ARSENALE (dall'arabo dār aṣ-ṣinā ‛ah "casa di fabbricazione"; fr. arsenal; sp. arsenal; ted. Zeughaus, Arsenal; ingl. arsenal, dockyard)
È lo stabilimento di lavoro per la costruzione e riparazione di naviglio da guerra e in genere di tutte le armi, macchine e strumenti impiegati da detto naviglio e per la fabbricazione e la custodia di armi, specialmente di artiglieria, e di attrezzi d'ogni genere per gli eserciti. Dalla stessa origine deriva evidentemente anche la voce darsena che si dà ad uno specchio d'acqua interno con una sola o al massimo due strette comunicazioni col mare. La denominazione "arsenale" è ormai applicata solo a stabilimenti di carattere militare, tanto per l'esercito quanto per la marina: così mentre è opportuno in cose di marina aggiungere alla parola "arsenale" l'aggettivo qualificativo "marittimo", è superfluo aggiungervi, come molti fanno, quello di "militare". Uno stabilimento privato che possa eseguire i lavori che vengono di solito richiesti agli arsenali, e ciò tanto per la marina militare quanto per quella mercantile, non avrà mai modo di soddisfare alle esigenze varie di una flotta come vi soddisfa un arsenale e non viene mai indicato con questo nome, ma più genericamente come stabilimento od officina oppure con la sua ragione sociale. Nei paesi di lingua inglese gli arsenali marittimi vengono denominati in genere dockyards in Inghilterra, e navy, yards in America.
Gli arsenali nell'antichità.
Organizzazione. - Nei tempi più antichi gli eserciti erano costituiti da soldati provvisti di armi proprie, che variavano a seconda dei mezzi e dei gusti individuali, pur uniformandosi ai criterî generali dell'epoca in fatto di armamento, e le stesse flotte risultavano dall'unione di navi costruite da singoli principi. Più tardi invece, in seguito all'estendersi dei poteri dello stato, alla maggiore ampiezza degli armamenti, e al perfezionamento dell'organizzazione e della tattica, che esige armamento uniforme e regolare, lo stato si assunse sempre più largamente la fabbricazione, la raccolta e la custodia delle armi, delle navi e di tutti gli altri materiali necessarî alla guerra terrestre e navale, e alle più o meno ricche sale d'armi private successero gli arsenali pubblici. Già nell'antico impero egiziano sono ricordati i sovrintendenti della camera delle armi del Faraone ed ogni distretto ha, oltre alla sua milizia, il suo arsenale, la casa delle armi. Un arsenale con armi, effetti di equipaggiamento e provvigioni è raffigurato, per esempio, in un rilievo di Tell-el-Amarna dell'epoca del nuovo impero. Gli eserciti dei re assiri, numerosi e perfettamente organizzati, disponevano naturalmente di grandi arsenali. Tiglatpilesar I (1115-1093 a. C.) si vantava d'aver fatto costruire più carri da guerra dei suoi predecessori, e le armi trovate in gran copia tra le rovine del palazzo di Sargon II (721-705 a. C.) attestano la ricchezza dell'armeria reale. I suoi successori Sennacheribbo e Asarhaddon si gloriano della costruzione del Palazzo che custodisce tutto, cioè di un arsenale ove si raccoglieva quanto era necessario per la guerra.
In Grecia gli stati più grandi cominciarono già nel sec. V a. C. a radunare armi, per far fronte al consumo richiesto dalle lunghe guerre e per fornirle ai cittadini meno abbienti chiamati al servizio militare in casi di grave necessità. Abbiamo però scarse notizie sugli arsenali terrestri dei Greci. Dionigi I di Siracusa (406-367), che si era assunto, disarmando i suoi concittadini, di provvedere in caso di guerra per intero all'armamento delle truppe (il primo caso di un intero esercito armato a spese dello stato), in vista della guerra contro Cartagine, radunò turbe di artefici per i suoi armamenti terrestri e marittimi; ma essi lavoravano non in un arsenale, ma qua e là in locali pubblici e privati secondo l'opportunità. Depositi d'armi sono attestati per Atene al tempo della guerra del Peloponneso, durante la quale essa armò da opliti a spese dello stato i teti; e sappiamo che l'oratore Licurgo, alla fine del sec. IV, preparò grandi depositi d'armi (fra cui 50.000 dardi) sull'Acropoli. I re dell'età ellenistica crearono grandi arsenali, dovendo provvedere direttamente all'armamento di tutte le loro truppe regolari. La Macedonia aveva nel 172 a. C. negli arsenali armi per tre eserciti, e un arsenale macedone è ricordato a Calcide (Livio, XXX, 23, 7; XLII, 52); Appiano (Proem., 10) enumera i grandiosi apparati militari terrestri e navali degli arsenali dei Tolomei d'Egitto.
Anche in Roma, i soldati dovevano più anticamente provvedersi le armi, ma lo stato cominciò presto, e in misura sempre crescente, a fornire armi regolamentari. Pare però che molto si lasciasse all'iniziativa dei comandanti degli eserciti, che avevano le loro officine e arsenali mobili (per Scipione Africano in Spagna, a Siracusa e in Africa: Livio, XXVI, 51, 8; XXIX, 22, 3; 35, 8). Gli armamentaria publica in Roma sono ricordati per la prima volta da Cicerone, Pro Rab., 20, per il tempo di Mario; sotto l'impero, un grande armamentarium era in Roma nei castra praetoria (v. Tacito, Hist., I, 38, 80 e Corp. Inscr. Lat., VI, 999, 2725), amministrato da armamentarii, riuniti in decuria. Nelle provincie, ogni campo militare aveva il suo arsenale. Nel sec. III d. C., gli arsenali (fabricae) per la fabbricazione delle armi erano posti in città dell'interno, ed erano alla dipendenza dei magistri officiorum. Erano specializzati, e ne troviamo la lista nella Notitia Dignitatum; in Italia erano sei: a Concordia (saette), Verona (scudi e armi), a Mantova (loriche), Cremona (scudi), Pavia (archi) e Lucca (spade).
Meno scarse notizie abbiamo per gli arsenali marittimi, che sorsero in Grecia quando, verso la fine del sec. VII, gli stati cominciarono ad organizzare flotte da guerra regolari. Gli arsenali marittimi (τὰ νεώρια in senso lato) comprendevano principalmente le tettoie per il ricovero delle navi disarmate e tirate in secco (τὰ νεώρια in senso stretto) e il magazzeno per le attrezzature (σκευοϑήκη): lo stato non costruiva invece di solito le navi in proprî cantieri, ma ne affidava la costruzione a cantieri privati sotto la sorveglianza dei suoi organi, che le collaudavano.
Tutti i grandi porti militari dell'antichità avevano i loro νεώρια, che sono testimoniati dalle fonti e da rovine per Siracusa, Samo, Corinto, Cizico, Rodi, Eniade, Alessandria, Cartagine, Utica, Marsiglia, ecc.; Sparta aveva il suo arsenale marittimo al Gytheion. Ma i più famosi erano quelli ateniesi dei tre porti del Pireo, dei quali esistono ancora le tracce.
Costruiti nell'età periclea colla spesa di 1000 talenti, dopo la guerra del Peloponneso furono venduti dal governo dei Trenta per tre talenti per essere demoliti, ma furono ricostruiti nel sec. IV, e distrutti infine da Silla nell'86 a. C. Dalle iscrizioni sappiamo che nel 354 erano pronti per 300 navi, nel 330 per 372 (196 nel porto di Zea, 82 a Munichia, 94 nel porto di Kantharos). Dietro ai νεώρια del porto esclusivamente militare di Zea, stava la σκευοϑήκη (ὁπλοϑήκη in Strabone), il vero e proprio arsenale. Il vecchio edificio dell'arsenale, divenuto insufficiente, fu sostituito nel secolo IV da una grande costruzione eretta su progetto dell'architetto Filone di Eleusi.
