Vedi COREANA, Arte dell'anno: 1959 - 1994
COREANA, Arte (v. vol. II, p. 828)
vol. II, p. 828). - Periodo preistorico. - Indagini relativamente recenti hanno smentito la tradizionale tesi secondo cui la Corea avrebbe avuto un popolamento tardivo, risalente soltanto agli ultimi millenni a.C. L'individuazione, già nel 1963, dei siti preceramici di Unggi e Kongju, rispettivamente nel Nord-Est e nel Centro-Sud della penisola coreana, aveva evidenziato prodotti litici di schegge e amigdale ricollegabili al Paleolitico Superiore, accertando la presenza umana almeno intorno al Pleistocene Medio.
Fra le scoperte più significative (1977), si segnalano le stazioni del Paleolitico Inferiore di Kyŏnggi-do, lungo il fiume Hant'an, e delle grotte di Turubong, risalenti rispettivamente a c.a 300 e 200 mila anni fa. Negli scavi in cui si è riusciti a stabilire sequenze stratigrafiche, nella località di Sŏkchang-ni (Kongju-gun), è emersa la presenza di nuclei in quarzite a scheggiatura bifacciale. La lavorazione monofacciale del nucleo, i c.d. choppers o chopping tools dell'Asia orientale, è emersa negli strati superiori di Sŏkchang-ni, sito assegnato al Paleolitico Medio e collocato con la datazione al radiocarbonio tra i 30 e i 20 mila anni or sono. Con la regressione glaciale, verso la fine del Pleistocene, in cui si produsse l'attuale configurazione geografica, i gruppi umani di più antico insediamento, con quelli di recente immigrazione, in seguito all'estinzione della grande fauna pleistocenica, dovettero basare il loro sostentamento sulla pesca e sull'attività venatoria relativa ad animali di modeste dimensioni. Cominciano quindi ad apparire strumenti microlitici da pesca come ami e arpioni, largamente rinvenuti nel sito di Tonggwanjin, nel bacino del Tuman, mentre si diffondono i «cumuli di conchiglie», i resti di pasto delle culture mesolitiche e neolitiche allo stadio della caccia e della raccolta, che caratterizzano vaste aree geografiche dell'Asia. In questa fase culturale che in Corea ha una particolare estensione cronologica, penetrano decisivi elementi innovativi come l'agricoltura, la ceramica e i metalli.
La cultura neolitica coreana, le cui tracce risalgono al III millennio a.C., è caratterizzata da una ceramica con decorazione «a pettine» suddivisa in due principali tipologie. La prima, in argilla sabbiosa, mescolata a mica, è contraddistinta da un vasellame a bordi dritti con fondo a punta o arrotondato e una decorazione dipinta o incisa in senso orizzontale a «spina di pesce». Diffusa principalmente lungo la costa occidentale, soprattutto a Ν del fiume Han, si riscontra anche saltuariamente in alcune aree a S e a E. Il secondo tipo di ceramica «a pettine», in argilla temperata solamente da sabbia, consiste in un vasellame a fondo piatto con decorazioni meandriformi e triangolari, distribuite orizzontalmente soltanto lungo il bordo. Ricollegabile alla ceramica neolitica della Manciuria sud-occidentale e della Cina settentrionale, essa è diffusa quasi esclusivamente nel Nord-Est della Corea. Alla ceramica «a pettine» si sovrappone, intorno alla prima metà del I millennio a.C., una «ceramica semplice» in argilla grossolana temperata con sabbia, a corpo bulbiforme, piccolo fondo piatto e bordi talora espansi. Probabilmente portata da popolazioni provenienti dalla Manciuria sud-occidentale, è generalmente identificata con la ceramica trasmessa in Giappone e nota come Yayoi. Accanto alla «ceramica semplice» coesiste una ceramica rossa dipinta con ocra e ricollegabile ai prodotti della Cina settentrionale (Hong tao). La cultura della «ceramica semplice», riscontrabile prevalentemente nelle zone interne, a differenza di quella della ceramica «a pettine» diffusa nelle zone costiere, è caratterizzata da abitazioni a pozzo infossato, da asce e coltelli litici a mezzaluna perpendicolare all'impugnatura e dal megalitismo con dolmen a tavola o a cista parzialmente sotterranea.
Intorno al IV e III sec. a.C. scese un'ondata di popolazioni centroasiatiche di stirpe tungusa, le quali fondarono nel II sec. a.C. nel Nord della penisola, il regno noto dalle fonti cinesi come Weiman Chaoxian, con capitale nella zona dell'attuale Pyongyang. Fu il culmine della cultura dei metalli i cui prodotti più diffusi furono spade, asce, alabarde in ferro e pugnali e specchi in bronzo. I primi prodotti metallici, databili dal III sec. a.C. al III d.C., provenienti principalmente dall'arredo funebre, presentano talora caratteristiche formali ricollegabili forse a culture non cinesi delle aree del Jehol e del Liaonin, come confermerebbero le scoperte archeologiche nella provincia di Chaoyang, nell'attuale Cina nord-orientale, al di là della Grande Muraglia. Mentre le alabarde non si distinguono molto dai tipi cinesi, i pugnali mostrano elementi caratteristici, come una pronunciata costolatura centrale, lama stretta e manico distaccabile fuso separatamente. La scoperta di stampi in pietra arenaria per pugnali e specchi in bronzo in numerose località della Corea ha confermato la fabbricazione locale degli oggetti che, per influenza della metallurgia cinese, presentano una forte percentuale di stagno. La differenza tipologica con i prodotti cinesi si evidenzia negli specchi: doppio passante eccentrico, invece del passante centrale, e bordo a sezione semicircolare, invece della «piattaforma sollevata» o del «bordo appuntito» dei modelli cinesi. Anche la decorazione a motivi geometrici disegnati da fasce rettilinee appare autonoma da influenze cinesi. Le fibbie animalistiche in bronzo che riprendono figure di cavalli e di tigri, con il corpo a fusione piatta e il lato opposto concavo, presentano decorazioni di fasce composte da motivi lineari lungo il capo, le spalle e il corpo. Esse sembrano collegarsi ad analoghe figurine cinesi della dinastia Han, a loro volta derivate dai bronzi arcaici dell'Ordos. Oltre alle fibbie zoomorfe, ritrovamenti isolati di sonagli e altri ornamenti in bronzo rinvenuti nel basso corso del fiume Naktong sembrano ricollegare le fibbie coreane all'arte scitica delle steppe attraverso una chiara mediazione cinese. La spedizione militare condotta vittoriosamente contro il regno di Weiman, che rappresentava una minaccia alla Cina, dall'imperatore Wudi della dinastia Han nel 108 a.C., fece fuggire al Sud, nell'area intorno a Kyŏngju, il nucleo più consistente delle popolazioni tunguse le quali diffusero il ferro in tutta la penisola. Al Nord la Cina istituì la colonia di Lolang, con capitale Wang Xian, presso l'attuale Pyongyang, ove popolazioni cinesi e coreane convivevano amministrate da funzionari imperiali. L'alto livello culturale della comunità cinese (huajiao), è attestato dai ricchi arredi funerari con lussuosi prodotti in lacca dipinta. Questa raffinata cultura si diffuse, tramite i contatti commerciali, alle altre popolazioni della Corea, in particolare agli Han del Sud, maestri della metallistica, che intrattenevano rapporti anche col Giappone. Le forti pressioni esercitate via via dalle popolazioni coreane sulla colonia di Lolang indussero la Cina, intorno al III sec. d.C., a fondare, a S della prima, un'altra colonia con funzione di baluardo. Ma nel 313 la popolazione di Koguryŏ, proveniente dal Nord, assorbì nel proprio territorio le due colonie cinesi, mentre al Sud si erano costituiti altri due regni: Paekche a SO e Silla a SE, tra i quali si inseriva un territorio di villaggi indipendenti (Kaya). Con la formazione dei tre regni di Koguryŏ, Paekche e Silla, la Corea entra nella fase protostorica.
