ARCHITRAVE (da arco e trave)
I Greci denominavano questo elemento "epistilio" (ἐπί "sopra" e στῦλος "colonna"). Architrave è l'elemento rigido (pietra da taglio), o elastico (legno, ferro, cemento armato), che si dispone orizzontalmente sopra un vano, ed è destinato a sostenere il carico di altre strutture che vi si sovrappongono, e a trasmetterlo verticalmente sugli elementi (spalle, piedritti) su cui s'appoggia oppure s'incastra, o con cui è solidale agli estremi. Termine proprio del linguaggio architettonico, è però usato per indicare anche alcune parti delle armature sussidiarie nelle costruzioni di gallerie, di ponti, di macchine.
Appunto in questo procedimento elementare e primordiale del costruire, consistente nel sollevare un blocco e nel farlo gravare per il suo peso come architrave su due appoggi ai suoi estremi, la volontà umana trova la sua prima espressione architettonica: rudimentale e rozza nei cromlech e nei dolmen megalitici, cosparsi dalle coste britanniche al bacino del Mediterraneo (di particolare interesse le strane costruzioni trilitiche dell'isola di Malta); di semplice e grandiosa monumentalità nelle costruzioni egizie; complessa e raffinata nella formazione stilistica greca; ardita, per l'ampiezza e la leggerezza, nei moderni sistemi basati sull'elasticità dei materiali di ferro e di cemento armato, tesi a sforzi mai prima osati.
Tra un architrave e gli elementi che lo sostengono, si determina una mutua relazione che consegue dalla legge di equilibrio per la quale le azioni (nel nostro caso il carico dell'architrave e del suo sovraccarico), e le reazioni degli appoggi, si annullano. Ciò porta a stabilire alcune relazioni che collegano tra loro le dimensioni dell'architrave, cioè la sua sezione verticale e la sua lunghezza, il sovraccarico che su di esso agisce, la superficie delle sezioni dei sostegni, il limite degli sforzi unitarî cui può essere assoggettato il materiale costituente il sistema. Queste relazioni che si determinano con i procedimenti di calcolo della teoria della resistenza dei materiali, sono rese praticamente evidenti dall'esperienza delle architetture che tale sistema hanno sviluppato: vediamo infatti che le sezioni delle colonne o dei pilastri delle grandi sale ipostile egizie sono di grandi dimensioni e che il loro intervallo è notevolmente piccolo, perché forte è il peso degli architravi e quello dei grandi blocchi costituenti la copertura che su di essi a lor volta si appoggiano: ecco che in una sala ipostila egizia il rapporto fra la superficie occupata dai sostegni e l'area complessiva è di 0,47. Vediamo questo sistema evolversi e procedere dai rapporti ancora gravi delle sezioni dell'ordinanza architravata dell'architettura dorica (il rapporto suaccennato è nel Partenone di 0,15) a quelli più eleganti e leggieri, per maggiore ampiezza di portate, dell'architettura ionica, e ciò in ragione dell'alleggerimento delle strutture di coronamento.
Nelle varie sezioni di un architrave appoggiato agli estremi e assoggettato ad un carico ripartito uniformemente, si esercitano degli sforzi che sono massimi in quella intermedia; il trave tende a flettersi e ciò determina, nelle sue sezioni, sforzi unitarî di compressione, nelle fibre superiori, e di trazione in quelle inferiori: ciò si palesa nella rottura di un architrave di pietra che sia sottoposto ad uno sforzo superiore ai limiti della sua resistenza: la lesione che si genera nella sezione di mezzo dell'architrave è più aperta nella zona inferiore, e va restringendosi in quella superiore. La moderna costruzione in cemento armato, nel disporre i due materiali di ferro e di conglomerato cementizio secondo la natura e la misura degli sforzi che si esercitano nei diversi elementi di una costruzione, in conseguenza delle varie condizioni di sollecitazione, tiene appunto calcolo di quanto si è detto, e, in un architrave in cemento armato, distribuisce le maggiori sezioni del ferro nella sezione inferiore del trave, dove il ferro è più atto a resistere agli sforzi di tensione che quivi si esercitano, e le diminuisce o sopprime nelle sezioni superiori, dove il solo conglomerato cementizio può, per la sua qualità, resistere alle compressioni che quivi si determinano.
