ARCATA (dal lat. arcus "arco"; fr. arcade; sp. arcada; ted. Arkade; ingl. arcade)
Un elemento di una successione di archi chiamasi arcata; sia che si tratti di un portico, avente copertura in profondità, sia che si tratti, come negli antichi acquedotti, di parete discontinua o traforata. I monumenti rimasti di quelle antiche civiltà che conobbero o adottarono l'arco non rivelano l'adozione di archi in serie; è nell'architettura di Roma invece che ne troviamo esempio frequente e sapiente.
L'impiego di arcate (arcuationes) è costante per gli acquedotti, che sono certo una delle più tipiche costruzioni romane, ma si incontra anche spesso nei ponti e talvolta anche nelle porte di città (porta di Adriano ad Adalia).
Infatti, abbandonato o limitato il sistema delle condutture sotterranee, assai meglio che un muro primo, una serie di arcate forma la più idonea, la più solida e la meno costosa costruzione per reggere lo specus, cioè la conduttura dell'acqua elevata sopra il suolo. Usate dapprima in ancora scarsa misura, come nel primo acquedotto dell'Acqua Appia nel quale le arcate erano limitate ad un percorso di soli sessanta passi, le arcuazioni crebbero in lunghezza e in altezza negli acquedotti edificati nel corso dei secolì successivi, come l'Anio vetus e l'aqua Marcia, fino a che in epoca imperiale l'Anio novus fu costruito sopra arcuazioni per un percorso di circa dieci chilometri, e l'acqua Claudia si elevò fino a 47 metri sopra il livello del Tevere. Non meno che a Roma, fu sviluppato abbondantemente il sistema delle arcuazioni per gli acquedotti delle provincie, nei quali oltre il sistema di raggiungere l'altezza voluta con una sola serie di archi, cioè facendo salire i pilastri fino a grande altezza e collegandoli poi con archi, si usò anche il sistema di raddoppiare o triplicare le arcuazioni, come nell'acquedotto di Segovia in Spagna, che raggiunge l'altezza complessiva di 66 m., nell'acquedotto di Tarragona, pure in Spagna, alto m. 31 e lungo m. 218, e infine nell'acquedotto del Gard presso Nîmes, composto di due piani di arcate maggiori, cui si sovrappone una terza fila di arcuazioni minori.
La costruzione delle arcate, quanto a materiale, varia naturalmente secondo il paese e secondo l'età. Tufo, peperino e travertino sono i materiali usati nei più antichi acquedotti; essi sono sostituiti in seguito dalla muratura a sacco, rivestita di reticolato o di laterizio, adoperata da sola o congiunta ancora alla pietra da taglio. L'arcata trova altresì applicazione nei porticati che girano sull'esterno degli edifici destinati a pubblici spettacoli (teatri, anfiteatri e circhi) e in quelli che dal tempo di Nerone in poi furono abbondantemente usati in Roma sul fronte dei caseggiati. Infine dall'esterno della casa i Portici passarono anche nell'interno, quando la casa stessa assunse pianta e tipo architettonico nuovo, con la creazione di un vero e proprio cortile; aprendosi su di questo, le arcate, tanto al pianterreno quanto ai piani superiori, servivano a dar luce e aria alle stanze retrostanti. Di tale sistema costruttivo, che troverà poi amplissima applicazione nei chiostri medievali e nei palazzi del Rinascimento, si hanno chiari e belli esempî in alcune case di Ostia antica.
Dal punto di vista tecnico, in un'arcata gli archi debbono generalmente susseguirsi, con assoluta uguaglianza; per modo che due arcate successive non spingono il pilastro in un senso o nell'altro, ma lo gravitano solamente, come gli architravi. L'arcata però dà, in confronto dell'architrave, un sensibilissimo risparmio di materiale, poiché permette maggiore ampiezza di aperture.
La proporzione media delle aperture ad arco varia nelle forme architettoniche classiche intorno al rapporto 1 : 2, cioè l'altezza complessiva del vuoto equivale a circa il doppio della larghezza. In alcuni archi di trionfo si scende ad 1 : 11/2 e per le finestre delle abitazioni si va fino ad 1 : 21/2. L'archivolto ha larghezza che va da 1/6 ad 1/8 della luce dell'arco; profilo analogo a quello d'un architrave ionico; appoggia sulla cornice d'imposta del tipo di una cimasa da piedistallo ed il centro dell'arco è tenuto di qualche centimetro più alto della linea d'imposta, per compensare l'effetto della sporgenza della cornice d'imposta a danno del piede dell'arco.
Un esempio d'arcata con archivolto è dato dal fianco della chiesa di S. Francesco a Rimini, opera di L. B. Alberti. Ma quando l'archivolto risultava di uno spessore esiguo rispetto alla massa muraria soprastante, anziché aumentarne lo spessore stesso, come facevano gli Etruschi, i Romani lo associavano con l'addentellato (v. archivolto).