Periodo dei Tre Regni. - Il regno di Koguryŏ (37 a.C.- 668 d.C.), militarmente il più forte dei tre, era particolarmente esposto alle influenze culturali della confinante Cina. Nel 372 accolse il buddhismo, introdotto da un monaco inviato dalla corte della dinastia dei Jin Orientali (317-420), anche se i più fecondi rapporti culturali e artistici giunsero a Koguryŏ dalla dinastia dei Wei Settentrionali (386-535).
Il regno di Paekche (18 a.C.-660 d.C.), per la sua posizione geografica stabilì invece rapporti privilegiati con le dinastie cinesi a S dello Yangzi, in particolare con gli stessi Jin Orientali, attraverso i quali nel 384 fu trasmesso il buddhismo, e con i Liang (502-557) che inviarono architetti, scultori, pittori e ceramisti. Il regno di Silla (57 a.C.-666 d.C.), dislocato nel Sud-Est della penisola e separato dal resto del paese dai monti Sobaek, potè elaborare, in questo suo isolamento, una cultura più autonoma e conservatrice. Forte di una ricca produzione di ferro e oro, in seguito alle avanzate tecniche minerarie apprese dai profughi cinesi di Lolang, il regno divenne famoso anche in remoti territori dell'Asia, come appare dal primo repertorio di strade in lingua araba, compilato nel IX sec. da Ibn Khurdādhbih di Sāmarrā, che menziona Silla come «la nazione scintillante d'oro». Oltre a una florida economia, Silla poteva vantare una preparata classe dirigente politica e militare, alla cui formazione provvedevano corpi speciali, la c.d. gioventù dei fiori (hwarang). Pur accogliendo il buddhismo come religione ufficiale soltanto nel 528, Silla si mantenne ben presto al passo con gli altri due regni elaborando creazioni artistiche originali, come le note pagode in pietra che adornavano la capitale Kyŏngju. Annesso nel 552 l'ultimo degli stati-cuscinetto (Kaya) che si frapponevano con Paekche, Silla inaugurò inizialmente una politica di alleanza con il regno confinante, contro il comune nemico Koguryŏ che spesso attaccava i confini Ν di entrambi. Né valse a fronteggiare l'aggressivo regno il sostegno della dinastia cinese dei Sui (581-618), che in due interventi militari fu clamorosamente sconfitta da Koguryŏ. Silla, che ormai ambiva alla supremazia su tutta la penisola, dopo aver rotto le relazioni con l'ex alleato Paekche, aveva stretto saldi rapporti con la nuova potente dinastia cinese dei Tang (618-906), trascinandola, nel 645 e nel 647, in due sfortunate spedizioni contro Koguryŏ. Ma nel 660 le forze unite di Silla e dei Tang volsero al Sud distruggendo la capitale di Paekche e nel 668 la presa di Pyongyang segnò la fine del regno di Koguryŏ, e l'unificazione della penisola sotto l'egemonia di Silla.
Nell'ambito delle manifestazioni artistiche dei Tre Regni piuttosto esiguo è il numero dei reperti ceramici giunti da Koguryŏ, che rivelano una forte influenza della produzione cinese. Fra questi, alcune mattonelle con iscrizioni e tegole con i motivi buddhistici del loto a quattro petali e della felce, rinvenute presso Pyongyang e Tongkou, sembrano stilisticamente affini ai modelli della Cina settentrionale. Di particolare qualità estetica e iconograficamente più varie risultano le mattonelle e le tegole di Paekche, rinvenute a Puyŏ, che appaiono legate per lo più agli influssi delle dinastie cinesi meridionali. Oltre al loto, in diverse stilizzazioni e con sei o otto petali, compaiono i motivi tradizionali cinesi della fenice (fenghuang), della «maschera» terriflco-apotropaica (taotie), nonché la prospettiva piatta del paesaggio che caratterizza la pittura delle Sei Dinastie. La stilizzazione di motivi floreali sembra caratterizzare la ricca produzione di Silla, destinata a protrarsi fino al X secolo. Per quanto riguarda il vasellame, si può rilevare una sostanziale affinità nell'ambito dei prodotti del Sud della penisola. Modellata sulla ruota, la ceramica di Silla e Paekche si contraddistingue in due principali tipologie. La prima, un ibrido fra la ceramica grezza e quella rossa lucidata del periodo neolitico e cotta a temperatura più elevata, presenta un colore bruno di varie tonalità. La forma più ricorrente è il vaso a larga bocca e bordo ripiegato orizzontalmente con fondo stretto e piatto o, talora, con piede cilindrico solido oppure conico e cavo. La seconda, nota come «ceramica di Kimhae», dalla località, presso Pusan, ove appare concentrata questa produzione, è in argilla depurata cotta ad alta temperatura che, a seconda dell'atmosfera ossidante o riducente del forno, assume un colore rossastro o grigio. Prevale la forma del largo vaso con ampia imboccatura e orlo a brusco risvolto, spesso solcato al centro. Il fondo è ora tondo ora piatto e talora compare un manico a forma di corno. La decorazione, impressa con motivi a corda o a