AQUILA (III, p. 789; App. I, p. 140; II, 11, p. 153)
Il comune dell'A. ha superficie di 467 km2 e viene ad essere, come tale, uno dei più estesi d'Italia. La popolazione residente, al censimento del 1936, vi risultò di 54.722 abitanti. Questa cifra è rimasta immutata per quindici anni: la popolazione censita nel 1951 era ancora di 54.633 persone. Un computo anagrafico relativo al 1958 indicava 58.031 abitanti residenti, e cioè un leggero aumento; in realtà, mentre le frazioni periferiche, specialmente le frazioni di montagna, si svuotano, la città cresce un po' per l'afflusso di popolazione dal contado, un po' per la eccedenza dei nati sui morti. Nel centro urbano, vivevano raccolte 20.573 persone nel 1936 e 24.843 nel 1951. L'espansione del caseggiato risulta comunque piuttosto modesta, almeno nel confronto con altre città del nord di pari consistenza demografica: l'area compresa entro le mura non è ancora totalmente riempita. L'Aquila serba pertanto il carattere signorile di città borghese a funzioni prevalentemente amministrative, e di cospicuo mercato rurale. Vi è stata istituita di recente una facoltà universitaria di Magistero (292 studenti nel 1956-57).
Tagliata fuori dalle grandi linee della moderna circolazione nell'ambito della Penisola, la città non presenta prospettive favorevoli a uno sviluppo industriale di largo respiro. Gli addetti all'industria risulterebbero invero abbastanza numerosi dai censimenti (4771), ma si tratta per buona parte di manovali occupati nell'attività edilizia. In effetti la città. partecipa del regresso demografico ed anche economico che ha investito tutta la montagna italiana, Appennino compreso. Dal 1936 al 1951, la popolazione della provincia è ferma; ma, dopo questa data si avverte un calo da 365.077 abitanti a 361.610 nel 1958. In alcuni comuni di montagna lo spopolamento è addirittura precipitoso. Per esempio, Santo Stefano di Sessanio sul Gran Sasso, aveva 979 anime nel 1936 e 461 nel 1958; Massa d'Albe passa da 4495 a 2646, Ortona de' Marsi da 3726 a 2462, Ofèna da 2515 a 1602. Soltanto l'infierire delle antiche pestilenze riusciva a formare, in breve ciclo, dei vuoti altrettanto paurosi nel corpo di queste comunità montane.