Nei monumenti romani è abituale il motivo dell'arcata inquadrata da ordini architettonici, cioè da colonne addossate ai pilastri di sostegno degli archi e da trabeazioni sovrastanti alle colonne stesse. L'arco, motivo simbolico dell'architettura romana, poiché ne rappresenta l'essenza costruttiva, si presenta nel rivestimento architettonico decorato dagli ordini derivati dai Greci. La figura mostra lo schema e le più consuete proporzioni; il rapporto fra pieno e vuoto è all'incirca di 1:2,50.
L'arco rare volte fu, nel periodo romano, poggiato direttamente sulle colonne: troviamo in Pompei successioni di arcate (casa di Meleagro, casa delle Nozze d'argento), ma un esempio tipico si ha nel peristilio del palazzo di Diocleziano a Spalato; questo motivo passa poi all'architettura bizantina e alla romanica.
Nell'architettura lombarda, nella normanna, nella romanica in genere, nonché nell'architettura gotica, la serie di arcate o di arcatelle costituisce un motivo decorativo molto usato. Per limitarci a pochi esempî, riproduciamo il lato nord del coro della cattedrale di Canterbury, le cappelle del coro della cattedrale di Amiens, la navata della chiesa abbaziale di Saint Denis.
Notevoli i chiostri ad arcate dei marmorarî romani (Cosmati): quello di S. Giovanni in Laterano dovuto ai Vassalletto e più tardi l'altro di S. Paolo a imitazione del primo; e, cronologicamente anteriori, i chiostri della chiesa di S. Giovanni degli Eremiti in Palermo, della cattedrale di Cefalù, del duomo di Monreale, costruiti in epoca normanna.
Nel Rinascimento si adornarono i palazzi signorili d'una corte porticata, con spirito che richiama quello degli architetti delle insulae romane e pompeiane, e ciò porta un importante sviluppo delle arcate in serie. I palazzi fiorentini del Brunellesco e della sua scuola hanno portici con un ordine di arcate sorreggenti il muro (palazzi Riccardi, Gondi, Strozzi), e così quello ducale di Urbino del Laurana; ma vi sono esempî di due ordini di portici sovrapposti (Cancelleria di Roma, Archiginnasio di Bologna, palazzo Borghese di Roma).
Porticati si trovano spesso all'esterno degli edifici a uno (palazzo comunale di Udine) e a due ordini (caratteristico il Palazzo ducale di Venezia, la stessa Biblioteca del Sansovino, ecc.).
L'uso del portico ad arcata diventò caratteristico nei palazzi dell'Italia settentrionale, dove con soluzioni spesso arditissime i sovrastanti piani sono sorretti da portici a pian terreno. Bologna è la città che più si distingue per questa caratteristica.
Negli angoli dei portici esterni o interni si presenta all'architetto un problema abbastanza importante poiché è certo che ivi gli elementi portanti debbono risultare più robusti di quelli intermedî. Quando si hanno arcate sostenute da pilastri, allora le soluzioni sono quelle del motivo binato nell'angolo sporgente o rientrante. Nelle arcate sostenute direttamente da colonne, e dove il rapporto fra pieno e vuoto si spinge fino a 1/6, il problema dell'angolo diventa ben più grave del caso precedente. Necessita sostituire alla colonna qualcosa di più ampio, ove non si vogliano eliminare le spinte con le catene di ferro (espediente non felice in uso nel Quattrocento). Nell'angolo sporgente si adotta il doppio pilastro (Pienza, Loggia di Monte S. Savino) ovvero un pilastro di maggiori dimensioni dello stesso ordine delle colonne o di un ordine maggiore.
Quando si tratta d'angolo rientrante, si sostituisce alla colonna un pilastro ad L, come nel cortile della Cancelleria in Roma, ovvero un pilastro ottenuto con l'addossamento di due mezze colonne o di due mezzi pilastri, su cui vanno a impostarsi le due arcate de ll'angolo.
L'arcata in armonia col sistema architravato si trova nel motivo della cosiddetta serliana (da Serlio), dove di tre aperture contigue la centrale è ad arco e l'archivolto s'imposta sulla trabeazione delle aperture laterali. Esempî bellissimi si trovano nella Basilica palladiana di Vicenza e nell'ordine superiore della citata Biblioteca di S. Marco, del Sansovino.
Nei ponti di muratura il rapporto fra le luci delle arcate e le pile di sostegno è andato via via variando dai Romani a oggi in modo sensibile: prima le grossezze andavano da 0,25 a 0,50 delle arcate, in media un terzo, mentre oggi si è ad un settimo, a un ottavo.
Quando si tratta di ponti di calcestruzzo si scende a valori ancora più bassi.
Bibl.: E. E. Viollet-le-Duc, Dict. raisonné de l'Architecture française du XIe au XVIe siècle, Parigi 1854-69; L. Cloquet, Traité d'architecture, I, Parigi e Liegi 1898; C. Gelati, Nozioni pratiche ed artistiche di Architettura, Torino 1899; A. Venturi, L'architettura del Quattrocento, Milano 1923; O. Marucchi, Man. di archeologia cristiana, Roma 1923; G. Giovannoni, Elementi di fabbriche (corso litografato), Roma 1926.