grata, sembra ottenuta comprimendo sull'impasto una «paletta» attorno alla quale era avvolta una cordicella. Dalla ceramica di Kimhae, nella sua varietà particolarmente dura, grigia e priva di ornamentazioni, che si rifaceva ai modelli cinesi Han mediati attraverso Lolang, si sviluppò il modello di Silla, destinato a dominare per secoli la ceramica coreana anche se, parallelamente a essa, persiste una produzione minore di terracotta rossa e tenera, modellata a mano, che continua la tradizione preistorica. La porosità del materiale esposto a lungo all'umidità l'ha resa particolarmente fragile, il che spiega la sua difficile reperibilità. La forma più ricorrente è il vaso a fondo ora piatto ora curvo, simile alla ciotola da riso, anche se non mancano recipienti più rari, come vasi con manici a corno, adibiti alla cottura a vapore o la coppia di vasi di diversa profondità connessi tra di loro e collocati su un unico sostegno a doppia perforazione. La durezza che caratterizza invece la ceramica di Kimhae era probabilmente dovuta alla cottura nei forni a tunnel, scavati a ridosso delle alture, come fanno presupporre i ritrovamenti nelle località di Toksari, presso Kyŏngju e nelle vicinanze di Puyŏ, la capitale di Paekche. A questo tipo di forni è legata non solo la produzione ceramica di Silla ma anche quella delle più tarde dinastie Koryŏ (918-1392) e Yi (1392-1910), nonché delle ceramiche preistoriche e protostoriche giapponesi di Iwaibe e Sue. Il nucleo più consistente delle ceramiche di Silla è emerso dai grandi tumuli funerari concentrati presso Kyŏngju, databili dal V al VII secolo. Destinati a un'unica sepoltura, anche se talora comprendevano più di una camera sepolcrale, potevano contenere nel corredo funebre fino ad alcune centinaia di ceramiche, per lo più di uso quotidiano. La forma più ricorrente, ricollegabile al vaso cinese di tipo dou delle tombe di Lolang, è la coppa con coperchio che poggia su alto piede troncoconico traforato a giorno con quadrangoli irregolari o triangoli. Il coperchio, dotato di pomello, si inserisce entro il bordo sporgente della coppa che sembra adibita a contenere cibo, come evidenziano frequentemente i residui solidi. Il tipo analogo privo di coperchio, a giudicare anche dalla mancanza di bordo sporgente per la sua inserzione, doveva essere utilizzato come contenitore di liquidi e presenta due manici ad anse ripiegate. La giara ad alto collo rastremato a V, destinata a contenitore sia di cibo sia di acqua, ricollegabile al tipo cinese hu, presenta generalmente il fondo arrotondato o leggermente dentellato e solo raramente piatto. Essendo generalmente sprovviste di piede proprio, esse venivano poggiate su un sostegno separato con bordo espanso su alto piede, cavo e conico, dotato di perforazioni analoghe a quelle delle coppe. Frequentemente le proporzioni fra base e zona di appoggio variano fino a eguagliarsi, dando al sostegno la forma di coppa a largo piede. Nella decorazione a pettine, distribuita regolarmente a fasce lungo il corpo e il collo, si inseriscono talora motivi animalistici incisi. Tale decorazione è invece assente nella giara a collo corto, ricollegabile a tipologie della ceramica giapponese di Iwaibe. Le ceramiche non appartenenti al corredo funebre presentano talora elementi commisti o forme particolari, come la «coppa per libagioni» a forma di corno con apposito sostegno o quella che è ritenuta una «lucerna a olio», a forma di larga coppa con ornamenti a pendaglio, contenente piccole tazze con aperture alla base. La coroplastica, rinvenuta principalmente in tombe nell'area di Kyŏngju e del territorio Kaya, è una produzione per lo più spontanea e popolare di figure animali (coniglio, cane, mucca, maiale, tigre, tartaruga, serpente, anatra) e umane, raffigurate, talora con vena umoristica, nelle loro varie attività quotidiane; non mancano, in questo repertorio, rappresentazioni erotiche. Ma la produzione più originale della ceramica di Silla è indubbiamente il vasellame a forma plastica rinvenuto fra l'arredo funebre, raffigurante per lo più cavalieri in sella sul loro cavallo e foggiato a recipiente: dal petto dell'animale sporge un beccuccio, mentre sulla groppa appare una specie di tazza a forma di imbuto. Rilevante interesse presenta quest'arte fittile per la ricostruzione dei particolari delle uniformi e delle bardature in cuoio. Altre forme caratteristiche di tali recipienti sono la barca con figurina di rematore seduto a prua, il modellino di casa con animali domestici sul tetto e all'ingresso, la coppia di tazze congiunte e montate su un carro a due ruote, talora poggiato su un sostegno tondo. In tutti questi tipi di vasellame compare spesso un'invetriatura brunita ottenuta spontaneamente durante la cottura.
