ARDIEI (lat. Ardiaei e in forma più tarda Vardei o Vardiaei; gr. 'Αρδιαῖοι o infine Οὐδαῖοι)
Una delle principali fra le genti illiriche, ramo della razza indo-europea stabilitasi nella zona compresa tra l'Adriatico e la Morava, il medio Danubio e l'Epiro nella seconda metà del secondo millennio, dopo averne respinto i Traci che li avevano preceduti. Abitarono dapprima nella zona che fu poi detta Liburnia (a N. del Cherca); perciò da taluni sono ritenuti Liburni. Ma venuti tra i primi a contatto con i Celti prorompenti dalla valle del Danubio, furono gravemente sconfitti con uno stratagemma narratoci da Teopompo (presso Ateneo, X, 443) e costretti tra il 370 e il 360 a. C. a lasciare il paese emigrando nella regione a destra della Narenta (Naro o Νάρων) di fronte all'isola di Lesina, dove li menziona Strabone (VII, 5, 5). Poiché però nella stessa zona ancora nel sec. IV a. C., come narra lo pseudo Scilace (23, 24), abitavano i Νέδτοι e i Μανίοι, è verosimile, se non certo, che i 300.000 uomini che, secondo gli storici antichi, gli Ardiei tenevano sottomessi fossero questi stessi popoli da essi ridotti in servitù. Nell'interno giungevano sino agli Autariati, altra popolazione illirica che abitava parte della Bosnia e dell'Erzegovina odierne, con cui anzi vennero a grave contesa a cagione di certe sorgenti di sale che si sono identificate nella regione ad occidente di Mostar, presso Konyica, e che dovevano trovarsi proprio sul confine tra i due popoli. Nella lotta gli Ardiei furono sconfitti e forse questa non fu una delle ultime ragioni per cui si volsero piuttosto al mare, acquistando fama di arditissimi navigatori. Si accrebbero così le loro possibilità di venire a contatto, più e meglio degli altri Illirî, con la civiltà greca, possibilità già notevoli per il fatto che risiedevano lungo le rive del fiume che fu in ogni tempo la principale via di transito fra l'Adriatico e la penisola balcanica, potendosi risalire per lungo tratto con triremi e navi da carico. Da Teopompo infatti (in Strab., VII, 5, 9) ci è raccontato che presso la Narenta si trovavano ceramiche di Chio e di Taso, e dallo pseudo Scilace apprendiamo che fin dal sec. IV, a 80 stadî dal mare (presso la moderna Metković), fioriva un emporio commerciale in cui convenivano mercanti greci e dell'interno per lo scambio delle merci.
Questo contatto con il mondo ellenico spiega anche come nel forte regno illirico che nel sec. lII riuscì a formarsi nella regione che si estendeva dalla Voiussa (regione degli Atintani) a sud fino ai Delmati a nord (ad esclusione delle colonie greche), gli Ardiei seppero serbare la prevalenza e forse anche imporre il nome, per quanto la capitale fosse Skodra (Scutari): questa è almeno l'autorevole tradizione di Dione Cassio (fr. 49, 2, 3 = Zon., VIII, 19) non accettata però da tutti gli storici moderni (cfr. p. es., Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., III, p. 636, n. 2). Come questo regno si sia formato non sappiamo: certo vi contribuì la decadenza dell'Epiro dopo la caduta degli Eacidi (240 a. C.) e quella delle colonie greche. La prima impresa di cui abbiamo notizia è l'alleanza del re Agrone con i Macedoni, in seguito alla quale egli liberò la città acarnana di Medion dall'assedio degli Etoli (231 a. C.). Poco dopo quest'impresa, Agrone morì; gli successe la moglie Teuta, quale tutrice del figliastro Pinnes, che intensificò ancor più l'attività del suo regno, devastando Fenice, la capitale dell'Epiro (230 a. C.), compiendo incursioni nella Messenia e nell'Elide e minacciando di continuo le colonie greche, una delle quali, Corcyra (Corfù), cadde in suo potere. Temendo la stessa sorte, la colonia siracusana di Issa (Lissa), ricorse per aiuto ai Romani già irritati per i danni fatti ai navigatori italici dalla pirateria illirica. L'uccisione di uno degli ambasciatori mandati a Teuta li indusse a rompere gl'indugi: la flotta romana comparve sotto gli ordini del console Gneo Fulvio Centumalo; Apollonia (Pojani) e Epidamno (più tardi Dyrrhachion, Durazzo) si allearono ai vincitori, e, per il tradimento del comandante del presidio illirico, Demetrio di Faro, anche Corcyra riacquistò la libertà e parte degli stessi Ardiei si arrese. Teuta rinchiusa in Rhyzon (presso le bocche di Cattaro) chiese ed ottenne pace (228 a. C.) con il riconoscimento dell'indipendenza delle colonie greche e delle tribù meridionali degli Atintani e dei Partini. In complesso, il nocciolo del suo regno rimase pertanto intatto, ma passò nelle mani di Demetrio che, favorito dai Romani per il suo tradimento, ebbe dapprima solo una piccola parte di territorio, ma poi acquistò la preponderanza diventando il tutore di Pinnes. Alleato del re di Macedonia Antigono Dosone, egli poté riprendere l'Illirico meridionale. Dopo però la breve spedizione dei Romani nel 219 che porta sotto la loro indiretta dipendenza anche Lesina (Pharos), venne sostituito quale tutore di Pinnes da Skerdiladas, forse fratello di Agrone, che, morto l'erede-pupillo intorno al 216, diviene re dell'Illiria. Gli successe il figlio Pleurato, che dapprima perdette gran parte del suo territorio per opera di Filippo il Macedone, ma, avendo trovato un aiuto nell'alleanza dei Romani, durante la prima e la seconda guerra macedonica riuscì a riconquistarlo quasi tutto a danno di Filippo e a ridiventare il più potente signore della regione. Genzio però, suo figlio ed erede, si staccò dai Romani per allearsi con Perseo, il successore di Filippo, e facilmente venne sconfitto durante la terza guerra macedonica (168 a. C.). Con lui ebbe fine così il regno ardieo. Della popolazione vera e propria abbiamo invece ancora notizia per una guerricciola contro di essa del 135 a. C., guidata da Servio Fulvio Flacco, in seguito alla quale fu dai Romani rinchiusa nell'interno della Dalmazia e costretta a trarre il sostentamento non più dal mare, ma dalla terra ingrata e sterile: andarono perciò sempre più deperendo a causa del clima rigido e del lavoro insolito, cosicché Plinio li menziona come facenti parte del conventus Naronitanus con solo venti centurie (Nat. hist., III, 22, 143).
Gli Ardiei rientrano nel quadro della civiltà illirica, che conosciamo però più per gli scavi fatti nella Bosnia, nell'Erzegovina e di recente anche nell'Albania, che non nella vera e propria Dalmazia: non vi mancano forti influenze celtiche e greche che diffusero l'uso della moneta e attenuarono la barbarie di un popolo ardito, amante della libertà, ma di per sé poco suscettibile di civile sviluppo.
Bibl.: G. Zippel, Die römische Herrschaft in Illyrien bis auf Augustus, Lipsia 1877; Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., II, col. 615; G. Schütt, Untersuchungen zur Geschichte der alten Illyrien, Breslavia 1910; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III e IV, Torino 1916.