La direzione amministrativa delle costruzioni navali spettava in Atene al Consiglio dei 500, che agiva per mezzo di una commissione di 10 τριηροποιοί, scelti fra i suoi membri uno per tribù e assistiti da architetti eletti dall'assemblea popolare, i quali avevano la direzione tecnica dei lavori. La sorveglianza sulle navi costruite e sugli arsenali era esercitata dallo stesso consiglio, fin dal sec. V, per mezzo di una seconda commissione da esso eletta, i νεωροί; gli ἐπιλελόμενοι τοῦ νεωρίου sono da alcuni ritenuti una terza commissione, da altri la stessa cosa dei νεωροί. I νεωροί cessarono quando i Trenta distrussero gli arsenali; ma quando flotta ed arsenali furono ricostruiti nel sec. IV, ripresero col titolo di οἱ τῶν νεωρίων ἐπιμεληταί o anche di οἱ τῶν νεωρίων, οἱ ἐν τοῖς νεωρίοις ἄρχοντες. Erano dieci magistrati (ἄρχονες), uno per ϕυλή, che duravano in carica per un anno; erano loro addetti un γραμματεύς, un perito (δοκιμαστής) e uno schiavo pubblico. Erano in continua relazione coi varî ταμίαι delle costruzioni e degli approvvigionamenti navali. I loro inventarî, che vanno dal 376/5 al 323/2, ci sono conservati in iscrizioni e sono pubblicati in Inscr. Graec., II, 789 sg. (Dittenberger, Sylloge Inscr. Graec., 3ª ed., n. 964): in essi gli ἐπιμεληταί segnavano lo stato delle navi e degli attrezzi giacenti negli arsenali, o che ne uscivano o entravano, i debiti e i pagamenti dei trierarchi. Avevano poteri giudiziarî per alcune questioni che rientravano nella loro competenza. Verso la fine del sec. IV c'erano in Atene anche due στρατηγοί ἐπι τὸν Πειραιᾶ, con la competenza specifica di sorvegliare i porti e gli arsenali, e uno ἐπί τὸ ξαυτικόν.
C'erano poi 500 guardiani dei cantieri (ϕρουροί ξεωρίων).
I Romani al tempo della repubblica non tennero mai flotte permanenti, ma preferivano costruirle di pianta quando ce n'era bisogno, o riattare vecchie navi rimaste eventualmente nei cantieri della capitale o delle colonie e città alleate. Roma non aveva perciò arsenali importanti come quelli delle città marittime greche e puniche. I due navalia erano sulla riva del Tevere, uno nel Campomarzio, l'altro più a valle ai piedi dell'Aventino; furono restaurati dal greco Ermodoro nel secolo II ed esistevano ancora sotto l'impero, sebbene la loro già scarsa importanza fosse diminuita ancora per la costruzione di porti militari altrove. Dopo Azio, scomparsa ogni altra potenza marittima dal Mediterraneo, i Romani non mantennero più flotte di grandi unità da battaglia, ma solo di piccole unità celeri, per le quali si costruirono porti militari a Miseno, a Ravenna e altrove. Questi porti dovevano avere i loro arsenali, ma non ne sappiamo nulla.
Bibl.: A. Ermane e H. Ranke, Aegypten, Tubinga 1923, pp. 96, 99, 621, 651; B. Meissner, Babylonien und Assyrien, I, Heidelberg 1920, p. 106; gli articoli Armamentorium, Fabrica, Portus, in Daremberg e Saglio, Dict. des Antiquités; art. Armamentarium e Fabrica, in De Ruggiero, Diz. Epigrafico; gli art. Armamentarium, Classis, Fabricenses, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie; J. Kromayer-G. Veith, Heerwesen u. Kriegführung der Griechen u. Römer, Monaco 1928, passim; A. Boeckh, Urkunden über das Seewesen des Attischen Staates, Berlino 1840 (vers. ital. in Pareto, Bibl. di Storia Economica, I); A. Köster, Das antike Seewesen, Berlino 1923, passim.
Pianta e costruzione. - La parola "arsenale", nel suo significato principale di "luogo, dove si fabbricano i navigli e tutto quello che è necessario ad armarli e a guernirli", esprime un concetto che non corrisponde più esattamente a quello dell'arsenale greco, che si chiamava con termine di numero plurale νεώρια, termine generale, che etimologicamente vuol dire "luogo, dove si ha cura delle navi". Infatti oggi, essendo le navi da guerra e i grandi transatlantici costruiti prevalentemente in acciaio, e manovrati per mezzo di macchine, il concetto di arsenale si restringe piuttosto al luogo di costruzione e riparazione delle navi, le quali anche in tempo di pace o di riposo possono continuare a navigare o si fermano a cielo aperto nei porti; mentre invece gli antichi legni armati, assai più esposti ai danni delle intemperie, e manovrabili solo con forte impiego di forze umane, richiedevano di poter essere tirati in secco e custoditi, quando, nelle tregue fra guerra e guerra e nella stagione invernale, non si faceva uso di essi. Perciò l'arsenale antico, più che non l'arsenale moderno, presentava caratteri di affinità con gli hangars dei nostri campi di aviazione.
La parola σκευοϑήκη, molto usata nel mondo ellenico, designava una parte speciale dei neoria, e cioè l'edificio nel quale si conservavano tutti i materiali accessorî per l'armamento della flotta; con i termini ναυπήγιον e νεώλκιον si distinguevano invece i due aspetti speciali dell'arsenale classico, e cioè da una parte quello della costruzione e riparazione delle navi, il cui cantiere sembra fosse talvolta in luogo separato dei veri e proprî neoria, dall'altra quello della loro custodia.
Numerosi passi di autori antichi, e notevoli ritrovamenti archeologici ci aiutano a ricostruire idealmente i neoria greci del secolo IV e del principio del III a. C., mentre scarsissime sono le vestigia degli anteriori, che furono prevalentemente costruiti in legno, come quelli di Samo, i primi a essere citati dalle fonti: ogni città marittima d'importanza strategica o commerciale ebbe infatti naturalmente il suo arsenale. Molto celebre nell'antichità fu quello del Pireo costruito nell'età periclea, rovinato dopo la guerra del Peloponneso, rifatto nel sec. IV a. C. Suddiviso nelle tre baie fortificate di Kantharos, Zea e Munichia, era capace di contenere circa 400 navi: meglio conservati sono gli avanzi rimessi in luce in Zea dalla Società archeologica d'Atene nel 1885, per mezzo di un regolare scavo. Zea era il principale porto militare di Atene (mentre l'emporio commerciale si trovava in Kantharos) e dopo la ricostruzione del sec. IV, quando alle vecchie baracche si sostituirono solide mura, colonnati di pietra e tetti a due spioventi, poggiati su robuste travature di legno, esso conteneva 196 celle per navi da guerra. Queste celle, dette in greco νεώσοκοι, si appoggiavano posteriormente a un muro in pietra πόρος, il quale, in forma di poligono, cingeva tutta la baia; il muro distava all'incirca 37 metri dalla riva del mare. Tanti colonnati, a intervalli di circa m. 6,50 l'uno dall'altro, correvano perpendicolarmente al muro, da questo al mare, separando così una cella dall'altra. Fra i colonnati era murata a terra, nel senso della lunghezza, una guida in poros, larga 3 metri, leggermente inclinata, sulla quale scorreva la chiglia della nave, che entrava o usciva dalla sua custodia. In Zea le celle erano accoppiate a due a due sotto un comune tetto a due spioventi, ragione per cui un colonnato più alto e con intercolumnî minori si alternava con un colonnato meno alto con intercolumnî maggiori: sul colonnato più alto poggiava il trave centrale del tetto a due spioventi.
