviluppano, nel corso di tre generazioni, grandi scuole ceramografiche (v. campani, vasi) cui si lega anche quella pestaña, iniziata poco più tardi, da Assteas (v.), non priva di riscontri stilistici anche nella produzione etrusca di Vulci.
Opere ricche di cultura mitologica, riflesso forse anche di spettacoli teatrali, dominano largamente le produzioni ma non mancano, soprattutto in Campania, scene di vita locale: si stabilisce una sorta di bipolarità, anche stilistica, che da un lato si lega alla ceramica attica o a quella apula di stile «ornato», dall'altro sviluppa un linguaggio autonomo, più corrente, che descrive il mondo della committenza e che appare prossimo, anche stilisticamente, alla pittura funeraria. Nell'entroterra lucano dominano invece forme insediative per villaggi sparsi: mentre l'aristocrazia si esprime ancora attraverso accumuli di armi decorate e di simboli della vita cerimoniale (tombe «principesche» di Roscigno e Armento), grande spicco assumono i santuari cantonali, sedi di culti in cui si riconoscono distinte comunità. Il meglio noto è quello dedicato a Mefite dai Lucani Utiani (Rossano di Vaglio), frutto di un'attività edilizia promossa dall'aristocrazia locale: mancano, purtroppo, le grandi decorazioni scultoree, mentre i donarì fittili si collegano a quelli pestani. Il santuario dedicato a Ercole, nei pressi di Armento, era polarizzato attorno a un sacello nel quale si doveva trovare il simulacro in bronzo del dio, di cui si sono recuperati alcuni frammenti.
Analoghe appaiono le strutture insediative fra le tribù del Sannio, dove i santuari cantonali assumono però forme monumentali nel pieno ellenismo. Se si escludono il simulacro fittile di Atena da Roccaspromonte, derivato da un modello protoclassico, e il complesso di piccole sculture in pietra del Santuario di Cerere a Capracotta, in cui si vorrebbero ravvisare influenze dell'ellenismo tarantino, l'arte devozionale sembra concentrarsi nella produzione di piccoli ex voto bronzei, in specie a figura di Ercole, diffusi fra Peligni, Marrucini e Pentri (fra i depositi peligni più cospicui di III-II sec. a.C. si ricordano quelli di Caramanico, Casale Cuculio e Scanno), a iniziare dal tardo V sec. a.C. (deposito di Pietrabbondante).
Edilizia e infrastrutture santuariali si sviluppano soprattutto nel II sec. a.C., per diretta commissione dei magistrati e del senato afferenti ai diversi distretti, che affidano le opere a manodopera servile (si vedano i bolli su tegole), in un periodo di indubbia ricchezza della regione, proveniente dalle attività dei mercatores, ma anche di progressiva autoconsapevolezza etnico-politica che esploderà con la guerra sociale. Le decorazioni fittili appaiono derivate da modelli laziali, come risulta non solo dal santuario «nazionale» dei Pentri a Pietrabbondante, ma anche fra Marrucini (Civitella di Chieti), Pretuzzi (Colle S. Giorgio) e Picenti (Monte Rinaldo). Si adottano anche frontoni chiusi come a Civitalba e, accanto ai più diffusi modelli «patetici», si possono distinguere anche tendenze «realistiche», per lo meno in uno dei quattro frontoni teatini. L'esecuzione a stampo di antefisse e lastre di rivestimento mostra alle volte alcuni scompensi formali (Civitella di Chieti) o composizioni disorganiche di teste e elementi vegetali (Schiavi d'Abruzzo).
