APRICENA (A. T., 27-28-29)
Comune della provincia di Foggia, con 8745 ab. Sorge, a 73 m. s. m., nella parte più settentrionale del Tavoliere, e propriamente in prossimità del punto in cui il Gargano si salda con l'Appennino. Ha, a 4 km. e mezzo, stazione ferroviaria sulla Termoli-Foggia, e, poiché Apricena è attualmente lo sbocco dei comuni del Gargano settentrionale, la sua stazione è oggi lo scalo ferroviario delle merci di buona parte del promontorio. La città fu quasi tutta abbattuta dal terremoto del 1627; anche la parte vecchia, quindi, non ha più di tre secoli di vita: essa è costituita dall'antica piazza e dalle viuzze che s'affiancano; la parte nuova ha strade larghe e diritte e forma i rioni moderni verso N. e verso E. Il vasto territorio (17.145 ett.), che sale fino al Gargano, è coperto per un terzo da pascolo e produce specialmente cereali e vino.
Tra i monumenti della città, si ricordino gli avanzi del castello di Federico II, incorporati nel "Palazzo", grande costruzione quadrilatera a scarpata del 1658, e una croce in pietra, del 1575, eretta forse in ricordo della battaglia di Lepanto.
Storia. - Il più antico diploma che ad essa si riferisce è del 1221, quando Federico II riserva nel suo demanio tantum villa Precine. E Prechina, Pretina, Procina è variamente chiamata nei documenti coevi, sino al '400, da identificare col pagus posto ai piedi del Gargano, fra Lesina e Sansevero. Per parecchi anni (1221-1226), fu sede preferita dell'imperatore svevo (i più importanti diplomi son datati da quel luogo): gli scrittori napoletani ritengono che egli vi costruisse un palazzo dopo aver ucciso un cinghiale e tenuto un banchetto (apri coena). A parte l'origine del nome, è certo che, come Lucera e quasi tutto l'alto Tavoliere, anche Apricena fu colonia di Saraceni: carte posteriori mostrano le lotte fra questi e gl'indigeni per i diritti di cittadinanza che quelli si arrogano. Fedelissima al sovrano, da una concessione del 1230 vede ampliata la sua terra, poiché i cittadini godono iura aquandi, pascendi, ecc., sino a S. Nicandro, Civitate e Castel Pagano, senza pagar fida di sorta: diploma, questo, che non è una semplice conferma di diritti preesistenti, ma un vero privilegio, in premio dell'affetto a Federico II mostrato da quegli uomini, e che sarà la vera charta libertatis nei secoli seguenti, contro le pretese dei baroni vicini, che i diritti civici del paese non riconoscono.
Smarrite le lettere patenti di Carlo II, confermanti quelle esenzioni (1305), il vescovo di Lucera ne difese l'esistenza e riuscì ad ottener da Giovanna II una nuova trascrizione di esse (1368); ma ciò non tolse che d'allora in poi, aspre più che mai, s'ingaggiassero nuove lotte con le università finitime. In queste lotte sta tutta la storia feudale di Apricena, specialmente per il periodo che va dalla morte di Roberto ad Alfonso d'Aragona. Carlo VIII nei pochi giorni che tenne il regno mirò a sollevarla dalla depressione in cui era caduta, richiamando gli antichi privilegi; ma il suo diploma non ebbe effetto, e Ferdinando II, anziché punir quei cittadini della facile devozione mostrata ai Francesi largheggiò, e concesse loro di accomandarsi di lì a qualche anno ad Andrea di Capua, come già prima erano stati vassalli di Berengario Raimondo. Venduta ai Gonzaga, stremata dai tributi, subì le vicende turbinose dei suoi signori, nel periodo vicereale, passando dai De Sangro ai Carafa, poi ai Lombardi, Brancia, Cattaneo.
Bibl.: M. Fraccacreta, Teatro della Dannia; F. Schupfer, Apricena e i suoi usi civici, in Mem. Acc. Lincei, s. 4ª, II.