Vicina ai νρώσοικοι di Zea, ma separata da essi, a nord della baia, si ergeva la celebre σκευοϑήκη costruita dall'architetto Filone; i lavori iniziati nel 346 a. C. furono sospesi nel 339 a causa della guerra con Filippo di Macedonia, ripresi nell'anno seguente e ultimati nel 329. Una grande iscrizione attica di 5161 lettere, rinvenuta al Pireo nel 1885, nelle vicinanze del luogo dove sorse l'antico edificio (Inscr. Gr., II, 1054; Dittenberger, Sylloge Inscr. Graec., 3ª ed., n. 969), ci ha conservato notizie precise sulla costruzione di Filone; probabilmente il testo dell'iscrizione fu preparato dall'architetto, il quale fu anche autore di due opere ora perdute, ma citate da Vitruvio, l'una sulla simmetria nella costruzione dei templi, l'altra "sull'arsenale che aveva fatto nel Pireo". È notevole come Filone si fosse preoccupato non solo della parte tecnica e della praticità dell'edificio, ma anche della sua estetica. La σκευοϑήκη di Zea aveva la pianta di un rettangolo allungato lungo circa m. 123, largo 17, con 3 finestre nei lati corti e 36 nei lati lunghi; le pareti erano coronate all'esterno da un fregio con triglifi; era coperta da un tetto a due spioventi, poggiato su travature di legno. L'interno era diviso in tre navate, per mezzo di due file di colonne: la navata centrale, più ampia, serviva al passaggio del popolo ateniese, che si recava a visitare, come in un museo, gli oggetti esposti nelle navate minori, suddivise in due piani: nell'inferiore, in 134 armadî, si conservavano vele e pezze di lino, nel superiore gomene e sartiame. Recentemente il danese Marstrand, riprendendo in esame la grande iscrizione di Zea, ha dato una ricostruzione accurata di questo edificio, che costituiva una parte tanto importante dell'antico arsenale del pireo.
Alcuni rapporti numerici, che per la filosofia pitagorica furono l'essenza di tutte le cose e il principio razionale dell'universo, ebbero importanza fondamentale nella costruzione dei templi greci, nella fabbricazione delle navi, nel fissare le proporzioni di certi tipi di bellezza umana, creati dalla scultura attica e peloponnesiaca. Il Marstrand, basandosi sulle misure e i dati tramandati dall'iscrizione, ha cercato di ritrovare le regole che determinarono l'opera di Filone, vale a dire di stabilire quali rapporti numerici fissarono le dimensioni verticali e orizzontali della celebre σκευοϑήκη. Questo fondamento matematico, filosofico, estetico permise a Filone di fare una così maravigliosa pubblica esplicazione della sua opera architettonica, durante un'assemblea popolare, che il popolo lo lodò non meno per la sua eloquenza che per la sua arte.
Oltre i neoria del Pireo, che furono bruciati da Silla nell'86 a. C. si conoscono abbastanza bene quelli di Eniade (Οἰνιάδαι) in Acarnania, già visitati e disegnati da Ciriaco d'Ancona nel 1436, e esplorati da una missione archeologica americana, nel 1900-1901. Tanto per le proporzioni, quanto per la disposizione delle celle, scavate in parte nella viva roccia, essi si rivelano molto affini a quelli di Zea, e perciò dovettero essere costruiti proprio all'inizio dell'età ellenistica. Anche qui i νεώσοικοι erano attigui l'uno all'altro e separati da colonnati. Ma ciascuna cella aveva un tetto proprio a due spioventi: le guide, scavate anch'esse nella roccia, sulle quali scorreva la chiglia dei navigli, appaiono perfezionate, in modo da permettere una manovra più rapida per l'ingresso e l'uscita della flotta, e la σκευοϑήκη non è più separata dalle celle come in Zea, ma attigua ad esse.
In età ellenistica (secoli III-I a. C.) ci dovette essere un incremento straordinario nella costruzione degli arsenali, incremento parallelo al diffondersi della civiltà greca in tutto il bacino del Mediterraneo, in seguito alle conquiste di Alessandro Magno e dei suoi successori. Si costruirono città nuove e nuovi porti, su piani regolatori molto progrediti al confronto di quelli delle più antiche città greche. I neoria, che fino allora erano stati costruiti nelle adiacenze immediate dei porti commerciali, degli emporia (salvo qualche eccezione), e che erano stati accessibili al pubblico, che vi circolava liberamente, cominciarono a separarsi, a isolarsi, a divenire di regola impenetrabili agli estranei, come i nostri arsenali della R. Marina: a Rodi, in età ellenistica, l'ingresso agli estranei nel porto militare era vietato con tanto rigore, che i trasgressori erano puniti con la morte.
Malgrado la rinomanza dei neoria ellenistici, non abbiamo notizie o ritrovamenti archeologici sufficienti per poterci fare una idea completa del loro tipo di costruzione.
A Cartagine il porto militare, dove si trovavano i neoria per le navi da guerra, era nettamente separato dal commerciale o emporion: questo ebbe forma rettangolare, quello circolare, e fu chiamato κώϑον. Ιneoria si componevano di 220 celle, distribuite tutt'intorno al porto circolare, e a una piccola isola centrale, tagliata artificialmente nella roccia, in forma di disco. La separazione fra cella e cella non era più costituita da colonnati, come a Zea e a Eniade, ma da muri pieni; c'era inoltre una divisione in due piani, in modo che i magazzini, le σκευοϑήκαι, i ταμιεῖα contenenti tutti i materiali necessarî all'armamento, erano disposti nel piano superiore: così dalla celebre σκευοϑήκη di Filone, costruita in luogo vicino, ma separato dalle celle delle navi, si arriva ai magazzini di Cartagine, molto più opportunamente distribuiti al piano superiore delle celle, uno per ogni singola nave.
A Tharros in Sardegna, si sono trovate alcune rovine portuali, che secondo alcuni sarebbero avanzi dell'aniico arsenale. I neoria ellenistici di Salonicco (Θεσσαλονίκη) furono bruciati da Perseo dopo la battaglia di Pidna.
La parola latina corrispondente a νεώρια è navalia. È da notarsi come tanto la parola greca, quanto la latina siano usate più comunemente al plurale, precisamente per esprimere come l'arsenale consistesse di più elementi simili fra loro, di costruzioni omogenee. Si discute il significato esatto della parola textrina, usata in età arcaica romana, per significare i navalia; forse l'analogia fra la tessitura in legno delle carene e la tessitura delle stoffe suggerì l'uso del vocabolo esprimente l'arte e l'officina del tessitore anche per indicare l'arsenale, e forse più specialmente quel reparto di esso destinato alla costruzione e riparazione delle navi. In ogni modo la parola textrina andò presto in disuso.
Se poco sappiamo dei neoria ellenistici, purtroppo pochissimo o quasi nulla conosciamo dei navalia romani. Certamente essi, nella loro costruzione, dovettero nel periodo repubblicano più antico essere imitazione del tipo greco, e derivazione dal tipo greco-ellenistico nell'età seguente e durante l'impero. Lo sviluppo nella struttura delle navi avvenuto dal periodo greco al romano, sviluppo che è analogo a quello delle forme architettoniche del tempio classico, ebbe certamente la sua ripercussione nella determinazione della pianta, delle dimensioni, dell'aspetto esteriore e della disposizione interna degli arsenali romani.
Quanto ai particolari architettonici e tecnici, poco si ricava da Vitruvio, il quale si limita ad alcuni consigli di carattere generale: orientare gli edifizî a nord per impedire l'azione deleteria degli insetti, che si moltiplicano al calore del sole; evitare il legno, per il pericolo degli incendî; regolare le proporzioni degli ambienti, in modo che vi possano essere accolte anche le navi più grandi. Infatti in uno dei rilievi della Colonna Traiana, nel quale è rappresentato un porto con i suoi navalia (non quello di Ancona, come si è creduto in passato) si distinguono nettamente le celle, non più con tetto a due spioventi, ma con volte in muratura e un magazzino o armamentarium che corrisponde alla u.
Roma, dalla metà del sec. V a. C. fino ad Augusto, non ebbe arsenali così grandiosi come quelli di Atene e di altre città marinare. Le grandi flotte, di cui si ebbe bisogno in occasione di guerre combattute terra marique in periodo repubblicano, non poterono certo essere allestite sulle rive del Tevere, e si raccolsero in qualcuno dei porti romani meglio fortificati. Pozzuoli, per esempio, occupata durante la seconda guerra punica, per la felice postura del suo porto ebbe indubbiamente importanti navalia, che si vorrebbero da alcuni riconoscere in una pittura parietale, proveniente dalla cosiddetta casa del Laberinto di Pompei, e conservata ora nel museo di Napoli (secondo altri si tratterebhe piuttosto dell'arsenale di Miseno).