Bibl.: Rassegna bibliografica annuale in StEtr a partire dall'annata XLI, 1973. Si veda anche R. Antonini, L. Del Tutto Palma, S. Renzetti Marra, Bibliografia dell'Italia antica. Epigrafia, linguistica e scienze ausiliarie (1950-1984) (Quaderni dell'Istituto di Linguistica dell'Università di Urbino, 3), Urbino 1985; AA.VV., Dix ans de recherches (1975-1985) sur l'Adriatique antique (IIIsiècle av. J.-C. II siècle αρ. J.-C.), in MEFRA, XCIX, 1987, pp. 375-421. - Opere, atti di convegni e cataloghi di mostre di carattere generale o comprendenti aree non regionali: La città etnisca e italica preromana. Atti del Convegno, Bologna 1965, Bologna 1970; M. Pallottino, Civiltà artistica etrusco-italica, Firenze 1971 (rist. 1984); Le genti non greche della Magna Grecia. Atti dell'XI Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1971, Napoli 1972; R. Bianchi Bandinelli, A. Giuliano, Les Etrusques et l'Italie avant Rome, Parigi 1973; Aspetti e problemi dett'Etruria interna. Atti dell'VIII Convegno di studi etruschi e italici, Orvieto 1972, Firenze 1974; AA.VV., Popoli e civiltà ΜΙ Italia antica, 9 voll., Roma 1975-1989; Introduzione alle antichità adriatiche. Atti del I Convegno di studi sulle antichità adriatiche, Chieti 1971, Chieti 1975; P. Zänker (ed.), Hellenismus in Mittelitalien. Kolloquium in Göttingen 1974, Gottinga 1976; Β. M. Felletti Maj, La tradizione italica nell'arte romana, Roma 1977 (ree. di T. Hölscher, in Gnomon, LUI, 1981, pp. 62-74); M. Pallottino, Saggi di antichità, III, Roma 1979; D. e F. Ridgway, (ed.), Italy before the Romans. The Iron Age, Orientalizing and Etruscan Periods, Londra, 1979; Prima Italia (cat.), Roma 1981; (v. ree. di A. Giuliano, in Xenia, 3, 1982, pp. 3-40); AA.VV. Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche, Pisa-Roma 1983, pp. 239-344, 581-604, 703-728, 785-854, 937-1002; S. Moscati, Gli Italici. L'arte, Milano 1983; M. Pallottino, Storia della prima Italia, Milano 1984; AA.VV., Magna Grecia, I-IV, Milano 1985-1990; R. Hofter, Untersuchungen zu Stil und Chronologie der mittelitalischen Terrakotta-Votivköpfe (diss.), Bonn 1985; J. Swaddling (ed.), Italian Iron Age Artefacts in the British Museum. Papers of the Sixth British Museum Classical Colloquium, London 1982, Londra 1986; D. Vitali (ed.), Celti ed Etruschi nell'Italia centro-settentrionale dal V sec. a. C. alla romanizzazione. Atti del Colloquio internazionale Bologna 1985, Bologna 1987; AA.VV., Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988; AA.VV., Italia omnium terrarum parens, Milano 1989; D. Yntema, The Matt-Painted Pottery of Southern Italy, Galatina 1990; Crise et transformation des sociétés archaïques de l'Italie antique au Ve siècle av. J.-C. Actes de la Table Ronde Rome 1987, Roma 1990; Italici in Magna Grecia. Atti del Convegno Acquasparta 1987, Venosa 1990; Omaggio a Paola Zancani Montuoro. Atti del Convegno, Napoli 1989, in AttiMGrecia, s. III, I, 1992, pp. 11-281.
