AQUITANIA (A. T., 35-36)
I geografi indicano col nome di Aquitania una grande regione naturale, situata nella Francia di SO., e corrispondente press'a poco all'antico Duché d'Aquitaine, che giungeva fino ai declivî del Massiccio Centrale. La sua unità fisica è per lo meno altrettanto evidente quanto quella del bacino di Parigi. I Pirenei, che ne costituiscono il confine meridionale, l'Oceano Atlantico, che la limita ad ovest, e il Massiccio Centrale, al cui margine i geografi la fanno giungere, col loro influsso contribuiscono a determinarne la fisonomia. Dai Pirenei, oltre la Garonna col suo affluente Ariège, scendono i fiumi d'Armagnac, Gers, Baïse, ecc., e tutto il fascio dei Gaves. Il suolo della maggior parte dell'Aquitania è costituito dai frammenti che l'erosione ha strappati alle scabrosità dei Pirenei, formando quelle arenarie tenere, più o meno argillose, che sono conosciute sotto il nome di molasse. La catena, alta 3000 m., arrestando i venti piovosi dell'est e del nord-est, procura all'Aquitania meridionale precipitazioni abbondanti (da 700 mm. a 1 metro); i venti del sud, raggiungendola, assumono carattere di föhn: si tratta dell'autan, violento, asciutto e caldo, il vero flagello della pianura di Tolosa.
Il Massiccio Centrale manda nell'Aquitania quasi tutti gli affluenti di destra della Garonna: Tarn, Lot, Dordogna e Vezère; e fa sì che aumentino le precipitazioni, costringendo i venti di SO. ad alzarsi al di sopra delle sue vette.
Con una fronte lunga 300 km. sull'Oceano Atlantico, l'Aquitania è aperta a tutti i venti di mare. Posta a mezzodì quanto la Provenza, essa ha estati più calde e inverni più miti che il bacino parigino (Tolosa 3° 7 in gennaio e 19° 9 in luglio); ma, per l'influsso oceanico, non ha le estati asciutte del clima mediterraneo, poiché il massimo delle piogge si raggiunge nei mesi di giugno e luglio. L'olivo vi è sconosciuto; vi prosperano invece la vite ed i cereali dei paesi meridionali, soprattutto il granturco, i cui pennacchi sono caratteristici del paesaggio aquitanico, allo stesso modo che lo sono in Italia della Pianura Padana. I dislivelli del suolo sono poco rilevanti, non essendovi alcun punto, salvo ai piedi dei Pirenei, che si elevi al di sopra dei 200 metri; quindi tutti i contrasti geografici dipendono dalla natura del terreno. Vi predomina la molassa, che gli conferisce un aspetto monotono: colline tondeggianti e valli tutte simili tra loro. Piccoli boschi coronano le alture, la vite s'aggrappa ai pendii ben esposti, le terre arate e i prati artificiali si alternano; siepi, meno ricche d'alberi che quelle della Bretagna, dànno al paesaggio un'aria di bocage, resa più evidente dal succedersi di bordes o case coloniche isolate. L'allevamento non ha minore importanza che l'agricoltura, essendo i buoi guasconi famosi in tutto il mezzodì.
I grossi villaggi sono poco numerosi, ma vi sono parecchie cittadine, per lo più antiche fortezze, annidate sulle vette, come Cordes e Castelnaudary. Alcune di esse vanno diventanto centri industriali, come Castres e Mazamet ai piedi della Montagne Noire, che hanno fabbriche di tessuti, e Carmaux, che ha fabbriche di vetri e miniere di carbon fossile.
L'aspetto della regione delle molasse muta qualche poco, allorché affiora un banco calcareo, formando una specie di cornicione sui declivî, come nell'Albigeois e, presso Bordeaux, nell'Entredeux-mets. L'innalzamento del suolo in vicinanza dei Pirenei ha fatto sì che nell'alto Armagnac si siano venute scavando numerose valli irregolari separate l'una dall'altra da colline elevate, ricoperte di boschi o di vigneti.
