ARMODIO e ARISTOGITONE (‛Αρμόδιος καί 'Αριστογείτων)
Gli uccisori di Ipparco, uno dei due figli di Pisistrato che detenevano il potere dopo la morte del padre, erano della stirpe dei Gefirei. L'uccisione di Ipparco avvenne, secondo una tradizione raccolta da Tucidide, per motivi privati. Ipparco tentò di soddisfare le sue brame colpevoli con Armodio, amasio di Aristogitone: ma il giovane resistette e ne informò Aristogitone. Ipparco si sarebbe voluto vendicare impedendo alla sorella d'Armodio di esercitare la funzione di canefora nella solennità delle grandi Panatenee. Allora Armodio ed Aristogitone lo uccisero presso il Leocorio, mentre Ippia era nel Ceramico. Tuttavia è certo che un poeta contemporaneo esalta Armodio e Aristogitone come tirannicidi, e i discendenti loro erano nutriti a spese pubbliche nel Pritaneo. Platone esplicitamente afferma che l'ucciso Ipparco era il primogenito, quindi proprio il tiranno, mentre Tucidide seguito da altri autori ritiene che il primogenito fosse Ippia (v. ipparco e ippia).
Fonti: Per la stirpe di Armodio e Aristogitone, v. Erodoto, V, 55-62; per la versione loro sfavorevole, Tucidide, VI, 54 seg.; Aristotele, Costituzione d'Atene, 18. Intorno al significato politico del tirannicidio, v. lo scolio riportato da Ateneo, XV, 695 A (Bergk, Poët. lyr. gr., III, Scolia, 9-13); Pseudo Platone, Ipparco, p. 229 CD.
Le rappresentazioni artistiche. - Pausania (I, 8, 5) nella sua descrizione di Atene, dopo aver parlato del tempio di Ares e della statua di Pindaro, dice: "Non lungi stanno Armodio e Aristogitone, gli uccisori di Ipparco. Quale fosse la causa del fatto e come avvenisse, altri hanno narrato. Di queste statue le une sono opera di Crizio, e le altre più antiche le fece Antenore. Serse, quando prese Atene, abbandonata dagli Ateniesi, portò via anche queste statue come bottino; ma le restituì agli Ateniesi Antioco". Questo caso delle statue fatte da Antenore, portate via da Serse e restituite è narrato anche da Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 70), che attribuisce la restituzione ad Alessandro stesso, come pure fa Arriano (Anab., III, 16,7); mentre Valerio Massimo (II, 10 ex.1; p. 109) l'attribuisce a Seleuco. Di tutte più verosimile è la versione di Pausania.
L'uccisione d'Ipparco era avvenuta nel 514 e nella reazione che ne seguì caddero i due tirannicidi. Quando nel 510 Ippia fu cacciato, la democrazia ateniese onorò i due uccisori come eroi, con statue, che furono le prime innalzate a mortali (Plin., Nat. Hist., XXXIV 17); esse ebbero gli stessi onori tributati alle tombe e alle immagini dei defunti e divennero come un Palladio di Atene e della sua libertà. Perciò i Persiani vollero portarsele via; ma appunto per l'importanza che avevano assunto, appena gli Ateniesi poterono rioccupare le loro città, deliberarono di sostituirle con un'opera d'arte analoga. Ne furono incaricati Crizio e Nesiote, due scultori fra i più stimati del tempo, che anche in altri casi vediamo lavorare insieme. Conosciamo, dalla cronaca scolpita nell'epigrafe nota col nome di Marmo Pario (Ep. I, l. 10) l'anno preciso dell'inaugurazione, il 477 a. C. (Arconte Adeimanto - Ol. 75, 4).