Sulle rive del Tevere a Ostia, come si ricava da un'iscrizione latina ivi trovata, dovette esserci un arsenale, costruito da L. Celio (L. Coilius) in età repubblicana, restaurato da P. Lucilio Gamala nel sec. II d. C.; si sa che nel 208 a. C. trenta navi furono riparate in Ostia. Si credette di poter riconoscere i navalia di Celio in un gruppo di rovine, prossimo al cosiddetto Palazzo imperiale (che in realtà è un edificio termale), ma è più probahile che esso sia invece un magazzino di grano. Dall'iscrizione di Ostia si ricava che gli arsenali romani si distinguevano in extruendis navibus facta per la costruzione, e in subducendis navibus facta per la conservazione della flotta.
Altri navalia furono nell'interno di Roma stessa: le navi dovevano abbassare gli alberi, e passare fra i piloni dei ponti, prima di giungere ad essi. Nel 332 a. C. esistevano già, poiché sappiamo che la flotta di Anzio fu in parte trasportata nei navali urbani e in parte bruciata. Anche dopo la battaglia di Pidna (168 a. C.) le navi tolte a Perseo, re di Macedonia, furono trasportate a Roma nel Campo Marzio. Al tempo della guerra contro Antioco il Grande, al principio del sec. II a. C., il pretore M. Giunio fu incaricato di riparare e di armare tutte le vecchie navi che si trovavano a Roma.
Quanto all'ubicazione di questi navali di città, i quali sono noti più attraverso le citazioni di antichi autori che per sicuri ritrovamenti archeologici, si sono emesse in passato opinioni diverse e contraddittorie. Finalmente si è riconosciuto che è impossibile riferire tutte le testimonianze ad un solo luogo, e che già al tempo della repubblica esistevano due arsenali diversi sulle rive del Tevere, uno nel Campo Marzio, davanti agli antichi Prata Quintia, all'incirca nella zona compresa fra l'odierno Palazzo Farnese e il fiume, e l'altro più a valle, ai piedi dell'Aventino, presso lo sbocco della Cloaca Massima: questo secondo arsenale, congiunto con l'emporium, si chiamava navale inferius. La più antica testimonianza per i navalia del Campo Marzio è forse un verso di Ennio citato da Servio (Ad Aeneid., XI, 326: ma Ennio due semplicemente campus). Da un passo di Cicerone (De or., I, 14,63) risulta che alla metà del sec. II a. C., Ermodoro, architetto greco, fu incaricato di restaurare i navalia di Roma, ma non sappiamo quali; in età imperiale non se ne fa più menzione.
Di quelli del Campo Marzio non si conservano vestigia. Del navale inferius c'è il ricordo anche nella marmorea Forma Urbis rinvenuta nel Foro e ora nel giardino del Palazzo dei conservatori in Campidoglio: il frammento originale, contenente la pianta di uno spazio circondato da mura su tre lati, con le lettere NAVAL EMFER (navale inferius) è ora perduto, ma conservato in un disegno della Biblioteca Vaticana. Ad esso possono avere appartenuto avanzi di costruzioni in blocchi di tufo, rinvenutisi in tempi diversi nelle vicinanze dello sbocco della Cloaca Massima. A volte i navali funzionarono come prigione: ad es. vi furono rinchiusi gli ostaggi dati dai Cartaginesi al principio della terza guerra punica.
L'importanza degli arsenali di Roma va diminuendo man mano che sorgono e si sviluppano i grandi porti di Claudio e di Traiano alla destra della foce del Tevere; nel navale inferius, trasformato in una specie di museo, Procopio poté vedere la nave con la quale Enea approdò alle coste d'Italia. Questa trasformazione dell'arsenale in museo dovette essere non infrequente: Augusto dopo la hattaglia di Azio fondò un neorion sacro, nel quale furono esposti esemplari di tutte le navi tolte al nemico: presto l'edificio rimase distrutto da un incendio.
Pur avendo fatto di Miseno la stazione navale per la flotta romana del Tirreno, Augusto concepì il disegno di scavare un grande porto marittimo, commerciale e militare a Ostia, idea già vagheggiata da Cesare. Il porto fu poi costruito da Claudio e inaugurato da Nerone nel 54 d. C., ed ebbe certamente grandiosi navalia. Traiano fra il 100 e il 106 fu costretto a ingrandire il porto di Claudio, aggiungendo un bacino completamente nuovo, in forma di esagono, e scavando un canale di comunicazione fra questo e il fiume (l'odierno Fiumicino, ramo destro del delta del Tevere). I navali del porto traianeo sono riprodotti nel rovescio di molte monete del tempo, ma queste immagini per le loro proporzioni minuscole non possono dare che idee molto vaghe dei particolari architettonici. Recenti lavori di bonifica agricola a Fiumicino e il taglio di un nuovo canale per riportare le acque del Tevere nell'antico porto di Traiano, hanno facilitato lo studio di esso; tuttavia non essendosi potuti eseguire veri e proprî scavi archeologici, non si son fatte nuove constatazioni sulla costruzione dei navalia. Non è improbabile che alcuni dei molti edifici a lunghe serie di celle, segnati nelle piante topografiche del porto di Traiano come horrea facenti parte dell'emporio, possano un giorno essere riconosciuti come veri e propri navali romani.
Bibl.: M. Besnier, s. v. navalia, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des Antiquités grecques et romaines, IV, p. 17 segg.; E. Saglio, s. v. Armamentarium, ibid., I, p. 431 segg.; Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., s. v. Karthago, col. 2182 segg.; J. Schubring, Ein Beitrag zur Stadtgeschichte von Syrakus, in Rheinisches Museum, n. s., XX (1865), p. 22 segg.; W. Judeich, Topographie von Athen, in I. Müller, Handbuch d. klass. Altertumsw., Monaco 1913, p. 384 segg. Per Eniade, v. American Journal of Archaeology, 1904, p. 227 segg.; A. S. Georgiadis, Les Ports de la Grèce dans l'Antiquité (1907), H. Jordan e Chr. Huelsen, Topographie der Stadt Rom im Alterthum, I, 3ª ed., Berlino 1907, pp. 143 segg., 485 segg. - Per i navalia di L. Celio a Ostia, v. J. Carcopino, Les Inscriptions Gamaléennes, in Mélanges École franç. de Rome, 1911; W. Marstrand, Arsenalet i Piraeus og oldtigens byggereregler, Copenaghen 1922; K. Lehmann e Hartleben, Die Antiken Hafenanlagen des Mittelmeeres, Lipsia 1923 (Klio, Beiheft XIV), con un catalogo alfabetico degli antichi porti: a p. 185, n. 6 bibliografia per il porto di Traiano; G. Calza, Ricognizioni topografiche nel porto di Traiano, in Notizie degli scavi, 1925, p. 54 segg.; E. Breccia, Cenni storici sui porti di Alessandria dalle origini ai nostri giorni, in Bulletin de la Société Archéol. d'Alexandrie, XXI (1925), pp. 3-26, 154-155.
Gli arsenali nel Medioevo e nell'età moderna.
I primi arsenali militari marittimi costruiti in Europa nel Medioevo furono quelli che le nostre repubbliche marinare dovettero allestire per potervi fabbricare, armare e riparare le navi alle quali era affidata la loro potenza.
Di questi stabilimenti ci sono rimaste notizie, descrizioni e, per alcuni di essi, anche resti piuttosto cospicui che ci permettono, per quanto modificati in epoche posteriori, di farci un'idea chiara dell'importanza e della funzione di tali costruzioni.
Analogamente a quelli moderni, gli arsenali medievali erano costituiti da un complesso di bacini o darsene, sulle cui banchine erano sistemati scali - coperti o no -, officine, magazzini, fabbriche d'armi, uffici e altre costruzioni. L'insieme era cinto da mura dove si aprivano in genere solamente due aperture: la porta donde transitavano i navigli e quella verso terra, destinata al passaggio delle persone e dei materiali.
Se dell'arsenale amalfitano non ci è rimasto altro che due scali coperti, di quello genovese ci sono restate solamente delle notizie, tra le quali quella della data di costruzione nel sec. XIII e il nome dell'architetto, il genovese Boccanegra.