Un sistema secondario di creare un architrave è quello che si dice della piattabanda (v.): il blocco destinato a costituire un architrave, anziché poggiare agli estremi su due piani orizzontali, poggia su due piani obliqui (fig. 3): questi reagiscono secondo due forze Q normali ai piani d'appoggio m n: se si considerano le due componenti di queste forze Q, le normali p rappresentano la reazione dell'appoggio, le due forze q indicano che il blocco costituente la piattabanda viene ad essere assoggettato nelle sue sezioni a forze di compressione; ed è intuitivo che questa è una condizione favorevole alla resistenza del materiale pietra più atto a resistere alla pressione. Ripetendo il ragionamento per una serie di cunei, il sistema si estende a un tipo architettonico in apparenza architravato, in realtà agente secondo il principio della vòlta: tale procedimento sarà svolto nell'architettura romana con ampiezza e varietà decorative.
A siffatte relazioni teoriche, fanno riscontro le leggi estetiche che stabiliscono il proporzionamento delle varie parti le quali, nelle formazioni architettoniche degli stili, costituiscono gli ordini dell'architettura (v. ordini architettonici)
L'architettura egizia ha portato alla più alta espressione monumentale il sistema architravato: nei templi, nelle tombe, che il concetto di creare opera eterna, perché eterna vi continuasse la vita degli spiriti, portava a erigere con dimensioni e proporzioni grandiose, l'architrave interviene a trasmettere ai sostegni il peso della copertura costituita di blocchi poggianti alla lor volta su di esso trasversalmente (fig.1). Architrave quasi sempre monolitico: ma talvolta le dimensioni rilevanti che possono raggiungere larghezze di 3 metri e 2 di altezza, in relazione con l'ampiezza degl'intervalli netti tra appoggio e appoggio di circa 6 metri e col carico dei lastroni di copertura, hanno portato il costruttore egizio a frazionare in due blocchi l'architrave, facilitando così, oltre che la manovrabilità delle imponenti masse, anche il problema dell'incrocio di due architravi sulla stessa colonna d'appoggio.
Anche nelle architetture preelleniche l'architrave è organo di chiusura di porte, nelle cinte murarie, nei vani di porta e di finestra: la pietra lavorata nelle strutture ciclopiche ha dimensioni notevoli, in relazione ai prezzi d'opera allora consentiti (l'architrave che chiude il vano d'accesso al cosiddetto Tesoro d'Atreo ha dimensioni di m. 9 × 5 × 1: l'architrave della porta dei Leoni a Micene ha un'apertura netta di m. 2,85 e dimensioni di m. 5 di lunghezza per m. 2,50 di spessore, per m. 1 di altezza).