Ma l'aspetto più singolare è quello della zona, larga da 50 a 60 km., la quale si estende lungo l'oceano, ed è tutta un'immensa foresta di pini snelli venuti su da sabbie finissime, che il vento accumula in alte dune fino in riva al mare, con una serie di stagni e di baie (étang de Cazeau e de Sanguinet, de Parentis, baia d'Arcachon). La regione una volta portava il nome appropriato di Landes de Gascogne, sotto il quale è ancora conosciuta; ma nel sec. XVIII Brémontier trovò il modo di arrestare le dune mobili che inghiottivano i villaggi della spiaggia, e di sostituire nell'interno le pinete alle lande e alle paludi. Ora i villaggi, rimasti poco numerosi, sono da annoverarsi tra i più ricchi della Francia, per il profitto che ricavano dal legname e dalle resine.
Le regioni dell'Aquitania d'aspetto più ridente sono pur sempre le grandi valli (Garonna e corso inferiore dei suoi principali affluenti): approfondendosi da 50 a 150 metri tra le alture di molassa, larghe da 2 a 10 km. e colmate dalle alluvioni, che formano terrazze a ripiani, costituiscono corridoi di vita intensa; infatti da molti secoli hanno attratto l'uomo, sia per la facilità delle comunicazioni, sia per la fertilità del suolo, Le alluvioni recenti recano bei prati e orti irrigui, che producono legumi, frutta, ortaggi di ogni sorta, inviati a Parigi quali primizie. Sulle terrazze si estendono campi di cereali e di piante da foraggio; i vigneti sono allacciati agli alberi nella pianura di Tolosa, ma rivestono specialmente i pendii, costituendo, com'è noto, nei dintorni di Bordeaux i vigneti più stimati di Francia ed anche i più estesi, dopo quelli della Bassa Linguadoca.
Molte città antiche e ancora piene d'animazione come Agen, Montauban, ecc., si susseguono da Tolosa (v.) a Bordeaux (v.). Un canale, che costeggia la Garonna e passa per la soglia di Naurouze nella pianura mediterranea, e la linea ferroviaria più frequentata di tutto il mezzodì, che segue la medesima direzione, concentrano ancora la circolazione nella bella valle della Garonna, la quale può dirsi davvero il punto più vitale dell'Aquitania.
Storia. - Gli Aquitani. - Abitavano l'angolo estremo sud-occidentale della Gallia, fra i Pirenei, la riva sinistra della Garonna (Garumna) e l'Oceano, corrispondente alle attuali provincie della Guascogna e della Navarra francese o Béarn; essi erano tuttavia di stirpe iberica, anziché celtica, e la loro origine si rivelava, secondo ci dice Strabone (IV, 177 seg.), sia nella lingua, sia nei caratteri somatici. La testimonianza di Strabone ci viene confermata dalle iscrizioni rinvenute nel paese, nelle quali l'onomastica degli dei e degli uomini appare prettamente iberica: iberico è del resto anche lo stesso nome di Aquitani. Erano divisi in più di 20 piccoli popoli, o tribù, di cui le principali erano quelle dei Tarbellii, Vasates, Auisci e Convenae. Furono per la prima volta recati sotto il dominio romano nell'anno 56 a. C. dal legato di Cesare, P. Licinio Crasso (Cesare, De bell. gall., III, 27); insorti due volte, nel 38 a. C. e nel 27, furono ridotti all'obbedienza rispettivamente da Agrippa e da Messalla Corvino. Quando Augusto ordinò amministrativamente le provincie galliche, alle tribù di stirpe iberica ne furono aggiunte altre quattordici di stirpe celtica, comprese fra la Garonna e la Loira (Liger), e di tutte insieme fu formata la provincia dell'Aquitania (v. più oltre); tuttavia fra le prime tribù, quelle degli Aquitani in senso stretto, e le altre, di Aquitani in senso lato, si mantenne sempre una certa separazione. All'assemblea provinciale delle Gallie a Lione, le prime o erano rappresentate dalle quattro tribù principali sopra ricordate, come vogliono alcuni, o non erano rappresentate affatto, secondo sostiene il Hirschfeld (Kleine Schriften, p. 222 seg.). Certo è che più tardi, forse sul principio del secondo secolo, la separazione tra i due gruppi etnici, pur rimanendo essi sotto un medesimo governatore e quindi in una medesima unità provinciale, si accentuò ancor più con la costituzione delle tribù iberiche, ridotte o raggruppate al numero di nove, donde il nome di Novempopuli, Gallia novempopulana, in distretto autonomo, con propria assemblea. Il distretto acquistò infine la completa autonomia come provincia a sé nell'ordinamento dioclezianeo.
