ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE.
L'a. i. è una nuova disciplina nata intorno agli anni Cinquanta nel mondo anglosassone, e della quale ancora si discute sia il contenuto che la stessa denominazione.
In effetti, in un contesto come quello anglosassone assai sensibile ai temi della tecnologia e della storia della cultura materiale, l'accostamento tra termini come quelli di 'archeologia' e di 'industriale' non ha destato la stessa 'sorpresa' che almeno in un primo momento ha prodotto in paesi a prevalente cultura classica e letteraria.
Comunque, superato l'effetto di 'disturbo semantico' prodotto dal nome (tra l'altro gli Inglesi scrivono archaeology e gli Statunitensi, con il resto del mondo, archeology), quanto al contenuto si può ormai convenire che come l'archeologia è la scienza che studia i reperti e le testimonianze dell'attività dell'uomo nell'antichità, così l'a. i. è la scienza che studia i reperti e le testimonianze dell'epoca della rivoluzione industriale, in tutti i suoi aspetti e contenuti (macchine, edifici, tecnologie, infrastrutture) e le conseguenze economiche e sociali che ne derivano. È dunque la scienza che studia le origini e lo sviluppo della civiltà delle macchine e i segni lasciati dal processo di industrializzazione nella vita quotidiana, nella cultura e nella società.
Nonostante la vicinanza nel tempo e l'apparente solidità delle strutture di cui si avvale, la storia del processo industriale è fondata in gran parte su materiale deperibile, come gli stessi metalli, soggetti oltre che alla corrosione, al riciclaggio, e gli stessi edifici industriali, che, concepiti in funzione di un uso temporaneo e di specifiche tecnologie, hanno durata conforme alla funzionalità dell'impiego e un'obsolescenza assai maggiore dell'edilizia civile e dell'architettura tradizionale. Lo stesso si può dire per gli archivi d'azienda e per i disegni tecnici, che, essendo anch'essi finalizzati alla produzione, sono per ciò stesso destinati a un uso temporaneo. Per tutte queste ragioni, se non si provvederà in tempo alla salvaguardia di queste testimonianze, future generazioni potrebbero più facilmente studiare il Quaternario o la civiltà degli Etruschi piuttosto che le prime acciaierie o le prime centrali elettriche.
Secondo stime attendibili, ogni anno solo in Italia vengono smantellati mediamente 150.000 m3 di vecchi edifici industriali e vengono rottamate circa 300.000 t di macchinari e attrezzature. Gli archivi e i disegni vengono generalmente distrutti entro i cinque anni previsti dalla legge e quasi sempre senza effettuare neppure una cernita del materiale più interessante. Naturalmente è inevitabile che la maggior parte di questi edifici, carte e macchinari obsoleti venga distrutta, considerando che a renderlo necessario è la fisiologia stessa dello sviluppo industriale. C'è però una parte di tutto questo che va considerata bene culturale, secondo la concezione introdotta in anni recenti anche nel nostro paese, e appunto come tale studiata, conservata e valorizzata. Estendere il concetto di bene culturale anche a quelli industriali è stato di grande rilevanza in un paese come il nostro dove l'antinomia tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica, superata solo molto di recente e non del tutto, ha trovato un riflesso nell'emanazione di leggi e disposizioni per conservare e valorizzare i beni artistici intellettuali ma non quelli industriali, senza considerare che, per una sorta di metabolismo insito nell'accelerazione e nello sviluppo esponenziale del processo produttivo, la rivoluzione industriale trasforma e abbandona gli strumenti, le strutture e le aziende che via via si rendono obsolete, distruggendo in tale modo le testimonianze stesse delle sue origini e della sua storia.
Probabilmente in questa 'non volontà' di ricordare possono avere influito elementi di natura sociale e culturale: da un lato gli alti costi sociali e la natura ideologicamente controversa delle prime industrializzazioni, dall'altro l'impronta profonda lasciata dalla tradizione umanistica con la prevalente identificazione della cultura con i prodotti dell'attività artistica, letteraria, filosofica, e il connesso disvalore attribuito alle attività e ai prodotti delle arti manuali e delle tecniche in genere. Tradizione che ha trovato nella filosofia crociana un assetto teorico che ha profondamente influenzato le vedute in questo campo.