Nelle origini dell'architettura dorica esso apparisce come parte del sistema ormai costituito in forma di stile. Come dagli architravi lignei che racchiudono a guisa di telai le aperture di pronai dei palazzi, dei templi, del megaron nelle costruzioni preelleniche (Micene, Tirinto, Creta), si giunga, per analoga funzione, al definitivo ordine architettonico greco, questa è indagine che da Vitruvio, nel suo quarto libro, ai moderni studiosi, ci mostra come si ricolleghi alla pratica della carpenteria la maniera di conformare le costruzioni di pietra e di marmo degli edifici greci: certo le recenti scoperte mostrano che l'architrave ligneo, a legature di metalli, con ornamentazioni di borchie e con rivestimenti di marmo o di argilla cotta e vivacemente policromate, costituisce l'elemento necessario e tipico di queste prime costruzioni (fig. 2). Con il definirsi dell'ordine greco, l'architrave non è che una delle parti in cui si ripartisce la trabeazione; ma ad esso è affidata la funzione statica più importante nel complesso organico dell'ordine esso collega in senso longitudinale le colonne che costituiscono la peristasi del tempio, col sostegno della copertura dei portici del pronao. Il peso della copertura viene ad essere decorativamente trasmesso sull'architrave e da questo sulle colonne mediante elementi intermedî, i triglifi; nello stile ionico, mediante l'intermediario di una zona di fregio liscia o scolpita. Nello stile dorico l'architrave è liscio, perché l'architetto greco esclude ogni decorazione dagli elementi dell'ordine ai quali è affidata una funzione statica essenziale: sola eccezione di architrave scolpito è quello del tempio di Axos: vi si riscontrano scritture incise o applicate in lettere di bronzo, come sull'architrave della Stoa di Attalo ad Atene, del portico delle Biblioteche a Pergamo, e forse qualche applicazione di scudi bronzei. All'architrave appartiene il listello che lo distacca dalla zona del fregio, e su di esso sono rilevate le gocce che riportano sulla zona dell'architrave la linea dei soprastanti triglifi; listello e gocce furono poi dipinte, secondo il sistema greco di accentuare con colore le piccole modanature: ma l'architrave restò privo di colorazione, ché l'architettura del V-VI secolo distinse nettamente la zona dell'architrave da quella del fregio. Costruttivamente l'architrave fu frazionato in due o in tre blocchi disposti verticalmente per il lato maggiore; eccezionalmente la sua altezza fu ottenuta sovrapponendo più filari di pietre, e ciò nel grandioso tempio di Giove Olimpico ad Agrigento dove l'architrave ha un'altezza di tre metri, ottenuta col disporre tre filari orizzontali di un metro ciascuno (fig. 4).
L'architrave dello stile ionico è invece suddiviso in tre fasce orizzontali, e la cimasa che lo distacca da quella del fregio è ora complicata di modanature varie lisce o intagliate: queste fasce o strie orizzontali saranno scolpite poi nel periodo ellenistico con motivi ornamentali. Chipiez e Bensdorff mostrano, riprendendo la tesi delle derivazioni dalle strutture lignee, la relazione che esiste tra i procedimenti delle costruzioni in legno di alcune regioni dell'Asia Minore, che sono riprodotte nelle stilizzazioni architettoniche di questa regione, e la formazione dell'ordine ionico. La relazione tra siffatti procedimenti e la cornice architravata che figura tanto frequentemente nello stile ionico, è evidente: alla linea dell'architrave si sovrappone direttamente la cimasa, omettendosi il fregio; i larghi e sporgenti dentelli della stilizzazione architettonica ripetono lo sporgere dei travetti trasversali dell'orditura di copertura: lo stile architettonico crea le eleganti cornici architravate della Loggetta delle cariatidi all'Eretteo (fig. 5) del Leonideo d'Olimpia, del portico del Grande altare di Zeus a Pergamo, della trabeazione architravata di Priene (fig. 6).
Quanto alle proporzioni dell'architrave, la sua lunghezza è pari all'interasse delle colonne. Si hanno quindi dimensioni variabili di cui si dànno alcuni dati: Selinunte, tempio D, m. 4,38; tempio C, m. 4,46; Partenone, m. 4,26; tempio di Segesta, m. 4,23; tempio di Corinto, m. 3,82; Propilei, m. 5,43
La dimensione e larghezza degli architravi è di diametri 1/9 nei templi dorici più antichi; più tardi, nel secolo III, quando prenderà il sopravvento il tipo di ordine detto aerostilo, l'intercolunnio sarà di 2 diametri, e ciò stabilisce, rispetto al diametro della colonna, le lunghezze degli architravi. Nell'ordine dorico il rapporto tra l'architrave e gli elementi dell'ordine è governato da leggi che si ricavano dal testo di Vitruvio e che pongono in reciproca dipendenza l'ampiezza dell'intercolunnio, il diametro della colonna e l'architrave. A parità d'interasse e di altezza di colonne, nelle diverse ordinanze vitruviane, varia il diametro delle colonne e quindi la sezione, l'altezza e larghezza dell'architrave, che è, nel suo proporzionamento, legato alle dimensioni del diametro della colonna. Fermi restando l'intervallo delle colonne e la loro altezza, l'architrave va aumentando di sezione con l'aumentare del diametro della colonna; e questo aumento procede dall'ordinanza diastilo (3 diam.), all'eustilo (2 diam.), al picnostilo (i 1/2 diam.). Nelle proporzioni modulari riferite da vitruvio per l'ordine dorico, essendo la comune misura, modulo, pari al raggio della colonna alla base, l'architrave, liscio, terminato da una fascia (taenia) con regoletti e gocce in corrispondenza dei triglifi, è uguale a un raggio; tenia 1/7, regoletto e gocce 1/6.