Nel campo della metallistica la manifestazione artistica più originale del periodo dei Tre Regni è data dalle corone auree emerse dal corredo funebre delle tombe del regno di Silla, nell'area di Kyŏngju. Eseguite in lamine di bronzo dorato o in sottili scaglie d'oro, troppo fragili per essere effettivamente usate come copricapo, tali corone sono composte da un cerchio esterno su cui si innestano tre o cinque elementi verticali ramificati, cui si aggiunge generalmente un copricapo cilindrico interno, con decorazioni a traforo, che termina con due lunghe punte a corna traforate e adorne di pendagli. Ai minuscoli fori disposti lungo il cerchio esterno si agganciano fili metallici intrecciati dai quali pendono piccoli ciondoli tondi in oro e bronzo, magatama (v., ornamenti a forma di zampa d'orso) e altri elementi in pietra dura. Circa il significato simbolico delle corone, si è propensi a interpretare le loro ramificazioni ornate come simbolo delle penne dei volatili che, secondo una credenza attribuita alle popolazioni coreane del Sud dalla fonte cinese Sanguozhi, favorirebbe il volo dei defunti nell'oltretomba. Anche nel Nord, in verità, si tenevano in grande considerazione le penne, in particolare quelle di gallo, l'animale che disperde le tenebre, come appare anche dalle pitture murali delle tombe di Koguryŏ ove vengono raffigurati i copricapi piumati dei guerrieri. L'appellativo di «adoratori del gallo» con cui un'altra fonte cinese, il Nanhai Qigui neifajuan, definisce gli abitanti di Koguryŏ, potrebbe essere un ulteriore elemento a favore di questa ipotesi. I motivi ramificati e a forma di corna di cervo con cui sono foggiati gli elementi verticali innestati sul cerchio, secondo l'opinione più diffusa, potrebbero essere connessi con le credenze religiose delle popolazioni della steppa euroasiatica. L'analogia delle corone con i diademi sciamanici della regione siberiana dello Yenissei, amplia inoltre gli orizzonti sulle funzioni assunte dalle corone di Silla: non solo semplice corredo funerario ma, all'occasione, simbolo dell'autorità religiosa rivestita dal sovrano. In tal caso alcuni fragili esemplari rintracciati nelle tombe non sarebbero che un'imitazione delle più solide corone utilizzate effettivamente nei riti. Il ritrovamento non solo nell'area di Silla; ma anche del regno di Paekche, di un modello semplificato di corona, privo di copricapo interno e dotato di tre soli elementi verticali «piumati», ha fatto ipotizzare l'esistenza di prototipi più semplici delle corone di Silla. La somiglianza degli elementi piumati, non solo con elementi dei copricapi di guerrieri raffigurati nelle tombe di Koguryŏ, ma anche di un guardiano buddhistico delle grotte cinesi di Tianlongshan e addirittura con un diadema scoperto ad Aleksandropol', nella Russia meridionale, hanno fatto ipotizzare un tipo di diadema dotato di elementi ramificati stilizzati, che ebbe larga diffusione in tutto il continente euroasiatico. Adottato in forme semplificate a Koguryŏ e a Paekche esso avrebbe subito una complessa e autonoma rielaborazione nel regno di Silla. Fra i copricapi di Koguryŏ è interessante notare una tecnica artistica trasmessa nel Giappone del periodo di Asuka: l'inserzione, entro i finimenti metallici, delle elitre blu iridiscenti del coleottero tamamushi (Chrysochron fulgidissima), come appare in Giappone nel celebre tabernacolo dell'Hŏryūji. I monili più ricorrenti nelle tombe di Silla sono gli orecchini d'oro, composti da un anello principale (grosso e jcavo o sottile e pieno) in cui si inserisce un anello minore che sostiene un pendaglio fogliato o cubico con motivi in filigrana o in granulazione, tecniche cinesi importate da Lolang. Fra gli oggetti preziosi delle tombe di Silla figurano anche bracciali in oro e in bronzo dorato, che consistono, nella loro forma più semplice, in un anello pieno con una dentellatura a V applicata lungo il bordo esterno, ma non mancano forme più elaborate come quella dei due draghi affrontati. Le cinture d'oro erano eseguite con placche traforate fissate su una striscia di cuoio o di stoffa, da cui pendevano da sei a dieci elementi ovoidali in oro, legati tra loro per mezzo di dentelli interstiziali. I ciondoli che concludono i pendagli sono: linguelle lisce, leggermente espanse alla base, piccoli astucci, tubetti, pesci, magatama. L'origine cinese di tale monile, presente anche nelle tombe di Paekche, è stata evidenziata da chiare analogie dei motivi decorativi incisi sulle placche e sui pendenti (principalmente il c.d. motivo guaiyun, della nuvola a forma di foglia di vite dai cui bordi sporge una testa di uccello), nonché della forma di alcuni pendenti, come il pesce, ricollegabile allo yufu cinese, ovvero «astuccio del pesce», specie di credenziale simbolica destinata al personale militare. Fra le altre opere in metallistica documentate nelle tombe di Silla figurano anche suole di scarpe ornamentali in bronzo dorato decorate con motivi floreali, di uccelli e animali fantastici in rilievo eseguiti con fusione a stampo. Con la medesima tecnica sono eseguite le piastre sagomate e traforate in bronzo dorato che ornavano le selle lignee e i varí finimenti della cavalcatura. Fra i recipienti si segnala infine un tipo di bollitore portatile che consiste in un tripode con beccuccio e lungo manico, usato probabilmente come bricco da vino o per decotti, da porsi direttamente sulla fiamma. Questo tipo di recipiente, sviluppato dai modelli cinesi Han, molto più semplici, mostra talora rielaborazioni ornamentali nella sagomatura a forma di testa di drago del beccuccio e dell'estremità del manico.
L'iconografia buddhistica, la manifestazione artistica più tarda del periodo dei Tre Regni, non è anteriore al IV sec. d.C., verso gli ultimi decenni del quale sorsero i primi monasteri, due nella capitale di Koguryŏ e uno nel regno di Paekche, a Han-san. Koguryŏ fu il primo dei Tre Regni a ricevere e produrre immagini buddhistiche e manifestò fin dall'inizio la tendenza a seguire i modelli cinesi, benché verso la metà del VI sec. abbia dato avvio a un processo di individualizzazione che portò alla caratteristica scultura di Koguryŏ dal dinamismo semplice e lineare. Le prime immagini buddhistiche dovevano essere statuette di piccole dimensioni in argilla o in legno di fattura locale. La più antica icona in bronzo rintracciata in Corea è un minuscolo Buddha assiso in dhyānamudrā con panneggio schematico a U, alto appena 5 cm, rinvenuto nei pressi di Seul. Ritenuto di fabbricazione cinese, è stilisticamente ricollegabile all'esemplare della Collezione Avery Brundage di San Francisco datato al 338 d.C. Le più antiche immagini buddhistiche di fabbricazione coreana non sembrano comunque anteriori alla prima metà del VI secolo. Generalmente in bronzo, talora dorato, o in argilla e raramente in pietra, sono di dimensioni variabili tra i 10 e i 20 cm di altezza. Fra questi il Buddha Sākyamuni stante in bronzo dorato, del Museo Nazionale di Seul, con iscrizione incisa sul retro dell'alone, datata al 539, è considerato il più antico esemplare di Koguryŏ. Il panneggio, dalle pieghe simmetriche, anche se spostate rispetto all'asse della figura, e il «sorriso arcaico» la ricollegano ai modelli cinesi della dinastia dei Wei Settentrionali. Dalla stessa area di Koguryŏ provengono due piccole triadi in bronzo dorato del Buddha Maitreya accompagnato da due Bodhisattva, appartenenti rispettivamente alle collezioni Hyung-pil Chun e T. H. Kim di Seul, datate, in base alle iscrizioni incise sul retro dell'alone, alla seconda metà del VI secolo. Mentre la prima è ancora stilisticamente legata ai modelli cinesi dei Wei Settentrionali, la seconda, col panneggio più sciolto che rivela maggiormente le forme del corpo, è sintomatica della tendenza stilistica della scultura cinese alle soglie dell'epoca Tang che, su influsso della statuaria indiana gupta, elabora forme più plastiche, con viso tondeggiante in cui scompare definitivamente il «sorriso arcaico». Vari sono gli esemplari di Koguryŏ aderenti a questo nuovo tipo iconografico, eseguiti in terracotta e modellati a stampo nella parte anteriore. Completati col coltello sul retro, a essi venivano applicati pigmenti bianchi e rossi dopo la cottura. Le frequenti ambascerie e visite di monaci coreani in Cina contribuirono ad adeguare le immagini alla nuova iconografia.