Il numero dei popoli aquitani varia secondo gli autori: Strabone, si è visto, dice venti; Plinio (Nat. Hist., IV, 108 segg.), ne ricorda più di venticinque; Tolomeo (II, 7) fa menzione soltanto dei quattro principali. In un'iscrizione, che è del tempo di Antonino Pio (Corp. Inscr. Lat., XIII, 1808) si parla di XI populi, ma forse l'XI è un errore per IX; la Notitia Galliarum dà il numero di 12.
Gli Aquitani diedero all'esercito romano il contingente di parecchie coorti ausiliarie: cohortes Aquitanorum; alcune volte troviamo aggiunta l'indicazione: Aquitanorum Biturigum: con essa sembra si volessero distinguere le coorti formate da Aquitani di stirpe gallica, mentre le prime erano invece quelle degli Aquitani in senso proprio, di stirpe iberica.
La provincia romana d'Aquitania. - Giulio Cesare, tracciando sommariamente nel primo capitolo del suo De bello gallico le linee di divisione della Gallia, dice che una parte di questa era abitata dagli Aquitani, donde il suo nome di Aquitania. Essa, come già si è detto, aveva un'estensione molto limitata, comprendendo il territorio situato fra i Pirenei, la Garonna e l'Oceano; invece, quando Augusto, nel 27 a. C. secondo alcuni, fra il 16 e il 13 a. C. secondo altri, diede la definitiva costituzione alle provincie galliche, la provincia dell'Aquitania abbracciò un territorio assai più vasto. Alle tribù degli Aquitani, propriamente detti, furono infatti aggiunte altre 14 tribù, di popolazione di stirpe celtica, comprese fra la Garonna e la Loira, onde i confini della provincia furono: a sud i monti Pirenei e la catena delle Cevenne (Cebenna), la quale ultima la separava dalla Gallia Narbonense, ad oriente e a nord la Loira, oltre la quale era la Gallia Lugdunense, ad occidente l'Oceano.
La provincia era nel numero di quelle che dipendevano direttamente dall'imperatore, ed il governo ne era tenuto da un legatus propraetore di rango pretorio; tra i varî governatori che conosciamo di essa merita di essere ricordato Cn. Giulio Agricola (Tacito, Agric., 9). I suoi rappresentanti, limitatamente, pare, alle tribù di origine celtica (v. sopra), sedevano, con quelli delle altre provincie della Gallia Comata, all'assemblea generale di Lione. Per l'amministrazione finanziaria in generale, come per le altre funzioni con questa connesse: censo, riscossione di tributi, ecc., l'Aquitania non ebbe invece mai o quasi mai un'esistenza autonoma: essa veniva normalmente riunita o a tutte le altre provincie galliche o alle sue più vicine confinanti: la Narbonense e la Lugdunense.
Con la riforma dioclezianea l'Aquitania fu divisa dapprima in due provincie, dipendenti ambedue dalla dioecesis Viennensis: la Novempopulana, la cui costituzione a distretto amministrativo separato risaliva forse già al secondo secolo, e che comprendeva la parte meridionale, abitata dalle tribù iberiche (v. sopra), e l'Aquitanica, che era invece la parte settentrionale, spettante alle tribù celtiche; più tardi l'Aquitanica fu ancora a sua volta divisa in Aquitanica prima, settentrionale, e Aquitanica secunda, meridionale, ognuna sotto il governo di un praeses.
Come in tutta la Gallia, anche nell'Aquitania si mantenne, sotto la dominazione romana, l'antica costituzione locale delle tribù (civitates), accanto alle quali vennero via via sorgendo le città di ordinamento romano: colonie, municipî ed oppida. Fra le tribù di stirpe celtica, stanziate tra la Garonna e la Loira, si possono ricordare come principali quelle: dei Bituriges-Vivisci, alla foce della Garonna; dei Santones e dei Pictones a nord della prima, sempre lungo la costa dell'Oceano; dei Rutaeni al confine con la Narbonense; degli Arverni e dei Bituriges-Cubi sul confine con la Lugdunense; dei Cadurci e dei Lemovices nella parte mediana della provincia. Ognuna di queste tribù, alcune delle quali conservarono sempre una certa autonomia amministrativa, aveva il suo proprio centro: sono alcuni di questi centri indigeni che, crescendo d'importanza e prendendo l'ordinamento cittadino romano, assursero col tempo al grado di città; tali: Burdigala (Bordeaux), nel territorio dei Bituriges-Vivisci; Augustonemetum (Clermont-Ferrand), in quello degli Arverni; Avaricum (Bourges), fra i Bituriges-Cubi; Mediolanium, fra i Santones; Limonum, fra i Pictones; Divona, fra i Cadurci, ecc.; una sola città dell'Aquitania sappiamo con certezza che aveva rango di colonia: Elusates, nei confini degli Aquitani propriamente detti.