Tuttavia, il crescente sviluppo della tecnologia e della scienza ha fatto finalmente comprendere che cultura è anche quella industriale e che è la cultura del mondo di oggi, che la fabbrica e i luoghi di produzione di ogni tipo sono contenitori di scienza, di tecnologia, di capacità imprenditoriale, di competenze intellettuali e di lavoro, dove l'umanità opera un immenso sforzo che macina e trasforma la vita e la società dell'uomo. Ciò nonostante accade ancora che non appena ha concluso il suo ciclo vitale e produttivo la fabbrica viene riciclata o distrutta così che oggi, per alcuni settori, non resta che la testimonianza orale dei sopravvissuti.
Naturalmente, nei paesi di più antica e vasta industrializzazione è emersa una sensibilità diversa a fronte di queste situazioni e si è quindi avviato un processo culturale e organizzativo che, rifacendosi alla nuova disciplina dell'a. i., sta producendo buoni risultati. Questa nuova attenzione per le persistenze di cultura industriale in certi casi è diventata persino una moda o uno status symbol per le aziende più avvertite. Resta comunque il fatto che l'a. i. è ormai acquisita come un settore specifico e non trascurabile della cultura dell'industrializzazione. Tanto che in paesi come l'Inghilterra, gli USA, la Francia e il Portogallo, l'a. i. è ormai materia di insegnamento universitario.
Realizzazioni di archeologia industriale. − Nei paesi anglosassoni, ma anche in Europa e in Italia, oltre che allo studio e alla conservazione del patrimonio industriale si è pervenuti anche a notevoli realizzazioni di riuso e di popolarizzazione di edifici industriali, macchinari, ambienti e territori, sedi storiche del processo di industrializzazione, a partire da quello che ne è diventato un po' il simbolo: The Ironbridge Gorge Museum Trust.
Ironbridge si trova a Telford, in Inghilterra, e lì, esattamente a Coalbrookdale, si conservano i resti del forno dove A. Darby, nel 1709, usò per la prima volta il coke per produrre ghisa; sono conservati sotto vetro, quale preziosa testimonianza della prima innovazione tecnologica, considerata come il vero inizio della rivoluzione industriale. Oltre al forno di Darby, l'intera valle del Severn è in uno stato di perfetta conservazione delle sue strutture e della sua atmosfera d'epoca, dalle macchine agli ambienti di produzione, dalle abitazioni alle strutture sociali, costituendo in tal modo un museo aperto, visitato annualmente da mezzo milione di persone; simbolo del museo è il famoso ponte sul Severn, il primo mai costruito in ferro.
Negli Stati Uniti esempi significativi di questa nuova concezione di musei di a. i. intesa come intervento globale a salvaguardia delle preesistenze industriali del territorio, si trovano a Lowell, nel Massachusetts, e a Virginia City, dove un gruppo di privati ha restaurato l'intera cittadina abbandonata nel 1880 dai pionieri della corsa all'oro. Tutto è stato restaurato e ricostruito com'era, compresa la tipografia del giornale locale e la lavanderia cinese. Il più amato dei musei statunitensi per l'a. i. è forse lo Hagley Museum and Library, con sede nel luogo originario della fabbrica di polvere da sparo della Dupont, con evidente nostalgico riferimento ai pionieri delle origini.
Anche se non sempre si tratta di conservazione e riuso propriamente scientifico-tecnico, ma talvolta semplicemente di un business, tali realizzazioni servono indubbiamente a ricordare come si viveva e come si lavorava un tempo, e a far risaltare l'importanza del mondo del lavoro e della produzione nella storia di un popolo e della sua civiltà.
Tra numerose altre iniziative, in Francia è stato realizzato l'ecomuseo del bacino Le Creusot, in Belgio quello di Gand e in Germania il museo della città di Rüsselsheim. Musei più tradizionali, ma con un preciso riferimento all'a. i., si sono realizzati in Germania a Bocum e a Monaco, e in USA i grandi musei della scienza e della tecnica di Detroit e della Smithsonian Institution di Washington.
In generale si tratta di musei che superano lo schema tradizionale dei musei della scienza e della tecnica, per trasformarsi da statici contenitori di oggetti dell'industrializzazione in centri di visita, di rievocazione e di utilizzo didattico, in 'insiemi' di interi centri industriali abbandonati o dismessi.