Divenuti maestri nell'arte della scultura religiosa, i Coreani la trasmisero in Giappone, ove le opere circoscritte intorno al VI sec. appaiono come eseguite da artisti di Paekche o Silla, o almeno sotto la loro supervisione. In questo periodo comincia a denotarsi, soprattutto nel Sud della penisola, ima somatizzazione coreana dei volti, mentre inizia a diffondersi la rappresentazione di Amitābha, il Buddha della Terra Pura, destinata nel secolo successivo ad avere una popolarità maggiore rispetto alle immagini di Maitreya. Un agile stile naturalistico contraddistingue le sculture di Paekche, dal volto tondeggiante e dai tratti sciolti. Il «sorriso di Paekche», più caldo e umano dello ieratico «sorriso arcaico», che compare sui volti allungati dei modelli cinesi dei Wei Settentrionali, caratterizza l'ovale più tondeggiante delle sculture coreane meridionali. Influenze stilistiche dei Liang e di altre dinastie cinesi meridionali su Paekche sono verosimilmente confermate dagli stretti contatti con la Cina del Sud. Gli artigiani di questo regno trasmisero successivamente il loro stile in Giappone, come attesta la nota «Avalokiteśvara di Paekche» (Kudara Kannorì) dell'Hŏryūji. Le grandi sculture su roccia nel c.d. stile sud-occidentale di Paekche si protrassero per alcuni decenni; anche dopo la caduta del regno, come attestano alcune stele in steatite bruno-rossiccia, conservate presso il Museo Nazionale di Seul. La larga diffusione nella penisola dell'immagine di Maitreya assiso in meditazione risale agli inizi del VII sec. e si rifa probabilmente a modelli cinesi dei Wei Orientali, della metà del secolo precedente, come appare dall'immagine acefala in granito del Museo Nazionale di Kyŏngju, uno dei più antichi prototipi noti. Fra i prodotti coevi in bronzo, oltre al Maitreya del Museo Nazionale di Seul, ricollegabile a una produzione meridionale estranea alle tendenze sinizzanti del Nord, vi sono alcune delle opere ritenute provenienti da Silla, che per la sua posizione isolata tendeva maggiormente ad autonome rielaborazioni stilistiche, come a una particolare tendenza all'astrazione della figura stilizzata in forme rigide e geometrizzanti. La base stessa su cui poggia la figura è talora a forma di ottagono inscritto in un quadrato che verrà ripreso nello schema delle pagode in pietra. Le espressioni dei volti sono generalmente austere e talora persino arcigne o fortemente individualizzate. La tendenza fondamentale al naturalismo, comune del resto alla scultura dell'ultimo periodo dei Tre Regni, è spesso associata a una spiccata tendenza a trascurare alcuni particolari. Al loro confronto molte sculture giapponesi del VII sec., che pure rivelano forti influenze coreane, mostrano una maggiore scioltezza, plasticità e cura dei particolari. Capolavoro della scultura dell'epoca è il bronzo dorato del Museo del Palazzo Tŏksu di Seul raffigurante Maitreya assiso in meditazione. Alto 93 cm, presenta il volto tondeggiante con un diadema trilobato e una semplicissima collana, unico ornamento che compare sul petto, mentre il collo è segnato da tre solchi orizzontali, secondo un modello iconografico ricollegabile alla scultura cinese della metà del VI sec., dipendente a sua volta dai modelli indiani. I lobi sono forati, caratteristica unica della scultura buddhistica coreana che riflette l'usanza popolare a Silla di portare grandi orecchini d'oro. L'eleganza del drappeggio, il modellato realistico del corpo e la proporzione perfetta della figura superano i rigidi schematismi della prima scultura di Silla e sono pure distanti dalla pesantezza della scultura del Nord. Questo modello iconografico influenzò profondamente la scultura giapponese del periodo di Asuka, come appare dai noti esemplari in legno del Miroku Bosatsu del Kŏryūji di Kyoto e del Chūgūji di Nara. Le figurine in posizione eretta prodotte nel VII sec. a Silla, presentano una rigida frontalità sottolineata dallo schema convenzionale del panneggio e dalla rigorosa simmetria dei lunghi diademi granulati che scendono lungo la tunica, disponendosi a X intorno a un medaglione centrale, secondo ricorrenti modelli iconografici cinesi delle Sei Dinastie. Il viso, per lo più tondeggiante, è atteggiato in un lieve sorriso.
L'influenza della scultura rupestre della Cina settentrionale appare nel rilievo di So-san, sulla costa occidentale a S di Seul, in corrispondenza dei confini settentrionali di Paekche. Si tratta di una triade scolpita su granito (alt. 2,80 m) raffigurante Vairocana al centro, fiancheggiato da Maitreya assiso e da un Bodhisattva stante. Questa, che è la più antica scultura buddhistica su roccia viva, risulta stilisticamente composita presentando elementi ricollegabili alla scultura cinese del VI sec., come il volto sollevato e il drappeggio sciolto degli esemplari più tardi. La rigida frontalità dei piedi di Vairocana ha un forte sapore locale e fa presupporre che l'opera fosse stata eseguita intorno alla fine del VII sec., nella fase finale di distacco dalla Cina che caratterizzò l'ultimo periodo di Paekche. Benché la tradizione cinese e indiana del monastero buddhistico rupestre non abbia mai attecchito in Corea, il rilievo su roccia ebbe larga diffusione nel periodo Grande Silla e durante la successiva dinastia Koryŏ. Una triade scolpita a tutto tondo in granito, risalente agli ultimi anni del regno di Silla (alt. max. 2,77 m), si erge all'aperto nelle vicinanze di Pae-ri presso Kyŏngju; la corposità e le proporzioni poco slanciate delle tre figure (Amitābha al centro, fiancheggiato da Avalokiteśvara e Mahāsthāmaprāpta) richiamano i modelli cinesi Sui. Proporzioni parimenti brachilinee, anche se rifinita con tratti molto più accurati, presenta un'altra triade di Amitābha in granito (alt. 1,62 m), conservata al museo di Kyŏngju e di datazione poco posteriore alla precedente.