Il territorio della provincia era molto vario: montagnoso sulle pendici dei Pirenei e delle Cevenne; piano, sabbioso e povero lungo l'oceano, dove tuttavia il porto di Burdigala raccoglieva in sé un larghissimo movimento commerciale, cui non andava disgiunto il culto delle lettere e del sapere; fertile e ricco, soprattutto di cereali, nella parte mediana, nelle valli dei due fiumi principali che l'attraversavano e dei loro affluenti. Miniere di oro e di ferro si trovavano nei Pirenei e nelle Cevenne, e sviluppata era perciò tra gli abitanti la lavorazione dei metalli. Numerose sorgenti di acqua minerale Plinio (Nat. Hist., XXXI, 4) ricorda pure nella regione dei Pirenei.
Nonostante la sua posizione eccentrica e la varia stirpe dei suoi abitanti, l'Aquitania fu, al dire di Ammiano Marcellino (XV, 11, 5), la provìncia gallica che più docilmente si lasciò penetrare dalla conquista romana, la quale dovette avere naturalmente il suo centro nella città di Burdigala, dalle cui fiorenti scuole di retorica usciva nel sec. IV il poeta Ausonio.
L'Aquitania nel Medioevo. - Nel periodo in cui l'Impero romano d'occidente si frantuma, l'Aquitania è già cristianizzata. In essa, il cristianesimo è d'introduzione latina, non greca o siriaca come nella Gallia orientale: almeno, così opina lo Jullian per Bordeaux (Recueil des inscriptions romaines de Bordeaux, II, p. 611), la cui liturgia è certo lontanissima dalla liturgia, nettamente greca, di Lione. Già nel sec. IV abbiamo menzione precisa di un vescovo di Bordeaux (Orientalis, nel 314), nel tempo stesso che ne conosciamo a Clermont. Sorgono pure basiliche e cimiteri che vediamo apparire specialmente a Bordeaux, e che attestano il trionfo della nuova religione sui culti pagani. A Bordeaux stessa, nel 385, si riunisce un concilio contro gli eretici. Sopraggiungono poi, al principio del sec. V, i Visigoti, ariani. Essi s'insediano, tra il 416 e il 418, nell'Aquitania secunda (cioè, Guascogna, Périgord, Saintonge, Angumese, Poitou), pur continuando a riconoscere la sovranità degli imperatori romani; poi occupano la Linguadoca tolosana; infine, tra il 469 e il 476, s'impadroniscono anche delle altre due parti dell'Aquitania. L'antica provincia augustea riacquista così la sua unità sotto i re visigoti, resisi, sempre tra il 468 e il 470, padroni anche della Spagna. Il dominio visigotico non significa tuttavia la rovina della civiltà romana, né dell'attività delle città: ancora nel 476 sappiamo da Sidonio Apollinare che in Bordeaux continua l'attività commerciale, se pur meno intensa, e che vi persiste una vita culturale. In Clermont stessa, la sede episcopale di Sidonio Apollinare, l'intensità della fede si traduceva nella costruzione di chiese (12 almeno, già dall'inizio del sec. VI), ricche di sarcofaghi scolpiti. Ma la differenza di religione tra i Visigoti dominatori e i Gallo-romani dominati determinò anche qui attriti e persecuzioni e odî: sì che, per l'Aquitania, fu senza dubbio notevole beneficio il passare sotto il dominio dei Franchi cattolici, che vinsero nella battaglia di Vouillé (507) il re visigoto Alarico, annettendosi tutto il paese sino a Pirenei. Così, se alcune città, come Bordeaux, decaddero gravemente nel sec. VI, altre ebbero un periodo di maggiore prosperità: Clermont stessa, in cui nacque il maggiore dei cronisti franchi, Gregorio di Tours; Poitiers, in cui svolse la attività dei suoi ultimi anni (fine del sec. VI) un uomo come Venanzio Fortunato, italiano di nascita. Divisa in tre provincie ecclesiastiche, con parecchi vescovati (dodici vescovi dell'Aquitania assistono al concilio di Orléans del 511), con un primate di Aquitania (il vescovo di Bourges), l'Aquitania formava allora un'unità a sé, né era considerata come parte della Francia di quel tempo (racchiusa tra la Loira, l'Oceano e il Reno): si diceva infatti "venire di Francia a Poitiers" (Venanzio Fortunato, Vita Radegundis, c. XXVII). Ma, politicamente, sotto i successori di Clodoveo, l'unità fu spezzata: considerata terra di conquista, l'Aquitania venne infatti divisa, nel 511, fra i quattro figli di Clodoveo; nuovamente, nel 567, dopo la morte di Cariberto, fra i tre fratelli di questi, e, nel periodo successivo, fra i varî re merovingici.