Le proporzioni dell'architrave sono descritte da Vitruvio per l'ordine ionico esattamente modulare, per quello cioè nel quale tutti i membri dell'ordine stesso si presentano come frazioni di una medesima unità, e il diametro è di piedi 1 1/2 e le iolonne sono di 9 diam. di altezza, cioè di piedi 13 1/2: in questo caso l'altezza dell'architrave è uguale a un piede: le due unità modulari, architrave e diametro, sono tra loro nel rapporto di due a tre. Nel complesso della trabeazione, che si divide nelle tre zone tra loro eguali di architrave, fregio, cimasa, se si suddivide l'altezza dell'architrave in sette parti, un settimo di queste appartiene al cymatium epistilii, la cornice terminale dell'architrave: la rimanente parte si suddivide in modo da ricavare le tre fasce caratteristiche dell'architrave ionico che stanno tra di loro come 3 : 4 : 5. Vitruvio nel suo libro III, cap. VI, stabilisce anche una relazione tra l'altezza della colonna e quella del suo architrave:
Per H compreso tra:
Secondo l'interpretazione di Choisy, questi valori mostrano che, mentre quelli del rapporto A-H si sviluppano secondo. una legge lineare, i valori di A col crescere dell'altezza della colonna crescono secondo una linea parabolica: cioè gli accrescimenti dell'architrave aumentano più di quelli delle colonne. Queste variazioni dell'altezza degli architravi progressivamente superiori al progredire delle altezze delle colonne sono riportate da Vitruvio tra i varî accorgimenti correttivi delle illusioni ottiche di cui molto si preoccupò l'architettura greca: esse, cioè, tendono a rettificare la depressione che la prospettiva fa subire ad un architrave, e che è più sensibile quanto maggiore è l'altezza dell'architrave stesso. Perciò Vitruvio ha stabilito, per diverse quote di livello, altezze convenienti all'architrave, e a queste varie dimensioni egli riporta le altre misure, stabilendo per unità varî valori dell'architrave.
Lo spessore dell'architrave è nella sua parte inferiore di larghezza pari al diametro superiore del fusto della colonna su cui s'appoggia: coi varî risalti delle fasce esso diviene, nella sua parte superiore, pari al diametro inferiore della colonna. Cymatium non può esistere che sulla faccia esterna: nella parte interna di un portico il coronamento è costituito dal solo architrave sul quale immediatamente viene a poggiare il cassettonato del soffitto.
Nelle proporzioni degli ordini romani date da Vitruvio, l'architrave è, per il dorico, di altezza pari al raggio della colonna, cioè un modulo.
L'architettura romana nella sua interpretazione degli ordini distribuirà anche sull'architrave la ricchezza di ornamento e di intagli con cui, in alcuni suoi periodi, usò largamente chiaro-scurare ogni membratura: esempî, a Roma, l'architrave del tempio dei Dioscuri, e quello del tempio di Minerva. I rilievi e i disegni dei maestri del Rinascimento documentano una grande varietà di decorazioni per l'architrave. L'architettura dell'Asia Minore offre altri esempî: festoni o greche ornano le fasce in cui si suddivide l'architrave (es. nel tempio della dea Fortuna a Sunamein); così pure grande sviluppo hanno certe originali cornici architravate nell'Africa Romana (esempio nell'arco di Caracalla a Tebessa). Nella grande libertà interpretativa dell'arte romana, le proporzioni dell'architrave, il valore degli aggetti delle sue membrature presentano varietà e alterazioni diverse: nella tarda arte romana, ad es. nel mausoleo di Diocleziano a Spalato, l'architrave è alto per metà della trabeazione. La fantasia degli architetti trova soluzioni originalissime, come nella trabeazione del tempio di Tebessa, nel quale l'architrave è costituito di dadi ornati di bucranî, che, simili a pulvino, poggiano sulla colonna, mentre la fascia costituente l'architrave tra pulvino e pulvino si arricchisce di una decorazione di forte rilievo. Tipicamente romana è la soluzione degli architravi che, interrompendosi su di un intercolunnio di colonnato, si curvano ad arco.