Un'eccellente copia in marmo, di età romana, del gruppo fu identificata dal Friederichs (1853). Scoperta a Villa Adriana, giunse a Napoli (dove ora si trova, nel Museo Nazionale) nel 1790 con i marmi della Collezione Farnese. Allora il gruppo, trovato in parte frammentario, fu restaurato; così le braccia e parte delle gambe di Armodio, il braccio destro e la mano sinistra di Aristogitone, al quale ultimo manca la testa. Il marmo napoletano ha bensì una bella testa, ma essa è opera del sec. IV, in completo contrasto con lo stile dei corpi e con la testa di Armodio. Aristogitone, l'amico più maturo, era barbato, come sappiamo da altri monumenti; anzi due copie della testa originale ci sono pervenute. Una, trovata nel 1779 a Villa Adriana, è finita a Madrid, dove è nota come ritratto del filosofo Ferecide: F. Hauser con validi argomenti sostenne che si tratta addirittura della stessa testa del gruppo di Napoli. Un'altra replica è stata ritrovata pochi anni fa dall'Amelung nei magazzini del Museo Vaticano.
Oltre la copia di Napoli e un'altra, meno evidente, nel Giardino Boboli di Firenze, il gruppo dei Tirannicidi (τυραννοκτόνοι, tyrannicidae) è riprodotto su varî monumenti: in due tetradrammi attici, in una tessera plumbea, in un trono di marmo trovato nel Pritaneo di Atene ora a Brown Hall (Inghilterra); in due vasi dipinti attici con figure rosse, uno dei quali, un'oinochoe, proveniente da Atene, è a Roma nel Museo di Villa Giulia, e infine come episema dello scudo di Atena in una anfora panatenaica del sec. IV, trovata in Cirenaica e ora al Museo Britannico. Questi monumenti non solo ci assicurano che Aristogitone era barbato, ma che Armodio era in atto di tirare un fendente, mentre il compagno si teneva sulla difensiva, con la clamide gettata a mo' di scudo sul braccio sinistro, e con il destro armato di pugnale per dare il secondo colpo mortale, se quello di Armodio fosse fallito. Essi inoltre ci dicono che l'aggruppamento originale è quello in cui è ora esposto il gruppo di Napoli, e non con le due figure una di fronte all'altra come quando era interpretato come una raffigurazione di gladiatori. I due tirannicidi sono perciò rappresentati come statue eroiche (donde il nudo completo) non nell'atto di uccidere Ipparco, ma un istante prima, quando muovono all'azione. Il gruppo ne risulta armonico per il bel ritmo delle gambe e delle braccia, per quanto la sua composizione fosse stata studiata in modo che, essendo esso a un bivio tra l'Agoră e l'Acropoli, ciascuna figura veniva a presentare la veduta principale di fianco a chi veniva dall'una o dall'altra strada. Oltre alle repliche suddette, le figure o insieme o isolate, ma non a gruppo, hanno ispirato altre opere: così una lekythos con figure nere (trovata ad Atene, e ora del Museo artistico industriale di Vienna) e alcuni vasi con figure rosse, come una lekythos di Atene (Arch. Zeit., 1870, tav. 24-3). Ricostruito il gruppo, ne venne la questione se riproducesse quello di Antenore o quello di Crizio e Nesiote.
Le copie potrebbero rappresentare così l'uno come l'altro; ma per le opere attiche anteriori alla fine del IV o meglio al principio del III secolo, non è possibile pensare che a quello di Crizio e Nesiote, perché quello di Antenore era allora in Persia. A questo argomento, per sé stesso perentorio, si aggiunge quello stilistico, in base al confronto con la statua di Kore, di Antenore (v.), scoperta anni fa nell'Acropoli. Se qualche archeologo (p. es., il Collignon) pensò di potere in base a tale confronto attribuire ad Antenore anche il gruppo dei Tirannicidi, ormai tutti riconoscono che lo stile è affatto diverso, e precisamente di una generazione posteriore, e che il meraviglioso nudo delle due statue napoletane e la testa, sicura, di Armodio ci portano a classificare il gruppo stesso fra le opere attiche degli anni immediatamente successivi al 480 a. C. L'unica difficoltà è presentata dalla lekythos con figure nere; ma non è da escludersi che simile tecnica, specie in esemplari come questo scadenti, continuasse per qualche anno dopo il 480: altrimenti bisognerebbe considerarla una prova che, non nello stile, ma nel tipo, Crizio e Nesiote avessero voluto riprodurre il gruppo di Antenore: il che, date le idee degli scultori greci sulla nessuna importanza della novità del tipo, potrebbe anche essere, tanto più che il primo gruppo era diventato oggetto ormai d'un vero culto ed era sparito in un momento tragico per Atene. Che il gruppo di Crizio e Nesiote fosse fatto su quello di Antenore è il parere anche del Bulle.