Associazioni di archeologia industriale. − In molti paesi a partire dagli anni Cinquanta sono sorte associazioni per l'a. i. generalmente private e fondate sul volontariato. Talune, come negli USA, sono specializzate per i ponti storici, per i materiali ferroviari e per l'aeronautica; quelle inglesi per i mulini, le fonderie, ecc.
Negli USA opera la Smithsonian Institution, alla quale fanno capo l'AIA (Association for Industrial Archeology) e la SIA (Society for Industrial Archeology) fondata nel 1972. Direttamente o indirettamente tutte le associazioni sono collegate con il TICCIH (The International Committee for the Conservation of Industrial Heritage) fondato in Svezia nel 1978 in occasione della terza conferenza internazionale di a. industriale. Precedentemente si erano tenute due conferenze internazionali a Ironbridge nel 1973 e a Bocum nel 1975. Oggi questa associazione internazionale è rappresentata in 30 paesi, svolge una preziosa azione di collegamento e di intervento, pubblica il notiziario World industrial history e ha sede ufficiale presso l'Ironbridge Gorge Museum Trust. Il TICCIH in Italia è rappresentato dall'ICMAI (Istituto di Cultura Materiale e Archeologia Industriale), con sede in Roma.
L'archeologia industriale in Italia. − Sulla scia di quanto avveniva nell'Europa settentrionale, anche in Italia l'a. i. si è rapidamente sviluppata. A singole iniziative di studiosi e appassionati si sono sostituiti ben presto interventi collettivi che hanno portato alla costituzione di associazioni locali, a manifestazioni e a mostre specializzate fino alla convocazione del primo Convegno internazionale di a. i., tenutosi a Milano nel giugno del 1977. Da questo incontro, cui parteciparono rappresentanti di varie zone industriali, ebbe avvio una certa sistematicità degli studi, attraverso la pubblicazione degli Atti e la costituzione della SIAI (Società Italiana di Archeologia Industriale). In seguito si sono tenuti incontri di a. i. sulla siderurgia a Terni, sull'industria della lana nel Biellese, su quella tessile a Schio e a Lecco, e si sono avviati programmi di catalogazione e di rilevazione dei siti e dei monumenti industriali in Lombardia, in Emilia, nel Veneto, ecc.
In questo movimento, un po' magmatico ma vitale, si sono via via delineate con sempre maggiore chiarezza le linee di intervento che hanno portato a definire in maniera soddisfacente i modi, i temi e il linguaggio dell'a. i. e si sono creati positivi effetti indotti interessando studiosi, esperti, imprenditori e appassionati della materia.
Nei primi anni sono usciti alcuni numeri di una rivista specializzata intitolata Archeologia industriale per conto della fondazione Micheletti, che ha avuto come animatori M. Negri e A. Negri, gli stessi che insieme ad altri hanno poi pubblicato due volumi del Touring Club Italiano intitolati Campagna e industria. I segni del lavoro, e Campagna e industria. Itinerari (1981).
In questi stessi anni, soprattutto per effetto del fenomeno di trasformazione delle città industriali, dove le fabbriche venivano spostate oltre la vecchia cintura, sorgeva il problema del riuso delle aree dismesse. Questo problema suscitava l'interesse della collettività, rendendo inevitabile l'intervento dei comuni e dello stato e costringendo le aziende a confrontarsi sui temi della conservazione o dell'abbattimento dei loro edifici industriali, dei macchinari, degli archivi: e cioè i temi stessi dell'a. industriale.
Così, sotto l'influenza della nuova cultura industriale si sono realizzati notevoli interventi di conservazione e di riuso, con l'impiego di una metodologia e una 'filosofia' quasi sempre aggiornata e soddisfacente. Alcuni esempi significativi si possono ritrovare nel 'progetto San Leucio' di Caserta che, a completamento avvenuto, riporterà in vita l'antico centro produttivo dei Borboni rispettando l'ambiente, la tipologia e la tradizione. A Torino, la FIAT, d'accordo con il comune, ha deciso la conservazione del complesso Lingotto adottando il progetto di R. Piano che, preservando intatta la struttura e la tipologia industriale del famoso edificio lodato da Le Corbusier, ne restituisce l'uso alla città. A Milano lo stabilimento Ansaldo è stato trasformato in luogo di manifestazioni e di incontri e si sta studiando un parziale utilizzo anche per musei specializzati. Sempre a Milano è in fase di realizzazione la cosiddetta 'Tecnocity', ricavata dalla vecchia area Pirelli-Bicocca mediante la conservazione di quanto mantiene un significato storico e tecnico, il riuso di quanto è ancora utilizzabile e infine l'alienazione di quanto invece non serve o è di impedimento alla realizzazione di un progetto polifunzionale di grande interesse urbanistico e culturale.