Periodo Grande Silla. - Con l'unificazione della penisola sotto il regno di Silla, dal VII al X sec. d.C., iniziò un massiccio processo di sinizzazione politica e culturale della Corea, che continuò sotto le successive dinastie Yi e Koryŏ; leggi e strutture amministrative furono costituite sul modello dei Tang. Il cinese divenne la lingua ufficiale nei documenti, e nell'uso pratico fu adattato al coreano mediante il sistema idu, che consisteva nell'utilizzazione puramente fonetica di alcuni ideogrammi cinesi (l'introduzione dell'alfabeto fonetico coreano risale soltanto al XV sec.). L'uso del cognome monosillabico e la sinizzazione dei toponimi furono le più evidenti conseguenze linguistiche che causarono la scomparsa di molti nomi e toponimi originali. L'urbanistica di Kyŏngju si uniformò a quella della capitale cinese Chang'an, con lo schema delle strade ad angolo retto e l'uso delle tegole per tutti gli edifici. Oltre a molteplici scambi fra dotti e monaci dei due paesi, molti giovani coreani poterono studiare in Cina con facilitazioni governative e, previo il superamento degli esami statali, entrare nella burocrazia cinese.
Il buddhismo, divenuto religione ufficiale, ebbe il pieno appoggio dell'autorità, che emanò editti specifici per la costruzione di nuovi templi. Su influsso del buddhismo fu favorita la pratica dell'incinerazione, che portò alla scomparsa dei grandi tumuli funerari a blocchi megalitici, sostituiti da sepolture di minori dimensioni, ma dotate di una camera funeraria con ingresso che ne permetteva successive utilizzazioni da parte di un nucleo familiare. Spesso la sepoltura consisteva di due camere quadrangolari contigue ma, nei casi più semplici, troviamo una sola urna cineraria, che costituisce il tipo di vasellame ceramico più diffuso in questo periodo. Durissime, talora di notevoli proporzioni, e con pareti molto spesse, tali urne sono provviste di un coperchio e decorate sulla intera superficie da un ornato eseguito a stampo, spesso il motivo buddhistico del loto. Compare nella ceramica coeva una prima invetriatura giallo chiara, ottenuta non casualmente, che sembrerebbe affine a quella prodotta nella colonia cinese di Lolang. Fra le terrecotte, soprattutto le tegole raffinano ulteriormente le loro decorazioni con eleganti figure di ninfe celesti (apsaras) e spesso assumono forme nuove, come di maschera ferina o di demone, per ornare estremità di trabeazioni. Per quanto la ceramica del periodo Grande Silla abbia una produzione limitata e non goda di quel prestigio che ha reso universalmente famoso il vasellame della successiva dinastia Koryŏ, appare ormai fuori di dubbio che essa rappresenti una forma d'arte estremamente genuina e quasi totalmente estranea a influssi esterni.
Scompare il ricco corredo funebre in oro del periodo precedente, e nella fabbricazione di monili è nettamente preferito l'argento. Anche se fra i reperti del tesoro dello Shŏsŏin di Nara numerose sono le lacche annoverate come «di Silla», non è ancora stato riscontrato, all'infuori dei noti reperti della colonia cinese di Lolang, altro luogo di produzione correlato. Una caratteristica produzione coreana, iniziata nel periodo Grande Silla, sono le campane di bronzo, alcune delle quali sono conservate in Giappone, ove giunsero o come bottino di guerra di Hideyoshi (fine XVI sec.) o come doni di ambascerie, soprattutto durante l'ultima dinastia coreana Yi (XIV-XX sec.). Esse si differenziano dai modelli cinesi soprattutto per un elemento cilindrico cavo sulla corona (wu), che funzionava come cassa di risonanza. Questo elemento appare come una combinazione del consueto attacco delle grandi campane della Cina antica, il tipo zhong (che veniva appeso) e il modello minore tuo (che era impugnato). Ben differenziato dagli esemplari cinesi e giapponesi è lo schema della decorazione: al margine inferiore e superiore corrono due fasce di fitti motivi in rilievo a trifoglio o a rampicante (udumbara). Sulle spalle della campana si innestano, lungo la fascia superiore, quattro riquadri contenenti nove motivi circolari in rilievo, che talora assumono le chiare forme del fiore di loto. Tale motivo si ripete in proporzioni maggiori sul tronco della campana, ove è spesso alternato a raffigurazioni di apsaras o Bodhisattva. La più antica campana buddhistica è quella del Sangwŏn-sa (alt. 160 cm, diam. 90 cm), nella zona montagnosa di Odae, nella Corea centrale, commissionata nel 725 da un nobile locale. Di circa mezzo secolo posteriore è quella proveniente da Pondŏk-sa e conservata nel Museo Nazionale di Kyŏngju (alt. 3,70 m, diam. 2,30 m), commissionata dal re Kyŏngdŏk in memoria del padre defunto (736) ma realizzata solo nel 771 dopo non poche difficoltà tecniche. Circa queste ultime, una tradizione riferita dal Samguk Yusa, parla del sacrificio umano propiziatorio della figlioletta del fonditore che sarebbe stata addirittura gettata nella colata.
I più importanti e antichi complessi architettonici buddistici sono il Tempio Pulguk-sa e il vicino Sŏkkuram, a E di Kyŏngju, entrambi risalenti al regno di Kyŏngdŏk (742-764). Il Pulguk-sa («Tempio della Terra Pura»), costruito su due piattaforme, presenta, di fronte alla sala centrale, due pagode litiche dette rispettivamente di Sākyamuni (Sŏkka-t'ap, alt. 7,5 m) e di Prabhūtaratna (Τabot'ap, alt. 10,50 m), secondo uno schema introdotto dalla Cina Tang e riscontrabile anche nel Giappone del periodo di Nara. Il tempio rupestre di Sŏkkuram, sul monte T'oham, è costruito in grandi blocchi di granito scavati nella roccia. Esso consiste in un'anticamera rettangolare a cielo aperto e una sala principale a sezione circolare con il soffitto a volta, comunicanti attraverso un breve vestibolo, secondo gli schemi già realizzati nelle tombe di Koguryŏ, come quella nota di Ssang'yŏng-ch'ong o «tomba dei pilastri gemelli», presso Pyongyang.