Costruttivamente l'architettura romana userà di preferenza il sistema della piattabanda, sviluppando il principio ereditato dagli Etruschi: l'ordine architravato compie nel sistema romano la funzione d'inquadrare l'arco; esso è ora solamente decorativo; è un rilievo, una cornice architettonica disposta per ottenere un effetto plastico; il procedimento di ricorrere alla disposizione di blocchi disposti a piattabanda si presta allo scopo, e in tal modo è costruito l'architrave del tempio cosiddetto della Fortuna Virile, e quello del Tabulario (fig. 7). La piattabanda però è usata nella sua vera e propria funzione statica per coprire ampî vani, per formare la linea orizzontale di architrave, disponendo, tuttavia, i materiali di tufo, di travertino, di peperino, non assoggettabili a flessione, in guisa tale da farli lavorare come arco: grandiosi esempî di piattabande si hanno nel Colosseo e nei teatri d'Orange e di Ferento (fig. 8). Eleganti mezzi costruttivi adatti all'effettuazione di questo modo si osservano nelle architetture di Pompei e della Villa Adriana (fig. 9).
Nelle architetture cristiane dell'Asia Minore e della Siria, regione ricca d'una compatta pietra basaltica, sì ha una vasta ripresa di costruzioni nelle quali il sistema dell'architrave è trattato con monumentalità che ci riporta alla concezione delle strutture egiziane (fig. 10): edifici a ordini sovrapposti, logge a tre o quattro piani, o costruite con la sovrapposizione d'una serie di pilastri su cui gravano gli architravi, secondo il più semplice sistema trilitico.
Le architetture antiche dell'Oriente nelle regioni donde non potevano trarsi materiali di pietra adatti alle ampiezze necessarie per fare da architravi, ma ricche tuttavia di legnami diversi, hanno la loro impronta da sistemi di architravi di legno disposti a orditura delle coperture orizzontali: fasci multipli di travi costituiscono il mezzo di coronamento degli ordini di sostegno nelle grandi sale ipostile persepolitane: le stilizzazioni architettoniche scolpite sulle facciate rupestri di Naqsh-i Rustem (la tomba di Dario) riproducono questo modo della costruzione persiana (fig. 11). Similmente il principio costruttivo da cui si sviluppano le complesse architetture dell'Oriente asiatico, non è altro che un ingegnoso dispositivo di architravi in successive e reciproche trasmissioni di carichi.
Nei moderni sistemi architravati la necessità economica è quella che interviene a determinare nuovi procedimenti costruttivi; quindi si creano forme fittizie di architravi, nei quali la legge di corrispondenza tra la struttura e la forma estetica si disperde in espedienti ingegnosi, che allontanano però l'arte dal primo fondamento di verità costruttiva; sistemi in genere misti di ferro e di rivestimenti, mezzi sussidiarî di collegamento interno come nell'esempio che qui si raffigura (fig. 12), tratto dall'architrave posto a coronare il colonnato del Louvre (architetto Perrault). Più genuina espressione è stata raggiunta dai sistemi a impalcatura di ferro e specialmente da quelli di cemento armato, che consentono di gettare arditissimi architravi di grandi ampiezze.
Si può anzi affermare che l'architettura modernissima, quale si viene profilando appunto nella pratica del cemento armato e nel suo avviamento verso una nuova concezione stilistica, è caratterizzata dal predominio degli architravi in sostituzione di archi e di vòlte.
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