Italia settentrionale: - Area veneta e retica: Mostra dell’arte delle situle dal Po al Danubio (VI-IV a. C.), Firenze 1961; W Lucke, O. H. Frey, Die Situla in Providence, Berlino 1962; J. Kastelić, Situlenkunst, Vienna-Monaco 1964; O. H. Frey, Die Entstehung der Situlenkunst, Berlino 1969; G. Fogolari, B. M. Scarfì, Adria antica, Venezia 1970; J. Boardman, A Southern View of Situla Art, in The European Community in Later Prehistory. Studies in Honour of C.F.C. Hawkes, Londra 1971, pp. 130-136; C. Morigi Govi, Il tintinnabula della Tomba degli ori, in ArchCl, XXIII, 1971, pp. 211-235; T. Kner, Figurale Situlen aus Novo Mesto, in A Ves, XXIV, 1973, pp. 309-326; Padova preromana (cat.), Padova 1976; G. Camporeale, Lo specchio Arnoaldi, in PP, ΧΧΧII, 1977, pp. 451-461; L. Bonfante, The Amoaldi Mirror, in AJA, LXXXH, 1978, pp. 234-240; P. Cassola Guida, Bronzetti a figura umana di Trieste, Venezia 1978; L'arte preistorica nell'Italia settentrionale dalle origini alla dviltà paleoveneta (cat.), Verona 1978; H. Rogh, Venetische ex voto Täfelchen aus Vicenza, in Germania, LVI, 1978, pp. 172-189; L. Aigner Foresti, Der Ostalpenraum und Italien, Firenze 1980; Este e la dviltà paleoveneta a cento anni dalle prime scoperte. Atti dell'XI Convegno di studi etruschi e italici, Este-Padova 1976, Firenze 1980; L. Bonfante, Out of Etruria, Oxford 1981; Preistoria del Caput Adriae (cat.), Trieste 1983; E. Walde-Psenner, I bronzetti figurati antichi del Trentino, Trento 1983; AA.VV., Il Veneto nell'antichità, Verona 1984; G. Zampieri, Un'altra stele paleoveneta patavina, in Atti e Memorie della Accademia Patavina di Scienze, Lettere e Arti, XCIX, 1985-1987, pp. 3-25; Divinità e uomini dell'antico Trentino (cat.), Trento 1986; U. Dammer, San Pietro Montagnon, Magonza 1986; G. Zampieri, Bronzetti figurati etruschi italici paleoveneti e romani del Museo Civico di Padova, Roma 1986; L. Pauli, Einheimische Götter und Opferbräuche im Alpenraum, in ANRW, II, 18,1, 1986, pp. 816-834; Gli Etruschi a nord del Po (cat.), 2 voll., Udine 1988, pp. 61-179; G. Fogolari, A. L. Prosdocimi, I Veneti antichi. Lingua e cultura, Padova 1987; A. Mastrocinque, Santuari e divinità dei Paleoveneti, Padova 1987; Gli etruschi a nord del Po. Atti del convegno, Mantova 1986, Mantova 1989; P. Cassola Guida, Bronzetti friuliani a figura umana tra protostoria ed età della romanizzazione, Roma 1989; M. G. Maioli, A. Mastrocinque, La stipe di Villa, Roma 1992; I Reti (cat.), Padova 1993.
Area «ligure»: A. C. Ambrosi, Corpus delle statue-stele lunigianesi, Bordighera 1972; A. Maggiani, Contributi alla statuaria megalitica dell'area lunigianese, in Prospettiva, 5, 1976, pp. 47-50; E. Anati, Le statue-stele della Lunigiana, Milano 1981; A. Maggiani, Per una puntualizzazione cronologica delle stele iscritte della Lunigiana, in Celti ed Etruschi nell'Italia centro-settentrionale dal Vsec. a.C. alla romanizzazione, cit., pp. 437-441; A. C. Ambrosi, Statuestele lunigianesi. Il Museo nel Castello del Piagnaro, Genova 1988.
Italia centrale. - Area sabina e umbra: Problemi di storia e di archeologia dell'Umbria. Atti dell Convegno di studi umbri, 1963, Perugia 1964; G. Colonna, Bronzi votivi umbro-sabellici a figura umana, I, Firenze 1970, pp. 23-106; F. Roncalli, II Marte di Todi (MemPontAcc, XI,2), Città del Vaticano 1973; AA.VV., Civiltà arcaica dei Sabini nella valle del Tevere, I-III, Roma 1974-1977; C. Pietrangeli (ed.), La Sabina nell'antichità, Rieti nell'antichità, Roma 1976; AA.VV., Todi preromana, Perugia 1977; F. Schippa, Il deposito votivo di Ancorano di Norcia, in Studi in onore di F. Magi, Perugia 1979, pp. 201-211; T. F. Johansen, Etruskiske Bronzerelieffer i Glyptoteket, in MeddelelsGlyptKjfo, XXXVI, 