Le maggiori manifestazioni artistiche del periodo Grande Silla sono indubbiamente legate all'iconografia buddhistica, in funzione della quale scultura in pietra e bronzistica raggiungono il massimo sviluppo. In granito, il materiale più largamente disponibile, vengono scolpite imponenti immagini a tutto tondo o in rilievo, come p.es. sulle pendici rocciose del Nam-san, a S di Kyŏngju. A differenza delle sculture rupestri cinesi realizzate entro grotte di notevoli dimensioni, le sculture coreane, a causa della roccia particolarmente resistente, sono inserite in semplici nicchie. Una delle prime opere in pietra, proveniente dalla «valle del Buddha» del Nam-san, è il Buddha assiso in dhyānamudra, eseguito in uno stile non ancora del tutto plasticamente sciolto, che ricorda la scultura cinese nella fase intermedia tra i periodi Sui e Tang, come appare talora a Tuoshan e a Tianlongshan. Volumi ancora rigidi, legati allo stile Sui, rivela la triade di Amitābha del P'algongsan nella provincia di Kunwi, a c.a 60 km da Kyŏngju. I due Bodhisattva Avakokitešvara e Mahāsthāmaprāpta sono di dimensioni molto minori rispetto alla figura centrale di Amitābha e richiamano, nonostante ancora una certa rigidità, la scioltezza della scultura cinese Tang.
Una delle migliori espressioni del naturalismo dinamico Tang è il rilievo su lastra smaltata raffigurante un guardiano buddhistico in groppa a due demoni. Attribuita al monaco artista Yangji che l'avrebbe eseguita intorno al 680 per il Tempio Sa-ch'ŏn-wang-sa di Kyŏngju, l'opera rivela una particolare maestria nella resa delle tensione muscolare. Il plasticismo di ispirazione Tang, che culminò con le sculture del tempio della grotta di Sŏkkuram, verso la metà dell'VIII sec., ebbe come significativi precedenti i rilievi in bronzo dei guardiani buddhistici applicati sulla teca del reliquiario provenienti dalla pagoda in pietra del Tempio Kamùn-sa, eseguita nel 682 in memoria del re Munmu. Fra le opere della fine del VII sec. si segnala la triade di Amitābha di Yŏngju (Corea sud-orientale), scolpita in altorilievo (alt. 3,30 m) su roccia in granito, in cui, più che alla precisione esteriore delle forme, l'artista sembra dedicarsi al valore dei volumi. Particolari richiami allo stile gupta appaiono in alcune figure in alto rilievo scolpite su un blocco quadrangolare di granito, rinvenuto nella località dove sorgeva il Tempio Kulpulsa, presso Kyŏngju. Su tre lati del blocco compare una triade con Bhaisajyaguru assiso al centro fra due accoliti, mentre sul quarto lato della stele sono scolpite due figure stanti, un Buddha acefalo e un Bodhisattva, ricollegabili ai modelli dell'India gupta. Stilisticamente affini sono i rilievi delle dodici figure zodiacali scolpite su quattro lastre disposte intorno alla base del tumulo funerario di Kim Yusin, generale dell'esercito di Silla, a Kyŏngju. Sempre agli ultimi decenni del VII sec. sono databili quattro statue di granito dei «guardiani» della tomba di Kyŏngju, nota col nome di Kwae-nŭng e attribuita al re Munmu, l'unificatore della penisola coreana, morto nel 681. Mentre i corpi delle statue, che raffigurano funzionari civili e militari, appaiono massicci e rigidi, con un drappeggio delineato simmetricamente, particolare attenzione sembra avere dedicato l'anonimo artista all'espressione del volto, in cui le sopracciglia unite e gli occhi chiusi accentuano la manifestazione di cordoglio per la morte del sovrano. Particolare interesse presenta la fisionomia dell'ufficiale in armatura i cui tratti non sono mongolici bensì centroasiatici, il che può far ipotizzare, oltre a una semplice copia delle figurine funerarie Tang, anche la presenza a Silla, come in Cina, di guerrieri mercenari stranieri.
Fra le sculture più rappresentative in metallo, databili tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII sec., si segnala una coppia di statuette in lega dorata, una stante e l'altra assisa, rinvenute in un reliquiario di bronzo posto in una pagoda in pietra ove sorgeva il Tempio Hwangbok, a Kuhwang-ni presso Kyŏngju. La figura stante, identificata come il Buddha Śākyamuni, ha la mano destra in abhayamudrā mentre con la sinistra regge un lembo della veste; il personaggio assiso con le mani in abhaya- e in varadamudrā, probabilmente Amitābha, appare stilisticamente più tardo. Infatti mentre il Sākyamuni, in base al drappeggio concentrico con gli orli a punta di pinna, è ricollegabile all'iconografia cinese delle Sei Dinastie, l'Amitābha assiso, i cui lembi sciolti del panneggio ricadono in avanti sul trono, sembra avvicinarsi al primo stile Tang. In una statuetta in bronzo dorato della collezione H. P. Chun di Seul, raffigurante un Bodhisattva stante, alquanto singolare risulta il trattamento del panneggio che si raccoglie, nella metà inferiore, in profonde anse concentriche dal profilo appuntito e termina, in basso, con pieghe a raggiera. Solo nell'VIII sec. comincia a determinarsi uno stile che appartiene interamente a Silla. Ne sono un primo esempio l'Amitābha (alt. 1,74 m) e il Maitreya (alt. 1,83 m) stanti in granito, provenienti dal tempio di Kam-san di Kyŏngju. L'iscrizione dedicatoria incisa sul retro dell'Amitābha, che ci fornisce la data di esecuzione delle opere (720), è il primo esempio di augurio buddhistico di felicità, non già in una nuova vita, bensì nella presente. I tratti del viso di Amitābha rientrano pienamente nei canoni dell'VIII sec.: il volto piatto, con gli occhi semichiusi, privo della vivace espressione adolescenziale sorridente, appare statico e controllato. L'ovale è squadrato e l'acconciatura è caratterizzata da tanti piccoli riccioli a chiocciola, mentre i lunghi lobi sono forati, secondo la tradizione già documentata nel secolo precedente. L'ampio abito monastico ricade mollemente sul corpo in pieghe parallele ininterrotte, caratterizzate da costolature verticali lungo le cosce e da linee a zig-zag nei lembi laterali, elementi che costituiranno nel loro insieme, da quest'epoca in poi, i tratti comuni dello stile di Silla. Una particolare plasticità del corpo, con la tunica aderente che ne sottolinea le forme, appare nella figura stante del Bodhisattva Maitreya, il cui stile sembra più ispirato a modelli indiani che a quelli cinesi.