Ma, intanto, nella parte meridionale si avanzavano minacciosi, dai Pirenei, i Vaschi: penetrati, sin dalla fine del sec. VI, nella odierna Guascogna, essi riuscivano, nei primordî del sec. VII a stanziarsi sin quasi alla Garonna. Nel 628, pertanto, il re Dagoberto costituiva, per il fratello Cariberto, un reame aquitanico, i cui limiti erano tuttavia assai più ristretti dell'antica Aquitania, comprendendo solo le cinque contee di Tolosa, Cahors, Agen, Périgueux e Saintes, con Tolosa capitale. Lo scopo era di respingere i Vaschi; ma nel 630, alla morte di Cariberto, l'Aquitania veniva nuovamente riunita al reame franco di Dagoberto. In breve, però, nelle regioni aquitaniche si viene palesando l'aspirazione a costituire un'unità propria, indipendente; e il contrasto si delinea non più con i Vaschi, ma con i re di Neustria. L'aspirazione trova i suoi portavoce nei duchi di Aquitania, che riescono a creare rapidamente un loro stato (primo ducato di Aquitania), con centro a Tolosa. Dal 660 al 670, un Felice, patrizio o duca, che risiede a Tolosa, si atteggia di già a sovrano indipendente; poi, il suo successore, Lupo, inizia la conquista del bacino della Garonna; finalmente, nel 714, il duca Eudo, rompendo apertamente ogni vincolo di sudditanza, entra in lotta con Pipino di Heristal e, sebbene vinto da Carlo Martello nel 720, ottiene però un trattato d'amicizia che consacra virtualmente l'indipendenza dell'Aquitania. Se non che, il nuovo organismo politico che pareva stesse per sorgere a vita propria, favorito dalla crisi in cui si trovava la monarchia franca, doveva ben presto scomparire: in quel momento in cui i Saraceni si rovesciavano nella Francia meridionale, dopo di aver conquistato la Spagna, non era possibile che uno stato nuovo, e pertanto debole ancora, potesse affermarsi. Eudo, veramente, salvava una prima volta i suoi dominî, e con essi tutta la Francia, sbarrando ai Saraceni l'accesso alla valle della Garonna (720-721); ma nel 732, una nuova ondata musulmana scendeva dai Pirenei su Bordeaux, penetrava nella Francia centrale e solo a Poitiers veniva fermata da Carlo Martello (ottobre 732). La vittoria di Poitiers assicurava a Carlo Martello il predominio su tutta la Francia, ma troncava anche alla base la possibilità di formazione, in essa, di regni autonomi. Inutilmente il figlio di Eudo, Hunald, e il nipote, Waifer, cercarono di lottare contro Pipino il Breve: dopo una lunga e cruenta lotta l'Aquitania passò definitivamente sotto il dominio dei re franchi.