1979, pp. 67-89; Todi. Verso un museo della città (cat.), Todi 1981, pp. 47-152; E.H. Richardson, Etruscan Votive Bronzes, Magonza 1983, pp. 188-195, 312-321; D. Monacchi, Resti della stipe votiva del Monte Subasto di Assisi (Colle San Rufino), in StEtr, LII, 1984, pp. 77-89; AA.VV., Preistoria, storia e civiltà dei Sabini, Rieti 1985; AA.VV., Sabini e Umbri tra protostoria ed età tardo-repubblicana, in DArch, s. III, III, 1985, 2 pp. 37-107; AA.VV., Il Tevere e le altre vie d'acqua nel Lazio antico, in Archeologia Laziale VII, 2 (QuadAEI, 12), Roma 1986; AA.VV., Sabini e Umbri tra protostoria ed età tardorepubblicana, in DArch, s. III, V, 1987, 1, pp. 7-64; L. Bignami, I bronzetti di Valle Fuino di Cascia, Todi 1987; Gens antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria in Vaticano (cat.), Perugia 1988 (successive edizioni: Antichità dall'Umbria a Budapest e Cracovia, Perugia 1989; Antichità dall'Umbria a Leningrado, Perugia 1990; Antichità dall'Umbria a New York, Perugia 1991). - Versante adriatico: P. Monti, Catalogo dei bronzetti etruschi e italici in Romagna, in StRomagnoli, XIV, 1965, pp. 39-80; La Romagna fra VI e IV sec. a.C., (cat.), Bologna 1982; M. Martelli, Il Marte di Ravenna, in Xenia, 6) 1983, pp. 25-36; La Romagna fra VI e IV sec. a. C. Atti del Convegno Bologna 1982, Bologna 1985; G. V. Gentili, L'età del ferro a Verucchio, in StDocA, II, 1986, pp. 1-41; G. Bermond Montanari (ed.), La formazione della città nell'Emilia Romagna, I-III, Bologna 1987-88; Romagna protostorica. Atti del Convegno, S. Giovanni in Galilea 1985, Rimini 1987. - Area «picena»: O. Zanco, Le rappresentazioni figurate delle stele di Novilara, in Studia Oliveriana, VII, 1959, pp. 13-23; XII, 1964, pp. 21-25; H. Jucker, Bronzehenkel und Bronzehydrien in Pesaro, ibid., XIII-XIV, 1965-1966, pp. 1-128; Β. Stiernquist, Ciste a cordoni, I, Bonn-Lund 1967, pp. 75-77; Ricerche sull'età romana e preromana nel Maceratese. Atti del IV Congresso del Centro di studi maceratesi, 1968, Macerata 1970; D. Lollini, Sintesi della civiltà picena, in Jadranska obala u protohistoriji, Simpozij u Dubrovniku 1972, Zagabria 1976, pp. 117-135; AA.VV., Pesaro nell'antichità. Storia e monumenti, Venezia 1984; K. W. Beinhauer, Untersuchungen zu den eisenzeitlichen Bestattungsplätzen von Novilara, Francoforte 1985; AA.VV., La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di G. Annibaldi, Ripatransone 1992. - Area sabellica e sannitica: V. Cianfarani, Lineamenti per una storia dell'arte antica nell'Abruzzo e nel Molise, (Quaderni di Abruzzo, IV), Roma 1966; id., Santuari nel Sannio, Pescara 1966; E. T. Salmon, Samnium and Samnites, Cambridge 1967; Antiche civiltà d'Abruzzo (cat.), Roma 1969; M. Pallottino, Una mostra dell'Abruzzo arcaico e i problemi della civiltà italica medio-adriatica, in Adriatica praehistorica et antiqua. Miscellanea G. Novak dicata, Zagabria 1970, pp. 285-300; G. Colonna, Bronzi votivi umbro-sabellici a figura umana, cit., pp. 118-191; C. Letta, I Marsi e il Fucino nell'antichità, Milano 1972; M. J. Strazzulla, Il santuario sannitico di Pietrabbondante, Roma 1973; Fr. Van Wontergem, Le culte d'Hercule chez les Paeligni, in AntCl, XLII, 1973, pp. 36-38; G. De Benedettis, Il centro sannitico di Monte Vairano, Roma 1974; O. Zanco, Bronzi arcaici da Campovalano, Roma 1974; G. Iaculli, Terrecotte