Tra le altre opere d'arte che l'episodio ispirò, vanno menzionati tre vasi attici con figure rosse; uno, trovato a Chiusi, e ora a Berlino (Furtw., 2316), pare da escludersi, nonostante il parere del- Pottier; non così quello pubblicato dal Tischbein, dove è più probabile tale episodio che quello della Doloneia o di Adrasto che separa Anfiarao e Licurgo. Assolutamente sicuro pare invece il bellissimo stamno già Feoli e quindi proveniente dall'Etruria meridionale, a Würzburg (n. 316). Vi vediamo Ipparco assalito dai due tirannicidi. Armodio gli sta calando un fendente, mentre Aristogitone, approfittando del fatto che egli si è voltato per schivare il colpo, gli pianta il pugnale, dal basso in alto, nel petto. Tutti e tre sono coronati di mirto per la festa delle Panatenee e sono vestiti di un ampio mantello (ἱμάτοπν), essendo evidentemente il nudo completo delle statue di Crizio e Nesiote derivato dal loro carattere eroico di mortï divinizzati. Il vaso, di stile ancora severo, deve essere dei primissimi decennî del sec. V, opera quindi di chi poté essere testimone oculare del fatto. Il Beazley lo attribuì a un pittore anonimo del periodo arcaico maturo che chiamò il "pittore dell'anfora di Copenaghen".
Bibl.: Per il tirannicidio, G. De Sanctis, ΑΤΘΙΣ, 2ª ed., Torino 1912, pagine 317-319; R. Reitzenstein, Epigramm und Skolion, Giessen 1893, p. 13 seg.; E. Meyer, Gschichte des Altertums, II, Stoccarda 1893, p. 716 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, I, i, Strasburgo 1912, p. 392 seg.; II, i, ibid. 1914, p. 294 seg.
Per il gruppo di Crizio e Nesiote: Friederichs, in Arch. Zeit., XVII (1859), p. 66; F. Studniczka, in Arch. Jahrb., 1887, p. 141: G. Patroni, La scuola attica e le statue dei Tirannicidi, in Mem. Accad. di Napoli, XIX (1895); Ruesch, Guida del Museo di Napoli, pp. 103-04; H. Brunn-F. Bruckmann, Denkmäler gr. u. röm. Skulptur, Monaco 1888, tavv. 326-28; M. Collignon, Histoire de la sculpture grecque, Parigi 1892-97, I, p. 370; H. Bulle, Der schöne Mensch, 3ª ed., Monaco 1922, tavv. 84, 85; P. Ducati, L'arte classica, 2ª ed., Torino 1927, p. 248 seg., figg. 300 e 301; F. Huser, in Röm. Mitt., 1904, p. 163; P. J. Meier, in Röm. Mitt., 1905, p. 330, tav. 11 (ricostruzione del Museo di Brunswick).
Per la lekythos con figure nere di Vienna: E. Petersen, in Arch. epigr. Mitt. aus Österreich, III (1879), tav. 4; per le monete di Atene: M. Collignon, op. cit., I, fig. 187; per la tessera di piombo, Arch. Zeit., 1870, tav. 24, 1; pel seggio di Brown Hall, Journ. Hell. Stud., 1884, p. 146, tav. 43; M. Collignon, op. cit., I, fig. 188; per l'anfora Panatenaica, Mon. Inst., X, 48 d.
Per lo stamno di Würzburg, Arch. Zeit., 1883, tav. 12; S. Reinach, Répert. vases, I, Parigi 1899, p. 449; J. C. Hopping, A hanbook of Attic red-figured vases, Cambridge 1919, I, p. 202, n. 11; pel vaso di Berlino: S. Reinach, op. cit., I, p. 382; per il vaso Tischbein: S. Reinach, op. cit., II, p. 284.