Dell'arsenale pisano abbiamo alcuni resti seminascosti, deturpati e parzialmente interrati, ma sufficienti a darci un'idea abbastanza chiara dello stabilimento, soprattutto se studiati col sussidio di notizie storiche e con quello della descrizione e dei rilievi che di essi ci ha lasciato l'architetto francese Rohault de Fleury, il quale li studiò nella seconda metà del secolo scorso, quando erano meglio conservati.
L'arsenale di Pisa sorgeva sulla riva destra dell'Arno, presso la città, ed era circondato da mura munite di torri a custodia dei punti più importanti, tra i quali lo sbocco del Ponte a mare. Aveva questo ponte la testata sulla riva sinistra del fiume difesa da un castelletto, mentre quella sulla riva destra era compresa tra una fortezza, nella quale si ergeva l'alta torre detta Guelfa che esiste tuttora, e la porta d'ingresso verso terra dell'arsenale; munita, questa, di antiporto e forse di ponte levatoio, se, come è probabile, un fossato cingeva l'intero stabilimento dalla parte di terra. Nel tratto di mura che guarda a mezzogiorno, un poco più a ponente della fortezza, esiste tuttora, per quanto in parte interrata, la porta per la quale le galee entravano dal fiume nelle due darsene. Sulle banchine si affacciavano, secondo la testimonianza del Rohault de Fleury, due gruppi di scali coperti (complessivamente una trentina) che avevano una struttura ad archi trasversali e longitudinali e direzione obliqua rispetto ai bacini. Questo particolare costruttivo si spiega con la difficoltà di varo delle galee per la ristrettezza delle darsene; mentre la larghezza media degli scali (il minore di 9 m.) ci fa pensare alle modeste dimensioni delle galee stesse. Più a oriente delle costruzioni descritte precedentemente e che si possono far risalire ai secoli XIII e XIV, sono ancora conservati otto grandi capannoni in laterizio che si affacciano sull'Arno con un motivo di grandi archi poggianti su pilastri decorati da mascheroni marmorei. Tali fabbricati costituivano l'arsenale mediceo, dell'Ordine dei Cavalieri di S. Stefano, che venne costruito nel 1588.
Più interessante dei precedenti per la parte monumentale ancora esistente, per la sua vastità e per l'importanza storica è certamente l'arsenale di Venezia. La Repubblica veneta ebbe in questo gigantesco stabilimento, che essa costruì nel 1104, doge Ordelaffo Falier, uno strumento formidabile della sua prosperità.
Intorno alla primitiva piccola darsena, scavata fra le due isolette dette le Gemelle e comunicante per mezzo di un canale col bacino di S. Marco, venne successivamente costruita tutta una serie di opere che resero ben presto l'arsenale di Venezia uno stabilimento occupante, come anche attualmente, ben 32 ettari circa di superficie all'estremità orientale della città. Febbrile vi dovette essere il lavoro in alcune epoche. Così da occupare 16.000 operai e da suscitare nell'animo di Dante, che visitò spesso Venezia, l'ultima volta come ambasciatore di Guido da Polenta, l'impressione di cui son eco le celebri terzine del XXI dell'Inferno:
Quale nell'arzanà de' Viniziani
Bolle l'inverno la tenace pece
A. rimpalmar li legni lor non sani....
Ai primitivi due accessi, quello marittimo e quello terrestre, situati tutt'e due dalla parte più antica dello stabilimento, ne venne aggiunto un terzo nel 1473 nel lato di levante, mettendo in comunicazione diretta la laguna con la parte dell'arsenale allora costruita, allo scopo di assicurare un comodo rifugio alle galee già pronte o in attesa di essere riparate. Quest'ingresso, chiuso al principio del secolo XVI, venne riaperto sotto il dominio napoleonico per poter permettere l'accesso all'arsenale dei potenti vascelli di quell'epoca e ricevette allora il nome di Porta Nuova di Mare. I due ingressi marittimi potevano essere sbarrati da cancelli di legno ed erano difesi da torri. Architettonicamente molto importante è l'ingresso terrestre, ricco portale ad arco, inquadrato da due coppie di colonne con capitelli bizantini e sul quale posa un'edicola a timpano recante in bassorilievo il leone di S. Marco. Questa bella opera architettonica venne eretta sotto il dogato di Pasquale Malipiero (1460) ed è attribuita da taluno al veronese fra' Giocondo, da altri ad Antonio Gambello.
Dopo la vittoria di Lepanto (1571) si conferì a questo portale il valore di monumento commemorativo arricchendolo con vittorie alate, con trofei e con la statua di S. Giustina, nella cui ricorrenza (7 ottobre) era avvenuta la battaglia. Tale carattere di arco trionfale dato al monumento venne accentuato collocando attorno alla cancellata che lo ricinge alcune sculture greche di varie epoche, raffiguranti leoni e che erano state portate a Venezia, come bottino di guerra, in più volte, e specialmente da Francesco Morosini dopo la riconquista della Morea (1687).
Nell'interno dell'arsenale si conservano ancora alcuni degli antichi scali, alcune tettoie acquatiche (tra le quali, importanti, quelle cinquecentesche delle Gagiandre cioè "tartarughe" destinate al completamento delle galee già varate), la Tana o Casa del Canevo, lo scalo per la custodia del Bucintoro e l'ampio locale, lungo 150 metri, costruito verso la metà del sec. XVIII da Giuseppe Scalfarotto e destinato agli squadratori delle grandi ossature di navi. La Tana (così chiamata da Tanai, antico nome del fiume Don, alle cui bocche i Veneziani avevano gli stabilimenti commerciali che procuravano loro la canapa necessaria per la marina), ambiente destinato alla costruzione dei cordami e alla conservazione delle canape, venne ricostruita, al posto d'una più antica (1304), tra il I579 e il 1583, da Antonio da Ponte, l'architetto del Ponte di Rialto. Essa era un unico grandioso locale, lungo metri 316 e largo oltre 20, alto quasi altrettanto e diviso in tre navate da 84 colonne con capitelli dorici. Ora la Tana è suddivisa da tramezzi in varî magazzini.
Per la custodia del Bucintoro, il famoso naviglio riccamente adorno che la Repubblica usava nelle occasioni solenni, venne elevato tra il 1544 e il 1547, su disegno di Michele Sammicheli, veronese, un ampio locale con facciata di semplice e maschia architettura.
L'introduzione e il rapido aumentare dell'impiego delle armi da fuoco indussero ben presto le autorità della repubblica veneta a far confezionare e conservare in appositi reparti dell'arsenale sia le armi stesse sia le polveri e i proiettili. Alcuni gravi incendî, che avvennero al principio del sec. XVI nei locali dove si confezionavano e conservavano Je polveri, indussero il senato veneto ad allontanare dall'arsenale i servizî pirotecnici, conservando solamente quelli che non presentassero pericoli per l'incolumità dello stabilimento. Tra essi, quello importante della fusione delle artiglierie in bronzo, affidato per più che quattro secoli alla famiglia Alberghetti.
Le armi da fuoco e le munizioni furono allora conservate nelle Nuove sale d'armi, nel Parco delle bombarde e in altre parti dell'arsenale. Nel 1772 venne istituito un Museo d'artiglieria, il quale accolse le armi fuori uso. che avevano un notevole valore artistico.
L'arsenale di Venezia era governato da due magistrati ambedue temporanei, l'uno detto dei sopravveditori e l'altro dei provveditori o patroni; i primi erano senatori, i secondi patrizî: queste due magistrature unite si chiamavano eccellentissima banca. I sopravveditori avevano potestà civile e penale su tutte le persone impiegate nell'arsenale; essi invigilavano gli atti dei patroni, dai quali dipendeva l'ammiraglio dell'arsenale, che sopraintendeva alle costruzioni, riparazioni e armamenti, avendo sotto di sé il primo architetto navale, e anche alle opere idrauliche per l'arsenale. Alla dipendenza di quest'ultimo era pure il capitano dell'arsenale, che aveva incarico di polizia. Le costruzioni navali erano comandate dal senato e intraprese e dirette dai seguenti tecnici: un primo architetto navale, un secondo architetto navale, un aiutante del primo architetto, otto architetti costruttori, sei sottoarchitetti costruttori, quattro aiutanti di sottoarchitetti, otto primi aiutanti delle compagnie, otto secondi aiutanti delle compagnie, otto terzi aiutanti delle compagnie. Ogni ramo d'arte aveva i suoi capi d'opera o proti, i maestri, un certo numero di operai di varie classi e i garzoni. Tutti gli operai erano militarmente ordinati e denominati arsenalotti con impiego a vita trasferibile ai figli.