Affinità con lo stile di Mathurā si rilevano nel panneggio del Buddha in pietra arenaria azzurrognola assiso in dharmacakramudrā, conservato nell'Università Nazionale di Kyŏngbuk a Taegu, nella Corea sud-orientale. In particolare, le gambe massicce e l'orlo dell'abito a forma di ventaglio, al di sotto del corpo, richiamano elementi delle sculture indiane del primo periodo pāla. Presso il Museo Nazionale di Kyŏngju è conservata un'altra scultura, sempre in arenaria, che rivela chiare influenze stilistiche indiane: un Buddha stante il cui volto assomiglia a quello del noto Bodhisattva dedicato dal monaco Baia, al Museo Archeologico di Sārnāth in India. Per quanto scarsi siano i documenti sui rapporti tra Silla e l'India, è certo tuttavia che numerosi monaci coreani vi si recarono intorno alla prima metà dell'VIII sec.: il più noto di questi, Hech'o (in cinese Huichao), viaggiò per tutta l'India intorno al 720. Questa influenza stilistica indiana sembra tuttavia sporadica e circoscritta al periodo citato. Il modello iconografico classico dell'epoca è rappresentato dal Bhaiṣa-jyaguru stante in bronzo dorato (alt. 29,2 cm) conservato presso il Museo Nazionale di Seul: sul volto tondeggiante, con gli occhi socchiusi, spiccano i lobi particolarmente pronunciati. Anche l’uṣṇīṣa sul capo è molto prominente e l'acconciatura è definita da un granulato di riccioli a chiocciola. Il corpo, ben modellato, è tuttavia troppo minuscolo in confronto al capo; così pure i piedi sono troppo piccoli per reggere il corpo. Anche il drappeggio segue i canoni tradizionali di Silla come appare da una serie continua di pieghe verticali a costola, che dal petto scendono fino ai piedi, e da pieghe a zig-zag sul lato destro. Nell'insieme la figura ha quell'aspetto freddamente ieratico che caratterizza la scultura di Silla della metà dell'VIII sec., il cui esempio classico è considerata la scultura del tempio rupestre di Sŏkkuram.
Otto figure di Parivara e due di Vajrapāṇi in rilievo, su lastre di c.a 2 m di altezza, adornano le pareti del vano principale, mentre ai due lati del vestibolo appaiono i Quattro Guardiani. Al centro del salone campeggia la figura a tutto tondo di Sākyamuni (alt. 3,26 m), con la mano sinistra in dhyānamudrā e la destra in bhūmiṣparśamudrā, assiso su di un trono (alt. 1,58 m), dietro il quale appare un'aureola circolare con i petali del fiore di loto incisi al bordo. Attorno alle pareti che circondano il Buddha stanno tre Bodhisattva (Mañjuśrī, Samantabhadra, Ekādāśamukha), due deva (Brahmāe Sakra-devendra) e i Dieci Discepoli, tutti incisi su lastre oblunghe.
Al di sopra di esse sono scavate dieci profonde nicchie per ospitare altrettanti Bodhisattva assisi, due dei quali sono andati perduti. Il Buddha centrale, massimo esempio del naturalismo idealistico dell'arte di Silla dell'VIII sec., ha il corpo massiccio e proporzionato, il volto pieno e tondo e gli occhi socchiusi con vago accenno a un sorriso. Indossa un abito sottile e aderente descritto con pieghe dalla linea semplice ma efficace. Allo stesso stile sono improntate le figure di contorno, in particolare il Bodhisattva dalle undici teste (Ekādāśamukha) e quello che regge una piccola coppa (Mañjuśrī o Samantabhadra). Probabilmente coevi alle sculture di Sŏkkuram sono le due statue in bronzo (alt. 1,77 m), stilisticamente affini, del vicino Tempio Pulguk-sa di Kyŏngju, raffiguranti rispettivamente Vairocana e Amitābha assisi. Un altro classico esempio del naturalismo dell'VIII sec. è la testa di Buddha in granito rinvenuta nella zona di Kyŏngju e conservata presso il Museo Nazionale di Seul.
A distanza di pochi decenni tale naturalismo, tuttavia, sembra volgere al tramonto, evolvendo in forme schematiche, che si preannunciano dal Bhaiṣajyaguru stante (alt. 1,80 m) in pietra proveniente da Paeg'yul-sa e conservato nel museo di Kyŏngju. Quest'opera infatti rivela, nonostante una scioltezza del corpo e del panneggio, un trattamento piuttosto convenzionale del volto. In questo stile rientra la triade di Amitābha di Pang-o-san (alt. 3,03 m), nella Corea sud-orientale, incisa su roccia con i soli volti in rilievo. I Bodhisattva, in particolare, risultano di un tipo facciale estraneo a Silla e rivelano una marcata influenza Tang con reminiscenze centroasiatiche.
Gli elementi Tang sono evidenti anche nel viso tondeggiante e nelle proporzioni corporee di un piccolo Buddha assiso in bronzo dorato, conservato nel Museo del Palazzo Tŏksu di Seul, opera che, per lo schematismo delle pieghe concentriche a U del drappeggio, appartiene allo stile del IX secolo. Tipici esempi di questo stile sono altre due statuette in bronzo del Museo Nazionale di Seul raffiguranti Sākyamuni e Bhaiṣajyaguru. Quest'ultimo, in particolare, porta agli estremi limiti lo schematismo a scapito delle proporzioni del corpo.
Mentre nella prima metà del secolo la figura buddhistica più ricorrente è Bhaiṣajyaguru, il Bodhisattva della medicina, particolarmente caro alla devozione popolare in un periodo di calamità naturali e di disordini civili, nella seconda metà del IX secolo. Vairocana sembra avere maggiore popolarità. Nelle statue di grandi dimensioni il ferro sostituisce il più costoso bronzo. Il Vairocana assiso di Porim-sa (alt. 2,51 m), nel Sud-Ovest della penisola, datato all'858 da un'iscrizione incisa, è una delle più antiche immagini buddhistiche coreane in ferro. La testa ovale con uṣṇīṣa ridotto e appiattito e la chiazza a mezzaluna che appare fra la capigliatura per la prima volta (e ampiamente documentata nella successiva arte cinese dei Liao - 960-1125 - e dei Jin - 1115-1234), sono fra gli elementi iconografici distintivi di questo periodo. Anche l'altro Vairocana in ferro (alt. 91 cm), proveniente da Top'ian-sa, nella Corea centrale, fuso nell'865, presenta analoghi tratti stilistici. Il drappeggio, in particolare, delineato da una serie di pieghe a scaglie sovrapposte, è una caratteristica che perdura fino al XV secolo.
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