architettoniche da Colle S. Giorgio, in ArchCl, XXVI, 1975, pp. 253-266; A. Marinucci, Stipe votiva di Corsoli: teste fittili, Roma 1976: A. Di Niro, Il culto di Ercole tra i Sanniti Pentri e Frentani, Salerno 1977; V. Cianfarani, L. Franchi Dell'Orto, A. La Regina, Culture adriatiche antiche dell'Abruzzo e Molise, Roma 1978; G. Di Niro, Piccoli bronzi figurati nel Museo di Campobasso, Campobasso 1978, pp. 1-26; W. Schiering, Orientalisierende Kardiophylakes mit Reliefdarstellungen aus dem westliches Mittelitalien, in RM, LXXXV, 1978, pp. 1-26; F. Parise Badoni, M. Ruggeri Giove, Alfedena, Chieti 1980; AA.VV., Sannio, Pentri e Frentani da VI al I sec. a.C. (cat.), Roma 1980; Α. Di Niro, Necropoli arcaiche di Termoli e Larino, Matrice 1981; R. Papi, Un frammento inedito di scultura italica, in QuadChieti, II, 1981, pp. 11-23; M. Ruggeri, G. Baldelli, Necropoli dell'età del ferro di Atri, in Studi in onore di F. Rittatore Vonwiller, I, Como 1982, pp. 631-640; G. Iaculli, Note sulle terracotte architettoniche d'Abruzzo, in QuadChieti, III, 1982-83, pp. 57-84; Sannio, Pentri e Frentani dal VI al I sec. a. C. Atti del Convegno, Campobasso 1980, Matrice 1984; M. Micozzi, Dischi bronzei del Museo Nazionale dell'Aquila, in Prospettiva, 49, 1987, pp. 47-52; R. Papi, Dischi-corazza abruzzesi a decorazione geometrica nei musei italiani, Roma 1990 (ree. di M. Micozzi, in Prospettiva, 63, 1991, pp. 88-91); Samnium, Archeologia del Molise (cat.), Roma 1991; G. Colonna, Apporti etruschi all'orientalizzante «piceno»: il caso della statuaria, in La civiltà picena nelle Marche, cit., pp. 92-127; M. Cristofani, L'Athena di Roccaspromonte, in Prospettiva, 66, 1992, pp. 2-9.
Italia meridionale. - Area campana: W. Johannowsky, Relazione preliminare sugli scavi di Cales, in BdA, XLVI, 1961, pp. 258-268 (Cales); id., Relazione preliminare sugli scavi di Teano, ibid., XLVIII, 1963, pp. 131-165 (Teano); M. Bonghi Jovino, Capua preromana. Terrecotte votive, I-II, Firenze 1965-1974; ead., Commento a una tavola dipinta di Nola, in Klearchos, VII, 1965, pp. 7-19; D. E. Strong, Catalogue of the Carved Amber, Londra 1966, pp. 24-33; A. D. Trendall, The Red Figured Vases of Lucania, Campania and Sicily, Oxford 1967 (aggiornamenti: BICS suppl. 26, 1970; 31, 1973, 41, 1983); M. Cristofani, I Campani a Reggio, in StEtr, XXXVI, 1968, pp. 45-64; F. Parise Badoni, Ceramica campana a figure nere, Firenze 1968; A. Valletrisco, Su un corredo etrusco trovato a Cales, in RendAccNapolì, XL VII, 1972, pp. 221-239; A. Maiuri, Alla ricerca di Pompei preromana, Napoli 1973; M. Bedello, Capua preromana. Terrecotte votive, III, Firenze 1975; M. Bonghi Jovino, Aspetti e problemi della ceroplastica capuana, in Acme, XXVIII, 1975, pp. 5-16; A. Bottini, J. Ramini, S. Isnenghi Colazzo, Valle d'Ansanto. Rocca S. Felice (Avellino). Il deposito votivo del santuario di Mefite, in NSc, XXX, 1976, pp. 359-524; Β. d'Agostino, Le necropoli protostoriche della Valle del Samo. La ceramica di tipo greco, in AnnAStorAnt, I, 1979, pp. 59-76; A. M. Adam, Bronzes campaniens du V siècle av. J.C. au Cabinet des Médailles, in MEFRA, XCII, 1980, pp. 641-679; O. Della Torre, S. Ciaghi, Terrecotte figurate ed architettoniche del Museo Nazionale di Napoli, I. Terrecotte da Capua, Napoli 1980: B. d'Agostino, Il fregio fittile di Pompei, in