L'arsenale di Venezia fu utilizzato pure come arsenale della marina del regno d'Italia sotto Napoleone (1805-14). Indi subentrò l'Austria la quale, nel 1849, preferendo a Venezia Pola, vi intraprese la costruzione dell'arsenale, che divenne poi uno dei migliori e più efficienti arsenali d'Europa e passò, nel 1918 all'Italia, la quale però dopo pochi anni ne cedette molte parti e lo ridusse per il rimanente a semplice base navale.
I diversi stati, in cui era divisa prima del Risorgimento la nostra penisola, per lo più bagnati dal mare e con tradizioni marinari militari, oltre che commerciali, avevano ciascuno un proprio arsenale destinato specialmente alla costruzione del naviglio da guerra.
Tali erano per il regno di Sardegna l'arsenale di Villafranca, di cui è cenno fin dal 1750, e l'arsenale di Genova alla Darsena, dove nel 1851 fu inaugurato il primo bacino di carenaggio in muratura
La marina pontificia aveva il suo arsenale a Civitavecchia, eretto nel 1665 da Alessandro VII per opera del Bernini sotto l'ultimo bastione della fortezza fatta costruire da Giulio II: era costituito da sei cantieri o navate, alti e spaziosi tanto da poter contenere una galera in costruzione, oltre al deposito di tutti i materiali e alle necessarie officine. I sei cantieri erano a due a due accoppiati , per modo d'avere un unico piano, di varo; i tre piani di varo costituivano i tre lati di un esagono. L'edificio prospettava sulla rada con una serie di arcate divise da lesene.
La marina napoletana aveva l'arsenale di Napoli, eretto nel 577 dal viceré Mendoza (regnante in Spagna Filippo II d'Asburgo); ultimato verso il 1600, fu poi ampliato da Carlo di Borbone. Nel 1780, sotto Ferdinando IV di Borbone, Giovanni Edoardo Acton fondò il cantiere di Castellammare.
Sembra che fin dal 1808 Napoleone avesse avuto l'idea di trasferire alla Spezia, ingrandendoli, gli stabilimenti marittimi avuti da Genova; ma il primo progetto di legge per il trasferimento della marina miilitare da Genova alla Spezia fu presentato da Cavour alla Camera il 3 febbraio 1851, avendo egli l'intenzione di creare un nuovo porto militare alla Spezia e costruire invece a Genova alla Darsena, dove in quell'anno si apriva il primo bacino di carenaggio, un vasto deposito franco per il crescente movimento del naviglio mercantile. Altro progetto di legge fu presentato da Cavour il 28 febbraio 1857 per il trasferimento della marina militare da Genova alla Spezia e precisamente nel seno del Varignano: questo progetto, dopo aspre lotte al senato, divenne legge il 4 luglio successivo e poco dopo furono iniziati i lavori al Varignano. Un'altra legge dell'11 ottobre 1859 assegnava i fondi per la costruzione d'un arsenale militare marittimo nel golfo della Spezia. Finalmente venne la legge 18 luglio 1861, preparata ancora dal Cavour, e presentata alla camera il 12 giugno 1861 poco dopo la sua morte, la quale concedeva un fondo straordinario di 36 milioni, ripartito in sei esercizî fino al 1866, per la costruzione di un arsenale militare marittimo fra la città di Spezia e l'abitato di San Vito: il progetto dell'arsenale era già stato studiato da Domenico Chiodo e i lavori furono subito iniziati sotto la sua direzione.
Avviata a buon fine la sistemazione dell'arsenale della Spezia, il nuovo regno d'Italia, non appena annesse le provincie meridionali, doveva pensare alla costituzione d'un altro arsenale per queste provincie, che formavano il secondo dipartimento marittimo: la commissione nominata nel 1864 per scegliere la località più adatta a tale arsenale portò nell'anno successivo la sua scelta su Taranto che offriva alcuni vantaggi, non ultimo quello di poter essere facilmente protetto dalla parte del mare. Il primo progetto del nuovo arsenale, che ebbe poi diversi rimaneggiamenti, fu presentato nel marzo 1869: in base ad esso dal 1871 in poi vennero sottomesse al parlamento diverse proposte di legge per l'attuazione delle opere. I lavori per il primo impianto dell'arsenale furono approvati con legge 29 giugno 1882 e vennero subito dopo iniziati. Il primo bacino di carenaggio in muratura fu inaugurato il 7 giugno 1889.
L'arsenale di Napoli, ereditato dalla marina napoletana, fu impiegato ancora per molti anni, ma dopo la guerra europea, per la necessità di ridurre le spese generali degli arsenali, concentrando in poche sedi i lavori della flotta, fu dapprima ridotto a semplice base navale e quindi soppresso definitivamente nel 1927.
Cosi la marina militare italiana possiede ora i due arsenali della Spezia e di Taranto in efficienza e quello di Venezia in potenza, oltre al cantiere di Castellammare e a un certo numero di basi navali. L'arsenale della Spezia occupa una superficie di 1.200.000 mq. e impiega 378 operai permanenti e 5400 operai temporanei; quello di Taranto occupa una superficie di 680.000 mq. e impiega 179 operai permanenti e 3850 operai temporanei. Per l'uno e per l'altro occorre ancora tener conto degli operai impiegati dalle direzioni del munizionamento, aventi sede al di fuori dell'arsenale, che sono 68 permanenti e 1120 temporanei alla Spezia e 23 permanenti e 380 temporanei a Taranto.
Non tutte le nazioni estere che posseggono una marina militare hanno anche proprî arsenali. Riportiamo qui di seguito l'elenco degli arsenali facendo rilevare che la loro importanza relativa dipende essenzialmente dall'importanza della flotta cui devono servire. Argentina: Buenos Aires, Puerto Militar (Bahía Blanca), Río Santiago; Ausnalia: Cockatoo Island; Brasike: Rio de Janeiro; Chile: Punta Arenas, Talcahuano, Valparaiso; Danimarca: Copenaghen; Francia, in patria: Brest, Cherbourg, Lorient, Tolone; nelle colonie: Biserta (Sidi Bel Abbes); Germania: Wilhelmshafen; Giappone: Kure, Maizuru, Sasebo, Yokosuka; Grecia: Salamina; Inghilterra, in patria: Chatham, Devonport, Portsmouth, Rosyth, Sheerness; nelle colonie: Bermude, Città del Capo, Gibilterra, Hong Kong, Malta, Singapore; Iugoslavia: Teodo; Norvegia: Horten; Olanda: Amsterdam; Perù: Callao; Polonia: Gdynia, Portogallo: Lisbona; Romania: Galaţi; Russia: Kronstadt, Sebastopoli; Spagna: Ferrol; Stati Uniti, sull'Atlantico: Boston Mass., Brooklyn N. Y., Charleston S. C., Norfolk Va., Philadelphia Pa. (League Island), Portsmouth N. H., Washington D. C. (per la costruzione delle artiglierie); sul Pacifico: Mare Island Cal., Pearl Harbour Hawaii, Puget Sound Wash.; Svezia: Karlskrona; Uruguay: Montevideo.
