ARLINCOURT, Charles Victor Pérot, visconte di
Romanziere francese, che, fra il 1850 e il 1870, fu molto letto anche in Italia, nelle classi popolari, per un certo romanticismo convenzionale e truculento che rispondeva al gusto dei tempi. Nacque nel castello di Mésantris, presso Versailles, il 28 settembre 1789, e, dopo la morte del padre caduto sotto la ghigliottina, passò la giovinezza in un castello della Piccardia, finché entrò, diciottenne, alla corte di Madama Letizia. Reazionario frenetico per temperamento e per educazione, nonostante la rapida carriera fatta sotto l'Impero, salutò con gioia la Restaurazione, e non durò fatica a volgere ad onore e gloria dei ritornati Borboni la sua Caroléide, lungo ed enfatico, prolisso poema, già incominciato nel 1810 in lode di Bonaparte. Poi, nella romantica solitudine del castello di Paër in Normandia, interrotta soltanto da qualche romantica festa che per il suo sfarzo fece epoca, incominciò a fabbricare, con i luoghi comuni del più esaltato lirismo romantico, tutta un'interminabile serie di macchinosi romanzi che il pubblico divorava. Il più celebre è Le solitaire (1821); ma anche gli altri furono presto tradotti in italiano, e più d'una volta vi attinsero i nostri compositori di melodrammi: la Straniera fu ristampata in cinque edizioni diverse. Erano libri che, per la loro tendenza, servivano ottimamente la causa reazionaria, e, mescolandovisi la politica, questa ne accrebbe il successo: anche l'infatuata tiritera L'Italie rouge, composta nel consueto romantico stile sulle rivoluzioni italiane, ebbe, fra il '50 e il '60, tre traduzioni. Ad onore dell'A., romantico moschettiere del legittimismo, più papista del papa, più realista del re, va detto che né il '31, né il '48, né il 2 dicembre valsero a smuoverlo mai, nemmeno d'un centimetro, dalle sue posizioni. "Esagerato" nella vita come nello stile - certe "uscite" dei suoi personaggi sono rimaste celebri -, fece non poche volte sorridere; ma si comportò veramente anche nella realtà dell'esistenza come uno degli eroi dei suoi romanzi, e seppe rimanere sempre donchisciottescamente fedele a sé stesso. Morì a Parigi il 22 gennaio 1856.
Bibl.: A. Marquiset, C. V. P. d'Arlincourt, prince des romantiques, Parigi 1910; e v. anche F. Baldensperger, Quelques lettres à Goethe, in Revue d'histoire littéraire de la France, 1908; L. Seché, Un oublié, le vicomte d'A., in Revue hebdomadaire, 1906.