Tra queste realizzazioni spicca il restauro e la conservazione dello splendido ponte di ferro di Paderno, sull'Adda, che è diventato il simbolo dell'a. i. in Italia, e che è scampato, per la sua bellezza e per la sua storia, al pericolo di demolizione prevista dalle norme delle Ferrovie dello Stato per i ponti che abbiano oltrepassato una certa età.
Un aspetto molto interessante della nuova attenzione verso i problemi della storia di impresa e dell'a. i. è quello riguardante gli archivi storici. Molte grandi aziende, banche e comunità stanno infatti riordinando e rendendo disponibili i loro archivi storici. In questo campo l'archivio storico Ansaldo, a Genova, costituisce la realizzazione più organica e significativa.
Alcune grandi aziende hanno realizzato o stanno realizzando anche musei specifici alla loro attività, come le Ferrovie dello Stato con il Museo ferroviario di Casarsa e quello di Trieste, l'ENEL con il nuovo e promettente 'Progetto di museo' dell'energia elettrica a Roma, l'Aeronautica militare con il museo di Vigna di Valle, e così pure la Caproni, la STET, la FIAT, la OTO Melara, ecc. Esiste inoltre una grande proliferazione di musei locali che raccolgono materiali relativi a produzioni tipiche quali il lino, la lana, lo zolfo, la seta, i magli, le ceramiche, gli strumenti musicali, ecc.
In alcune province e regioni si è anche proceduto con criteri di maggiore scientificità a effettuare un prezioso lavoro di rilevazione e catalogazione dei beni e dei siti di a. industriale. In questo campo hanno operato soprattutto la Lombardia, che ha realizzato un censimento su quasi tutto il suo territorio, il Veneto, l'Emilia Romagna. Iniziative culturali, museali e didattiche trovano esempio nella Fondazione Aldini-Valeriani di Bologna, che tra l'altro pubblica Scuolaofficina, nell'Associazione per l'a. i. di Napoli, che pubblica un bollettino con particolare riferimento al Mezzogiorno, nell'Associazione DOCBI a Biella, che si occupa prevalentemente della lana, ecc.
Mancando tuttavia un coordinamento e un indirizzo per tutte queste iniziative, nel 1985 è sorto l'ICMAI (Istituto di Cultura Materiale e Archeologia Industriale) che si è posto come punto di riferimento interno e di collegamento con l'estero. A partire dal 1987 l'Istituto pubblica Il Coltello di Delfo, una rivista specializzata con lo scopo dichiarato di diffondere la conoscenza dell'a. i. anche in ambito non specialistico e particolarmente in quello universitario e imprenditoriale.
I due principali problemi che oggi si pongono nel campo dell'a. i. in Italia sono quelli del censimento nazionale del patrimonio e quello di costituire un Museo dell'industrializzazione di nuova e moderna concezione.
Al censimento nazionale ci si propone di arrivare mediante un consorzio tra istituti, esperti, aziende e ministero dei Beni Culturali e Ambientali. Si tratta di effettuare una prima rilevazione in situ, con la produzione di una scheda standard, descrittiva di ogni bene storico industriale, da elaborare su computer e mettere a disposizione della collettività con i più avanzati strumenti informatici.
Il Museo nazionale dell'industrializzazione è previsto con una concezione sostanzialmente innovativa di 'museo-sistema', costituito da un centro museale che comprenda, oltre a esposizioni variabili e temporanee, sezioni specializzate per il disegno industriale, gli archivi storici, fotografici, ecc. Questo centro si collega 'a stella' con le realtà locali e territoriali che si riferiscono all'a. i., con il duplice scopo di lasciarle nel loro ambiente e di coordinarne l'attività e la fruibilità didattica e turistica.
Vedi tav. f.t.; v. anche industria: Storia materiale, in questa Appendice.
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