Oltre ai marittimi dobbiamo ricordare gli arsenali terrestri, stabilimenti adibiti alla fabbricazione e conservazione delle armi da fuoco e degli altri attrezzi militari degli eserciti. Sono notevoli fra questi, oltre che per la loro importanza storico-militare, anche per il valore architettonico degli edifici in sé stessi, gli arsenali di Berlino e di Torino. L'arsenale di Berlino (Zeughaus) venne fatto costruire tra il 1694 e il 1706 dall'ultimo elettore del Brandeburgo, Federico III, che nel 1701 col nome di Federico I, divenne il primo re di Prussia. Il grandioso edificio (occupante un quadrato di 90 metri di lato con un grande cortile centrale) venne eretto probabilmente su disegni dell'architetto francese Francesco Blondel, dapprima sotto la direzione del Nering, poi sotto quella d'un altro francese, Jean de Bodt. Tanto la facciata, a due piani con un corpo centrale sporgente e con trofei d'armi sulla balaustrata terminale, quanto il cortile, decorato con maschere di guerrieri morenti, opere di Andrea Schlüter (1664-1714), come anche la decorazione di alcune sale, celebri quelle dei sovrani e dei generali, fanno di questo edificio una delle opere più interessanti dell'architettura berlinese dell'epoca e anche, per la robustezza e solennità delle linee, uno degli esempî più caratteristici di tal genere di fabbricati.
L'arsenale di Torino, edificio grandioso con due cortili e dall'architettura un poco massiccia, venne iniziato nel 1659 da Carlo Emanuele II, continuato da Vittorio Amedeo II, modificato da Carlo Emanuele III su disegni del Devincenti e terminato nella facciata all'angolo di via Arsenale, solamente nel 1890. L'arsenale torinese fu centro attivo nella costruzione di artiglierie in bronzo e in ferro, sia per i duchi di Savoia sia per i re di Sardegna; esso ebbe parte importante nelle guerre per l'unità italiana quando fu sotto la direzione del celebre costruttore di artiglierie generale Cavalli, e perfino nell'ultima guerra.
Bibl.: G. Rohault de Fleury, La Toscane au Moyen-âge, II, Parigi 1873, p. 10; Guida per l'arsenale di Venezia, Venezia 1829; M. Nani Mocenigo, L'arsenale di Venezia, in Rivista marittima, allegato al fasc. di aprile 1927; R. Ronzani, G. Luciolli e D. Dianoux, Les Monuments de Michel Sammicheli, Genova 1878, p. 89.
Organizzazione degli arsenali moderni.
Impianti. - Negli arsenali moderni troviamo sempre una o più darsene circondate dalle officine, le quali a loro volta sono separate dalle darsene da una banchina per il traffico del materiale e del personale.
Per facilitare i lavori di riparazione alle navi e l'imbarco dei materiali sarebbe desiderabile che le navi potessero ormeggiare col fianco alla banchina, ma ormai il numero delle navi che devono entrare nelle darsene o per lavori o anche solo per riparo e per facilitare il traffico con la terra è talmente grande e le loro dimensioni talmente aumentate, mentre le darsene, costruite molti anni addietro, hanno uno sviluppo di banchine così limitato, che è ben difficile che le navi possano attraccare di fianco: la quasi totalità è costretta a ormeggiarsi con la poppa alla banchina usando di passerelle o di scalandroni per il traffico e ciò porta l'inconveniente che per la loro lunghezza le prore si avanzano notevolmente entro lo specchio acqueo, riducendo la superficie libera di questo e rendendo così difficoltosi i movimenti delle altre navi che devono entrare e uscire. Queste difficoltà, che hanno tendenza ad aumentare col tempo piuttosto che diminuire, sono particolarmente sentite in quelle darsene in cui si aprono i bacini di carenaggio, specialmente se questi sono atti a ricevere navi molto lunghe. Così, a meno che l'arsenale non possegga diverse darsene, qualcuna delle quali possa essere lasciata completamente sgombra per il traffico delle navi da carenare in bacino, conviene studiare la costruzione dei bacini al di fuori delle darsene, anche se questo porti alla necessità di aumentare in modo sensibile l'importanza dell'officina che si deve creare in vicinanza dei bacini per i lavori di riparazione alle navi in bacino: quest'officina è detta di solito officina mista, perché raccoglie diverse categorie di mestieri per i lavori diversi di piccola mole che occorrono d'urgenza alle navi, le quali di solito si tengono in bacino il minor tempo possibile, essendo sempre assai numerose quelle che attendono il loro turno d'immissione. I lavori di più grossa mole vengono fatti invece nelle officine maggiori più particolarmeme attrezzate.
Compiti essenziali di un arsenale marittimo sono la costruzione e la riparazione delle navi: perciò la sua attività e la sua organizzazione devono essere sviluppate intorno a due centri principali di lavoro, cioè gli scali di costruzione e i bacini di carenaggio con le darsene di raddobbo. Questo per la fronte a mare, per la fronte a terra è sufficiente pensare al traffico del personale e ai collegamenti ferroviarî per l'introduzione dei materiali provenienti per via di terra e occorrenti per i lavori. Oltre gli scali di costruzione, e in loro vicinanza, vi possono essere anche uno o pih scali di aiaggio che servono per tirare a terra e riparare naviglio di limitate dimensioni senza ingombrare i bacini (v. anche bacino).
Attorno a questi due centri di lavoro si sviluppano tutti gli altri servizî che enumeriamo:
Centrali di produzione (con relative reti di distribuzione agli utenti): per energia elettrica per forza e per illuminazione; per aria compressa per utensili pneumatici, per forza idraulica per impianti idraulici (gru, presse, magli, ecc.); per ossigeno occorrente nei lavori di saldatura autogena; per acqua distillata per il servizio delle caldaie a tubi di acqua sulle navi. Centrali per prosciugamento dei bacini, ordinariamente con motori elettrici alimentati dalla rete di distribuzione principale. (Le centrali più importanti hanno proprî generatori di corrente per far fronte a eventuali interruzioni della linea principale). Stazioni per la carica degli accumulatori dei sommergibili.
Officine: carpentieri in ferro con reparti per fucinatura di verghe e lavorazione a macchina e con annessa sala a tracciare; carpentieri in legno con reparti calafati e per riparazione degli scafi delle imbarcazioni in legno; congegnatori con reparti per artiglierie; fabbri con reparti per la zincatura; fonditori con reparti modellisti; calderai con reparti tubisti e ramai; elettricisti con reparti per radiotelegrafia, telegrafi e telefoni; siluristi e torpedinieri; proiettili e bossoli; pirotecnici; segheria; attrezzatori; velai; pittori; mista per il servizio dei bacini.
Depositi e magazzini: piazzale per lamiere e profilati in vicinanza degli scali e dell'officina dei carpentieri in ferro; deposito degli avantiscali; tettoie per il legname; magazzino generale; magazzino per pezzi di rispetto degli apparati motori; magazzino di materiale elettrico; magazzino di modelli per la fonderia; parchi di artiglierie; parchi di ancore e catene; parchi per torpedini; parchi di paramine; parchi di reti per ostruzioni; depositi di siluri; magazzini coperti per deposito d'imbarcazioni; magazzini viveri; magazzini vestiario; depositi di carbone con pontili d'approdo per imbarco e sbarco; depositi di combustibili liquidi (nafta, benzina) con relativi pontili d'approdo; depositi di olî lubrificanti; depositi di bombole metalliche; depositi di pitture e di analoghe sostanze infiammabili depositi per oggetti dismessi in attesa di demolizione e vendita; depositi di rottami; deposito di rifiuti con relativo impianto di smaltimento; deposito per locomotive e gru spostabili su binarî a scartamento ferroviario; rimessa per automobili e camions; magazzini di ricezione delle merci introdotte nell'arsenale dal retroterra; magazzini per la merce in arrivo e partenza per via di mare; banchine per il deposito e la riparazione di galleggianti diversi d'arsenale.
A questi occorre poi aggiungere una serie di altri impianti, i quali, pur non essendo strettamente legati col servizio di un arsenale, sono assai spesso, tutti o in parte, inclusi in esso costituendo delle utili integrazioni al complesso dei lavori che vi si svolgono. Tali sono per esempio: vasca per esperienze di architettura navale; laboratorio per prove di materiali e per esperimenti diversi; laboratorio ottico; laboratorio per analisi chimiche; laboratorio per elettricità; tipografia con annessa legatoria; cianografia ed eliografia.
