Riformatore religioso (Brescia, fine del sec. 11º o inizi del 12º - Roma 1155). Allievo di Abelardo, A. denunciò nelle sue prediche la crescente corruzione del clero, negando il potere temporale della Chiesa. Fu un appassionato sostenitore del movimento antipapale e autonomistico romano e in età risorgimentale divenne un importante riferimento per il pensiero neoghibellino.
Allievo a Parigi e amico di Abelardo, rientrato a Brescia (1119) prese parte con grande impegno alle lotte contro il clero simoniaco; ritornò poi in Francia e partecipò alle dispute tra Abelardo e s. Bernardo. Dopo un breve e poco fortunato periodo d'insegnamento a Parigi, dovette rifugiarsi in Svizzera. Col favore del card. Guido poté ottenere il perdono papale e si recò a Roma, in pellegrinaggio (1145). Ma i torbidi antipapali e il movimento autonomistico in atto trovarono ben presto nella sua vocazione di riformatore un alleato, che con l'appassionata predicazione contro la temporalità della Chiesa sospingeva il ceto più popolare all'adesione anche politica alla classe che dirigeva il comune. Tornata però, dopo alterne vicende, la pace tra il papa e il popolo romano (1155), A. dovette abbandonare precipitosamente la città, dirigendosi verso il Nord. Arrestato nei pressi di S. Quirico d'Orcia, fu portato a Roma e impiccato. Il suo corpo fu poi bruciato e le ceneri vennero disperse nel Tevere. Di formazione patarinica, pare che, nel rifiuto della sacerdotalità gerarchica, non solo negasse la validità dei sacramenti amministrati dagl'indegni ed esortasse alla confessione reciproca, ma fosse favorevole alla predicazione dell'insegnamento evangelico da parte dei laici. Comunque, la sua ribellione alla corrotta gerarchia, nelle vicende romane, si contaminò delle rivendicazioni autonomistiche e imperiali, e finì travolta nella ripresa politica del papato. In età risorgimentale la sua figura divenne un importante riferimento per il pensiero neoghibellino.