Sorse bensì, sin dal 778, per volere di Carlo Magno, un Regno di Aquitania: ma questo regno, che abbracciava, oltre l'Aquitania propriamente detta, la Marca di Spagna, non doveva costituire ormai se non l'avamposto strategico del grande impero carolingio verso il sud, di contro ai Saraceni di Spagna. E infatti di lì partirono le spedizioni franche verso la valle dell'Ebro. Il regno, così formato, durò fino all'877, ed ebbe per sovrani, successivamente, Luigi (788-814, dall'814 imperatore, noto come Luigi il Pio); Pipino I (morto nell'838) e Pipino II (morto nell'865 dopo avventurose vicende e lotte, specialmente contro Carlo il Calvo); Carlo, figlio di Carlo il Calvo; Luigi il Balbuziente, re nell'867, che, divenuto dieci anni dopo re di Francia, riunì l'Aquitania al regno.
Se non che, nell'845, con il trattato di Saint-Bénoit-sur-Loire, tra Carlo il Calvo re di Francia e Pipino II d'Aquitania, dal regno d'Aquitania erano stati staccati il Poitou, la Saintonge e l'Angumese, dati a Rainolfo I figlio di Gerardo, conte d'Alvernia e di Poitiers. Cominciava così l'esistenza del secondo ducato d'Aquitania che doveva rimanere, per circa tre secoli, in possesso della casa d'Alvernia e di Poitiers: esistenza travagliata da lotte contro i signori vicini (ì conti de la Marche, di Vendôme, di Tolosa, ecc.), contro i Normanni (specialmente al principio e alla fine deI sec. X), e contro lo stesso re di Francia Ugo Capeto. Il ducato d'Aquitania rimase limitato alle contee di Bordeaux e Agen, all'Aunis e alla Saintonge, a cui si aggiunse, dalla metà del sec. XI, il ducato di Guascogna; in più, la contea di Poitiers. Tra i varî duchi, emergono specialmente Guglielmo V il Grande (duca nel 990-1025), che venne anche in Italia (v. guglielmo v), e Guglielmo IX, uno dei primi e dei più notevoli poeti provenzali (v. guglielmo ix), oltreché battagliero duca. Nel 1137, morto l'ultimo duca Guglielmo X, la figlia primogenita di questi, Eleonora, sposava Luigi VII re di Francia; ma, annullato il primo matrimonio nel 1152, essa andava sposa ad Enrico Plantageneto, duca di Normandia e conte di Angiò. Il ducato di Aquitania e la contea del Poitou passarono così, come dote, nella casa dei Plantageneti, salita nel 1155 al trono d'Inghilterra; e nel 1203, il ducato venne definitivamente riunito al reame d'Inghilterra, i cui re sino al sec. XIV portarono il titolo di duchi d'Aquitania. L'Aquitania divenne, insieme con la Normandia, la base dell'espansione inglese nella Francia, e costituì per parecchio tempo uno de' pericoli maggiori per il regno di Francia. Ma, diventando da allora di uso comune il nome Guienna che designa il nucleo territoriale fondamentale dell'antico ducato di Aquitania, s'inizia la storia della Guienna (v.).
Bibl.: Per il periodo antico: Desjardins, Géographie de la Gaule romaine, Parigi 1876-85, II, pp. 359 segg., 411 segg., 643 segg.; C. Jullian, Histoire de la Gaule, I, Parigi 1907, p. 262 segg.; II, ibid. 1908, p. 449 segg.; Toutain, in De Ruggiero, Dizion. epigraf., III, p. 376 segg.; Hirschfeld, in Corp. Inscr. Lat., XIII; id., Aquitanien in der Römerzeit, in Kleine Schriften, Berlino 1913, p. 209 segg.
Per le fonti: Les sources de l'histoire de France, I: A. Molinier, Des origines aux guerres d'Italie, II, Parigi 1902, num. 1434 segg.
Per il periodo medievale: E. Mabille, Le royaume d'Aquitaine, et ses marches sous les Carlovingiens, Tolosa 1870; A. Perrond, Les origines du premier duché d'Aquitaine, Parigi 1881; J. J. De Bergues-La-Garde, L'Espagne et l'Aquitaine au VIII siècle, Parigi 1882; A. de Solignac, Les ducs d'Aquitaine, Parigi 1885; L. Duchesne, Fastes épiscopaux de l'ancienne Gaule, II, L'Aquitaine et les Lyonnaises, 2ª ed., Parigi 1910; J. de Font Réaules, Étude et catalogue des actes des comtes de Poitu, ducs d'Aquitaine (778-1137), in Positions des thèses des élèves de l'École des Chartes, Parigi 1915.