Abbiamo accennato sin qui solamente alle sistemazioni riguardanti il materiale, e dobbiamo ora occuparci del personale e delle sistemazioni a esso relative, tanto per il personale dirigente e per gli uffici quanto per il personale militare e operaio. Gli uffici devono comprendere quelli del comando e quelli delle direzioni dei lavori. Per il personale operaio occorre disporre di spogliatoi e di docce comuni, oltre quelle particolari che insieme con altre provvidenze igieniche devono essere predisposte per alcune categorie della maestranza, come a esempio i pittori; inoltre di un refettorio, dove il personale possa consumare i suoi pasti ed eventualmente provvedere all'acquisto di qualche cibo caldo, e d'impianti sanitarî igienici, aereati, con abbondante acqua, distribuiti opportunamente.
Per il personale militare occorre distinguere fra quello che può alloggiare a bordo delle navi e l'altro che non ha tale possibilità o perché le navi non lo consentono per costruzione (sommergibili) o perché sono in grandi riparazioni: e allora occorrono caserme. Non dovrebbero essere trascurati i mezzi per raccogliere il personale militare in ambiente confortevole per allontanarlo dalle malsane attrattive della città: così dovrebbero trovarsi sempre entro il recinto dell'arsenale un circolo per sottufficiali e sale di lettura per i marinai con locali per proiezioni cinematografiche. Né dovrebbe trascurarsi di trovare il terreno per un campo sportivo.
Nel far l'esame delle esigenze varie a cui deve soddisfare dal punto di vista materiale un arsenale moderno nulla si è detto di proposito sul migliore raggruppamento delle varie officine e dei magazzini e depositi nei riguardi dei due centri principali di lavoro (scali e bacini) ai quali abbiamo accennato in principio: è questo un argomento che richiederebbe una trattazione troppo estesa, mentre d'altra parte il problema che esso importa, cioè lo studio della pianta di un arsenale, deve dipendere nella sua soluzione prima di tutto dalla località disponibile per l'impianto dell'arsenale e dalla posizione degli scali e dei bacini che nella maggior parte dei casi è obbligata, a causa della configurazione del terreno. Del resto al giorno d'oggi non ci si trova più nel caso di dover studiare a nuovo un arsenale altro che in casi rarissimi, ad es. l'arsenale di Singapore che gl'Inglesi stanno ora costruendo nella Penisola Malacca; per gli arsenali già esistenti, i quali (hanno adattato i servizî varî alle esigenze della distribuzione già effettuata delle officine, il problema d'un rimaneggiamento di queste per soddisfare in modo migliore alle esigenze dei lavori, mentre può avere dal punto di vista tecnico più di una soluzione buona, si troverebbe spesso praticamente insolubile per ragioni economiche, poiché le spese dirette e indirette che ci vorrebbero, difficilmente potrebbero essere compensate da un vantaggio effettivo valutato in migliore rendimento economico del lavoro, anche se distribuite in un lungo numero d'anni. Così si può dire che presentemente non si pongono nemmeno problemi di tale natura; le esigenze che si vengono a manifestare in alcuni rami del servizio sono di solito soddisfatte con rimaneggiamenti parziali, dei quali non si va però mai a valutare il rendimento economico, che risulterebbe nella maggior parte dei casi assai basso.
Organizzazione. - I sistemi di organizzazione degli arsenali variano da paese a paese secondo i concetti che hanno prevalso a volta a volta in ciascuno di essi, ma occorre premettere a questo esame che purtroppo, trattandosi di organismi militari, spesso, e specialmente da noi, la loro organizzazione è più intesa a soddisfare certe esigenze di dipendenza gerarchica di corpi militari e a mantenere vecchie tradizioni non più giustificate dalla pratica moderna, che a costituire un ente, il quale, pur soddisfacendo alle necessità particolari derivanti dal mantenimento in efficienza della flotta e dei diversi servizi logistici d'una piazza marittima, tenda ad avere carattere industriale e a svolgere quindi in modo economico i lavori che gli vengono affidati. Questa è una delle ragioni per cui oramai è pacifico che agli arsenali nostri vengono lasciati soltanto lavori di manutenzione e di riparazione al naviglio militare, per i quali sono più indicati a motivo dell'elasticità con la quale vi possono soddisfare, e sono state praticamente tolte le nuove costruzioni, che vengono quasi del tutto assorbite dall'industria privata. Una delle ragioni più importanti di questo passaggio delle nuove costruzioni ai cantieri privati sta però nel fattore politico di distribuzione del lavoro alle diverse regioni e nella necessità di mantenere cantieri e maestranze attrezzati a costruire naviglio militare per utilizzarli in pieno in tempo di guerra.
Riportiamo nei diagrammi la distribuzione schematica della organizzazione d'un arsenale italiano, d'un arsenale francese, di un arsenale inglese e di due tipici arsenali americani. Si osserva che negli Stati Uniti la distribuzione e la denominazione degli uffici varia, si può dire, da arsenale ad arsenale; sono indicate quindi le organizzazioni di quello di Puget Sound Wash., che si può dire uno dei più moderni, e di quello di Brooklyn N. Y.
Lo studio approfondito e dettagliato di queste diverse organizzazioni ci porterebbe molto oltre, anche perché esso richiederebbe in primo luogo un esame comparativo della composizione e delle attribuzioni dei varî corpi militari nelle diverse marine. Ma possiamo affermare che un'efficace organizzazione industriale e un buon rendimento economico d'un arsenale non si può avere senza una direzione unica affidata a un tecnico; il comando militare dell'arsenale non sarebbe in nulla menomato nella sua funzione e nel suo prestigio, qualora fosse reso estraneo a tutto il funzionamento tecnico e amministrativo dei lavori e si limitasse all'impiego dei mezzi logistici, alla sorveglianza militare. dello stabilimento, alla vigilanza sui movimenti delle navi negli specchi acquei delle darsene, all'ispezione sulle caserme, campi sportivi, circoli per sottufficiali e marinai e in genere su tutti i servizî di carattere militare esistenti nello stabilimento. Il comandante dell'arsenale, così come è da noi costituito, ha solo un'apparenza di comando, quando lo si confronti con i comandi di carattere militare, più consoni alla natura e alla preparazione degli ufficiali di vascello, nei quali comandi veramente questi possono esplicare le loro qualità peculiari affinate dal lungo esercizio e rafforzate dal sentimento della responsabilità: in molte cose presentemente un comandante di arsenale, il quale abbia un equilibrato sentimento della posizione che occupa, è costretto a prendere solo atto di quanto dispongono i direttori dei lavori che da lui dipendono e, se è pur vero che con la distribuzione attuale delle direzioni dei lavori è logico che vi sia un'autorità, la quale tutte le assommi e le coordini, anche per soddisfare a un'impellente necessità di armonia organizzativa, pure non è meno evidente agli occhi di chiunque non sia digiuno di organizzazione industriale, che un rendimento economico e un sano sviluppo industriale degli arsenali non si possono avere se non si concentri sotto un'unica direzione tecnica tutto il servizio delle officine, dei lavori e degli approvvigionamenti. Questi concetti sono stati più d'una volta affermati anche in Inghilterra da commissioni incaricate appunto dello studio specifico del problema degli arsenali, ma anche in quel paese non hanno trovato fino ad ora completa applicazione. Nei nostri arsenali i direttori dei lavori hanno il grado di colonnello ed esercitano le loro funzioni coadiuvati dal vicedirettore, che ha normalmente l'incarico diretto del personale e degli approvvigionamenti, e da un certo numero di ufficiali tecnici dello stesso corpo per la direzione delle officine e dei lavori e da ufficiali del corpo di commissariato per la parte amministrativa. Alla dipendenza degli ufficiali tecnici sono i capi tecnici, i quali si occupano direttamente dell'esecuzione dei lavori in officina col titolo di capo-officina e a bordo delle navi. Sotto i capi tecnici è distribuito il personale operaio, costituito da operai permanenti e cioè non soggetti a licenziamenti che in determinate condizioni, e da operai temporanei, per i quali il contratto di lavoro ha durata varia, ma non mai superiore a un anno, per quanto rinnovabile. Fra gli operai permanenti sono scelti i capi operai, ai quali viene affidata la sorveglianza e direzione di lavori di particolare importanza. Oltre agli operai temporanei si hanno anche i giornalieri, assunti volta a volta per determinati lavori. (V. Tavv. CXXXVII-CXXXVIII).