AnnAStorAnt, IV, 1982, pp. 63-93; W. Johannowsky, Materiali dì età arcaica dalla Campania, Napoli 1983; M. Frederiksen, Campania, Hertford 1984; F. Zevi (ed.), Pompei 79, Napoli 1984; S. De Caro, Una nuova tomba dipinta da Nola, in RIA, s. III, VI-VII, 1983-84, pp. 71-95; I. Ramini, Il santuario di Mefite in Val d'Ansanto, Roma 1985; S. De Caro, Saggi nell'area del tempio di Apollo a Pompa. Scavi stratigrafici di A. Maiuri nel 1931-32 e 1942-43 (AnnAStorAnt, Quad. 3), Napoli 1986; G. Greco (ed.), Fratte. Un insediamento etrusco-campano (cat.), Modena 1990; M. Bedello Tata, S. Baroni, V. Casolo, Capua preromana. Terrecotte votive, IV-V, Firenze 1990; M. Bonghi Jovino (ed.), Artigiani e botteghe nell'Italia preromana, Roma 1990; M. Denti, Il Marsia di Paestum, in AnnAStorAnt, XIII, 1991, pp. 133-186; J.-P. Morel, Le sanctuaire du Fondo Ruozzo à Teano (Campanie) et ses ex-voto, in CRAI, 1991, pp. 9-40; AA.VV., Storia della Campania. L'evo antico, Napoli 1992; A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992; La Campania fra VI e III sec. a.C. Atti del XIV Convegno di Studi Etruschi e Italici, Benevento 1981, Galatina 1992. - Area iapigia: F. Tiné Bertocchi, La pittura funeraria apula, Napoli 1964; R. Peroni, Archeologia della Puglia preistorica, Roma 1967; G. F. Lo Porto, Tomba messapica di Ugento, in AttiMGrecia, XI-XII, 1970-1971, pp. 99-152; A. D. Trendall, Gli indigeni nella pittura italiota, Taranto 1971; F. Johansen, Una trozzella messapica, in ArchCl, XXIV, 1972, pp. 256-262; Κ. Maes, La piccola plastica fittile della Daunia, in BInstHistBelgRom, XLIX, 1974, pp. 353-378; D. G. Yntema, Messapian Painted Pottery-Analyses and Provisory Classification, in BaBesch, XLIX, 1974, pp. 3-84; Civiltà preistoriche e protostoriche della Daunia. Atti del colloquio 1973, Firenze 1975; D. Fedder, Daunisch-geometristhe Keramik und ihre Werkstätten (diss. Amburgo), Bonn 1976; A. Rouveret, Les oiseaux d'Ugento, in Mélanges offerts à J. Heurgon, Roma 1976, pp. 927-941; E. De Juliis, La ceramica geometrica della Daunia, Firenze 1977; G. Greco, Antefisse gorgoniche da Lavello, in RendAccNapoli, LII, 1977, pp. 131-146; L. Nista, Osservazioni sulla tomba IV di Noicattaro, in ArchCl, XXX, 1978, pp. 1-30; A. D. Trendall, A. Cambitoglou, The Red-Figured Vases of Apulia, I e II, Oxford 1978 e 1982; Salerno arcaico. Atti del colloquio 1979, Galatina 1979; L. Forti, Una trozzella della Gliptoteca Ny Carlsberg, in Festschrift Β. Neutsch, Innsbrack 1980, pp. 117-126; F. Rossi, Un gruppo di terrecotte votive da Lucera, in ArchCl, XXXII, 1980, pp. 67-84; M. A. Tiverios, Kapaneus auf einer messapische Vase, in AA, 1980, pp. 511-523; M. L. Nava, Stele daunie, I, Firenze 1980; M. Mazzei, Appunti preliminari sulle antefisse fittili etrusco-campane nella Daunia, in Taras, I, 1981, pp. 17-33; AA.VV., Ceglie peuceta, I, Bari 1982; A. Bottini, Principi guerrieri della Daunia, Bari 1982; E. De Juliis, La ceramica geometrica della Peucezia, in Απαρχαι. Studi in onore di P. E. Arias, Pisa 1982, pp. 286-297; F. D'Andria, Nuovi dati sulle relazioni fra Daunia e Messapia, in Studi in onore di D. Adamesteanu, Galatina 1983, pp. 41-47; La civiltà dei Dauni nel quadro del mondo italico. Atti del XIII Convegno di studi etruschi e italici, Manfredonia 1980, Firenze 1984; M. Mazzei (ed.), La Daunia antica dalla preistoria all'alto-medioevo, Milano 1984; E. M. De Juliis, Nuovi documenti di pittura figurata dall'Apulia, in DArch, s. III, II, 1984, pp. 25-30; Α. Ciancio, Tombe nei territori di Noicattaro e Valenzano, in Taras, V, 1985, pp. 45-107; Gli ori di Taranto in età ellenistica (cat.), Milano 1986; A. Ciancio, Tombe a camera sull'acropoli di Monte Sannace, Fasano 1986; M. R. Palumbo, Le terrecotte figurate in Daunia, Peucezia e Messapia, Galatina 1986; F. G. Lo Porto, Altamura nella civiltà della Puglia, in BNumRoma, Vili, 1987, pp. 25-42; Pietre del Gargano (cat.), Roma 1987; E. M. De Juliis, Gli Iapigi, Milano 1988; M. L. Nava (ed.), Le stele della Daunia. Dalle scoperte di S. Ferri agli studi più recenti, Milano 1988; AA.VV., Monte Sannace. Gli scavi dell'acropoli (1979-1983), Galatina 1989; Salento porta d'Italia. Atti del Convegno, Lecce 1986, Galatina 1989; M. Tagliente, Frammenti di stele daunie dal Melfese, in BdA, LVIII, 1989, pp. 53-56; Archeologia dei Messapi (cat.), Bari 1990; E. De Juliis, L'ipogeo dei Vimini di Canosa, Bari 1990; M. C. D'Ercole, La stipe votiva del Belvedere a Lucera, Roma 1990; M. Mazzei, L'ipogeo Monterisi-Rossignoli di Canosa, in AnnAStorAnt, XII, 1990, pp. 123-167; G. L'Arab, L'ipogeo delle Cariatidi di Vaste, in Taras, IX, 1991, pp. 19-40; L. de Lachenal, Il rilievo frammentario con cavalieri reimpiegato a Castel del Monte, in RIA, s. III, XIV-XV, 1991-1992, pp. 131-153; E. De Juliis, La tomba del Vaso dei Niobidi di Arpi, Bari 1992; Principi, imperatori, vescovi. Duemila anni di storia a Canosa (cat.), Milano 1992. - Area lucana e brezia: K. Kilian, Untersuchungen zu fräheisenzeitlichen Gräbern aus den Vallo di Diano, Heidelberg 1964; P. Zancani Montuoro, Coppie dell'età del ferro in Calabria, in Klearchos, XXIX-XXXII, 1966, pp. 197-224; M. Cristofani, I bronzetti italid del Museo di Crotone, ibid., XXXVII-XL, 1968, pp. 45-64; J. De La Genière, Recherches sur l'âge du fer en Italie meridionale, Napoli 1968; D. Adamesteanu, Tomba arcaica di Armento, m. AttiMGrecia, XI-XII, 1970, pp. 83-92; E. Greco, Il Pittore di Afrodite, Benevento 1970; Popoli anellenici in Basilicata (cat.), Napoli 1971; D. Adamesteanu, M. Lejeune, Il santuario lucano di Rossano di Vaglio, in MemAccLinc, XVI, 1971, pp. 39-83; G.F. Lo Porto, Civiltà indigene e penetrazione greca nella Lucania orientale, in MonAnt, XVII, s. misc. I, 3, 1973, pp. 149-250; D. Adamesteanu, La Basilicata antica. Storia e monumenti, Cava dei Tirreni 1974; J.-P. Morel, Garaguso, in CRAI, 1974, pp. 70-395; A. Bottini, E. Greco, Tombe a camera del territorio pestano, in DArch, VIII, 1974-75, pp. 231-274; E. Lissi, Botteghe oppidane di ceramica enotria, in AttiMGrecia, n.s. XV-XVII, 1974-1976, pp. 187-202; A. Rouveret, L'organisation spatiale des tombes de Paestum, in MEFRA, LXXXVII, 1975, pp. 595-652; AA.VV., Antiche civiltà lucane. Atti del Convegno, Oppido Lucano 1970, Galatina 1975; Civiltà antiche del medio Ofanto (cat.), Potenza 1976; A. Pontrandolfo Greco, Su alcune tombe pestane, in MEFRA, LXXXIX, 1977, pp. 31-98; AA.VV., Attività archeologica in Basilicata 1964-1977. Scritti in onore di D. Adamesteanu, Matera 1980; P.G. Guzzo, S. Luppino, Per l'archeologia dei Brezi. Due tombe tra Thurii e Crotone, in MEFRA, XCII, 1980, pp. 821-914; G. Greco, Lo sviluppo di Serra di Vaglio nel Ve IV sec. a.C., ibid., XCIV, 1982, pp. 67-89; R. R. Holloway, M. Nabers, The Princerly Burial of Roscigno, in Revue des archéologues et historiens d'art de Louvain, XV, 1982, pp. 97-163; A. Pontrandolfo Greco, I Lucani, Milano 1982; AA.VV., Bretti, Greci e Romani. Atti del V Convegno storico calabrese, Cosenza-Reggio Calabria 1973, Reggio Calabria 1983; A. Rouveret, A. Pontrandolfo Greco, Pittura funeraria in Lucania e Campania, in DArch, s. III, I, 1983, pp. 91-130; H. Tréziny, Les problèmes des fortifications lucaniennes, in Architecture et société de l'archaïsme grec à la fin de la République romaine. Actes du Colloque International, Rome 1980, Roma 1983, pp. 105-118; M. Castoldi, La ceramica con decorazione a tenda dall'Incoronata, in Studi e ricerche archeologiche in Basilicata (Quaderni di Acme, 4), Milano 1984, pp. 11-39; C. A. Fiammenghi, La necropoli di Palinuro, in DArch, s. III, III, ι, 1985, pp. 7-17; I Greci sul Basento (cat.), Como 1986; A. Bottini, Ambre a protome umana dal Melfese, in BdA, XLI, 1987, pp. 1-16; A. D. Trendall, The Red-Figured Vases of Paestum, Londra 1987; G. Greco, Bilan critique des fouilles de Serra di Vaglio, in RA, 1988, pp. 263-290; P. Orlandini, Due nuovi vasi figurati di stile orientalizzante dagli scavi dell'Incoronata di Metaponto, in BdA, XLIX, 1988, pp. 1-16; P. Poccetti (ed.), Per un'identità culturale dei Bretti, Napoli 1988; P. Ruby, Les questions sous la tente: pour une approche technologique de la céramique «a tenda», in MEFRA, C, 1988, pp. 649-686; P. G. Guzzo, I Bretti, Milano 1989; F. G. Lo Porto, F. Ranaldi, Le «lastre dei cavalieri» di Serra di Vaglio, in MonAnt, LU, s. misc. Ili, 6, 1990, pp. 290-318; M. Mertens-Horn, Die archaische Baufriese aus Metapont, in RM, XCIX, 1992, pp. 75-82. - Sicilia: E. De Miro, La fondazione di Agrigento e l'ellenizzazione del territorio fra Salso e Platani, in Kokalos, VIII, 1962, pp. 122-152; P. Orlandini, Arte indigena e colonizzazione greca in Sicilia, ibid., X-XI, 1964-1965, pp. 539-544; G. Rizza, Motivi unitari nell'arte sicula, in CronAStorArt, IV, 1965, pp. 7-29; V. La Rosa, Europa sul toro? Una terracotta sicula da Paterno, ibid, V, 1966, pp. 67-71; id., Due antefisse sicule dipinte, ibid., VI, 1967, pp. 78-88; id., Il cratere da Sabucina e il problema della decorazione figurata nell'arte indigena, ibid., Χ, 1971, pp. 50-63; E. De Miro, Nuovi dati sull'ellenizzazione dei centri indigeni della Sicilia centro occidentale, in BdA, s. V, LX, 1975, pp. 123-128; C. A. Di Stefano, Catalogo dei bronzetti figurati del Museo Nazionale di Palermo, Roma 1975, pp. 119-142; AA.VV., Insediamenti coloniali greci in Sicilia nell'VIII e VII sec. a.C. (CronAStorArt, XVII), Catania 1980; M. Frasca, D. Palermo, Contributi alla conoscenza dell'Età del Ferro in Sicilia, in CronAStorArt, XX, 1981, pp. 1-150; V. Fatta, La ceramica geometrica di S. Angelo Muxaro, Palermo 1983; G. Castellana, Tre indagini sulla cultura indigena di Sicilia, in M. G. Marzi Costagli (ed.), Studi in onore di G. Maetzke, Roma 1984, pp. 211-228; G. Fiorentini, La necropoli indigena di età greca di Valle Oscura, in Quaderni dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Messina, I, 1985-86, pp. 31-54; G. Tigano, Ceramica indigena da Sabucina, ibid., pp. 55-78; E. De Miro, Polizzello, centro della Sicania, ibid., III, 1988, pp. 25-44.
(M. Cristofanï)